29 settembre 2007

Quando le parole uccidono



L’informazione, qualsiasi informazione, quando è confezionata all’interno di un media, è simile a un missile che parte dalla rampa di lancio. Ma l’informazione è sempre più spesso un missile senza guida. Può deviare il proprio percorso, raggiungendo obiettivi non previsti. Nessuno è realmente a conoscenza di chi lo intercetterà e degli effetti che produrrà. L’informazione ha tuttavia un grande alibi: il diritto di cronaca. Il resto sono solo effetti collaterali, come la morte di un ragazzo di 28 anni. Si chiamava Alberto Mercuriali abitava a Castrocaro Terme, località dell’Appennino forlivese, nota per le gare canore delle “Voci nuove”. Poco più di 5mila abitanti. Dove tutti conoscono tutti.
Alberto Mercuriali è un ragazzo mite, forse un po’ introverso, laureato in agronomia. Giovedì 5 luglio, i carabinieri lo notano mentre fuma uno spinello all’esterno di un bar. Addosso ha anche un piccolo quantitativo di hashish, pari a un paio di ‘canne’. Racconta di aver fatto una ragazzata. E poi è incensurato. Ma i carabinieri non si convincono e nella perquisizione a casa trovano altri 50 grammi nascosti fra le pagine di un libro dal titolo “Il regno dell’ombra”. Scatta la denuncia per detenzione di sostanze stupefacenti per fini di spaccio. Sull’operazione, sabato 7 luglio, i carabinieri fanno una conferenza stampa. Domenica 8 luglio Alberto finisce, pur senza la citazione del nome, sulle prime pagine dei giornali locali. E’ una notizia a cui nessun giornalista, in una grande città, avrebbe dedicato più di qualche riga. Ma nell’assolata calura estiva, quando c’è ben poco da raccontare, per i tre giornali a diffusione provinciale la notizia è ghiotta “imbottito di droga:insospettabile agronomo smascherato dai carabinieri…” Con tanto di maxi-foto dei due militari che mostrano il libro dove Alberto teneva i 50 grammi di hashish. Quella domenica il telefono di Alberto ha cominciato a squillare, squillare, squillare. Anche senza il nome citato sui giornali, non ci vuole molto a individuare in lui, “l’agronomo 28enne del paese”. Lunedì 8 luglio Alberto si uccide con il gas di scarico della propria auto. Oggi, a distanza di mesi, c’è un intero paese che ancora si interroga su quella morte assurda. Da un balcone sventola un lenzuolo con scritto “Stop alle notizie che uccidono”. Da un’altra finestra “Io non credo più ai giornali, in memoria di Alberto”. Gli amici non si danno pace per quella morte di “uno che non aveva un nemico e che invece è stato descritto come un narcotrafficante” ed il suo miglior amico, Raffaele annota come “Alberto teneva molto al nome della famiglia, al cognome che portava”.
Il 17 luglio viene organizzata una fiaccolata in memoria di Alberto. Vi partecipano circa 800 persone. Ma sui tre quotidiani non vi è una riga di questa forte protesta promossa dagli amici di Alberto. Il sistema della comunicazione si chiude a riccio. Non accetta di salire sul banco degli imputati anche quando un intero paese esprime fisicamente la propria protesta (se non il proprio disprezzo). Il 10 settembre viene convocata un’ affollatissima assemblea cittadina, nel salone delle Terme di Castrocaro, con il presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna Gerardo Bombonato, il cappellano del carcere don Dario Ciani e don Andrea Gallo di Genova. Dalla rabbia si riesce - con fatica- a passare alla riflessione sul ruolo dell’informazione, all’ importanza che assume nella società moderna. E soprattutto si sottolinea la delicatezza e l’immensa responsabilità dell’informazione. Concorrenza, fretta, voglia di scoop, voglia di stupire non sono giustificazioni accettabili per i relatori, per gli amici di Alberto, per la tanta gente in sala e, sicuramente, per tutte le persone di buonsenso. Viene aperto un blog all’indirizzo http://amicidialberto.blogspot.com/. che si apre con un appello “In memoria di Alberto” sottoscritto da oltre 600 persone. L’appello inizia con la frase “Un articolo può cambiare la vita di un ragazzo. Un giornalista ha cambiato la vita di un ragazzo”.
Maledetto, bellissimo mestiere, alla ricerca quotidiana di ‘mostri da sbattere in prima pagina’, sempre forte coi deboli e debole coi forti, terribilmente incapace di leggere la fragilità degli uomini e soprattutto di chiedere “perdono”.
di Giorgio Tonelli

