09 luglio 2013

Letta: l'esultanza e la realtà






Le vittorie di Letta sono quantitativamente insignificanti e servono a non parlare dei vizi strutturali macroeconomici dell’Eurosistema
Letta esulta. Dal potere europeo ha ottenuto 1,5 miliardi la settimana scorsa, spendibili in 2 anni dal prossimo gennaio; e ieri altri 7 miliardi in cofinanziamento, cioè 3,5 messi dall’Italia e 3,5 messi dall’UE, però con soldi dei contributi italiani, grazie a una deroga al plafond del 3% di disavanzo pubblico.
Sostanzialmente si tratta, quindi In tutto, cioè, per il 2014, dell’autorizzazione a spendere soldi quasi tutti nostri per un importo di circa 7,75 miliardi, pari a meno dell’1% della spesa pubblica complessiva, a meno dello 0,5% del pil, a meno del 50% da meno del 20% di quanto l’Italia ha versato nel MES, a meno del 3% dei capitali italiani fuggiti all’estero sotto l’azione del governo Monti,  a circa lo 0,7% della svalutazione del patrimonio immobiliare nazionale durante governo Monti, a circa il 25% del calo del pil previsto per quest’anno. Ma Letta esulta e nei sondaggi cresce: l’impatto psicologico è soggettivo e non risponde ai numeri oggettivi. E opera sull’immediato, non tenendo conto delle scadenze di autunno: ammortizzatori sociali, F35, ondata di licenziamenti, legge di bilancio, etc.
Altro dato socio-psicologico: governo e mass media codificano simili successi in questi termini: siamo stati obbedienti al modello economico-finanziario dominante  e alla conseguenti prescrizioni dell’Autorità, quindi il potere effettivo ci premia permettendoci di spendere di più (dei nostri soldi) e dandoci da spendere un po’ di soldi suoi (una piccola parte quelli che le avevamo versato noi). Una visione, quindi, paternalistica, nella quale vi è appunto un’Autorità ontologicamente nel vero e nel giusto, ontologicamente legittimata, che ci insegna come funziona l’economia, che ci dice come dobbiamo fare, che ci punisce se non obbediamo, che ci premia se obbediamo (compiti a casa) – peraltro  il premio consiste nel lasciarsi usare i soldi nostri o nel renderci un po’ di quelli che le abbiamo dati. In questa visione, di tipo autoritario, antiscientifico e dogmatico, non è previsto che si verifichi se il modello economico-finanziario adottato sia stato confermato o smentito dai fatti e se e le ricette prescritte abbiano avuto gli effetti promessi oppure siano state smentite. Quello che conta è il rapporto di approvazione-disapprovazione con l’Autorità, non di successo-insuccesso con la realtà.
La visione scientifica e laica è opposta: non esiste alcuna Autorità a priori (al di sopra dei fatti), invece si mettono a confronto i diversi modelli economico-finanziari delle diverse scuole, e si controlla, nel breve, medio e lungo periodo, le conferme e le smentite che i dati di fatto hanno dato a ciascun modello. Al medesimo modo,  si prende il sistema finanziario adottato nell’Eurozona con le sue regole e policies, e si controlla che effetti ha avuto nella realtà sui vari paesi e sui vari comparti, in termini di andamento e tendenza del pil, del debito, di occupazione, di domanda, di investimenti, di bilance commerciali, di convergenza tra i sistemi-paese, etc., e si accerta se e quanto funziona, chi avvantaggi, chi svantaggia, se è sostenibile, etc. Se non ha funzionato, se ha causato danni, tendenze nocive, maggiori divergenze, allora obbedirgli è stupido, va cambiato o abbandonato.
L’adozione dell’Eurosistema, ossia di un sistema di cambi fissi tra i paesi aderenti, mantenendo separati i loro debiti pubblici e stabilendo che questi dovessero essere finanziati sui mercati speculativi globali, territorio di caccia di pochi grandi gruppi privati sovranazionali, che li manipolano, poneva un problema ovvio e gigantesco: come compensare gli sbilanci delle partite correnti tra i paesi membri, dato che i meno efficienti avrebbero importato di più ed esportato di meno, finendo per indebitarsi verso quelli più efficienti, cioè finendo per dover pagare loro flussi di interessi notevoli,  il che avrebbe peggiorato ulteriormente la loro efficienza e competitività, in un avvitamento letale – che è ciò che stiamo vivendo in Italia. Oltre al fatto che i paesi debitori non hanno potere negoziale, il quale invece si concentra in mano ai paesi creditori, dando così a questi l’egemonia sulle strutture comuni e il modo di usarle sempre più nel proprio interesse a spese dei paesi debitori.
Nella federazione nordamericana, cioè negli USA, questo problema è stato risolto grazie a un unico bilancio federale, a un debito pubblico unico e comune di tutti gli Stati federati, e a un’autorità centrale che trasferisce gli attivi, gli avanzi, del commercio intestate dagli Stati in attivo a quelli in passivo, attraverso la spesa pubblica, e impedisce il default dei singoli Stati.
In Europa ciò è mancato, non è stato fatto, ed è il più importante dei difetti, la causa primaria del malandare. E ovviamente non se ne parla all’opinione pubblica. E non si fa nulla per  correggerlo nelle sedi europee. Letta esulta, ma non dice che, sul piano macro, non vi è stata, per compensare gli squilibri delle partite correnti entro l’eurozona, l’ammissione dell’interdipendenza organica tra gli euro-paesi con  l’istituzione di un euro ministero federale delle finanze che compensasse gli squilibri imponendo ai paesi con notevole e strutturale avanzo di reinvestirlo, in parte, nei paesi con disavanzo, e di neutralizzarlo, in parte, mediante l’aumento della domanda interna.  Vi è stata, invece, la diabolica scelta  - diabolica perché divisiva, contrapponente – da parte della Commissione europea, di stabilire che sono accettabili (e non si deve intervenire) disavanzi delle partite correnti  fino al 4%, ma surplus fino al 6%! Così la Germania è stata in reagola mentre, anno dopo anno, comprimendo i salari e la spesa pubblica, accumulava avanzi su avanzi, crediti su crediti, negli scambi intra-euro, con pari accumularsi di disavanzi e debiti e maggiori interessi passivi a crico dei paesi periferici, fino agli attuali scompensi critici.
In Europa vi è stata, conseguentemente al rifiuto di riconoscere l’interdipendenza economico-finanziaria, l’imposizione del principio “ciascuno per sé faccia i compiti a casa”, ossia che chi è in disavanzo di partite correnti debba e possa pareggiare (procurarsi denaro) solo offrendo alti tassi e tagliando i salari per competere nelle esportazioni, mentre i paesi già competitivi aumentano la loro competitività grazie all’afflusso dei capitali in fuga  dal fisco e dall’instabilità e dalla recessione dei paesi deboli, e al conseguente minor costo del denaro .  E ciò ha diminuito e sta diminuendo sempre più la competitività del sistema-paese Italia, perché genera una spirale negativa, implosiva,  di tassi-tasse-tagli-decrescita-deflusso dei capitali-demonetazione-credit crunch-insolvenze.  Mentre aumenta l’indebitamento dell’Italia e degli altri paesi periferici verso i paesi euroforti.  Nonché l’emigrazione nella medesima direzione oltre che verso altri paesi extra-euro che si difendono grazie al mantenimento di una certa autosufficienza monetaria, come Regno Unito, USA, Giappone, Cina.
E di questo perverso meccanismo macro BCE, Commissione, FMI.  il governo e i partiti non vogliono proprio parlare né che si parli. Il fatto che il governone Letta non apra questa discussione, che è quella che conta, in sede europea, ma si accontenti di più flessibilità e di qualche premio di buona condotta da parte dell’Autorità europea, lo palesa quale inutile arca di Noè della partitocrazia parassitaria la quale, pur essendo causa essenziale del male nazionale, continua a millantarsi, all’interno, come soluzione di quel male per non mollare colli e poltrone. E a offrirsi, all’esterno, come garante degli interessi del capitalismo straniero sul nostro paese.
di Marco Della Luna 

