28 febbraio 2013

Il successo del Movimento 5 Stelle





Il SUCCESSO DEL M5S
Sul Movimento Cinque Stelle (M5S) nelle ultime settimane si è scritto di tutto, ma la grande stampa italiana ha espresso per lopiù giudizi fortemente negativi, al punto da considerare Grillo un pericolo per la democrazia, un fascista, uno stalinista, un antisemita e così via. Sciocchezze, ma che rivelano l’irrimediabile ottusità della classe dirigente italiana (giornalisti e intellettuali compresi) ormai incapace di comprendere la realtà del nostro Paese. Con questo non vogliamo affermare che il M5S non sia una incognita. Indubbiamente il movimento politico di Grillo manca di un collante ideologico e di una salda dottrina politica e strategica. Perciò, tradimenti e voltafaccia vari è molto probabile che ci saranno. Ma non è affatto scontato che sarà il “trasformismo” che caratterizzerà l’operato del M5S in Parlamento.
Intanto, si dovrebbe prendere atto che il M5S è riuscito nella non facile impresa di “uscire” da internet e di togliere la “piazza” alla sinistra interpretando il malcontento e la rabbia di milioni di italiani che stanno sperimentando sulla propria pelle il fallimento della “terapia” del commissario Monti. Una “terapia” – non lo si deve dimenticare – impostaci dalla BCE (che è la longa manus della finanza angloamericana in Europa) e condivisa sia dal PD che dal PDL. E che ha portato il nostro  Paese sull’orlo del baratro e ad avere una disoccupazione giovanile ben oltre il 30%, nonostante un avanzo primario del 5% (ovvero al netto degli interessi sul debito pubblico). Durante l’anno orribile del governo Monti, però la parola d’ordine del PD e dello stesso PDL è stata una sola: privatizzare. Privatizzare come negli ultimi decenni. Ovvero (s)vendere ai “mercati” l’Italia e gli italiani, perché “lo chiede l’Europa”. Adesso che il risultato di tale politica è sotto gli occhi di tutti si tratta quindi di capire se il M5S non rimarrà prigioniero dell’”antipolitica” (cioè di una generica, benché comprensibile e condivisibile, protesta contro il sistema politico) e saprà invece interpretare la rabbia degli italiani in una nuova chiave (geo)politica che possa bloccare, o perlomeno ostacolare, il”tritacarne” della finanza angloamericana.
Certo ci aspettano mesi duri. Anzi durissimi. Monti ha dichiarato che teme la reazione dei “mercati”. E questi già fanno sentire la loro voce. Ma tutti sappiamo “chi” sono i “mercati” e che cosa vogliono. Sarebbe necessario allora elaborare una linea di “azione strategica” che permetta di opporsi con successo ai “mercati”. Vero che non è facile e che la situazione è gravissima. Guai ad illudersi. Ma margini di manovra ci sono, se strangolare l’Italia significa sfasciare Eurolandia. E questa è una “carta” che il nostro Paese dovrebbe giocare bene. Fondamentale è saper far leva sull’economia reale (PMI, settori strategici, ricerca etc.). In primo luogo, si dovrebbe ridefinire la partecipazione dell’Italia ad Eurolandia e la stessa struttura politica dell’Unione Europea. Al riguardo, però è degno di nota che Mauro Gallegati, l’esperto economico del M5S, abbia precisato che il M5S non vuole «uscire dall’euro e abbandonare l’Europa, ma le strade sono due: una vera unione politico-monetaria o due zone Euro, una per la Germania e i paesi più forti, l’altra per i Paesi più deboli». (1)
