12 aprile 2013

I BRICS rompono le loro catene





  
   

I paesi emergenti creeranno la loro Banca per lo Sviluppo e la propria agenzia di rating per fermare la dittatura del FMI e della Banca Mondiale
 

I report sulla morte prematura dei BRICS (Brasile, Russia, India e Sudafrica) sono stati grandemente esagerati, i media delle corporazioni occidentali rendono dichiarazioni assurde come questa, perpetrata, in questo caso, dal capo di Morgan Stanley Investment Management. 

La realtà è diversa, il vertice BRICS, che ha avuto luogo a Durban (Sudafrica) martedì scorso (26 marzo, ndr), aveva tra gli obiettivi quello della creazione della propria agenzia di rating del credito, anche quello di emarginare la dittatura (o per lo meno le “agende interessate”, nel linguaggio diplomatico di Nuova Delhi) come quella di Moody’s insieme a Standard & Poor’s. Inoltre, concretizzare il progetto della creazione della Banca per lo Sviluppo BRICS, la quale conterà su un capitale iniziale di 50 miliardi di dollari. Rimangono solo da ultimare i dettagli strutturali, lo scopo principale della suddetta banca è di sostenere progetti di infrastruttura e sviluppo sostenibile. 

L’aspetto più importante consiste nel fatto che tanto gli USA che l’Europa sono fuori dalla Banca del Sud, che è considerata un’alternativa concreta alla Banca Mondiale gestita dall’Occidente e dal sistema di Bretton Woods, specialmente l’India ed il Brasile sono particolarmente interessati a sostenere questo progetto. 

Come ha affermato Jaswant Singh, ex ministro delle finanze Indiano, una tale banca per lo sviluppo, per esempio potrebbe incanalare il know-how di Pechino con il fine di aiutare a finanziare le necessità generate dall’infrastruttura indiana. 

Le enormi differenze politiche ed economiche tra i BRICS sono evidenti, però man mano che crescono come gruppo, la questione principale non è se dovrebbero salvare l’economia globale della continua crisi del capitalismo da casinò. 

La questione principale è che, oltre alle misure per facilitare il commercio reciproco, i loro interventi diventano ogni volta più politici, visto che i BRICS non solo estendono il loro potere economico ma adottano misure concrete che portano verso un mondo multipolare. Il Brasile è particolarmente entusiasta al riguardo. 

Inevitabilmente, i soliti fanatici atlantisti del consenso di Washington, non riescono – in maniera miope – a vedere altro che “i BRICS chiedono riconoscimento da parte delle potenze occidentali”. 

Ovviamente i problemi ci sono. La crescita economica del Brasile, della Cina e dell’India ha subito un rallentamento. Mentre la Cina, per esempio, era diventata il principale socio commerciale del Brasile (ancora prima degli USA) i settori più importanti dell’industria brasiliana hanno sofferto per la concorrenza dell’economica manodopera cinese. 

Alcune prospettive a lungo termine sono inevitabili. I BRICS avranno più incidenza di fronte al Fondo Monetario Internazionale. E uno degli aspetti fondamentali è che per gli scambi commerciali useranno le loro proprie monete, includendo uno yuan globalmente convertibile, allontanandosi dal dollaro USA e dal petrodollaro. 

La frenata cinese 
Jim O’Neil, di Goldman Sachs, è colui che ha dato nel 2001 il nome di BRIC a questo gruppo (all’epoca non ne faceva parte il Sudafrica) e risulta interessante sapere qual è la sua opinione al riguardo. 

O’Neil segnala che anche se la Cina è cresciuta economicamente “solo” del 7,7% nel 2012 “ha creato, in 11 settimane e mezza, l’equivalente dell’economia greca”. Il rallentamento della Cina è stato “strutturale e ciclico”, un ciclo pianificato per riuscire a controllare il riscaldamento e l’inflazione. 

Lo slancio dei BRICS fa parte di una tendenza globale, la maggior parte è stata decifrata in un recente rapporto del Programma di Sviluppo dell’ONU. Il risultato finale: il Sud globale sta superando ad una velocità vertiginosa il Nord nella gara economica. 

Secondo il report “questa è la prima volta negli ultimi 150 anni che il PIL complessivo dei 3 paesi economicamente più forti tra i cosiddetti paesi in via di sviluppo (il Brasile, la Cina e l’India) è approssimativamente uguale al PIL complessivo delle antiche potenze del Nord”. 

In conclusione si può sostenere che “la crescita del sud sta cambiando radicalmente il mondo del XXI secolo dove le nazioni del 2° mondo promuovono una crescita, strappando centinaia di milioni di persone dalla povertà e spingendo molte altre persone verso una nuova classe media globale”. 

E proprio al centro di questo processo troviamo un’epopea eurasiatica: lo sviluppo dei rapporti strategici fra la Russia e la Cina. 