07 luglio 2013

Un governo da buttare



  

Da quando Napolitano ha fatto saltare, chiamando al governo Mario Monti, le regole della democrazia che, nel bene e nel male, avevano sorretto le istituzioni della repubblica italiana anche nei periodi più bui della sua storia, la crisi etico- politica, oltre che economica, dell’Italia è andata peggiorando ogni giorno di più ed è inutile sperare che il Signor Letta trovi una soluzione perché, anche se lo volesse, non è in condizioni di riuscirci. I motivi sono evidenti. Il suo governo è nato per collocare, senza più né dubbi né ripensamenti, in maniera definitiva l’Italia alle dipendenze dell’Unione europea. Diciamo, in sintesi, che ha concluso, fingendo di tornare alla legalità democratica, il lavoro iniziato da Mario Monti. Tutto quello che dice Enrico Letta sui problemi da affrontare è preceduto dall’affermazione che gli impegni presi con l’Europa saranno mantenuti, che il rapporto debito-Pil è ferreo e nulla potrà impedire che tale rimanga. Batterà i pugni sul tavolo di Bruxelles? Barzellette! Enrico Letta ha costruito la sua carriera sull’Europa e dunque quello che conta è “Lui”, Letta, e il suo buon rapporto con l’Europa, non l’Italia e i suoi bisogni. 