D’altronde, vi è pure da prendere in considerazione la delicata questione della politica estera, che incide sempre di più sulla realtà economica e sociale dei singoli Paesi. Da dove “proviene” la crisi  è noto; e pure perché abbia avuto inizio proprio negli Stati Uniti. Né è un caso che le “mani” che controllano i “mercati” siano tutte a “stelle e strisce”. Sicché, certe affermazioni di Grillo sull’Iran e sulla Siria e soprattutto la sua condanna della politica di potenza d’Israele, nonché il fatto che il M5S sia nettamente contrario al MUOS, giustificherebbero un certo ottimismo. Il condizionale però è d’obbligo essendoci ancora, anche sotto questo profilo, non poche “zone d’ombra”, in particolare per quanto concerne i rapporti con i nuovi attori geopolitici sullo scacchiere mondiale (BRICS, SCO etc.), che sono destinati avere un ruolo sempre maggiore nel prossimo futuro ed avere di conseguenza sempre più importanza per lo sviluppo dell’economia e della società europea. Ma è improbabile (ma non “impossibile”) che il M5S non metta in discussione la politica filoatlantista del nostro Paese, dato che insiste sulla necessità di mettere fine alle nostre missioni militari all’estero, che sono solo in funzione dei progetti di egemonia globale degli Stati Uniti.
Insomma, il successo del M5S, al di là di facili ed “superficiali” entusiasmi, non solo non è irrilevante, ma potrebbe veramente cambiare, almeno in parte, il volto politico del nostro Paese.   Comunque sia, un po’ di sabbia nel “tritacarne” ora c’è. Ed è un fatto positivo, anche se non è ancora una autentica inversione di tendenza. Peraltro, tanto i partiti del centrodestra quanto quelli del centrosinistra non solo sono in buona misura responsabili della drammatica situazione in cui si trova l’Italia, ma, come dimostra la stessa vicenda del Monte dei Paschi di Siena, sono tutti ricattabili. A tale proposito, si dovrebbe tener presente quanto scrivono Stefano Sylos Labini e Giorgio Ruffolo, ossia che «l’’attesa spasmodica del giudizio dei mercati assume i tratti di un imperscrutabile destino e rivela fino a che punto è stata compromessa la sovranità politica delle democrazie [...] Da un lato c’è un mercato finanziario dominato da grandi concentrazioni di potere e perfettamente integrato a livello mondiale, che può condizionare le politiche dei governi. Dall’altro ci sono i governi che ne subiscono il ricatto».(2) E’ allora contro questo ricatto che il M5S si deve battere, se ha a cuore non gli interessi di quel 10% della popolazione che detiene quasi il 50% della ricchezza nazionale, bensì le sorti del popolo italiano. Ed è questa la “conditio sine qua non” per eliminare corruzione, malcostume e inefficienza senza distruggere la base produttiva del nostro Paese.
Tuttavia, questo lo può fare solo la “politica”. Il M5S dovrebbe pertanto, a nostro giudizio, evitare di confondere la funzione politica, oggi più che mai necessaria e decisiva, con i politicanti inetti e corrotti o con le stesse istituzioni politiche, che naturalmente non sono state delegittimate da Grillo, ma, per così dire, si sono delegittimate da sole. In ogni caso, siamo sicuri che nei prossimi mesi, se non addirittura nelle prossime settimane, molti dubbi saranno chiariti. E dato che non ignoriamo quali sono i motivi che spingono gazzettieri e politicanti ad accusare il M5S di essere un movimento “populista”, non abbiamo nemmeno difficoltà ad ammettere che non ci dispiacerebbe che tale accusa si rivelasse non del tutto infondata, pur augurandoci, per il bene degli italiani, che il M5S “cresca” il più rapidamente possibile, sia dal punto di vista della cultura politica sia da quello politico-strategico. Se invece ci fossimo sbagliati e il M5S si dovesse rivelare un movimento politico funzionale al sistema di potere“euroamericano”, è ovvio che non si tratterebbe solo di una buona occasione persa. E le conseguenze per il nostro Paese sarebbero disastrose.
 di Fabio Falchi 

