30 maggio 2013

Finanza: master of universe, ovvero una banda di ladri






  
   
Il crollo della Borsa di Tokyo(-7,32%) è stato il più alto e drammatico dopo Fukushima di 2 anni fa. Conferma che i due trilioni di yen, creati dalla Banca Centrale del Giappone con la cura Abe, non sono serviti a nulla, se non a procurare un primo disastro. Visto che il nuovo premier giapponese annuncia il raddoppio della propria massa monetaria da qui alla fine del 2014, che Dio gliela mandi buona, a lui e a tutti noi.
Anche perché sta continuando la danza assurda della Federal Reserve, che continua a “stampare” (cioè a creare al computer) 85 miliardi di dollari al mese. Quosque tandem, Ben Bernanke, abutere patientia nostra?
Non lo sa neanche lui. 

Affermano, Bernanke e Abe, di voler stimolare l’economia (leggi la finanza) stampando banconote, in attesa di Godot, che però non arriverà più. Per due motivi: perché stimolare la finanza non fa più crescere l’economia, e perché i limiti alla crescita sono ormai apparsi sulla scena e non andranno più via.
Tutte chiacchiere, naturalmente. Il crollo di Tokio e di tutte le Borse europee (per quanto valga poco come segnale) viene dai dati cinesi:  la crescita cinese rallenta. E questo produce il rallentamento di tutti i mercati. Dunque ecco il quadro: lo stimolo monetario americano e giapponese non funziona; l’austerità europea non funziona. Il mainstream media ci riferisce che  gli Stati Uniti sono in crescita, ma è un bluff clamoroso. E’ come dire che un eroinomane perso è in ottima salute quando ha preso la sua dose.
Invece, qui in Europa anche gli irresponsabili di Bruxelles e di Francoforte – tranne Mario Draghi  – cominciano a capire che sono sull’orlo del baratro. L’Economist gli dedica una copertina impietosa, raffigurandoli, tutti insieme, in quella scomoda posizione.
Tutto dovrebbe essere chiaro: si va verso il collasso della finanza mondiale. I segnali d’impazzimento del sistema non cessano. Come non capire che è il sistema che si sta rompendo?  Nel 2001 hanno inventato il nemico islamico, dopo il nemico rosso, ma questa volta non c’è dubbio che c’è un virus interno al sistema che lo sta conducendo all’agonia. Sembrerebbe logico tentare di cambiare qualche cosa, inventare qualche medicina che non sia la morfina. Per esempio le regole della finanza dovrebbero essere cambiate. Infatti – come ci informava nei giorni scorsi un autorevole e non firmato editoriale del New York Times – la Commodity Futures Trading Commission ha tentato di introdurre almeno la riforma per regolare i derivati. Non l’avesse mai fatto!
Le cinque banche più importanti del mondo occidentale (se volete l’elenco, eccolo: JPMorgan Chase, Goldman Sachs, Bank of America, Citigroup e Morgan Stanley)  hanno alzato la paletta rossa. Non se ne fa nulla. I padroni del mondo dettano legge anche al Governo di Washington. Anzi: sono il Governo di Washington. E decidono anche per l’Europa. La famosa crisi europea, l’altrettanto famosa crisi dell’euro, sono nate dagli Stati Uniti, negli Stati Uniti. Il loro subprime ha innescato tutto ed è esploso nel 2008, sotto il nostro naso, per importare in Europa il loro disastro, che adesso sembra il nostro disastro, solo perché è diventato il nostro disastro.
Ho rivisto il film di Curtis Hanson “Il crollo dei giganti” (Too Bigs to Fail). In quel caso le banche erano nove, ma le cinque di cui sopra c’erano tutte, tra quelle nove, e i proprietari universali di allora erano gli stessi di oggi. E fu il Governo degli Stati Uniti a salvare loro (con l’erogazione di 700 miliardi, approvata dal Congresso) e con quella, segreta e non approvata da nessuno, di 16 trilioni di $, tutti creati dal nulla, per salvare tutte le maggiori banche occidentali che erano, nel frattempo, fallite simultaneamente.
E’ cambiato qualcosa? Niente affatto. Passiamo in Europa. Leggo adesso (ancora  il New York Times) che la Apple ha evaso le tasse negli Stati uniti per la non modica cifra di 44 miliardi di dollari. Scandalo americano? Certo. Ma anche scandalo europeo. Infatti il signor Timothy Cook (il successore del guru Steve Jobs, che ci ha strappato molte più lacrime di quanto meritasse) è andato a Dublino e ha ottenuto dal governo irlandese di pagare appena il 2% dei suoi profitti. Cioè molto al di sotto della già molto bassa tassazione ufficiale locale del 12,5%, la quale è meno della metà di quella francese e tedesca, e meno di un terzo di quella italiana.
Il signor Cook (se lo guardate bene ha una faccia da killer peggiore di quella di Jamie Dimon, CEO della JPMorgan Chase) è riuscito così a evadere 12 miliardi di euro anche in Europa.  Così, leggendo, mi viene in mente il fiscal compact. E penso: ma dov’era la Banca Centrale Europea. E dov’è il signor Mario Draghi? Abbiamo scoperto da poco che avevamo un’off shore in più in Europa. Si chiamava Cipro. Adesso siamo passati a tre: con il Lussemburgo c’è anche l’Irlanda. Ma allora quale disciplina fiscale si può chiedere a Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, quando le corporations Usa ricevono questi trattamenti di favore? Chi doveva vigilare? 
Se c’è una dimostrazione della necessità di prendere il controllo della BCE,e sottrarlo a questo maggiordomo, eccola qui squadernata. Che equivale a dire che questa Europa va rivoltata come un guanto. La domanda è sempre la stessa. Quanto tempo perderemo ancora? Per quanto tempo permetteremo a costoro di mettere le mani nelle nostre tasche? Attenti che siamo ormai a un passo dal prelievo forzoso dei nostri risparmi e a due passi dalla privatizzazione selvaggia delle ricchezze nazionali. Verranno, con i denari virtuali, a comprare le ricchezze reali (oro incluso). Poi bruceranno tutta la carta. Noi resteremo poveri in canna, e schiavi. Loro avranno la proprietà dei beni. 
di Giulietto Chiesa