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29 settembre 2007

Quando le parole uccidono



L’informazione, qualsiasi informazione, quando è confezionata all’interno di un media, è simile a un missile che parte dalla rampa di lancio. Ma l’informazione è sempre più spesso un missile senza guida. Può deviare il proprio percorso, raggiungendo obiettivi non previsti. Nessuno è realmente a conoscenza di chi lo intercetterà e degli effetti che produrrà. L’informazione ha tuttavia un grande alibi: il diritto di cronaca. Il resto sono solo effetti collaterali, come la morte di un ragazzo di 28 anni. Si chiamava Alberto Mercuriali abitava a Castrocaro Terme, località dell’Appennino forlivese, nota per le gare canore delle “Voci nuove”. Poco più di 5mila abitanti. Dove tutti conoscono tutti.
Alberto Mercuriali è un ragazzo mite, forse un po’ introverso, laureato in agronomia. Giovedì 5 luglio, i carabinieri lo notano mentre fuma uno spinello all’esterno di un bar. Addosso ha anche un piccolo quantitativo di hashish, pari a un paio di ‘canne’. Racconta di aver fatto una ragazzata. E poi è incensurato. Ma i carabinieri non si convincono e nella perquisizione a casa trovano altri 50 grammi nascosti fra le pagine di un libro dal titolo “Il regno dell’ombra”. Scatta la denuncia per detenzione di sostanze stupefacenti per fini di spaccio. Sull’operazione, sabato 7 luglio, i carabinieri fanno una conferenza stampa. Domenica 8 luglio Alberto finisce, pur senza la citazione del nome, sulle prime pagine dei giornali locali. E’ una notizia a cui nessun giornalista, in una grande città, avrebbe dedicato più di qualche riga. Ma nell’assolata calura estiva, quando c’è ben poco da raccontare, per i tre giornali a diffusione provinciale la notizia è ghiotta “imbottito di droga:insospettabile agronomo smascherato dai carabinieri…” Con tanto di maxi-foto dei due militari che mostrano il libro dove Alberto teneva i 50 grammi di hashish. Quella domenica il telefono di Alberto ha cominciato a squillare, squillare, squillare. Anche senza il nome citato sui giornali, non ci vuole molto a individuare in lui, “l’agronomo 28enne del paese”. Lunedì 8 luglio Alberto si uccide con il gas di scarico della propria auto. Oggi, a distanza di mesi, c’è un intero paese che ancora si interroga su quella morte assurda. Da un balcone sventola un lenzuolo con scritto “Stop alle notizie che uccidono”. Da un’altra finestra “Io non credo più ai giornali, in memoria di Alberto”. Gli amici non si danno pace per quella morte di “uno che non aveva un nemico e che invece è stato descritto come un narcotrafficante” ed il suo miglior amico, Raffaele annota come “Alberto teneva molto al nome della famiglia, al cognome che portava”.
Il 17 luglio viene organizzata una fiaccolata in memoria di Alberto. Vi partecipano circa 800 persone. Ma sui tre quotidiani non vi è una riga di questa forte protesta promossa dagli amici di Alberto. Il sistema della comunicazione si chiude a riccio. Non accetta di salire sul banco degli imputati anche quando un intero paese esprime fisicamente la propria protesta (se non il proprio disprezzo). Il 10 settembre viene convocata un’ affollatissima assemblea cittadina, nel salone delle Terme di Castrocaro, con il presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna Gerardo Bombonato, il cappellano del carcere don Dario Ciani e don Andrea Gallo di Genova. Dalla rabbia si riesce - con fatica- a passare alla riflessione sul ruolo dell’informazione, all’ importanza che assume nella società moderna. E soprattutto si sottolinea la delicatezza e l’immensa responsabilità dell’informazione. Concorrenza, fretta, voglia di scoop, voglia di stupire non sono giustificazioni accettabili per i relatori, per gli amici di Alberto, per la tanta gente in sala e, sicuramente, per tutte le persone di buonsenso. Viene aperto un blog all’indirizzo http://amicidialberto.blogspot.com/. che si apre con un appello “In memoria di Alberto” sottoscritto da oltre 600 persone. L’appello inizia con la frase “Un articolo può cambiare la vita di un ragazzo. Un giornalista ha cambiato la vita di un ragazzo”.
Maledetto, bellissimo mestiere, alla ricerca quotidiana di ‘mostri da sbattere in prima pagina’, sempre forte coi deboli e debole coi forti, terribilmente incapace di leggere la fragilità degli uomini e soprattutto di chiedere “perdono”.
di Giorgio Tonelli

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