 
(1) http://www.ansa.it/web/notizie/elezioni2013/news/2013/02/26/INTERVISTA-M5S-aula-Stiglitz-ma-uscita-euro-_8315461.html.
(2) http://www.syloslabini.info/online/wp-content/uploads/2013/01/risposta-giorgio.htm.

27 febbraio 2013

Breve storia del potere bancario nel mondo…






All’inizio fu la “nota di banco”. Eravamo nell’alto Medio Evo. Tu depositavi le tue monete  d’oro, ma anche collane ciondoli e anelli confezionati col prezioso metallo, e l’orefice – sì, proprio l’orefice – ti consegnava una ricevuta del valore preso in custodia: la “nota di banco”, appunto. Non fu una cattiva idea: gli scambi con la moneta aurea rendevano difficile le transazioni sul mercato, considerato che praticamente ogni città ne possedeva una diversa. La “nota di banco”, invece, snellì le procedure facilitando il commercio e lo sviluppo delle imprese. E la cosa funzionò. Funzionò fino a che l’orefice – sì, sempre l’orefice – non si accorse che il proprietario dell’oro che gli era stato consegnato non ci pensava proprio a richiederlo, felice com’era delle nuove soluzioni che la “nota di banco” gli offriva. A quel punto – sempre all’orefice – venne in mente un’idea geniale, a suo modo: visto che nessuno gli chiedeva la restituzione dell’oro preso in custodia, sulla garanzia della copertura aurea poteva prestare “note di banco” a terzi in cambio della restituzione con gli interessi. Fu il germoglio della banca moderna, come noi la conosciamo oggi: ti presto quello che non è mio, e tu mi paghi in una misura equa il servizio che ti rendo.
Bisogna dirlo: nemmeno questa, all’inizio, fu una cattiva idea. Tant’è che, anche grazie a questa soluzione, si lasciarono definitivamente alle spalle secoli bui di miseria, carestia e fame e si fece ingresso in epoche decisamente più floride: il Rinascimento, per esempio. Sarà mica un caso che la vera prima e propria banca nacque nel 1407, a Genova (nota città di risparmiatori, dettoen passant) con il nome di Casa delle Compere e del Banco di San Giorgio e che, per un paio di secoli, fece la fortuna di quella Repubblica Marinara. Insomma, il giochetto inventato dai vecchi orefici che emettevano “note di banco” assunse, da lì in avanti, un aspetto decisamente più istituzionale. E redditizio. Ma fin lì, tutto sommato, fra profitto privato e convenienza pubblica, la bilancia segnava decisamente un più in favore dello sviluppo e del progresso collettivo. Ci si poteva stare.
Il problema vero, semmai, fu che sin da subito, ovvero: sin dalla fondazione del Banco di San Giorgio, il potere economico cominciò a contendere il primato di esercizio amministrativo a quello politico. Sicché lo stato, ad un certo momento, si ruppe i coglioni. Siamo nel 1696, in Inghilterra, e Sua Maestà Guglielmo III, con un’alzata d’ingegno, decise che era ora di riunire le tre funzioni fondamentali delle banche – prestare danaro, ricevere danaro in deposito e creare moneta – ad un istituto di stato e creò la Banca d’Inghilterra. Che presto si fece agente mondiale degli interessi della Corona inglese, insegnando al resto del mondo come si esercita il diritto di battere moneta, contro la concorrenza, facendo pagare ad altri il tasso d’interesse.
La Banca d’Inghilterra, infatti, fin dalle sue origini, fu un’associazione a delinquere, capace di praticare l’usura al 60 per cento nelle colonie americane. Nel 1750, fu soppressa la cartamoneta emessa nella colonia della Pennsylvania. Cioè, non contenta del suo 60 per cento d’interessi, sopprimeva illegalmente una concorrenza che, con un sano sistema monetario autonomo, aveva portato la prosperità in quell’angolo del suo impero. Dopo  26 anni, nel 1776, le colonie americane si ribellarono contro le infamie, le ingiustizie e le sanzioni del Governo inglese, ormai servo dei banchieri. Fu la prima rivoluzione americana, quella dei padri fondatori: Sam Adams, John Adams e George Washington. La Costituzione americana stabilì che il potere di battere moneta spettava per intero al Congresso, non alle banche. Ma la loro rivoluzione fu tradita dai nemici interni. Fu necessaria una seconda rivoluzione: quella di Jefferson e Madison contro la prima Banca degli Stati Uniti. Poi, di una terza: quella di Jackson, contro il risorgere della stessa banca. E, infine, la quarta: condotta da Lincoln.
Dopo Lincoln, che fu messo in condizioni di non nuocere nel modo che sapete, negli Usa non c’è stata più seria resistenza al potere delle banche di speculare su quel qualcosa – la moneta – che non gli appartiene, così come l’oro non apparteneva ai vecchi orefici. Anzi, a ben guardare, le cose sono vieppiù precipitate se è vero – come è vero – che lo scoppio della famosa crisi del 2008, nella quale ancora ci dibattiamo, è dovuta alla gentile elargizione legislativa che l’amministrazione di Bill Clinton fece loro di concedere mutui (i tristemente famosi “subprime”) anche a chi non garantiva la solvibilità del prestito. Col risultato di rifilare le perdite attraverso titoli “derivati” che non valevano la carta su cui erano scritti, destabilizzando così il mondo intero. Fotografia esatta dell’inversione del rapporto corretto: non più le banche al servizio della politica ma il suo contrario.
Nel frattempo, però, in Europa si decise di fare, su questa via, ancora meglio. Intanto, in ossequio al mostro di Maastricht, si pensò di creare una Banca Centrale Europea (la famigerata Bce) che avrebbe battuto moneta senza alcun controllo degli stati dell’Unione e, quel che è peggio, senza il controllo politico di un governo federale che, a tutt’oggi, non è nemmeno ipotizzabile. Una Banca cioè che, come abbiamo visto in questi ulti anni, detta legge e impone la sua dittatura sulla moneta e sul debito pubblico senza dover rispondere a nessuno del suo operato, arrivando a  imporre, infine, i propri commissari ai vertici degli stati nazionali. Vedi, in particolare, i casi della Grecia con Loukas Papademos – già vicepresidente della Bce –  e quello dell’Italia che si è vista appioppare Mario Monti già associato a Mario Draghi – presidente in auge della stessa Bce – alla nota centrale di speculatori finanziari, responsabili del dissesto del 2008, che risponde al nome di Goldman Sachs.
Una settimana fa, proprio Mario Monti, con la faccia tosta che gli si addice, riguardo al caso del Monte dei Paschi di Siena ha sentenziato che è ora di finirla con la commistione tra politica e banche. L’insigne professore è di memoria breve, anzi: brevissima. Infatti, ha dimenticato in un batter d’occhio che dei 23 miliardi di euro rubati agli italiani con l’Imu, di cui 3 sulla prima casa, ben 4 sono andati a tappare proprio la falla che l’istituto senese si era scavata in petto con le solite operazioni finanziarie spericolate. Però, in un certo qual senso, aveva ragione. Di sbagliato c’era solo l’uso del tempo futuro: la commistione fra banche e politica è già finita. Quella in impero è la commistione fra Bce e banche territoriali. La politica è out e al debitore… ehm… ehm, scusate, volevo dire: al cittadino resta solo il dovere di saldare il conto. E così sia…
di Miro Renzaglia 