Si tratta sempre del Pipelineistan (1) 
Il presidente russo Vladimir Putin non vacilla, vuole condurre i BRICS ad “un meccanismo di cooperazione strategico e complesso che ci permetta di cercare nell’insieme le soluzioni di problemi chiavi della politica globale”. 

Questo implicherà una politica estera comune tra i BRICS e non soltanto un coordinamento selettivo su determinati aspetti. Porterà via un po’ di tempo, sarà difficile e Putin lo sa perfettamente. 

Ciò che rende gli avvenimenti ancora più affascinanti è che Putin ha approfittato della visita del nuovo presidente cinese Xi Jiping per fare presenti le sue idee, ed ha voluto sottolineare che i rapporti fra la Russia e la Cina sono in questo momento “i migliori della storia” di questi due paesi, da secoli. 

Non è certamente una cosa gradita dagli atlantisti egemonici, che sono ancora desiderosi di inquadrare il rapporto in termini di Guerra Fredda. 

Xi ha risposto nei seguenti termini: “non siamo venuti a passeggiare” e bisogna aspettare finché la creatività cinese comincerà a dare i risultati. 

Inevitabilmente il Pipelineistan è al centro del primordiale rapporto complementare dei BRICS, la necessità del petrolio e del gas russo.

Per la Cina è un argomento di sicurezza nazionale. La Russia vuole vendere e lavora sia sulla quantità che sulla qualità superando le vendite dell’occidente. Inoltre la Russia apprezzerà straordinariamente le inversioni cinesi sul suo Lontano Ovest, l’enorme regione del Trans-Baikal.

In ogni caso il “pericolo giallo” non sta prendendo il sopravvento in Siberia, come piacerebbe all’Occidente. Solo 300.000 cinesi vivono in Russia.

Una conseguenza diretta del vertice Putin-Xi è che d’ora in poi Pechino pagherà in anticipo il petrolio russo - in cambio la Cina chiede di essere coinvolta in una serie di progetti ad esempio nello sfruttamento congiunto da parte di CNPC (cinese, ndr) e Rosneft (russa, ndr) dei giacimenti off shore nel mare di Barents ed altri giacimenti del territorio russo.

Gazprom, da parte sua, ha chiuso un accordo di gas con CNPC: 38.000 milioni di metri cubici annualmente concessi dal gasdotto Espo della Siberia a partire del 2018. E alla fine del 2013 i cinesi firmeranno un contratto con la Gazprom, che riguarderà forniture di gas per i prossimi 30 anni.

Le ramificazioni geopolitiche sono enormi. L’importazione di grandi quantità di gas russo aiuta Pechino a sfuggire gradualmente dal suo dilemma di Malacca e Ormuz – per non parlare dell’industrializzazione delle provincie interne altamente popolate e dipendenti dall’agricoltura, dimenticate nel periodo del boom economico.

In questo modo il gas russo si è adeguato al piano maestro del Partito Comunista cinese: configurare le provincie interne come una base di fornitura per la classe media cinese di 400 milioni sempre più ricca, urbanizzata, con maggiore incidenza sulla costa dell’est.

Putin ha sottolineato che non considera i BRICS “un concorrente geopolitico per l’Occidente”, è stato l’argomento decisivo; la smentita ufficiale conferma che è vero. Durban può consolidare proprio l’inizio di tale concorrenza. Non c’è bisogno di dire che le potenze occidentali – anche se sono impantanate nella recessione e nella bancarotta - non cederanno i loro privilegi senza combattere ferocemente.

di Pepe Escobar


Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=165931 
  Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura DIANA GARRIDO 