29 maggio 2013

Apologia del brigante




1) Chi è, com'è, per che cosa si batte il tuo brigante?
 
Ringrazio per questo implicito rimando al piccolo libro che scrissi in una sola notte nel 1995, Apologia del brigante. Un tempo che consentiva una sosta dopo la asperrima campagna culturale europea in occasione del bicentenario dell’Insorgenza vandeana (1793-1993) e che già scivolava verso il non meno aspro bicentenario dell’invasione napoleonica dell’Italia e quindi delle immediate e capillari Insorgenze popolari antigiacobine con le conseguenti sanguinose repressioni prolungatesi fino al 1799 (1796-1996). Ligio ad una concezione del mondo fortemente antistoricistica, questo “mio” brigante resta in perenne e pericoloso equilibrio fra la storia e la metafisica, ed ha avuto l’arroganza di individuare tratti esistenziali e spirituali comuni ad esperienze di refrattari ed insorgenti appartenenti
 all’intera parabola della modernità, dal 1789 ad oggi. Un tentativo spericolato che tuttavia ne ha fatto un testo singolarmente fortunato. Provo quindi a rispondere alla domanda descrivendolo meno indegnamente con un po’ di poesia: «Il brigante della nostra storia italiana è un soldato disperso, un seminarista scacciato, un popolano un po’ curvo dal lavoro, che ama, quindi si arrabbia, e quando la campana sona segue il richiamo del cuore, e reagisce. Non ha mezze misure perché non è stato ben educato: non parla franzè, e forse nemmeno italiano. Il bello è che non se ne vergogna affatto, perché non ne comprende punto l’utilità. Capisce meglio il senso del suono della campana e il verso del vento e della civetta… Odia chi chiede sempre qualcosa in cambio di ogni cosa, soprat
tutto denaro. Accetta un signore solamente se l’ha visto diritto a cavallo o curvo sulla stessa sua terra, e se in battaglia se l’è visto davanti. Più di tutto diffida dell’astuzia di mercanti e girovaghi, e odia gli usurai.» Già. Un ritratto molto jungeriano, del tipo d’uomo capace di superare la crisi.
 
2) Fino a che punto è un controrivoluzionario "consapevole"? È cioè qualcosa di più di un ribelle viscerale ad un nuovo ordine che non capisce e non accetta?
 
Non sono certo del fatto che la visceralità sia in realtà un difetto per il brigante di ogni tempo. Nella pratica delle Arti marziali tradizionali si coltiva una “memoria della carne”, frutto di lunga consuetudine col ferro e il movimento, assai più rapida, essenziale e proficua della memoria razionale che di fronte al pericolo di vita si paralizza per la paura. Parimenti per imparare a suonare uno strumento musicale non si usa la memoria razionale, ma una fusione di corpo, occhi e strumento e solo così si suona… Il brigante è figlio di un’epoca di trasmissione pratica e diretta della cultura; la visceralità gli appartiene come un’arma in più. Vi sono quindi forme di consapevolezza fredde e razionali, e viceversa calde ed organiche; la mia scommessa risiede nella speranza che oggi le seconde abbrac
cino le prime, impedendo loro di decadere nell’intellettualismo borghese. 
Post Scriptum: per il brigante rifiutare un “nuovo ordine”, quello illuministico-giacobino, significa già averlo compreso nella sua essenza, e aver fatto l’unica scelta di campo possibile.
 