26 febbraio 2013

Il Guastafeste






La maggior parte degli addetti ai lavori parla di una grande sorpresa, di fronte ai risultati della tornata elettorale che si è appena conclusa, e con tutta probabilità un poco sorpresi sono rimasti sicuramente tutti coloro che già nelle passate settimane avevano"venduto" alle bancheed ai mercati un nuovo governo di continuità conl'agenda Monti, disposto a servire in tavola il cibo dietetico dispensato dalla BCE.
Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo sbanca tutto ciò che era umanamente sbancabile, supera il 25% dei consensi e s'incorona primo partito italiano, mettendosi alle spalle sia il PD che il PDL ed apprestandosi a portare nelle stanze dei bottoni circa 160 fra deputati e senatori.
Bersani attraverso una campagna elettorale assai sbiadita, condotta sullo sfondo dello scandalo MPS e della corruzione dilagante nel partito, riesce a dissipare tutti i punti percentuali di vantaggio sul PDL attribuitigli nelle settimane scorse dai sondaggi e con tutta la coalizione non riesce a superare il 30%.
Berlusconi raccoglie una coalizione in fase di disfacimento, ma con una grinta da venditore porta a porta e qualche spot elettorale di sicuro effetto, la rianima come per magia, fino a portarla al pareggio con quella di centrosinistra.....


Il banchiere di Goldman Sachs Mario Monti, dopo avere governato indebitamente per 13 mesi, inabissando il paese nelle sabbie mobili della disperazione, raccoglie quanto seminato e nonostante il sostegno di Casini (che poteva contare nell'UDC su oltre il 5% dei voti) e di Fini (che fino ad un paio di anni fa presiedeva un partito forte dell'11%) non riesce a sfondare la soglia del 10%, attestandosi poco al di sotto e raccogliendo una sconfitta cocente.

Il giudice Antonio Ingroia, rientrato in Italia dal Guatemala per rivitalizzare la sinistra, di fatto ne pratica l'eutanasia, arrivando ad ottenere il 2,2% alla testa di una coalizione (IDV, Rifondazione comunista, Verdi, Comunisti italiani) che sulla carta portava in dote circa il 10% dei consensi. Sbagliando di fatto tutto quello che sarebbe stato possibile sbagliare e probabilmente anche qualcosa di più e restando con tutti i suoi compagni fuori dal parlamento.

Gli altri piccoli partiti, da quelli di estrema sinistra alla destra identitaria, raccolgono percentuali risibili ben al di sotto del punto percentuale, dimostrando una volta di più che la politica del "tutti contro tutti" non paga e risulta del tutto inadeguata ad esprimere un progetto incisivo per il paese.

Alla luce di questi risultati naufraga ancora prima di partire il progetto di coalizione fra PD e Monti, già venduto da Napolitano ad Obama e alla BCE, dal momento che mancano materialmente i numeri (in primo luogo al Senato) perché un'ammucchiata del genere possa governare. Così come mancano i numeri perché Berlusconi, sostituendosi a Bersani nell'abbracciare l'usuraio di Goldman Sachs, possa aspirare a proporre un governo alternativo.

In una situazione d'impasse che ricorda da vicino la Grecia, le soluzioni praticabili sembrano essere solamente due, entrambe in salita e foriere di molti rischi per chi intenda praticarle.
Un governo di grande coalizione fra PD - PDL e Monti, coadiuvato da una grande crisi delle borse e dei mercati, creata artificialmente alla bisogna con tanto d'impennata dello spread. Con il rischio che però l'elettorato di centrodestra e quello di centrosinistra non accettino di buon grado il sodalizio con il nemico di sempre e facciano mancare il loro sostegno in propensione futura.
Oppure un ritorno alle urne a breve termine (dopo avere varato una nuova legge elettorale ad hoc) con una coalizione di "salvezza nazionale" imposta dallo sfacelo delle borse, dei mercati e dello spread accorso in "aiuto", dove PD - PDL e Monti tentino di giocare la carta del sacrificio necessario. Ma il rischio in questo caso sarebbe anche più grosso, perché l'elettorato indisponibile ad abbracciare il nemico potrebbe debordare in massa verso Beppe Grillo, decretando di fatto la sparizione di tutta la classe politica tradizionale e aprendo orizzonti completamente inesplorati.

Riflettendo così a caldo, l'enorme vittoria del "gustafeste" Beppe Grillo e del suo Movimento 5 stelle non può che farci piacere. Non solo perché diventa primo partito in Italia un movimento dichiaratamente NO TAV, favorevole alla creazione di un reddito di cittadinanza e di un nuovo sistema lavoro, contrario all'incenerimento dei rifiuti, alla cementificazione selvaggia e alle missioni di guerra, vicino al pensiero della decrescita e alla creazione di un nuovo modello di sviluppo. Ma anche e soprattutto perché il trionfo di Grillo intralcia in qualche misura il progetto di Bersani, Monti e Napolitano, costringendoli ad acrobazie di varia natura il cui esito potrebbe non essere così scontato come sembrava alla vigilia delle elezioni.