11 aprile 2013

Crisi bancarie: si vuole una guerra tra contribuenti e risparmiatori







La decisione del governo di Cipro, spintonato da una Troika troppo invadente, di tassare tutti i conti correnti oltre i 100.000 euro delle banche cipriote in default, è stato un test premeditato e un pericoloso precedente per l’intera Ue. Lo possiamo affermare con certezza.
La conferma del resto è arrivata dal portavoce di Michel Barnier, il Commissario europeo al mercato interno, che non ha potuto escludere la possibilità che in futuro i depositi oltre quella cifra possano essere utilizzati per operazioni di salvataggio delle banche in crisi. 
Anche l’Institute of International Finance di Washington, uno degli enti privati più noti della finanza globale,  ha sostenuto che la “soluzione” cipriota potrebbe diventare un modello per l’intera Europa.
Al riguardo è da sottolineare che dal 10 dicembre 2012 era già in circolazione un documento della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) americana e della Bank of England, il  “Resolving Globally Active, Sistemicaly Important Financial Institutions (SIFI)”, che affronta le emergenze relative all’eventuale bancarotta di istituzioni finanziarie di importanza sistemica. 
Si afferma che non si intende più utilizzare i soldi pubblici per salvare con dei bail-out le banche in crisi, come finora è sempre avvenuto dopo il fallimento della Lehman Brothers. 
Il motto è: dal bail-out al bail-in! Con il procedimento del bail-in le perdite dovranno essere sopportate dagli azionisti e dai cosiddetti “unsecured creditors”. Sembra molto razionale: perché devono essere i contribuenti a pagare per le malefatte e per i giochi fatti dai banchieri con i derivati speculativi?
Ma il diavolo, come sempre, si nasconde tra i dettagli. Chi sono questi fantomatici “unsecured creditors”? Di certo i detentori di azioni, obbligazioni e di altri titoli di credito non garantiti. Si salvano invece i crediti vantati dalle pubbliche amministrazioni, dalle Banche Centrali, dalla Bce in Europa e da enti internazionali come il Fmi. 
Dopo la crisi del 2008, per evitare il panico e la fuga dalla banche, i governi europei opportunamente hanno deciso di garantire i depositi dei correntisti fino ad un massimo di 100.000 euro. Il che significa, almeno in teoria, che oltre quella cifra i depositi potenzialmente entrano a far parte degli “unsecured creditors”. Potrebbero essere quindi confiscati per coprire i buchi e/o forzatamente trasformati in capitali di rischio (azioni) della banca. 
Si colpiscono direttamente i risparmiatori anziché i contribuenti. 
Negli Usa la decisione di mettere in campo la Fdic, invece della Fed, è ancora qualcosa di più perverso. Infatti essa era stata creata dal presidente Roosevelt per fronteggiare la grande crisi bancaria del ’29 e proprio per garantire i depositi dei risparmiatori e delle famiglie. 
E’ importante notare che Londra a sua volta si aspetta che sia proprio la direttiva europea per evitare instabilità finanziarie in caso di crisi bancarie, la “Recovery and Resolution Directive”, a fornire maggiori poteri di intervento. Ciò sta a significare che il citato documento anglo-americano detta il nuovo corso all’intera Europa. 
Nel definire strategie di “intervento risolutivo” per singole gravi emergenze finanziarie, non si prende in considerazione la cosa più ovvia: cosa si intende fare se i meccanismi dello stesso sistema sono la causa dei fallimenti? 
D’altre parte il documento indica come un atto dovuto di riorganizzazione e di stabilizzazione delle banche in crisi la possibilità di separare le attività di deposito da quelle di investimento. Cosa naturalmente auspicabile.
Ma allora perché non ritornare alla pura e semplice separazione tra banche commerciali e banche di investimento, proprio come indicato dalla legge Glass-Steagall del 1933? Secondo noi sarebbe la via più sicura per garantire una vera protezione per i risparmiatori e mettere al contempo fuori gioco la speculazione.
 

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

10 aprile 2013

A proposito del movimento 5 stelle





INTERVISTA A FABIO FALCHI SUL MOVIMENTO CINQUE STELLE



Zuerst!: Peter Steinbrück,il candidato della Spd alla cancelleria, ha definito Silvio Berlusconi e Beppe Grillo due “clown”. Parliamo di Grillo – è davvero un “pagliaccio”?
Fabio Falchi: Beppe Grillo, è un comico e blogger impegnato in politica dal 2009. In pochi anni ha  costruito il “Movimento 5 Stelle” (M5S) dal nulla, non solo sfruttando in modo intelligente la potenzialità di Internet (i candidati del M5S sono stati scelti tramite delle primarie on line), ma anche riuscendo a conquistare le “piazza”, che tradizionalmente apparteneva alla sinistra (il 22 febbraio scorso, cioè due giorni prima delle elezioni politiche, un enorme numero di persone ha partecipato alla manifestazione del M5S in Piazza San Giovanni, a Roma). Il M5S è infatti composto da semplici cittadini uniti dal disgusto e dalla ripugnanza per la corruzione e il malgoverno dei partiti tradizionali.
Orbene, alle elezioni politiche il M5S  ha ottenuto 25,55% dei voti per la Camera dei deputati (e il 23,79% dei voti per il Senato) e ora è il primo partito (anche se non la prima coalizione) alla Camera dei deputati. A parte ogni altra considerazione, è evidente quindi che Grillo è un politico intelligente, non un “pagliaccio”, e che non vi è nulla da ridere riguardo al successo del M5S, che invece si deve considerare molto seriamente.