3) Alla grancassa retorico-oleografica del Risorgimento buono e giusto, non rischia di contrapporsi una grancassa uguale e contraria dell'Anti-Risorgimento?
 
Questo non è un rischio bensì un’esperienza quotidiana; ma deve esser detto con grande chiarezza che la responsabilità storica di questo brutto gioco di semplificazioni, impoverimenti, becerume contrapposti deve essere completamente addebitato alla parte “ufficiale” della cultura italiana degli ultimi 150 anni (in fila indiana savoiarda, liberale, azionista, marxista), che ha contagiato con fanfare e retorica deamicisiana anche molti (ma non tutti, con buona pace di Alessandro Barbero) dei suoi critici; come se la dogmatica ideologica fosse, secondo un tour d’esprit assolutamente moderno, il filtro obbligato per la lettura della realtà: mentre cambiando il colore del filtro, tocchiamo con mano come la deformazione non muti. Prova ne sia che chi cerca di esimersi da questo reciproco g
ioco di insulti – come noi - viene tendenzialmente emarginato. Già Alexander Solgenitsin ci aveva ammonito attorno alle modalità con cui si esercita la ferrea censura culturale nell’occidente, e decenni di egemonia gramsciana in Italia hanno ulteriormente irrigidito queste tagliole. Nell’esperienza di Identità Europea, la benemerita Associazione di cui sono ora il 3° Presidente dopo Franco Cardini e Francesco Mario Agnoli, ci siamo confrontati ripetutamente con questo stile paradossale che premia il becero insulto da TV e fugge dal confronto serio: già nell’anno 2000 dovemmo salvare in extremis la grande Mostra “Risorgimento. Un tempo da riscrivere” presentata al Meeting di Rimini dal tentativo di insabbiarla operato dalla combine marxista-azionista (una Mostra che ha dimostrato tutta la sua v
alidità proprio nell’anno del 150°). Nello stesso anno non possiamo non ricordare la triste sorte del film Li chiamarono briganti di Pasquale Squitieri, che venne censurato da smaccate pressioni politico-ideologiche e ancor oggi gira solamente in samizdat. E proprio quest’anno non siamo singolarmente riusciti ad avere uno spazio –per quelle che appaiono indubitabilmente delle pressioni ideologiche - per presentare a Gorizia, dentro E’Storia, l’ultimo saggio di Francesco Mario Agnoli La vera storia dei prigionieri borbonici dei Savoia, che rimette alcune importanti questioni al loro posto dopo la pubblicazione del pamphlet di Alessandro Barbero I prigionieri dei Savoia. Con tutta evidenza il kombinat marxista-azionista continua ancor oggi ad esercitare l’arte del dibattito storiografico juxta propria principia. Di tutto ciò il brigante non si stupisce affatto…
 
4) Come si spiega la nuova valutazione dei briganti da parte di storici liberal-democratici, laici, antitradizionalisti e "patriottici" come, ad esempio, Arrigo Petacco e Giordano Bruno Guerri?
 
In parte sulla base di semplici questioni di mercato: la questione del Brigantaggio “tira” ed attira pertanto una pletora di pubblicazioni pseudo divulgative di livello in media veramente sconsolante, opera di consolidati professionisti del ramo (e del livello). In parte dall’esigenza di recuperare quella che è senz’altro una smaccata sconfitta del kombinat di cui sopra attraverso una riproposizione oltretutto impoverita della classica interpretazione gramsciana del brigantaggio antiunitario come forma ancora inconscia di lotta di classe nel mezzogiorno arretrato. Ciò che unifica tutte le voci di questa reinterpretazione laico-patriottica sono appunto i due corni di una rivalutazione finale del processo storico di costruzione di uno stato giacobino-central
ista, anche addolcendo la pillola con il miele tossico del “senso della storia” (e come ben sappiamo dalla lezione di Franco Cardini, la storia un senso immanente non ce l’ha), la stupefacente rimozione di tutti i fatti di Insorgenza avvenuti fuori dal Meridione d’Italia dal 1792 in poi e della voluta e completa rimozione delle motivazioni spirituali ed antropologiche (ossia cattoliche) dello scontro europeo fra “antico” e “nuovo” regime. Nel momento in cui la modernità con tutti i suoi idola sta crollando su se stessa, uccisa dai veleni da essa stessa prodotti, dopo un secolo in cui le ideologie della modernità hanno dato il peggio di sé proprio affermandosi, non è tollerabile per costoro dover prender atto che d
alla Vandea in poi i “briganti”, gli insorgenti, l’intransigenza cattolica stavano dalla parte giusta. Avevano ragione loro, cioè noi.