Se passiamo ad analizzare il modo con il quale ha scelto i suoi membri, balza subito agli occhi che il governo Letta somiglia a uno dei tanti governi esibiti dai paesi emersi di recente alla ribalta della storia, quelli un po’ da ridere, quelli che, dall’alto della propria civiltà, gli italiani erano soliti definire repubbliche delle banane. Una balda “immagine” di avanzata democrazia e sotto il vestito, non il nulla, ma la brutalità della più selvaggia delle dittature (vedi il controllo dei conti correnti) e la castrazione dei sudditi. La storia della campionessa promossa a ministro è stata ormai troppo discussa per dovervisi soffermare, ma è appunto una storia da paesi delle banane. Una cosa però bisogna aggiungerla. È naturale, è ovvio, oltre che tanto noto da aver ispirato innumerevoli barzellette e gag famose come quelle delle interviste di Tognazzi e Vianello ai vincitori di turno, che i campioni dello sport non possiedano particolari doti di pensiero e nessuna competenza per fare qualsiasi cosa tranne che esercitarsi nel proprio sport. Sbalzarli a governare, a fare le leggi, a comandare ai popoli è da stupidi oltre che offensivo per i popoli stessi. Il signor Letta adopera però il populismo di “genere”: perché la canoista Idem e non il calciatore Balotelli? Letta sapeva bene che se avesse nominato ministro Balotelli, anche se molto più famoso e pieno di fans, si sarebbero messi tutti a ridere. 

Adesso, però, c’è la questione della condanna di Berlusconi, capo del partito di governo, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Non discutiamo qui in nessun modo la condanna (comunque medioevale), ma il dato di fatto. Il governo doveva dimettersi, se appunto l’Italia non fosse stata ridotta a repubblica delle banane. Esponenti del Pdl scendono in piazza per protestare contro la condanna mentre altri, compreso il vicecapo del governo, continuano a governare come nulla fosse successo. E osano affermare che questo è un governo per il bene del paese. Il bene del paese sarebbe quello di appartenere ancora alla civiltà democratica.