di Marco Cedolin 

28 febbraio 2013

Il successo del Movimento 5 Stelle





Il SUCCESSO DEL M5S
Sul Movimento Cinque Stelle (M5S) nelle ultime settimane si è scritto di tutto, ma la grande stampa italiana ha espresso per lopiù giudizi fortemente negativi, al punto da considerare Grillo un pericolo per la democrazia, un fascista, uno stalinista, un antisemita e così via. Sciocchezze, ma che rivelano l’irrimediabile ottusità della classe dirigente italiana (giornalisti e intellettuali compresi) ormai incapace di comprendere la realtà del nostro Paese. Con questo non vogliamo affermare che il M5S non sia una incognita. Indubbiamente il movimento politico di Grillo manca di un collante ideologico e di una salda dottrina politica e strategica. Perciò, tradimenti e voltafaccia vari è molto probabile che ci saranno. Ma non è affatto scontato che sarà il “trasformismo” che caratterizzerà l’operato del M5S in Parlamento.
Intanto, si dovrebbe prendere atto che il M5S è riuscito nella non facile impresa di “uscire” da internet e di togliere la “piazza” alla sinistra interpretando il malcontento e la rabbia di milioni di italiani che stanno sperimentando sulla propria pelle il fallimento della “terapia” del commissario Monti. Una “terapia” – non lo si deve dimenticare – impostaci dalla BCE (che è la longa manus della finanza angloamericana in Europa) e condivisa sia dal PD che dal PDL. E che ha portato il nostro  Paese sull’orlo del baratro e ad avere una disoccupazione giovanile ben oltre il 30%, nonostante un avanzo primario del 5% (ovvero al netto degli interessi sul debito pubblico). Durante l’anno orribile del governo Monti, però la parola d’ordine del PD e dello stesso PDL è stata una sola: privatizzare. Privatizzare come negli ultimi decenni. Ovvero (s)vendere ai “mercati” l’Italia e gli italiani, perché “lo chiede l’Europa”. Adesso che il risultato di tale politica è sotto gli occhi di tutti si tratta quindi di capire se il M5S non rimarrà prigioniero dell’”antipolitica” (cioè di una generica, benché comprensibile e condivisibile, protesta contro il sistema politico) e saprà invece interpretare la rabbia degli italiani in una nuova chiave (geo)politica che possa bloccare, o perlomeno ostacolare, il”tritacarne” della finanza angloamericana.
Certo ci aspettano mesi duri. Anzi durissimi. Monti ha dichiarato che teme la reazione dei “mercati”. E questi già fanno sentire la loro voce. Ma tutti sappiamo “chi” sono i “mercati” e che cosa vogliono. Sarebbe necessario allora elaborare una linea di “azione strategica” che permetta di opporsi con successo ai “mercati”. Vero che non è facile e che la situazione è gravissima. Guai ad illudersi. Ma margini di manovra ci sono, se strangolare l’Italia significa sfasciare Eurolandia. E questa è una “carta” che il nostro Paese dovrebbe giocare bene. Fondamentale è saper far leva sull’economia reale (PMI, settori strategici, ricerca etc.). In primo luogo, si dovrebbe ridefinire la partecipazione dell’Italia ad Eurolandia e la stessa struttura politica dell’Unione Europea. Al riguardo, però è degno di nota che Mauro Gallegati, l’esperto economico del M5S, abbia precisato che il M5S non vuole «uscire dall’euro e abbandonare l’Europa, ma le strade sono due: una vera unione politico-monetaria o due zone Euro, una per la Germania e i paesi più forti, l’altra per i Paesi più deboli». (1)
