02 marzo 2008

La striscia di Gaza: Olocausto in atto



Mentre i nostri Tg danno informazioni frammentarie e sempre discordanti (te pareva), a Gaza si sta verificando qualcosa che va oltre la guerra preventiva, usando le parole di un indigeno :"OLOCAUSTO".


Il viceministro della Difesa israeliana Matan Vilnai ha minacciato gli abitanti di Gaza con queste parole: «Più intensificano i tiri di Kassam, più attirano su se stessi un olocausto, perché useremo tutta la nostra potenza di fuoco per difenderci».
Testuale.
Vilnai ha usato proprio la parola «olocausto» in relazione ai palestinesi.
Novità assoluta.
A noi goym è vietato usare la parola «olocausto» se non per lo sterminio degli ebrei sotto il nazismo.

La comunità si offende se si usa «olocausto» in altri contesti.
Parlare ad esempio di «olocausto armeno» o di «olocausto dei credenti» sotto Stalin, è sospetto di antisemitismo, perché relativizza l’unico, inconfrontabile olocausto con i fatti di cronaca che hanno colpito i popoli qualunque.
Ora almeno si potrà dire che anche i palestinesi subiscono un olocausto, senza incorrere nelle leggi Mancino-Mastella?
Citare la fonte ebraica, in ogni caso.

Meglio se in giudaico: «Yamitu al azmam shoah gdolah yoter».
Come vedete, si nota la parola «shoah».
Magra consolazione per il milione e mezzo di reclusi di Gaza: in due giorni, le incursioni aeree corazzate israeliane hanno massacrato 32 palestinesi, fra cui quattro ragazzini e un neonato di sei mesi.
E’ la rappresaglia israeliana contro i continui lanci di razzi Kassam, a cui pare si siano aggiunti ora dei «Grad», che sono katiushe da 122 millimetri di vecchia concezione sovietica.
Naturalmente, Sion sostiene che è stato l’Iran a fornire i Grad ad Hamas.
Quindi, bisogna distruggere Hamas.
Reinvadendo Gaza.

Ehud Barak ha mandato messaggi a tutti i leader del mondo annunciando l’invasione, perché i lanci di razzi «di Hamas non lasciano altra scelta ad Israele».
Effettivamente, qualche Grad ha colpito non solo il sobborgo di Sderot, addossato al Muro del lager di Gaza, ma anche la cittadina israeliana di Ashkelon, a 11 miglia di distanza.
E’ rimasto ucciso uno studente universitario del campus, una ragazza è stata ferita, appartamento sono stati danneggiati.
E’ molto strano che le forze armate israeliane – i cui satelliti scrutano ogni metro quadro di Gaza, e che sono in grado di identificare e uccidere dalla stratosfera ogni singolo militante palestinese da loro giudicato sospetto – non riescano a far cessare i lanci.

Dopotutto, nei due giorni scorsi, dei 32 uccisi, diciassette erano – secondo Israele – guerriglieri attivi trucidati con assassinii mirati.
Anche se l’armamento usato, missili ed obici, produce qualche effetto collaterale, su nonne con i loro nipotini e ragazzini che giocavano al calcio.
E’ colpa «di Hamas», ha detto il glorioso Tsahal, che tira i suoi razzi da zone molto popolate (a Gaza non ci sono zone poco abitate, essendo la densità del lager superiore a quella di Hong Kong). Oltretutto, assicura il sito religioso ebraico Arutz Sheva, i quattro ragazzini uccisi, anzitutto erano adolescenti, e poi mica stavano giocando a calcio, questa è propaganda antisemita: invece, spostavano i lanciarazzi quando sono stati colpiti.

E’ vero.
Gli israeliani sanno tutto di quel che si muove a Gaza.
Sanno – come risulta da un comunicato del loro ministero degli Esteri – che «i razzi Grad sono stati contrabbandati in Gaza dall’Iran attraverso l’Egitto, lungo tunnel e le brecce del muro di confine di Rafah» sul lato egiziano.
Eppure non sanno chi spara e come.
Ha proprio ragione McCain: «Bomb, bomb, bomb Iran».
Nel frattempo però, bisogna proprio invadere di nuovo Gaza.

La difesa israeliana fa sapere che tutto è pronto per una «massiccia offensiva terrestre» nel loro campo di concentramento, onde far cadere il governo di Hamas, che non è ancora caduto da sé.
I generali attendono solo che il tempo migliori, poi comincerà l’olocausto dei palestinesi (fonte: Vilnai) nelle strade sovraffollate e nei campi-profughi brulicanti.
Non che finora la vita sia una gioia, nel lager.
Gli attacchi aerei israeliani sono di un’intensità e violenza senza precedenti, secondo lo stesso Arutz Sheva.