Zuerst!: I principali media tedeschi vedono in Beppe Grillo un “pericolo per l’UE”, perché egli  rifiuta la moneta europea. E’ così?
Fabio Falchi: Non sappiamo esattamente che cosa Grillo e il M5S  pensino riguardo all’euro,  anche se si può sostenere che ritengono che l’euro non sia la soluzione del problema della UE, bensì “parte” di questo problema. D’altronde, noi sappiamo che il pericolo dell’UE è la stessa UE, dato che l’UE non può o non vuole opporsi alla (pre)potenza dei mercati finanziari.
Sembra comunque che Grillo voglia un referendum sulla moneta unica europea, anche se un referendum non può abrogare un trattato internazionale. E’ importante allora che Grillo chiarisca al più presto le sue idee in merito a questo problema, che, in primo luogo, è un problema (geo)politico, non un mero problema economico – e non dobbiamo dimenticare che molti Stati dell’UE non sono membri di Eurolandia. Inoltre non mancano soluzioni “tecniche”: due euro (un euro per il Nord Europa ed un euro per Sud Europa, sulla base di un patto di solidarietà), oppure ritornare al cosiddetto ” Serpente europeo” o una vera e propria Unione politico-monetaria , cambiando il ruolo della BCE (che però sembra essere la longa manus dei mercati finanziari in Europa) e così via. Ma la vera questione è che “questa Ue” non può sopravvivere, Grillo o non Grillo. E molti osservatori pensano che la “nave Italia”, rebus sic stantibus, sia destinata ad arrivare al Pireo!
Dobbiamo dunque prendere in considerazione il fallimento della politica di austerità, imposta dalla UE, se vogliamo capire il “fenomeno Grillo”.


Zuerst!: Che cosa si può dire del M5S? E’ un movimento di destra o di sinistra? E si tratta di un vero e proprio partito di opposizione? 
Fabio Falchi: Il M5S non pare essere né di destra né di sinistra. Del resto, ormai  destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia. Vi sono delle differenze, ma non sono molto importanti. D’altra parte, anche se il M5S non è un movimento fascista o meglio neo-fascista, è pur vero che Grillo non ha precise “radici ideologiche” e che per questo molti osservatori ritengono che il M5S sia un movimento “demagogico”  e “populista”. Tuttavia, Grillo e molti dei suoi sostenitori sono contro la speculazione finanziaria, contro la presenza di basi militari della Nato e contro le missioni militari italiane all’estero. E Grillo ha avuto pure il coraggio di criticare Israele e di difendere le ragioni dell’Iran. Sicché solo se queste posizioni saranno a fondamento della visione e della prassi politica del M5S, questo nuovo movimento potrà essere un vero e proprio partito di opposizione.


Zuerst!: Avrà Grillo una reale influenza sulla politica italiana ? Se ciò accadesse, sarebbe positivo o negativo – e perché? 
Fabio Falchi: Il M5S rischia di sgonfiarsi rapidamente, se non “crescerà” dal punto di vista politico. Criticare la classe dirigente è naturalmente ben diverso dall’essere una classe dirigente. Com’è noto, ci sono anche molti “dubbi” circa Gianroberto Casaleggio, co-fondatore (e da alcuni definito addirittura “guru”) del M5S. Nelle prossime settimane o nei prossimi mesi questi dubbi dovrebbero sparire. Comunque sia, considerando la situazione italiana e il fatto che tutti gli altri partiti sono  ricattabili da parte dei “mercati”, questo “caos” pare positivo. Inoltre, si sa che i mercati finanziari “parlano inglese”. Non a caso gli Stati Uniti vogliono una NATO economica allo scopo di rafforzare le relazioni tra gli USA e l’ Europa. Di fatto, ciò equivarrebbe alla fine dell’Europa. Ma non possiamo impedirlo con l’attuale classe dirigente italiana (ed europea, tranne poche eccezioni). In questa prospettiva, a mio parere, non è tanto importante il M5S, in quanto tale. Ma se un nuovo movimento politico dovesse nascere da questo “caos” – una forza politica in grado di contrastare i mercati finanziari e la politica di potenza degli Stati Uniti – allora potremmo senza dubbio sostenere che il successo del M5S non è negativo. Se si deve essere “realisti”, si deve però riconoscere che è improbabile che tale forza politica possa essere il M5S (che, tra l’altro, pare essere assai distante da una “Weltanschauung” eurasiatista – e difficilmente, purtroppo, Grillo può essere considerato un “Chavez” italiano ).
Eppure, non è impossibile che adesso “qualcosa” possa ostacolare il “tritacarne euro-atlantista”. In effetti, anche in altri Paesi europei stanno “crescendo” dei movimenti cosiddetti “populisti” (non neo-fascisti). Si tratta di movimenti che non si basano (almeno per ora) su una salda e chiara dottrina politica, ma tendono a mettere al centro del dibattito politico i problemi delle persone “in carne ed ossa” e a mettere l’accento sul fatto che è assurdo che uno Stato dipenda dai “mercati”. Di conseguenza, si dovrebbe essere “pragmatici” per quanto concerne il giudizio su tutti questi movimenti. In definitiva, è lecito affermare, senza essere “volgari”, che in questa situazione il fine giustifica i mezzi.
di Fabio Falchi 

La rivista tedesca “Zuerst!” ha pubblicato nel n. 4/2013 un’intervista con Fabio Falchi, redattore di “Eurasia”, sul fenomeno del movimento dei “grillini”. Qui di seguito la traduzione italiana.