D’altronde, vi è pure da prendere in considerazione la delicata questione della politica estera, che incide sempre di più sulla realtà economica e sociale dei singoli Paesi. Da dove “proviene” la crisi  è noto; e pure perché abbia avuto inizio proprio negli Stati Uniti. Né è un caso che le “mani” che controllano i “mercati” siano tutte a “stelle e strisce”. Sicché, certe affermazioni di Grillo sull’Iran e sulla Siria e soprattutto la sua condanna della politica di potenza d’Israele, nonché il fatto che il M5S sia nettamente contrario al MUOS, giustificherebbero un certo ottimismo. Il condizionale però è d’obbligo essendoci ancora, anche sotto questo profilo, non poche “zone d’ombra”, in particolare per quanto concerne i rapporti con i nuovi attori geopolitici sullo scacchiere mondiale (BRICS, SCO etc.), che sono destinati avere un ruolo sempre maggiore nel prossimo futuro ed avere di conseguenza sempre più importanza per lo sviluppo dell’economia e della società europea. Ma è improbabile (ma non “impossibile”) che il M5S non metta in discussione la politica filoatlantista del nostro Paese, dato che insiste sulla necessità di mettere fine alle nostre missioni militari all’estero, che sono solo in funzione dei progetti di egemonia globale degli Stati Uniti.
Insomma, il successo del M5S, al di là di facili ed “superficiali” entusiasmi, non solo non è irrilevante, ma potrebbe veramente cambiare, almeno in parte, il volto politico del nostro Paese.   Comunque sia, un po’ di sabbia nel “tritacarne” ora c’è. Ed è un fatto positivo, anche se non è ancora una autentica inversione di tendenza. Peraltro, tanto i partiti del centrodestra quanto quelli del centrosinistra non solo sono in buona misura responsabili della drammatica situazione in cui si trova l’Italia, ma, come dimostra la stessa vicenda del Monte dei Paschi di Siena, sono tutti ricattabili. A tale proposito, si dovrebbe tener presente quanto scrivono Stefano Sylos Labini e Giorgio Ruffolo, ossia che «l’’attesa spasmodica del giudizio dei mercati assume i tratti di un imperscrutabile destino e rivela fino a che punto è stata compromessa la sovranità politica delle democrazie [...] Da un lato c’è un mercato finanziario dominato da grandi concentrazioni di potere e perfettamente integrato a livello mondiale, che può condizionare le politiche dei governi. Dall’altro ci sono i governi che ne subiscono il ricatto».(2) E’ allora contro questo ricatto che il M5S si deve battere, se ha a cuore non gli interessi di quel 10% della popolazione che detiene quasi il 50% della ricchezza nazionale, bensì le sorti del popolo italiano. Ed è questa la “conditio sine qua non” per eliminare corruzione, malcostume e inefficienza senza distruggere la base produttiva del nostro Paese.
Tuttavia, questo lo può fare solo la “politica”. Il M5S dovrebbe pertanto, a nostro giudizio, evitare di confondere la funzione politica, oggi più che mai necessaria e decisiva, con i politicanti inetti e corrotti o con le stesse istituzioni politiche, che naturalmente non sono state delegittimate da Grillo, ma, per così dire, si sono delegittimate da sole. In ogni caso, siamo sicuri che nei prossimi mesi, se non addirittura nelle prossime settimane, molti dubbi saranno chiariti. E dato che non ignoriamo quali sono i motivi che spingono gazzettieri e politicanti ad accusare il M5S di essere un movimento “populista”, non abbiamo nemmeno difficoltà ad ammettere che non ci dispiacerebbe che tale accusa si rivelasse non del tutto infondata, pur augurandoci, per il bene degli italiani, che il M5S “cresca” il più rapidamente possibile, sia dal punto di vista della cultura politica sia da quello politico-strategico. Se invece ci fossimo sbagliati e il M5S si dovesse rivelare un movimento politico funzionale al sistema di potere“euroamericano”, è ovvio che non si tratterebbe solo di una buona occasione persa. E le conseguenze per il nostro Paese sarebbero disastrose.
 di Fabio Falchi 