di Adolfo Morganti - Mario Bernardi Guardi 

27 maggio 2013

Il signoraggio nasce con la nascita della moneta





Qualche anno fa ho conosciuto a Roma, in metropolitana, un signore distinto, professore all’Università di Teramo, che mi raccontò una storia: quell’incontro mi è servito a capire meglio ilRisiko giocato dai banKster sulle nostre vite. La moneta, mi disse, è uno strumento “econometrico”, sostitutivo del rudimentale baratto, che serve per misurare il valore nelle transazioni commerciali. Originariamente il valore della moneta era pari al valore dei metalli usati (oro, argento, rame ecc.): i sovrani acquistavano sul mercato i vari metalli, li convertivano in monete e questi nuovi valori ritornavano in circolo sul mercato stesso. Il sovrano tratteneva per sé un piccolo guadagno, corrispondente alle spese di coniazione e di amministrazione: nasceva così il “signoraggio”. La scarsa reperibilità di oro e argento ha comportato una carenza di quantità di denaro in circolo sul mercato, determinandone la stasi, ed ecco perché è nata la moneta convenzionale.

L’usurpazione perpetrata dal sistema bancario ai danni dello Stato, nella gestione e nell’emissione monetaria, ebbe inizio quando i banchieri cominciarono a prestare i certificati, rappresentativi di oro ed argento, da loro stessi emessi: nacque così la note of bank, ovvero, la banconota. I bankster si arrogarono il diritto di stampare banconote in vece dello Stato che poi acquistava il valore nominale delle banconote ricevute pagando con dei titoli cosiddetti di “debito pubblico”. I banchieri cominciarono, poi, ad emettere banconote in quantità ben superiore all’oro posseduto. Pertanto, così facendo, aumentarono il capitale ed ottennero il pagamento degli interessi anche a fronte dei titoli cartacei prestati, ma privi di riserva aurea.

ll 15 agosto 1971, Forte Knox era stato quasi svuotato dalla Francia che presentava all’incasso i titoli per convertirli in oro, come prevedeva il vigente trattato di Bretton Woods: ma i banchieri avevano stampato Dollari per 9 volte il valore dell’oro che possedevano. Il Presidente Nixon dovette spazzare i patti di Bretton Woods e sospese la convertibilità del Dollaro in oro: il dollaro, però, mantenne inalterato il proprio valore. Il valore della banconota non è determinato dalla sua riserva aurea, ma unicamente da una convenzione sociale. Ciò comporta che la Banca d’Emissione guadagna un lucrosissimo signoraggio che consiste nella differenza tra il valore facciale stampato sul foglietto e il costo della carta e dell’inchiostro sostenuto per realizzare i biglietti stessi. E’ evidente come non possa essere consentito alla Banca d’Emissione d’impossessarsi del signoraggio in occasione dell’emissione monetaria: il signoraggio deve essere solo ed esclusivamente di proprietà dello Stato. E’ lo Stato che deve garantire la stabilità di un mercato tenendo sotto controllo il rapporto tra circolazione monetaria e beni da misurare: se il mercato dispone e produce maggiori beni, occorre maggior quantità di moneta, per non incorrere nella “deflazione”; quantità che va ridotta in caso di diminuzione dei beni stessi, per non creare “inflazione”.

Ora, è evidente come l’attuale crisi economica è stata realizzata mediante la folle distribuzione di titoli inventati, piazzati dalle grandi banche ai privati ed alle stesse banche minori, valori poi volatilizzati.Lo Stato deve ritornare alla propria emissione monetaria diretta, non solo per riacquisire la propria sovranità economica e politica, ma ancor più per smettere d’indebitarsi per acquistare al valore facciale la moneta emessa dai bancheri pagandola con i propri titoli di debito, sui quali scatta da subito anche il pagamento degli interessi passivi. Queste crisi vengono organizzate per sottrarre beni e sistemi produttivi ai legittimi proprietari, per farli confluire alle grandi multinazionali controllate dai banchieri stessi. Ah, già ! … quel signore in metro era Giacinto Auriti, al quale prima della sua morte ho potuto donare, grazie a Savino Frigiola, la sentenza n. 3712/04 del GdP di Lecce, prototipo della provocazione giudiziaria del cittadino ai Signori delle banche.
 