Un medico locale, il dottor Mona El Farra, spiega in una mail com’è la vita sotto Sion:
«Il mio sonno è stato per lo più interrotto la notte scorsa, e così quello di mia figlia. Pesantissime mitragliate contro diverse parti della città, e varie parti di Gaza; il suono dei caccia era spaventoso, e anche quello degli elicotteri. Questa mattina, 28 febbraio, è una guerra aperta senza proporzioni; i civili ne pagano il prezzo. 15 persone sono state uccise negli attacchi della notte, anche un bambino di 3 mesi!!!! (mille i bambini uccisi in cinque anni). Mentre camminavo verso il mio posto di lavoro, la Mezzaluna Rossa (non ho carburante nella mia auto, ma sono solo 25 minuti), ho sentito moltissime esplosioni successive, in varie zone della città; ho visto i soldati delle forze di sicurezza star fuori dalle loro caserme, perché sotto minaccia di bombardamento; ho accelerato il passo, temendo il peggio.
Arrivato al posto di lavoro scopro che non abbiamo carburante per l’ambulanza e gli altri veicoli. Non è entrata una goccia di diesel, a Gaza, da 17 giorni. Tutte le nostre riserve mediche sono finite, mio Dio, questo avrà un effetto disastroso…»

«Medici e infermieri lavorano come sempre sotto pressione; e mentre cerco di organizzare un passaggio di materiale sanitario entro Gaza (è una donazione MECA), non so come faccio a vivere in una così pericolosa situazione; e manca l’elettricità, adesso abbiamo 6-8 ore di elettricità al giorno; l’acqua pulita è un grosso problema per quasi tutti gli abitanti di Gaza.
Non ne posso più, sono esausto, svuotato dal dire e ripetervi sempre le stesse cose, e le cose che vanno di peggio in peggio. Perciò cercate di capirmi se non vi scrivo. Ora sono preoccupato soprattutto della mia vita; e di fare fronte alle necessità di forniture mediche. Il mio fine è giustizia e pace. Passate parola».

M. Blondet

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02 marzo 2008

La striscia di Gaza: Olocausto in atto



Mentre i nostri Tg danno informazioni frammentarie e sempre discordanti (te pareva), a Gaza si sta verificando qualcosa che va oltre la guerra preventiva, usando le parole di un indigeno :"OLOCAUSTO".


Il viceministro della Difesa israeliana Matan Vilnai ha minacciato gli abitanti di Gaza con queste parole: «Più intensificano i tiri di Kassam, più attirano su se stessi un olocausto, perché useremo tutta la nostra potenza di fuoco per difenderci».
Testuale.
Vilnai ha usato proprio la parola «olocausto» in relazione ai palestinesi.
Novità assoluta.
A noi goym è vietato usare la parola «olocausto» se non per lo sterminio degli ebrei sotto il nazismo.

La comunità si offende se si usa «olocausto» in altri contesti.
Parlare ad esempio di «olocausto armeno» o di «olocausto dei credenti» sotto Stalin, è sospetto di antisemitismo, perché relativizza l’unico, inconfrontabile olocausto con i fatti di cronaca che hanno colpito i popoli qualunque.
Ora almeno si potrà dire che anche i palestinesi subiscono un olocausto, senza incorrere nelle leggi Mancino-Mastella?
Citare la fonte ebraica, in ogni caso.

Meglio se in giudaico: «Yamitu al azmam shoah gdolah yoter».
Come vedete, si nota la parola «shoah».
Magra consolazione per il milione e mezzo di reclusi di Gaza: in due giorni, le incursioni aeree corazzate israeliane hanno massacrato 32 palestinesi, fra cui quattro ragazzini e un neonato di sei mesi.
E’ la rappresaglia israeliana contro i continui lanci di razzi Kassam, a cui pare si siano aggiunti ora dei «Grad», che sono katiushe da 122 millimetri di vecchia concezione sovietica.
Naturalmente, Sion sostiene che è stato l’Iran a fornire i Grad ad Hamas.
Quindi, bisogna distruggere Hamas.
Reinvadendo Gaza.