12 aprile 2013

I BRICS rompono le loro catene





  
   

I paesi emergenti creeranno la loro Banca per lo Sviluppo e la propria agenzia di rating per fermare la dittatura del FMI e della Banca Mondiale
 

I report sulla morte prematura dei BRICS (Brasile, Russia, India e Sudafrica) sono stati grandemente esagerati, i media delle corporazioni occidentali rendono dichiarazioni assurde come questa, perpetrata, in questo caso, dal capo di Morgan Stanley Investment Management. 

La realtà è diversa, il vertice BRICS, che ha avuto luogo a Durban (Sudafrica) martedì scorso (26 marzo, ndr), aveva tra gli obiettivi quello della creazione della propria agenzia di rating del credito, anche quello di emarginare la dittatura (o per lo meno le “agende interessate”, nel linguaggio diplomatico di Nuova Delhi) come quella di Moody’s insieme a Standard & Poor’s. Inoltre, concretizzare il progetto della creazione della Banca per lo Sviluppo BRICS, la quale conterà su un capitale iniziale di 50 miliardi di dollari. Rimangono solo da ultimare i dettagli strutturali, lo scopo principale della suddetta banca è di sostenere progetti di infrastruttura e sviluppo sostenibile. 

L’aspetto più importante consiste nel fatto che tanto gli USA che l’Europa sono fuori dalla Banca del Sud, che è considerata un’alternativa concreta alla Banca Mondiale gestita dall’Occidente e dal sistema di Bretton Woods, specialmente l’India ed il Brasile sono particolarmente interessati a sostenere questo progetto. 

Come ha affermato Jaswant Singh, ex ministro delle finanze Indiano, una tale banca per lo sviluppo, per esempio potrebbe incanalare il know-how di Pechino con il fine di aiutare a finanziare le necessità generate dall’infrastruttura indiana. 

Le enormi differenze politiche ed economiche tra i BRICS sono evidenti, però man mano che crescono come gruppo, la questione principale non è se dovrebbero salvare l’economia globale della continua crisi del capitalismo da casinò. 

La questione principale è che, oltre alle misure per facilitare il commercio reciproco, i loro interventi diventano ogni volta più politici, visto che i BRICS non solo estendono il loro potere economico ma adottano misure concrete che portano verso un mondo multipolare. Il Brasile è particolarmente entusiasta al riguardo. 

Inevitabilmente, i soliti fanatici atlantisti del consenso di Washington, non riescono – in maniera miope – a vedere altro che “i BRICS chiedono riconoscimento da parte delle potenze occidentali”. 

Ovviamente i problemi ci sono. La crescita economica del Brasile, della Cina e dell’India ha subito un rallentamento. Mentre la Cina, per esempio, era diventata il principale socio commerciale del Brasile (ancora prima degli USA) i settori più importanti dell’industria brasiliana hanno sofferto per la concorrenza dell’economica manodopera cinese. 

Alcune prospettive a lungo termine sono inevitabili. I BRICS avranno più incidenza di fronte al Fondo Monetario Internazionale. E uno degli aspetti fondamentali è che per gli scambi commerciali useranno le loro proprie monete, includendo uno yuan globalmente convertibile, allontanandosi dal dollaro USA e dal petrodollaro. 

La frenata cinese 
Jim O’Neil, di Goldman Sachs, è colui che ha dato nel 2001 il nome di BRIC a questo gruppo (all’epoca non ne faceva parte il Sudafrica) e risulta interessante sapere qual è la sua opinione al riguardo. 

O’Neil segnala che anche se la Cina è cresciuta economicamente “solo” del 7,7% nel 2012 “ha creato, in 11 settimane e mezza, l’equivalente dell’economia greca”. Il rallentamento della Cina è stato “strutturale e ciclico”, un ciclo pianificato per riuscire a controllare il riscaldamento e l’inflazione. 

Lo slancio dei BRICS fa parte di una tendenza globale, la maggior parte è stata decifrata in un recente rapporto del Programma di Sviluppo dell’ONU. Il risultato finale: il Sud globale sta superando ad una velocità vertiginosa il Nord nella gara economica. 

Secondo il report “questa è la prima volta negli ultimi 150 anni che il PIL complessivo dei 3 paesi economicamente più forti tra i cosiddetti paesi in via di sviluppo (il Brasile, la Cina e l’India) è approssimativamente uguale al PIL complessivo delle antiche potenze del Nord”. 

In conclusione si può sostenere che “la crescita del sud sta cambiando radicalmente il mondo del XXI secolo dove le nazioni del 2° mondo promuovono una crescita, strappando centinaia di milioni di persone dalla povertà e spingendo molte altre persone verso una nuova classe media globale”. 

E proprio al centro di questo processo troviamo un’epopea eurasiatica: lo sviluppo dei rapporti strategici fra la Russia e la Cina. 