di Antonio Tanza 

30 maggio 2013

Finanza: master of universe, ovvero una banda di ladri






  
   
Il crollo della Borsa di Tokyo(-7,32%) è stato il più alto e drammatico dopo Fukushima di 2 anni fa. Conferma che i due trilioni di yen, creati dalla Banca Centrale del Giappone con la cura Abe, non sono serviti a nulla, se non a procurare un primo disastro. Visto che il nuovo premier giapponese annuncia il raddoppio della propria massa monetaria da qui alla fine del 2014, che Dio gliela mandi buona, a lui e a tutti noi.
Anche perché sta continuando la danza assurda della Federal Reserve, che continua a “stampare” (cioè a creare al computer) 85 miliardi di dollari al mese. Quosque tandem, Ben Bernanke, abutere patientia nostra?
Non lo sa neanche lui. 

Affermano, Bernanke e Abe, di voler stimolare l’economia (leggi la finanza) stampando banconote, in attesa di Godot, che però non arriverà più. Per due motivi: perché stimolare la finanza non fa più crescere l’economia, e perché i limiti alla crescita sono ormai apparsi sulla scena e non andranno più via.
Tutte chiacchiere, naturalmente. Il crollo di Tokio e di tutte le Borse europee (per quanto valga poco come segnale) viene dai dati cinesi:  la crescita cinese rallenta. E questo produce il rallentamento di tutti i mercati. Dunque ecco il quadro: lo stimolo monetario americano e giapponese non funziona; l’austerità europea non funziona. Il mainstream media ci riferisce che  gli Stati Uniti sono in crescita, ma è un bluff clamoroso. E’ come dire che un eroinomane perso è in ottima salute quando ha preso la sua dose.
Invece, qui in Europa anche gli irresponsabili di Bruxelles e di Francoforte – tranne Mario Draghi  – cominciano a capire che sono sull’orlo del baratro. L’Economist gli dedica una copertina impietosa, raffigurandoli, tutti insieme, in quella scomoda posizione.
Tutto dovrebbe essere chiaro: si va verso il collasso della finanza mondiale. I segnali d’impazzimento del sistema non cessano. Come non capire che è il sistema che si sta rompendo?  Nel 2001 hanno inventato il nemico islamico, dopo il nemico rosso, ma questa volta non c’è dubbio che c’è un virus interno al sistema che lo sta conducendo all’agonia. Sembrerebbe logico tentare di cambiare qualche cosa, inventare qualche medicina che non sia la morfina. Per esempio le regole della finanza dovrebbero essere cambiate. Infatti – come ci informava nei giorni scorsi un autorevole e non firmato editoriale del New York Times – la Commodity Futures Trading Commission ha tentato di introdurre almeno la riforma per regolare i derivati. Non l’avesse mai fatto!
Le cinque banche più importanti del mondo occidentale (se volete l’elenco, eccolo: JPMorgan Chase, Goldman Sachs, Bank of America, Citigroup e Morgan Stanley)  hanno alzato la paletta rossa. Non se ne fa nulla. I padroni del mondo dettano legge anche al Governo di Washington. Anzi: sono il Governo di Washington. E decidono anche per l’Europa. La famosa crisi europea, l’altrettanto famosa crisi dell’euro, sono nate dagli Stati Uniti, negli Stati Uniti. Il loro subprime ha innescato tutto ed è esploso nel 2008, sotto il nostro naso, per importare in Europa il loro disastro, che adesso sembra il nostro disastro, solo perché è diventato il nostro disastro.
Ho rivisto il film di Curtis Hanson “Il crollo dei giganti” (Too Bigs to Fail). In quel caso le banche erano nove, ma le cinque di cui sopra c’erano tutte, tra quelle nove, e i proprietari universali di allora erano gli stessi di oggi. E fu il Governo degli Stati Uniti a salvare loro (con l’erogazione di 700 miliardi, approvata dal Congresso) e con quella, segreta e non approvata da nessuno, di 16 trilioni di $, tutti creati dal nulla, per salvare tutte le maggiori banche occidentali che erano, nel frattempo, fallite simultaneamente.
E’ cambiato qualcosa? Niente affatto. Passiamo in Europa. Leggo adesso (ancora  il New York Times) che la Apple ha evaso le tasse negli Stati uniti per la non modica cifra di 44 miliardi di dollari. Scandalo americano? Certo. Ma anche scandalo europeo. Infatti il signor Timothy Cook (il successore del guru Steve Jobs, che ci ha strappato molte più lacrime di quanto meritasse) è andato a Dublino e ha ottenuto dal governo irlandese di pagare appena il 2% dei suoi profitti. Cioè molto al di sotto della già molto bassa tassazione ufficiale locale del 12,5%, la quale è meno della metà di quella francese e tedesca, e meno di un terzo di quella italiana.
Il signor Cook (se lo guardate bene ha una faccia da killer peggiore di quella di Jamie Dimon, CEO della JPMorgan Chase) è riuscito così a evadere 12 miliardi di euro anche in Europa.  Così, leggendo, mi viene in mente il fiscal compact. E penso: ma dov’era la Banca Centrale Europea. E dov’è il signor Mario Draghi? Abbiamo scoperto da poco che avevamo un’off shore in più in Europa. Si chiamava Cipro. Adesso siamo passati a tre: con il Lussemburgo c’è anche l’Irlanda. Ma allora quale disciplina fiscale si può chiedere a Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, quando le corporations Usa ricevono questi trattamenti di favore? Chi doveva vigilare? 
Se c’è una dimostrazione della necessità di prendere il controllo della BCE,e sottrarlo a questo maggiordomo, eccola qui squadernata. Che equivale a dire che questa Europa va rivoltata come un guanto. La domanda è sempre la stessa. Quanto tempo perderemo ancora? Per quanto tempo permetteremo a costoro di mettere le mani nelle nostre tasche? Attenti che siamo ormai a un passo dal prelievo forzoso dei nostri risparmi e a due passi dalla privatizzazione selvaggia delle ricchezze nazionali. Verranno, con i denari virtuali, a comprare le ricchezze reali (oro incluso). Poi bruceranno tutta la carta. Noi resteremo poveri in canna, e schiavi. Loro avranno la proprietà dei beni. 
di Giulietto Chiesa