di Ida Magli 

06 luglio 2013

Berlusconi condannato




Canzano 1- Berlusconi condannato. Una condanna che si presta a più punti di lettura. Mi può dire il suo?
COLLA – Mi sembra abbastanza evidente che lo scopo fosse quello di mettere Berlusconi fuori gioco almeno per un bel pezzo, se non per sempre, indebolendo il centro-destra e creando le premesse per la costruzione di un nuovo scenario favorevole a un riassetto dell’Italia in senso europeista, senza il ricorso alle urne. Il PdL non è solo una struttura che ruota intorno a Berlusconi: è un sistema che si regge interamente su di lui; lasciata a se stessa, collasserebbe nel giro di poco centrifugando i vertici e disperdendo la base. Fatte le debite proporzioni, è un po’ quello che è successo col vecchio Msi di Giorgio Almirante: morto lui, si  è disfatto un mondo — nel bene e nel male.
Canzano 2- Questa condanna è paragonabile alla mala giustizia o, ad una persecuzione ad personam verso Berlusconi?
COLLA – Non vorrei sbagliare, ma mi sembra che sia stato Berlusconi a cominciare, prendendo di mira una parte della magistratura fin dall’inizio della sua discesa in politica, nel 1994, definendo i giudici di Mani Pulite «un’associazione a delinquere con licenza di uccidere che mira a sovvertire l’ordine democratico»: ma uno dei giudici simbolo di Mani Pulite, Gherardo Colombo, insieme a Giuliano Turone aveva indagato nel 1981 sui traffici di Michele Sindona, portando alla luce gli elenchi degli affiliati alla loggia P2 — in quegli elenchi figurava anche il nome di Berlusconi, anche se la cosa sarebbe emersa soltanto anni dopo. E del resto è noto che le fortune del Cavaliere ebbero inizio sotto l’ala di Craxi e del suo entourage, quindi si capisce la scarsa simpatia che Berlusconi ha sempre nutrito per la magistratura (milanese in particolare). Ovviamente, la magistratura non se l’è tenuta e ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione: esattamente come ha fatto Berlusconi stesso per controbattere.
Canzano 3- Possono esserci conseguenze politiche per la stabilità di questo governo di ‘coalizione’?
COLLA – A mio avviso, questo Paese non conosce stabilità proprio da quando Berlusconi è sceso in politica con l’idea di far funzionare l’“azienda Italia” — e parliamo di un ventennio fa. In ogni caso, l’instabilità politica degli ultimi anni, determinata dalla totale assenza di un governo del Paese a causa delle preoccupazioni strettamente personali dell’allora premier, si è assommata all’instabilità economica e sociale probabilmente più grave che l’Italia nazione abbia conosciuto dal primo dopoguerra: pertanto, mi sembra abbastanza chiaro che l’attuale governo di coalizione si regga su un equilibrio temporaneo parecchio traballante e funzionale, suppongo, a scongiurare un altro ricorso alle urne come si diceva prima. Personalmente, ritengo che gli elementi di incertezza a livello planetario siano tali e tanti da rendere impossibile formulare una previsione anche a breve termine, tanto più che gli scenari prossimi venturi sono tutt’altro che rosei: se le stime di Confindustria presentate ieri a Roma sono attendibili, credo che nei prossimi mesi le sorti della politica di governo, le larghe intese e la coalizione potrebbero essere l’ultimo dei problemi per l’uomo della strada.
Canzano 4- Berlusconi che non è gradito alle sinistre, ma, anche nella destra non tutti hanno accettato la sua presenza in politica e il suo successo in questi ultimi anni, perché?
COLLA – In tutta sincerità, ignoro e voglio ignorare cosa si muove nella destra di governo e non. Dall’esterno, mi sono fatta l’idea che quella parte della destra ancora in qualche modo antiatlantista,  anticapitalista e antisistema non sia riuscita ad apprezzare del tutto la spregiudicatezza di Berlusconi. Mi riesce invece più facile capire come la parte più tipicamente “furbetta” della destra filogovernativa, filogarantista e filoliberale emersa nel dopo-Fiuggi possa aver apprezzato proprio una certa disinvoltura nel condurre gli affari e nello strumentalizzare la politica a proprio uso e consumo. Poi aggiungerei l’indubbio fascino del personaggio, che può far presa su un certo tipo di elettore, e la banalizzazione estrema del Führerprinzip, ovvero l’accettazione incondizionata di quello che fa il Capo, perché se uno è il Capo vuol dire che ha ragione lui.
Canzano 5- Il ‘Governo” della nostra penisola produce solo leader che in modo o in un altro diventano “interessanti” alla giustizia, ad “atti” di terrorismo o, “non amati” dai suoi cittadini?
COLLA – Se così fosse, sarebbe preoccupante. Ma in realtà la nostra penisola non è “governata” da un sacco di tempo: credo che si usi la parola “governo” con molta leggerezza e ampia approssimazione. Invece “governare” ha un significato ben preciso: deriva dal greco kybernào, che significa propriamente “reggere il timone” dell’imbarcazione, in senso proprio e figurato. Non a caso personaggi come Mussolini o Mao Tse-tung sono stati raffigurati come timonieri: e il buon timoniere è colui che è in grado di condurre la nave (dello Stato) in un porto sicuro nonostante le tempeste. Direi piuttosto che l’Italia, ultimamente, viene amministrata — e neanche tanto bene. Il compito principale di uno Stato, com’è noto, è garantire ai suoi cittadini sussistenza (cibo, alloggio, lavoro, cure sanitarie...) e sicurezza: da molti anni, ormai, la sicurezza ce la siamo scordata e la sussistenza è sempre più a rischio — penso, per esempio, ai dati sull’aumentato afflusso di richiedenti alle cosiddette mense dei poveri, che sono allarmanti. Credo che il motivo principale stia nel fatto che sembra essersi persa di vista la ricerca del cosiddetto “bene comune”, ossia la capacità di conciliare le esigenze individuali con quelle della collettività, attraverso la gestione ottimale delle risorse attuata dallo Stato. Si è visto, proprio a partire da quella Tangentopoli che segnò il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, come all’interno dello Stato stesso avesse preso piede una tendenza sciagurata alla gestione allegra — clientelare e familiare — di beni e servizi: negli ultimi anni il fenomeno ha raggiunto livelli di gravità inaudita anche grazie al consolidarsi della criminalità organizzata, che da tempo può contare su appoggi politici insospettabili ed efficaci. Questo è stato reso possibile anche dalla progressiva perdita di sovranità nazionale del nostro Paese, sempre più dipendente da poteri che risiedono fuori dal territorio nazionale, e che obbediscono a logiche completamente estranee al concetto di bene comune accennato prima. All’orizzonte non si vede — io, almeno, non vedo nessuno (singolo o gruppo, non importa) in grado di reggere il timone.