 
(1) http://www.ansa.it/web/notizie/elezioni2013/news/2013/02/26/INTERVISTA-M5S-aula-Stiglitz-ma-uscita-euro-_8315461.html.
(2) http://www.syloslabini.info/online/wp-content/uploads/2013/01/risposta-giorgio.htm.

27 febbraio 2013

Breve storia del potere bancario nel mondo…






All’inizio fu la “nota di banco”. Eravamo nell’alto Medio Evo. Tu depositavi le tue monete  d’oro, ma anche collane ciondoli e anelli confezionati col prezioso metallo, e l’orefice – sì, proprio l’orefice – ti consegnava una ricevuta del valore preso in custodia: la “nota di banco”, appunto. Non fu una cattiva idea: gli scambi con la moneta aurea rendevano difficile le transazioni sul mercato, considerato che praticamente ogni città ne possedeva una diversa. La “nota di banco”, invece, snellì le procedure facilitando il commercio e lo sviluppo delle imprese. E la cosa funzionò. Funzionò fino a che l’orefice – sì, sempre l’orefice – non si accorse che il proprietario dell’oro che gli era stato consegnato non ci pensava proprio a richiederlo, felice com’era delle nuove soluzioni che la “nota di banco” gli offriva. A quel punto – sempre all’orefice – venne in mente un’idea geniale, a suo modo: visto che nessuno gli chiedeva la restituzione dell’oro preso in custodia, sulla garanzia della copertura aurea poteva prestare “note di banco” a terzi in cambio della restituzione con gli interessi. Fu il germoglio della banca moderna, come noi la conosciamo oggi: ti presto quello che non è mio, e tu mi paghi in una misura equa il servizio che ti rendo.
Bisogna dirlo: nemmeno questa, all’inizio, fu una cattiva idea. Tant’è che, anche grazie a questa soluzione, si lasciarono definitivamente alle spalle secoli bui di miseria, carestia e fame e si fece ingresso in epoche decisamente più floride: il Rinascimento, per esempio. Sarà mica un caso che la vera prima e propria banca nacque nel 1407, a Genova (nota città di risparmiatori, dettoen passant) con il nome di Casa delle Compere e del Banco di San Giorgio e che, per un paio di secoli, fece la fortuna di quella Repubblica Marinara. Insomma, il giochetto inventato dai vecchi orefici che emettevano “note di banco” assunse, da lì in avanti, un aspetto decisamente più istituzionale. E redditizio. Ma fin lì, tutto sommato, fra profitto privato e convenienza pubblica, la bilancia segnava decisamente un più in favore dello sviluppo e del progresso collettivo. Ci si poteva stare.
Il problema vero, semmai, fu che sin da subito, ovvero: sin dalla fondazione del Banco di San Giorgio, il potere economico cominciò a contendere il primato di esercizio amministrativo a quello politico. Sicché lo stato, ad un certo momento, si ruppe i coglioni. Siamo nel 1696, in Inghilterra, e Sua Maestà Guglielmo III, con un’alzata d’ingegno, decise che era ora di riunire le tre funzioni fondamentali delle banche – prestare danaro, ricevere danaro in deposito e creare moneta – ad un istituto di stato e creò la Banca d’Inghilterra. Che presto si fece agente mondiale degli interessi della Corona inglese, insegnando al resto del mondo come si esercita il diritto di battere moneta, contro la concorrenza, facendo pagare ad altri il tasso d’interesse.
La Banca d’Inghilterra, infatti, fin dalle sue origini, fu un’associazione a delinquere, capace di praticare l’usura al 60 per cento nelle colonie americane. Nel 1750, fu soppressa la cartamoneta emessa nella colonia della Pennsylvania. Cioè, non contenta del suo 60 per cento d’interessi, sopprimeva illegalmente una concorrenza che, con un sano sistema monetario autonomo, aveva portato la prosperità in quell’angolo del suo impero. Dopo  26 anni, nel 1776, le colonie americane si ribellarono contro le infamie, le ingiustizie e le sanzioni del Governo inglese, ormai servo dei banchieri. Fu la prima rivoluzione americana, quella dei padri fondatori: Sam Adams, John Adams e George Washington. La Costituzione americana stabilì che il potere di battere moneta spettava per intero al Congresso, non alle banche. Ma la loro rivoluzione fu tradita dai nemici interni. Fu necessaria una seconda rivoluzione: quella di Jefferson e Madison contro la prima Banca degli Stati Uniti. Poi, di una terza: quella di Jackson, contro il risorgere della stessa banca. E, infine, la quarta: condotta da Lincoln.
Dopo Lincoln, che fu messo in condizioni di non nuocere nel modo che sapete, negli Usa non c’è stata più seria resistenza al potere delle banche di speculare su quel qualcosa – la moneta – che non gli appartiene, così come l’oro non apparteneva ai vecchi orefici. Anzi, a ben guardare, le cose sono vieppiù precipitate se è vero – come è vero – che lo scoppio della famosa crisi del 2008, nella quale ancora ci dibattiamo, è dovuta alla gentile elargizione legislativa che l’amministrazione di Bill Clinton fece loro di concedere mutui (i tristemente famosi “subprime”) anche a chi non garantiva la solvibilità del prestito. Col risultato di rifilare le perdite attraverso titoli “derivati” che non valevano la carta su cui erano scritti, destabilizzando così il mondo intero. Fotografia esatta dell’inversione del rapporto corretto: non più le banche al servizio della politica ma il suo contrario.
Nel frattempo, però, in Europa si decise di fare, su questa via, ancora meglio. Intanto, in ossequio al mostro di Maastricht, si pensò di creare una Banca Centrale Europea (la famigerata Bce) che avrebbe battuto moneta senza alcun controllo degli stati dell’Unione e, quel che è peggio, senza il controllo politico di un governo federale che, a tutt’oggi, non è nemmeno ipotizzabile. Una Banca cioè che, come abbiamo visto in questi ulti anni, detta legge e impone la sua dittatura sulla moneta e sul debito pubblico senza dover rispondere a nessuno del suo operato, arrivando a  imporre, infine, i propri commissari ai vertici degli stati nazionali. Vedi, in particolare, i casi della Grecia con Loukas Papademos – già vicepresidente della Bce –  e quello dell’Italia che si è vista appioppare Mario Monti già associato a Mario Draghi – presidente in auge della stessa Bce – alla nota centrale di speculatori finanziari, responsabili del dissesto del 2008, che risponde al nome di Goldman Sachs.
Una settimana fa, proprio Mario Monti, con la faccia tosta che gli si addice, riguardo al caso del Monte dei Paschi di Siena ha sentenziato che è ora di finirla con la commistione tra politica e banche. L’insigne professore è di memoria breve, anzi: brevissima. Infatti, ha dimenticato in un batter d’occhio che dei 23 miliardi di euro rubati agli italiani con l’Imu, di cui 3 sulla prima casa, ben 4 sono andati a tappare proprio la falla che l’istituto senese si era scavata in petto con le solite operazioni finanziarie spericolate. Però, in un certo qual senso, aveva ragione. Di sbagliato c’era solo l’uso del tempo futuro: la commistione fra banche e politica è già finita. Quella in impero è la commistione fra Bce e banche territoriali. La politica è out e al debitore… ehm… ehm, scusate, volevo dire: al cittadino resta solo il dovere di saldare il conto. E così sia…
di Miro Renzaglia 