Si tratta sempre del Pipelineistan (1) 
Il presidente russo Vladimir Putin non vacilla, vuole condurre i BRICS ad “un meccanismo di cooperazione strategico e complesso che ci permetta di cercare nell’insieme le soluzioni di problemi chiavi della politica globale”. 

Questo implicherà una politica estera comune tra i BRICS e non soltanto un coordinamento selettivo su determinati aspetti. Porterà via un po’ di tempo, sarà difficile e Putin lo sa perfettamente. 

Ciò che rende gli avvenimenti ancora più affascinanti è che Putin ha approfittato della visita del nuovo presidente cinese Xi Jiping per fare presenti le sue idee, ed ha voluto sottolineare che i rapporti fra la Russia e la Cina sono in questo momento “i migliori della storia” di questi due paesi, da secoli. 

Non è certamente una cosa gradita dagli atlantisti egemonici, che sono ancora desiderosi di inquadrare il rapporto in termini di Guerra Fredda. 

Xi ha risposto nei seguenti termini: “non siamo venuti a passeggiare” e bisogna aspettare finché la creatività cinese comincerà a dare i risultati. 

Inevitabilmente il Pipelineistan è al centro del primordiale rapporto complementare dei BRICS, la necessità del petrolio e del gas russo.

Per la Cina è un argomento di sicurezza nazionale. La Russia vuole vendere e lavora sia sulla quantità che sulla qualità superando le vendite dell’occidente. Inoltre la Russia apprezzerà straordinariamente le inversioni cinesi sul suo Lontano Ovest, l’enorme regione del Trans-Baikal.

In ogni caso il “pericolo giallo” non sta prendendo il sopravvento in Siberia, come piacerebbe all’Occidente. Solo 300.000 cinesi vivono in Russia.

Una conseguenza diretta del vertice Putin-Xi è che d’ora in poi Pechino pagherà in anticipo il petrolio russo - in cambio la Cina chiede di essere coinvolta in una serie di progetti ad esempio nello sfruttamento congiunto da parte di CNPC (cinese, ndr) e Rosneft (russa, ndr) dei giacimenti off shore nel mare di Barents ed altri giacimenti del territorio russo.

Gazprom, da parte sua, ha chiuso un accordo di gas con CNPC: 38.000 milioni di metri cubici annualmente concessi dal gasdotto Espo della Siberia a partire del 2018. E alla fine del 2013 i cinesi firmeranno un contratto con la Gazprom, che riguarderà forniture di gas per i prossimi 30 anni.

Le ramificazioni geopolitiche sono enormi. L’importazione di grandi quantità di gas russo aiuta Pechino a sfuggire gradualmente dal suo dilemma di Malacca e Ormuz – per non parlare dell’industrializzazione delle provincie interne altamente popolate e dipendenti dall’agricoltura, dimenticate nel periodo del boom economico.

In questo modo il gas russo si è adeguato al piano maestro del Partito Comunista cinese: configurare le provincie interne come una base di fornitura per la classe media cinese di 400 milioni sempre più ricca, urbanizzata, con maggiore incidenza sulla costa dell’est.

Putin ha sottolineato che non considera i BRICS “un concorrente geopolitico per l’Occidente”, è stato l’argomento decisivo; la smentita ufficiale conferma che è vero. Durban può consolidare proprio l’inizio di tale concorrenza. Non c’è bisogno di dire che le potenze occidentali – anche se sono impantanate nella recessione e nella bancarotta - non cederanno i loro privilegi senza combattere ferocemente.

di Pepe Escobar


Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=165931 
  Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura DIANA GARRIDO 