Canzano 6- Come vede la discesa in campo di Marina Berlusconi?
COLLA – Preferirei non vederla. Ma ovviamente non dipende da me. Se accadesse, credo che sarebbe la dimostrazione di almeno due cose: l’inoppugnabile primato dell’economia sulla politica, economia divenuta così arrogante da non aver neanche più bisogno di nascondersi; e l’evidente emergere di una nuova dinastia compradora, sancito dai poteri terzi che controllano il nostro Paese. Una sconfitta, a tutti i livelli.

di Alessandra Colla - Giovanna Canzano

09 luglio 2013

Letta: l'esultanza e la realtà






Le vittorie di Letta sono quantitativamente insignificanti e servono a non parlare dei vizi strutturali macroeconomici dell’Eurosistema
Letta esulta. Dal potere europeo ha ottenuto 1,5 miliardi la settimana scorsa, spendibili in 2 anni dal prossimo gennaio; e ieri altri 7 miliardi in cofinanziamento, cioè 3,5 messi dall’Italia e 3,5 messi dall’UE, però con soldi dei contributi italiani, grazie a una deroga al plafond del 3% di disavanzo pubblico.
Sostanzialmente si tratta, quindi In tutto, cioè, per il 2014, dell’autorizzazione a spendere soldi quasi tutti nostri per un importo di circa 7,75 miliardi, pari a meno dell’1% della spesa pubblica complessiva, a meno dello 0,5% del pil, a meno del 50% da meno del 20% di quanto l’Italia ha versato nel MES, a meno del 3% dei capitali italiani fuggiti all’estero sotto l’azione del governo Monti,  a circa lo 0,7% della svalutazione del patrimonio immobiliare nazionale durante governo Monti, a circa il 25% del calo del pil previsto per quest’anno. Ma Letta esulta e nei sondaggi cresce: l’impatto psicologico è soggettivo e non risponde ai numeri oggettivi. E opera sull’immediato, non tenendo conto delle scadenze di autunno: ammortizzatori sociali, F35, ondata di licenziamenti, legge di bilancio, etc.
Altro dato socio-psicologico: governo e mass media codificano simili successi in questi termini: siamo stati obbedienti al modello economico-finanziario dominante  e alla conseguenti prescrizioni dell’Autorità, quindi il potere effettivo ci premia permettendoci di spendere di più (dei nostri soldi) e dandoci da spendere un po’ di soldi suoi (una piccola parte quelli che le avevamo versato noi). Una visione, quindi, paternalistica, nella quale vi è appunto un’Autorità ontologicamente nel vero e nel giusto, ontologicamente legittimata, che ci insegna come funziona l’economia, che ci dice come dobbiamo fare, che ci punisce se non obbediamo, che ci premia se obbediamo (compiti a casa) – peraltro  il premio consiste nel lasciarsi usare i soldi nostri o nel renderci un po’ di quelli che le abbiamo dati. In questa visione, di tipo autoritario, antiscientifico e dogmatico, non è previsto che si verifichi se il modello economico-finanziario adottato sia stato confermato o smentito dai fatti e se e le ricette prescritte abbiano avuto gli effetti promessi oppure siano state smentite. Quello che conta è il rapporto di approvazione-disapprovazione con l’Autorità, non di successo-insuccesso con la realtà.
La visione scientifica e laica è opposta: non esiste alcuna Autorità a priori (al di sopra dei fatti), invece si mettono a confronto i diversi modelli economico-finanziari delle diverse scuole, e si controlla, nel breve, medio e lungo periodo, le conferme e le smentite che i dati di fatto hanno dato a ciascun modello. Al medesimo modo,  si prende il sistema finanziario adottato nell’Eurozona con le sue regole e policies, e si controlla che effetti ha avuto nella realtà sui vari paesi e sui vari comparti, in termini di andamento e tendenza del pil, del debito, di occupazione, di domanda, di investimenti, di bilance commerciali, di convergenza tra i sistemi-paese, etc., e si accerta se e quanto funziona, chi avvantaggi, chi svantaggia, se è sostenibile, etc. Se non ha funzionato, se ha causato danni, tendenze nocive, maggiori divergenze, allora obbedirgli è stupido, va cambiato o abbandonato.
L’adozione dell’Eurosistema, ossia di un sistema di cambi fissi tra i paesi aderenti, mantenendo separati i loro debiti pubblici e stabilendo che questi dovessero essere finanziati sui mercati speculativi globali, territorio di caccia di pochi grandi gruppi privati sovranazionali, che li manipolano, poneva un problema ovvio e gigantesco: come compensare gli sbilanci delle partite correnti tra i paesi membri, dato che i meno efficienti avrebbero importato di più ed esportato di meno, finendo per indebitarsi verso quelli più efficienti, cioè finendo per dover pagare loro flussi di interessi notevoli,  il che avrebbe peggiorato ulteriormente la loro efficienza e competitività, in un avvitamento letale – che è ciò che stiamo vivendo in Italia. Oltre al fatto che i paesi debitori non hanno potere negoziale, il quale invece si concentra in mano ai paesi creditori, dando così a questi l’egemonia sulle strutture comuni e il modo di usarle sempre più nel proprio interesse a spese dei paesi debitori.
Nella federazione nordamericana, cioè negli USA, questo problema è stato risolto grazie a un unico bilancio federale, a un debito pubblico unico e comune di tutti gli Stati federati, e a un’autorità centrale che trasferisce gli attivi, gli avanzi, del commercio intestate dagli Stati in attivo a quelli in passivo, attraverso la spesa pubblica, e impedisce il default dei singoli Stati.
In Europa ciò è mancato, non è stato fatto, ed è il più importante dei difetti, la causa primaria del malandare. E ovviamente non se ne parla all’opinione pubblica. E non si fa nulla per  correggerlo nelle sedi europee. Letta esulta, ma non dice che, sul piano macro, non vi è stata, per compensare gli squilibri delle partite correnti entro l’eurozona, l’ammissione dell’interdipendenza organica tra gli euro-paesi con  l’istituzione di un euro ministero federale delle finanze che compensasse gli squilibri imponendo ai paesi con notevole e strutturale avanzo di reinvestirlo, in parte, nei paesi con disavanzo, e di neutralizzarlo, in parte, mediante l’aumento della domanda interna.  Vi è stata, invece, la diabolica scelta  - diabolica perché divisiva, contrapponente – da parte della Commissione europea, di stabilire che sono accettabili (e non si deve intervenire) disavanzi delle partite correnti  fino al 4%, ma surplus fino al 6%! Così la Germania è stata in reagola mentre, anno dopo anno, comprimendo i salari e la spesa pubblica, accumulava avanzi su avanzi, crediti su crediti, negli scambi intra-euro, con pari accumularsi di disavanzi e debiti e maggiori interessi passivi a crico dei paesi periferici, fino agli attuali scompensi critici.
In Europa vi è stata, conseguentemente al rifiuto di riconoscere l’interdipendenza economico-finanziaria, l’imposizione del principio “ciascuno per sé faccia i compiti a casa”, ossia che chi è in disavanzo di partite correnti debba e possa pareggiare (procurarsi denaro) solo offrendo alti tassi e tagliando i salari per competere nelle esportazioni, mentre i paesi già competitivi aumentano la loro competitività grazie all’afflusso dei capitali in fuga  dal fisco e dall’instabilità e dalla recessione dei paesi deboli, e al conseguente minor costo del denaro .  E ciò ha diminuito e sta diminuendo sempre più la competitività del sistema-paese Italia, perché genera una spirale negativa, implosiva,  di tassi-tasse-tagli-decrescita-deflusso dei capitali-demonetazione-credit crunch-insolvenze.  Mentre aumenta l’indebitamento dell’Italia e degli altri paesi periferici verso i paesi euroforti.  Nonché l’emigrazione nella medesima direzione oltre che verso altri paesi extra-euro che si difendono grazie al mantenimento di una certa autosufficienza monetaria, come Regno Unito, USA, Giappone, Cina.
E di questo perverso meccanismo macro BCE, Commissione, FMI.  il governo e i partiti non vogliono proprio parlare né che si parli. Il fatto che il governone Letta non apra questa discussione, che è quella che conta, in sede europea, ma si accontenti di più flessibilità e di qualche premio di buona condotta da parte dell’Autorità europea, lo palesa quale inutile arca di Noè della partitocrazia parassitaria la quale, pur essendo causa essenziale del male nazionale, continua a millantarsi, all’interno, come soluzione di quel male per non mollare colli e poltrone. E a offrirsi, all’esterno, come garante degli interessi del capitalismo straniero sul nostro paese.
di Marco Della Luna 