26 febbraio 2013

Il Guastafeste






La maggior parte degli addetti ai lavori parla di una grande sorpresa, di fronte ai risultati della tornata elettorale che si è appena conclusa, e con tutta probabilità un poco sorpresi sono rimasti sicuramente tutti coloro che già nelle passate settimane avevano"venduto" alle bancheed ai mercati un nuovo governo di continuità conl'agenda Monti, disposto a servire in tavola il cibo dietetico dispensato dalla BCE.
Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo sbanca tutto ciò che era umanamente sbancabile, supera il 25% dei consensi e s'incorona primo partito italiano, mettendosi alle spalle sia il PD che il PDL ed apprestandosi a portare nelle stanze dei bottoni circa 160 fra deputati e senatori.
Bersani attraverso una campagna elettorale assai sbiadita, condotta sullo sfondo dello scandalo MPS e della corruzione dilagante nel partito, riesce a dissipare tutti i punti percentuali di vantaggio sul PDL attribuitigli nelle settimane scorse dai sondaggi e con tutta la coalizione non riesce a superare il 30%.
Berlusconi raccoglie una coalizione in fase di disfacimento, ma con una grinta da venditore porta a porta e qualche spot elettorale di sicuro effetto, la rianima come per magia, fino a portarla al pareggio con quella di centrosinistra.....


Il banchiere di Goldman Sachs Mario Monti, dopo avere governato indebitamente per 13 mesi, inabissando il paese nelle sabbie mobili della disperazione, raccoglie quanto seminato e nonostante il sostegno di Casini (che poteva contare nell'UDC su oltre il 5% dei voti) e di Fini (che fino ad un paio di anni fa presiedeva un partito forte dell'11%) non riesce a sfondare la soglia del 10%, attestandosi poco al di sotto e raccogliendo una sconfitta cocente.

Il giudice Antonio Ingroia, rientrato in Italia dal Guatemala per rivitalizzare la sinistra, di fatto ne pratica l'eutanasia, arrivando ad ottenere il 2,2% alla testa di una coalizione (IDV, Rifondazione comunista, Verdi, Comunisti italiani) che sulla carta portava in dote circa il 10% dei consensi. Sbagliando di fatto tutto quello che sarebbe stato possibile sbagliare e probabilmente anche qualcosa di più e restando con tutti i suoi compagni fuori dal parlamento.

Gli altri piccoli partiti, da quelli di estrema sinistra alla destra identitaria, raccolgono percentuali risibili ben al di sotto del punto percentuale, dimostrando una volta di più che la politica del "tutti contro tutti" non paga e risulta del tutto inadeguata ad esprimere un progetto incisivo per il paese.

Alla luce di questi risultati naufraga ancora prima di partire il progetto di coalizione fra PD e Monti, già venduto da Napolitano ad Obama e alla BCE, dal momento che mancano materialmente i numeri (in primo luogo al Senato) perché un'ammucchiata del genere possa governare. Così come mancano i numeri perché Berlusconi, sostituendosi a Bersani nell'abbracciare l'usuraio di Goldman Sachs, possa aspirare a proporre un governo alternativo.

In una situazione d'impasse che ricorda da vicino la Grecia, le soluzioni praticabili sembrano essere solamente due, entrambe in salita e foriere di molti rischi per chi intenda praticarle.
Un governo di grande coalizione fra PD - PDL e Monti, coadiuvato da una grande crisi delle borse e dei mercati, creata artificialmente alla bisogna con tanto d'impennata dello spread. Con il rischio che però l'elettorato di centrodestra e quello di centrosinistra non accettino di buon grado il sodalizio con il nemico di sempre e facciano mancare il loro sostegno in propensione futura.
Oppure un ritorno alle urne a breve termine (dopo avere varato una nuova legge elettorale ad hoc) con una coalizione di "salvezza nazionale" imposta dallo sfacelo delle borse, dei mercati e dello spread accorso in "aiuto", dove PD - PDL e Monti tentino di giocare la carta del sacrificio necessario. Ma il rischio in questo caso sarebbe anche più grosso, perché l'elettorato indisponibile ad abbracciare il nemico potrebbe debordare in massa verso Beppe Grillo, decretando di fatto la sparizione di tutta la classe politica tradizionale e aprendo orizzonti completamente inesplorati.

Riflettendo così a caldo, l'enorme vittoria del "gustafeste" Beppe Grillo e del suo Movimento 5 stelle non può che farci piacere. Non solo perché diventa primo partito in Italia un movimento dichiaratamente NO TAV, favorevole alla creazione di un reddito di cittadinanza e di un nuovo sistema lavoro, contrario all'incenerimento dei rifiuti, alla cementificazione selvaggia e alle missioni di guerra, vicino al pensiero della decrescita e alla creazione di un nuovo modello di sviluppo. Ma anche e soprattutto perché il trionfo di Grillo intralcia in qualche misura il progetto di Bersani, Monti e Napolitano, costringendoli ad acrobazie di varia natura il cui esito potrebbe non essere così scontato come sembrava alla vigilia delle elezioni.

di Marco Cedolin