Ehud Barak ha mandato messaggi a tutti i leader del mondo annunciando l’invasione, perché i lanci di razzi «di Hamas non lasciano altra scelta ad Israele».
Effettivamente, qualche Grad ha colpito non solo il sobborgo di Sderot, addossato al Muro del lager di Gaza, ma anche la cittadina israeliana di Ashkelon, a 11 miglia di distanza.
E’ rimasto ucciso uno studente universitario del campus, una ragazza è stata ferita, appartamento sono stati danneggiati.
E’ molto strano che le forze armate israeliane – i cui satelliti scrutano ogni metro quadro di Gaza, e che sono in grado di identificare e uccidere dalla stratosfera ogni singolo militante palestinese da loro giudicato sospetto – non riescano a far cessare i lanci.

Dopotutto, nei due giorni scorsi, dei 32 uccisi, diciassette erano – secondo Israele – guerriglieri attivi trucidati con assassinii mirati.
Anche se l’armamento usato, missili ed obici, produce qualche effetto collaterale, su nonne con i loro nipotini e ragazzini che giocavano al calcio.
E’ colpa «di Hamas», ha detto il glorioso Tsahal, che tira i suoi razzi da zone molto popolate (a Gaza non ci sono zone poco abitate, essendo la densità del lager superiore a quella di Hong Kong). Oltretutto, assicura il sito religioso ebraico Arutz Sheva, i quattro ragazzini uccisi, anzitutto erano adolescenti, e poi mica stavano giocando a calcio, questa è propaganda antisemita: invece, spostavano i lanciarazzi quando sono stati colpiti.

E’ vero.
Gli israeliani sanno tutto di quel che si muove a Gaza.
Sanno – come risulta da un comunicato del loro ministero degli Esteri – che «i razzi Grad sono stati contrabbandati in Gaza dall’Iran attraverso l’Egitto, lungo tunnel e le brecce del muro di confine di Rafah» sul lato egiziano.
Eppure non sanno chi spara e come.
Ha proprio ragione McCain: «Bomb, bomb, bomb Iran».
Nel frattempo però, bisogna proprio invadere di nuovo Gaza.

La difesa israeliana fa sapere che tutto è pronto per una «massiccia offensiva terrestre» nel loro campo di concentramento, onde far cadere il governo di Hamas, che non è ancora caduto da sé.
I generali attendono solo che il tempo migliori, poi comincerà l’olocausto dei palestinesi (fonte: Vilnai) nelle strade sovraffollate e nei campi-profughi brulicanti.
Non che finora la vita sia una gioia, nel lager.
Gli attacchi aerei israeliani sono di un’intensità e violenza senza precedenti, secondo lo stesso Arutz Sheva.

Un medico locale, il dottor Mona El Farra, spiega in una mail com’è la vita sotto Sion:
«Il mio sonno è stato per lo più interrotto la notte scorsa, e così quello di mia figlia. Pesantissime mitragliate contro diverse parti della città, e varie parti di Gaza; il suono dei caccia era spaventoso, e anche quello degli elicotteri. Questa mattina, 28 febbraio, è una guerra aperta senza proporzioni; i civili ne pagano il prezzo. 15 persone sono state uccise negli attacchi della notte, anche un bambino di 3 mesi!!!! (mille i bambini uccisi in cinque anni). Mentre camminavo verso il mio posto di lavoro, la Mezzaluna Rossa (non ho carburante nella mia auto, ma sono solo 25 minuti), ho sentito moltissime esplosioni successive, in varie zone della città; ho visto i soldati delle forze di sicurezza star fuori dalle loro caserme, perché sotto minaccia di bombardamento; ho accelerato il passo, temendo il peggio.
Arrivato al posto di lavoro scopro che non abbiamo carburante per l’ambulanza e gli altri veicoli. Non è entrata una goccia di diesel, a Gaza, da 17 giorni. Tutte le nostre riserve mediche sono finite, mio Dio, questo avrà un effetto disastroso…»

«Medici e infermieri lavorano come sempre sotto pressione; e mentre cerco di organizzare un passaggio di materiale sanitario entro Gaza (è una donazione MECA), non so come faccio a vivere in una così pericolosa situazione; e manca l’elettricità, adesso abbiamo 6-8 ore di elettricità al giorno; l’acqua pulita è un grosso problema per quasi tutti gli abitanti di Gaza.
Non ne posso più, sono esausto, svuotato dal dire e ripetervi sempre le stesse cose, e le cose che vanno di peggio in peggio. Perciò cercate di capirmi se non vi scrivo. Ora sono preoccupato soprattutto della mia vita; e di fare fronte alle necessità di forniture mediche. Il mio fine è giustizia e pace. Passate parola».

M. Blondet

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