07 luglio 2013

Un governo da buttare



  

Da quando Napolitano ha fatto saltare, chiamando al governo Mario Monti, le regole della democrazia che, nel bene e nel male, avevano sorretto le istituzioni della repubblica italiana anche nei periodi più bui della sua storia, la crisi etico- politica, oltre che economica, dell’Italia è andata peggiorando ogni giorno di più ed è inutile sperare che il Signor Letta trovi una soluzione perché, anche se lo volesse, non è in condizioni di riuscirci. I motivi sono evidenti. Il suo governo è nato per collocare, senza più né dubbi né ripensamenti, in maniera definitiva l’Italia alle dipendenze dell’Unione europea. Diciamo, in sintesi, che ha concluso, fingendo di tornare alla legalità democratica, il lavoro iniziato da Mario Monti. Tutto quello che dice Enrico Letta sui problemi da affrontare è preceduto dall’affermazione che gli impegni presi con l’Europa saranno mantenuti, che il rapporto debito-Pil è ferreo e nulla potrà impedire che tale rimanga. Batterà i pugni sul tavolo di Bruxelles? Barzellette! Enrico Letta ha costruito la sua carriera sull’Europa e dunque quello che conta è “Lui”, Letta, e il suo buon rapporto con l’Europa, non l’Italia e i suoi bisogni. 