29 maggio 2013

Apologia del brigante




1) Chi è, com'è, per che cosa si batte il tuo brigante?
 
Ringrazio per questo implicito rimando al piccolo libro che scrissi in una sola notte nel 1995, Apologia del brigante. Un tempo che consentiva una sosta dopo la asperrima campagna culturale europea in occasione del bicentenario dell’Insorgenza vandeana (1793-1993) e che già scivolava verso il non meno aspro bicentenario dell’invasione napoleonica dell’Italia e quindi delle immediate e capillari Insorgenze popolari antigiacobine con le conseguenti sanguinose repressioni prolungatesi fino al 1799 (1796-1996). Ligio ad una concezione del mondo fortemente antistoricistica, questo “mio” brigante resta in perenne e pericoloso equilibrio fra la storia e la metafisica, ed ha avuto l’arroganza di individuare tratti esistenziali e spirituali comuni ad esperienze di refrattari ed insorgenti appartenenti
 all’intera parabola della modernità, dal 1789 ad oggi. Un tentativo spericolato che tuttavia ne ha fatto un testo singolarmente fortunato. Provo quindi a rispondere alla domanda descrivendolo meno indegnamente con un po’ di poesia: «Il brigante della nostra storia italiana è un soldato disperso, un seminarista scacciato, un popolano un po’ curvo dal lavoro, che ama, quindi si arrabbia, e quando la campana sona segue il richiamo del cuore, e reagisce. Non ha mezze misure perché non è stato ben educato: non parla franzè, e forse nemmeno italiano. Il bello è che non se ne vergogna affatto, perché non ne comprende punto l’utilità. Capisce meglio il senso del suono della campana e il verso del vento e della civetta… Odia chi chiede sempre qualcosa in cambio di ogni cosa, soprat
tutto denaro. Accetta un signore solamente se l’ha visto diritto a cavallo o curvo sulla stessa sua terra, e se in battaglia se l’è visto davanti. Più di tutto diffida dell’astuzia di mercanti e girovaghi, e odia gli usurai.» Già. Un ritratto molto jungeriano, del tipo d’uomo capace di superare la crisi.
 
2) Fino a che punto è un controrivoluzionario "consapevole"? È cioè qualcosa di più di un ribelle viscerale ad un nuovo ordine che non capisce e non accetta?
 
Non sono certo del fatto che la visceralità sia in realtà un difetto per il brigante di ogni tempo. Nella pratica delle Arti marziali tradizionali si coltiva una “memoria della carne”, frutto di lunga consuetudine col ferro e il movimento, assai più rapida, essenziale e proficua della memoria razionale che di fronte al pericolo di vita si paralizza per la paura. Parimenti per imparare a suonare uno strumento musicale non si usa la memoria razionale, ma una fusione di corpo, occhi e strumento e solo così si suona… Il brigante è figlio di un’epoca di trasmissione pratica e diretta della cultura; la visceralità gli appartiene come un’arma in più. Vi sono quindi forme di consapevolezza fredde e razionali, e viceversa calde ed organiche; la mia scommessa risiede nella speranza che oggi le seconde abbrac
cino le prime, impedendo loro di decadere nell’intellettualismo borghese. 
Post Scriptum: per il brigante rifiutare un “nuovo ordine”, quello illuministico-giacobino, significa già averlo compreso nella sua essenza, e aver fatto l’unica scelta di campo possibile.
 