11 aprile 2013

Crisi bancarie: si vuole una guerra tra contribuenti e risparmiatori







La decisione del governo di Cipro, spintonato da una Troika troppo invadente, di tassare tutti i conti correnti oltre i 100.000 euro delle banche cipriote in default, è stato un test premeditato e un pericoloso precedente per l’intera Ue. Lo possiamo affermare con certezza.
La conferma del resto è arrivata dal portavoce di Michel Barnier, il Commissario europeo al mercato interno, che non ha potuto escludere la possibilità che in futuro i depositi oltre quella cifra possano essere utilizzati per operazioni di salvataggio delle banche in crisi. 
Anche l’Institute of International Finance di Washington, uno degli enti privati più noti della finanza globale,  ha sostenuto che la “soluzione” cipriota potrebbe diventare un modello per l’intera Europa.
Al riguardo è da sottolineare che dal 10 dicembre 2012 era già in circolazione un documento della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) americana e della Bank of England, il  “Resolving Globally Active, Sistemicaly Important Financial Institutions (SIFI)”, che affronta le emergenze relative all’eventuale bancarotta di istituzioni finanziarie di importanza sistemica. 
Si afferma che non si intende più utilizzare i soldi pubblici per salvare con dei bail-out le banche in crisi, come finora è sempre avvenuto dopo il fallimento della Lehman Brothers. 
Il motto è: dal bail-out al bail-in! Con il procedimento del bail-in le perdite dovranno essere sopportate dagli azionisti e dai cosiddetti “unsecured creditors”. Sembra molto razionale: perché devono essere i contribuenti a pagare per le malefatte e per i giochi fatti dai banchieri con i derivati speculativi?
Ma il diavolo, come sempre, si nasconde tra i dettagli. Chi sono questi fantomatici “unsecured creditors”? Di certo i detentori di azioni, obbligazioni e di altri titoli di credito non garantiti. Si salvano invece i crediti vantati dalle pubbliche amministrazioni, dalle Banche Centrali, dalla Bce in Europa e da enti internazionali come il Fmi. 
Dopo la crisi del 2008, per evitare il panico e la fuga dalla banche, i governi europei opportunamente hanno deciso di garantire i depositi dei correntisti fino ad un massimo di 100.000 euro. Il che significa, almeno in teoria, che oltre quella cifra i depositi potenzialmente entrano a far parte degli “unsecured creditors”. Potrebbero essere quindi confiscati per coprire i buchi e/o forzatamente trasformati in capitali di rischio (azioni) della banca. 
Si colpiscono direttamente i risparmiatori anziché i contribuenti. 
Negli Usa la decisione di mettere in campo la Fdic, invece della Fed, è ancora qualcosa di più perverso. Infatti essa era stata creata dal presidente Roosevelt per fronteggiare la grande crisi bancaria del ’29 e proprio per garantire i depositi dei risparmiatori e delle famiglie. 
E’ importante notare che Londra a sua volta si aspetta che sia proprio la direttiva europea per evitare instabilità finanziarie in caso di crisi bancarie, la “Recovery and Resolution Directive”, a fornire maggiori poteri di intervento. Ciò sta a significare che il citato documento anglo-americano detta il nuovo corso all’intera Europa. 
Nel definire strategie di “intervento risolutivo” per singole gravi emergenze finanziarie, non si prende in considerazione la cosa più ovvia: cosa si intende fare se i meccanismi dello stesso sistema sono la causa dei fallimenti? 
D’altre parte il documento indica come un atto dovuto di riorganizzazione e di stabilizzazione delle banche in crisi la possibilità di separare le attività di deposito da quelle di investimento. Cosa naturalmente auspicabile.
Ma allora perché non ritornare alla pura e semplice separazione tra banche commerciali e banche di investimento, proprio come indicato dalla legge Glass-Steagall del 1933? Secondo noi sarebbe la via più sicura per garantire una vera protezione per i risparmiatori e mettere al contempo fuori gioco la speculazione.
 

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

10 aprile 2013

A proposito del movimento 5 stelle





INTERVISTA A FABIO FALCHI SUL MOVIMENTO CINQUE STELLE



Zuerst!: Peter Steinbrück,il candidato della Spd alla cancelleria, ha definito Silvio Berlusconi e Beppe Grillo due “clown”. Parliamo di Grillo – è davvero un “pagliaccio”?
Fabio Falchi: Beppe Grillo, è un comico e blogger impegnato in politica dal 2009. In pochi anni ha  costruito il “Movimento 5 Stelle” (M5S) dal nulla, non solo sfruttando in modo intelligente la potenzialità di Internet (i candidati del M5S sono stati scelti tramite delle primarie on line), ma anche riuscendo a conquistare le “piazza”, che tradizionalmente apparteneva alla sinistra (il 22 febbraio scorso, cioè due giorni prima delle elezioni politiche, un enorme numero di persone ha partecipato alla manifestazione del M5S in Piazza San Giovanni, a Roma). Il M5S è infatti composto da semplici cittadini uniti dal disgusto e dalla ripugnanza per la corruzione e il malgoverno dei partiti tradizionali.
Orbene, alle elezioni politiche il M5S  ha ottenuto 25,55% dei voti per la Camera dei deputati (e il 23,79% dei voti per il Senato) e ora è il primo partito (anche se non la prima coalizione) alla Camera dei deputati. A parte ogni altra considerazione, è evidente quindi che Grillo è un politico intelligente, non un “pagliaccio”, e che non vi è nulla da ridere riguardo al successo del M5S, che invece si deve considerare molto seriamente.