Se passiamo ad analizzare il modo con il quale ha scelto i suoi membri, balza subito agli occhi che il governo Letta somiglia a uno dei tanti governi esibiti dai paesi emersi di recente alla ribalta della storia, quelli un po’ da ridere, quelli che, dall’alto della propria civiltà, gli italiani erano soliti definire repubbliche delle banane. Una balda “immagine” di avanzata democrazia e sotto il vestito, non il nulla, ma la brutalità della più selvaggia delle dittature (vedi il controllo dei conti correnti) e la castrazione dei sudditi. La storia della campionessa promossa a ministro è stata ormai troppo discussa per dovervisi soffermare, ma è appunto una storia da paesi delle banane. Una cosa però bisogna aggiungerla. È naturale, è ovvio, oltre che tanto noto da aver ispirato innumerevoli barzellette e gag famose come quelle delle interviste di Tognazzi e Vianello ai vincitori di turno, che i campioni dello sport non possiedano particolari doti di pensiero e nessuna competenza per fare qualsiasi cosa tranne che esercitarsi nel proprio sport. Sbalzarli a governare, a fare le leggi, a comandare ai popoli è da stupidi oltre che offensivo per i popoli stessi. Il signor Letta adopera però il populismo di “genere”: perché la canoista Idem e non il calciatore Balotelli? Letta sapeva bene che se avesse nominato ministro Balotelli, anche se molto più famoso e pieno di fans, si sarebbero messi tutti a ridere. 

Adesso, però, c’è la questione della condanna di Berlusconi, capo del partito di governo, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Non discutiamo qui in nessun modo la condanna (comunque medioevale), ma il dato di fatto. Il governo doveva dimettersi, se appunto l’Italia non fosse stata ridotta a repubblica delle banane. Esponenti del Pdl scendono in piazza per protestare contro la condanna mentre altri, compreso il vicecapo del governo, continuano a governare come nulla fosse successo. E osano affermare che questo è un governo per il bene del paese. Il bene del paese sarebbe quello di appartenere ancora alla civiltà democratica.