3) Alla grancassa retorico-oleografica del Risorgimento buono e giusto, non rischia di contrapporsi una grancassa uguale e contraria dell'Anti-Risorgimento?
 
Questo non è un rischio bensì un’esperienza quotidiana; ma deve esser detto con grande chiarezza che la responsabilità storica di questo brutto gioco di semplificazioni, impoverimenti, becerume contrapposti deve essere completamente addebitato alla parte “ufficiale” della cultura italiana degli ultimi 150 anni (in fila indiana savoiarda, liberale, azionista, marxista), che ha contagiato con fanfare e retorica deamicisiana anche molti (ma non tutti, con buona pace di Alessandro Barbero) dei suoi critici; come se la dogmatica ideologica fosse, secondo un tour d’esprit assolutamente moderno, il filtro obbligato per la lettura della realtà: mentre cambiando il colore del filtro, tocchiamo con mano come la deformazione non muti. Prova ne sia che chi cerca di esimersi da questo reciproco g
ioco di insulti – come noi - viene tendenzialmente emarginato. Già Alexander Solgenitsin ci aveva ammonito attorno alle modalità con cui si esercita la ferrea censura culturale nell’occidente, e decenni di egemonia gramsciana in Italia hanno ulteriormente irrigidito queste tagliole. Nell’esperienza di Identità Europea, la benemerita Associazione di cui sono ora il 3° Presidente dopo Franco Cardini e Francesco Mario Agnoli, ci siamo confrontati ripetutamente con questo stile paradossale che premia il becero insulto da TV e fugge dal confronto serio: già nell’anno 2000 dovemmo salvare in extremis la grande Mostra “Risorgimento. Un tempo da riscrivere” presentata al Meeting di Rimini dal tentativo di insabbiarla operato dalla combine marxista-azionista (una Mostra che ha dimostrato tutta la sua v
alidità proprio nell’anno del 150°). Nello stesso anno non possiamo non ricordare la triste sorte del film Li chiamarono briganti di Pasquale Squitieri, che venne censurato da smaccate pressioni politico-ideologiche e ancor oggi gira solamente in samizdat. E proprio quest’anno non siamo singolarmente riusciti ad avere uno spazio –per quelle che appaiono indubitabilmente delle pressioni ideologiche - per presentare a Gorizia, dentro E’Storia, l’ultimo saggio di Francesco Mario Agnoli La vera storia dei prigionieri borbonici dei Savoia, che rimette alcune importanti questioni al loro posto dopo la pubblicazione del pamphlet di Alessandro Barbero I prigionieri dei Savoia. Con tutta evidenza il kombinat marxista-azionista continua ancor oggi ad esercitare l’arte del dibattito storiografico juxta propria principia. Di tutto ciò il brigante non si stupisce affatto…
 
4) Come si spiega la nuova valutazione dei briganti da parte di storici liberal-democratici, laici, antitradizionalisti e "patriottici" come, ad esempio, Arrigo Petacco e Giordano Bruno Guerri?
 
In parte sulla base di semplici questioni di mercato: la questione del Brigantaggio “tira” ed attira pertanto una pletora di pubblicazioni pseudo divulgative di livello in media veramente sconsolante, opera di consolidati professionisti del ramo (e del livello). In parte dall’esigenza di recuperare quella che è senz’altro una smaccata sconfitta del kombinat di cui sopra attraverso una riproposizione oltretutto impoverita della classica interpretazione gramsciana del brigantaggio antiunitario come forma ancora inconscia di lotta di classe nel mezzogiorno arretrato. Ciò che unifica tutte le voci di questa reinterpretazione laico-patriottica sono appunto i due corni di una rivalutazione finale del processo storico di costruzione di uno stato giacobino-central
ista, anche addolcendo la pillola con il miele tossico del “senso della storia” (e come ben sappiamo dalla lezione di Franco Cardini, la storia un senso immanente non ce l’ha), la stupefacente rimozione di tutti i fatti di Insorgenza avvenuti fuori dal Meridione d’Italia dal 1792 in poi e della voluta e completa rimozione delle motivazioni spirituali ed antropologiche (ossia cattoliche) dello scontro europeo fra “antico” e “nuovo” regime. Nel momento in cui la modernità con tutti i suoi idola sta crollando su se stessa, uccisa dai veleni da essa stessa prodotti, dopo un secolo in cui le ideologie della modernità hanno dato il peggio di sé proprio affermandosi, non è tollerabile per costoro dover prender atto che d
alla Vandea in poi i “briganti”, gli insorgenti, l’intransigenza cattolica stavano dalla parte giusta. Avevano ragione loro, cioè noi.