Zuerst!: I principali media tedeschi vedono in Beppe Grillo un “pericolo per l’UE”, perché egli  rifiuta la moneta europea. E’ così?
Fabio Falchi: Non sappiamo esattamente che cosa Grillo e il M5S  pensino riguardo all’euro,  anche se si può sostenere che ritengono che l’euro non sia la soluzione del problema della UE, bensì “parte” di questo problema. D’altronde, noi sappiamo che il pericolo dell’UE è la stessa UE, dato che l’UE non può o non vuole opporsi alla (pre)potenza dei mercati finanziari.
Sembra comunque che Grillo voglia un referendum sulla moneta unica europea, anche se un referendum non può abrogare un trattato internazionale. E’ importante allora che Grillo chiarisca al più presto le sue idee in merito a questo problema, che, in primo luogo, è un problema (geo)politico, non un mero problema economico – e non dobbiamo dimenticare che molti Stati dell’UE non sono membri di Eurolandia. Inoltre non mancano soluzioni “tecniche”: due euro (un euro per il Nord Europa ed un euro per Sud Europa, sulla base di un patto di solidarietà), oppure ritornare al cosiddetto ” Serpente europeo” o una vera e propria Unione politico-monetaria , cambiando il ruolo della BCE (che però sembra essere la longa manus dei mercati finanziari in Europa) e così via. Ma la vera questione è che “questa Ue” non può sopravvivere, Grillo o non Grillo. E molti osservatori pensano che la “nave Italia”, rebus sic stantibus, sia destinata ad arrivare al Pireo!
Dobbiamo dunque prendere in considerazione il fallimento della politica di austerità, imposta dalla UE, se vogliamo capire il “fenomeno Grillo”.


Zuerst!: Che cosa si può dire del M5S? E’ un movimento di destra o di sinistra? E si tratta di un vero e proprio partito di opposizione? 
Fabio Falchi: Il M5S non pare essere né di destra né di sinistra. Del resto, ormai  destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia. Vi sono delle differenze, ma non sono molto importanti. D’altra parte, anche se il M5S non è un movimento fascista o meglio neo-fascista, è pur vero che Grillo non ha precise “radici ideologiche” e che per questo molti osservatori ritengono che il M5S sia un movimento “demagogico”  e “populista”. Tuttavia, Grillo e molti dei suoi sostenitori sono contro la speculazione finanziaria, contro la presenza di basi militari della Nato e contro le missioni militari italiane all’estero. E Grillo ha avuto pure il coraggio di criticare Israele e di difendere le ragioni dell’Iran. Sicché solo se queste posizioni saranno a fondamento della visione e della prassi politica del M5S, questo nuovo movimento potrà essere un vero e proprio partito di opposizione.


Zuerst!: Avrà Grillo una reale influenza sulla politica italiana ? Se ciò accadesse, sarebbe positivo o negativo – e perché? 
Fabio Falchi: Il M5S rischia di sgonfiarsi rapidamente, se non “crescerà” dal punto di vista politico. Criticare la classe dirigente è naturalmente ben diverso dall’essere una classe dirigente. Com’è noto, ci sono anche molti “dubbi” circa Gianroberto Casaleggio, co-fondatore (e da alcuni definito addirittura “guru”) del M5S. Nelle prossime settimane o nei prossimi mesi questi dubbi dovrebbero sparire. Comunque sia, considerando la situazione italiana e il fatto che tutti gli altri partiti sono  ricattabili da parte dei “mercati”, questo “caos” pare positivo. Inoltre, si sa che i mercati finanziari “parlano inglese”. Non a caso gli Stati Uniti vogliono una NATO economica allo scopo di rafforzare le relazioni tra gli USA e l’ Europa. Di fatto, ciò equivarrebbe alla fine dell’Europa. Ma non possiamo impedirlo con l’attuale classe dirigente italiana (ed europea, tranne poche eccezioni). In questa prospettiva, a mio parere, non è tanto importante il M5S, in quanto tale. Ma se un nuovo movimento politico dovesse nascere da questo “caos” – una forza politica in grado di contrastare i mercati finanziari e la politica di potenza degli Stati Uniti – allora potremmo senza dubbio sostenere che il successo del M5S non è negativo. Se si deve essere “realisti”, si deve però riconoscere che è improbabile che tale forza politica possa essere il M5S (che, tra l’altro, pare essere assai distante da una “Weltanschauung” eurasiatista – e difficilmente, purtroppo, Grillo può essere considerato un “Chavez” italiano ).
Eppure, non è impossibile che adesso “qualcosa” possa ostacolare il “tritacarne euro-atlantista”. In effetti, anche in altri Paesi europei stanno “crescendo” dei movimenti cosiddetti “populisti” (non neo-fascisti). Si tratta di movimenti che non si basano (almeno per ora) su una salda e chiara dottrina politica, ma tendono a mettere al centro del dibattito politico i problemi delle persone “in carne ed ossa” e a mettere l’accento sul fatto che è assurdo che uno Stato dipenda dai “mercati”. Di conseguenza, si dovrebbe essere “pragmatici” per quanto concerne il giudizio su tutti questi movimenti. In definitiva, è lecito affermare, senza essere “volgari”, che in questa situazione il fine giustifica i mezzi.
di Fabio Falchi 

La rivista tedesca “Zuerst!” ha pubblicato nel n. 4/2013 un’intervista con Fabio Falchi, redattore di “Eurasia”, sul fenomeno del movimento dei “grillini”. Qui di seguito la traduzione italiana.