di Ida Magli 

06 luglio 2013

Berlusconi condannato




Canzano 1- Berlusconi condannato. Una condanna che si presta a più punti di lettura. Mi può dire il suo?
COLLA – Mi sembra abbastanza evidente che lo scopo fosse quello di mettere Berlusconi fuori gioco almeno per un bel pezzo, se non per sempre, indebolendo il centro-destra e creando le premesse per la costruzione di un nuovo scenario favorevole a un riassetto dell’Italia in senso europeista, senza il ricorso alle urne. Il PdL non è solo una struttura che ruota intorno a Berlusconi: è un sistema che si regge interamente su di lui; lasciata a se stessa, collasserebbe nel giro di poco centrifugando i vertici e disperdendo la base. Fatte le debite proporzioni, è un po’ quello che è successo col vecchio Msi di Giorgio Almirante: morto lui, si  è disfatto un mondo — nel bene e nel male.
Canzano 2- Questa condanna è paragonabile alla mala giustizia o, ad una persecuzione ad personam verso Berlusconi?
COLLA – Non vorrei sbagliare, ma mi sembra che sia stato Berlusconi a cominciare, prendendo di mira una parte della magistratura fin dall’inizio della sua discesa in politica, nel 1994, definendo i giudici di Mani Pulite «un’associazione a delinquere con licenza di uccidere che mira a sovvertire l’ordine democratico»: ma uno dei giudici simbolo di Mani Pulite, Gherardo Colombo, insieme a Giuliano Turone aveva indagato nel 1981 sui traffici di Michele Sindona, portando alla luce gli elenchi degli affiliati alla loggia P2 — in quegli elenchi figurava anche il nome di Berlusconi, anche se la cosa sarebbe emersa soltanto anni dopo. E del resto è noto che le fortune del Cavaliere ebbero inizio sotto l’ala di Craxi e del suo entourage, quindi si capisce la scarsa simpatia che Berlusconi ha sempre nutrito per la magistratura (milanese in particolare). Ovviamente, la magistratura non se l’è tenuta e ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione: esattamente come ha fatto Berlusconi stesso per controbattere.
Canzano 3- Possono esserci conseguenze politiche per la stabilità di questo governo di ‘coalizione’?
COLLA – A mio avviso, questo Paese non conosce stabilità proprio da quando Berlusconi è sceso in politica con l’idea di far funzionare l’“azienda Italia” — e parliamo di un ventennio fa. In ogni caso, l’instabilità politica degli ultimi anni, determinata dalla totale assenza di un governo del Paese a causa delle preoccupazioni strettamente personali dell’allora premier, si è assommata all’instabilità economica e sociale probabilmente più grave che l’Italia nazione abbia conosciuto dal primo dopoguerra: pertanto, mi sembra abbastanza chiaro che l’attuale governo di coalizione si regga su un equilibrio temporaneo parecchio traballante e funzionale, suppongo, a scongiurare un altro ricorso alle urne come si diceva prima. Personalmente, ritengo che gli elementi di incertezza a livello planetario siano tali e tanti da rendere impossibile formulare una previsione anche a breve termine, tanto più che gli scenari prossimi venturi sono tutt’altro che rosei: se le stime di Confindustria presentate ieri a Roma sono attendibili, credo che nei prossimi mesi le sorti della politica di governo, le larghe intese e la coalizione potrebbero essere l’ultimo dei problemi per l’uomo della strada.
Canzano 4- Berlusconi che non è gradito alle sinistre, ma, anche nella destra non tutti hanno accettato la sua presenza in politica e il suo successo in questi ultimi anni, perché?
COLLA – In tutta sincerità, ignoro e voglio ignorare cosa si muove nella destra di governo e non. Dall’esterno, mi sono fatta l’idea che quella parte della destra ancora in qualche modo antiatlantista,  anticapitalista e antisistema non sia riuscita ad apprezzare del tutto la spregiudicatezza di Berlusconi. Mi riesce invece più facile capire come la parte più tipicamente “furbetta” della destra filogovernativa, filogarantista e filoliberale emersa nel dopo-Fiuggi possa aver apprezzato proprio una certa disinvoltura nel condurre gli affari e nello strumentalizzare la politica a proprio uso e consumo. Poi aggiungerei l’indubbio fascino del personaggio, che può far presa su un certo tipo di elettore, e la banalizzazione estrema del Führerprinzip, ovvero l’accettazione incondizionata di quello che fa il Capo, perché se uno è il Capo vuol dire che ha ragione lui.
Canzano 5- Il ‘Governo” della nostra penisola produce solo leader che in modo o in un altro diventano “interessanti” alla giustizia, ad “atti” di terrorismo o, “non amati” dai suoi cittadini?
COLLA – Se così fosse, sarebbe preoccupante. Ma in realtà la nostra penisola non è “governata” da un sacco di tempo: credo che si usi la parola “governo” con molta leggerezza e ampia approssimazione. Invece “governare” ha un significato ben preciso: deriva dal greco kybernào, che significa propriamente “reggere il timone” dell’imbarcazione, in senso proprio e figurato. Non a caso personaggi come Mussolini o Mao Tse-tung sono stati raffigurati come timonieri: e il buon timoniere è colui che è in grado di condurre la nave (dello Stato) in un porto sicuro nonostante le tempeste. Direi piuttosto che l’Italia, ultimamente, viene amministrata — e neanche tanto bene. Il compito principale di uno Stato, com’è noto, è garantire ai suoi cittadini sussistenza (cibo, alloggio, lavoro, cure sanitarie...) e sicurezza: da molti anni, ormai, la sicurezza ce la siamo scordata e la sussistenza è sempre più a rischio — penso, per esempio, ai dati sull’aumentato afflusso di richiedenti alle cosiddette mense dei poveri, che sono allarmanti. Credo che il motivo principale stia nel fatto che sembra essersi persa di vista la ricerca del cosiddetto “bene comune”, ossia la capacità di conciliare le esigenze individuali con quelle della collettività, attraverso la gestione ottimale delle risorse attuata dallo Stato. Si è visto, proprio a partire da quella Tangentopoli che segnò il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, come all’interno dello Stato stesso avesse preso piede una tendenza sciagurata alla gestione allegra — clientelare e familiare — di beni e servizi: negli ultimi anni il fenomeno ha raggiunto livelli di gravità inaudita anche grazie al consolidarsi della criminalità organizzata, che da tempo può contare su appoggi politici insospettabili ed efficaci. Questo è stato reso possibile anche dalla progressiva perdita di sovranità nazionale del nostro Paese, sempre più dipendente da poteri che risiedono fuori dal territorio nazionale, e che obbediscono a logiche completamente estranee al concetto di bene comune accennato prima. All’orizzonte non si vede — io, almeno, non vedo nessuno (singolo o gruppo, non importa) in grado di reggere il timone.

Canzano 6- Come vede la discesa in campo di Marina Berlusconi?
COLLA – Preferirei non vederla. Ma ovviamente non dipende da me. Se accadesse, credo che sarebbe la dimostrazione di almeno due cose: l’inoppugnabile primato dell’economia sulla politica, economia divenuta così arrogante da non aver neanche più bisogno di nascondersi; e l’evidente emergere di una nuova dinastia compradora, sancito dai poteri terzi che controllano il nostro Paese. Una sconfitta, a tutti i livelli.

di Alessandra Colla - Giovanna Canzano