di Adolfo Morganti - Mario Bernardi Guardi 

27 maggio 2013

Il signoraggio nasce con la nascita della moneta





Qualche anno fa ho conosciuto a Roma, in metropolitana, un signore distinto, professore all’Università di Teramo, che mi raccontò una storia: quell’incontro mi è servito a capire meglio ilRisiko giocato dai banKster sulle nostre vite. La moneta, mi disse, è uno strumento “econometrico”, sostitutivo del rudimentale baratto, che serve per misurare il valore nelle transazioni commerciali. Originariamente il valore della moneta era pari al valore dei metalli usati (oro, argento, rame ecc.): i sovrani acquistavano sul mercato i vari metalli, li convertivano in monete e questi nuovi valori ritornavano in circolo sul mercato stesso. Il sovrano tratteneva per sé un piccolo guadagno, corrispondente alle spese di coniazione e di amministrazione: nasceva così il “signoraggio”. La scarsa reperibilità di oro e argento ha comportato una carenza di quantità di denaro in circolo sul mercato, determinandone la stasi, ed ecco perché è nata la moneta convenzionale.

L’usurpazione perpetrata dal sistema bancario ai danni dello Stato, nella gestione e nell’emissione monetaria, ebbe inizio quando i banchieri cominciarono a prestare i certificati, rappresentativi di oro ed argento, da loro stessi emessi: nacque così la note of bank, ovvero, la banconota. I bankster si arrogarono il diritto di stampare banconote in vece dello Stato che poi acquistava il valore nominale delle banconote ricevute pagando con dei titoli cosiddetti di “debito pubblico”. I banchieri cominciarono, poi, ad emettere banconote in quantità ben superiore all’oro posseduto. Pertanto, così facendo, aumentarono il capitale ed ottennero il pagamento degli interessi anche a fronte dei titoli cartacei prestati, ma privi di riserva aurea.

ll 15 agosto 1971, Forte Knox era stato quasi svuotato dalla Francia che presentava all’incasso i titoli per convertirli in oro, come prevedeva il vigente trattato di Bretton Woods: ma i banchieri avevano stampato Dollari per 9 volte il valore dell’oro che possedevano. Il Presidente Nixon dovette spazzare i patti di Bretton Woods e sospese la convertibilità del Dollaro in oro: il dollaro, però, mantenne inalterato il proprio valore. Il valore della banconota non è determinato dalla sua riserva aurea, ma unicamente da una convenzione sociale. Ciò comporta che la Banca d’Emissione guadagna un lucrosissimo signoraggio che consiste nella differenza tra il valore facciale stampato sul foglietto e il costo della carta e dell’inchiostro sostenuto per realizzare i biglietti stessi. E’ evidente come non possa essere consentito alla Banca d’Emissione d’impossessarsi del signoraggio in occasione dell’emissione monetaria: il signoraggio deve essere solo ed esclusivamente di proprietà dello Stato. E’ lo Stato che deve garantire la stabilità di un mercato tenendo sotto controllo il rapporto tra circolazione monetaria e beni da misurare: se il mercato dispone e produce maggiori beni, occorre maggior quantità di moneta, per non incorrere nella “deflazione”; quantità che va ridotta in caso di diminuzione dei beni stessi, per non creare “inflazione”.

Ora, è evidente come l’attuale crisi economica è stata realizzata mediante la folle distribuzione di titoli inventati, piazzati dalle grandi banche ai privati ed alle stesse banche minori, valori poi volatilizzati.Lo Stato deve ritornare alla propria emissione monetaria diretta, non solo per riacquisire la propria sovranità economica e politica, ma ancor più per smettere d’indebitarsi per acquistare al valore facciale la moneta emessa dai bancheri pagandola con i propri titoli di debito, sui quali scatta da subito anche il pagamento degli interessi passivi. Queste crisi vengono organizzate per sottrarre beni e sistemi produttivi ai legittimi proprietari, per farli confluire alle grandi multinazionali controllate dai banchieri stessi. Ah, già ! … quel signore in metro era Giacinto Auriti, al quale prima della sua morte ho potuto donare, grazie a Savino Frigiola, la sentenza n. 3712/04 del GdP di Lecce, prototipo della provocazione giudiziaria del cittadino ai Signori delle banche.
 

di Antonio Tanza