20 marzo 2008

Le due Torri di falsità


Quasi ignorate dai media le ultime performance di due fedelissimi di Bush, David Libby e Karl Rove, in prima fila per inventare le false prove contro l'Iraq di Saddam Hussein. Ecco le loro vere storie e la ricostruzione di quella diabolica messinscena che ha visto coprotagonisti eccellenti Silvio Berlusconi e Nicolò Pollari.

Sul Corsera del 3 luglio scorso in prima pagina é apparsa la notizia: «David Lewis Libby, condannato a 2 anni e mezzo di reclusione, graziato da George Bush».

Il 14 agosto 2007 Alberto Flores D'Arcais, in un articolo per la Repubblica, scrive «Bush perde il mago delle elezioni, si dimette il guru Karl Rove». Poi nel sottotitolo, «molti insinuano che si tratti di una breve ritirata in vista di una candidatura nelle elezioni del 2008». Solo alla fine si legge: «la sua fama ha avuto un colpo di arresto l'anno scorso, quando distaccato dai suoi compiti nello staff presidenziale per seguire da vicino le elezioni di medio termine, non riuscì ad evitare la sconfitta repubblicana da parte dei democratici di tutte e due le camere del congresso». E finalmente al termine del pezzo: «Diverse ombre si sono addensate su di lui durante il Cia Gate, quando fu ritenuta una delle gole profonde all'origine della fuga di notizie che fece saltare la copertura dell'agente Cia Valerie Plame».

Messe così le cose, il lettore non capisce assolutamente nulla di questi due personaggi e del ruolo che essi hanno svolto alla Casa Bianca in questi ultimi anni. L'unico giornale a riferire qualcosa di vero sulla vita di Karl Rove è stato l'Unità del 14 agosto 2007, che ha scritto: «il primo consigliere politico di George Bush (Karl Rove), dopo essere scampato due anni fa all'inchiesta sul Cia Gate, si trova adesso sotto inchiesta del congresso americano per lo scandalo dei Procuratori licenziati e per una serie di ingerenze nell'attività di varie agenzie governative». Ma anche questo non basta a spiegare cosa é successo. E dunque abbiamo il dovere di tentare di ristabilire la verità su questa storia intricata, colmando le lacune clamorose nell'informazione della stampa internazionale e nazionale: e lo facciamo in tutta umiltà ma anche con preoccupazione. Ricordando ciò che scrisse 70 anni fa Albert Einstein: «I mezzi di comunicazione di massa - la stampa, la radio (a quel tempo non esisteva la tivvù, ndr) - hanno portato all'asservimento di corpi ed anime ad un'autorità strategica mondiale. E in ciò sta la principale fonte di pericolo per l'umanità. Le moderne democrazie, che mascherano regimi tirannici, utilizzano i mezzi di comunicazione come strumenti di disinformazione e di stravolgimento delle coscienze degli uomini per alimentare la paura di massa in funzione delle guerre preventive».

ATTENTI A QUEI DUE
Ritornando ai due nostri “eroi”, rievochiamo alcuni dei punti salienti di quella storia che va sotto il nome di Cia Gate, la quale riguarda anche l'Italia. Essa ci portò alla guerra contro l'Iraq, e a centinaia di migliaia di morti civili, tra cui molti bambini e donne, e ad una tensione e ad una diffusione del terrorismo in tutto il mondo. Cominciamo dal primo. David Lewis Libby, fruendo della grazia di ben due anni e mezzo per un reato contro l'amministrazione della giustizia, non era un signore qualsiasi toccato dalla misericordia di Bush (cosa mai avvenuta per i molti condannati a morte innocenti, tra cui Rocco Derek Barnabei): era l'ex capo di gabinetto di Dick Cheney, vice presidente degli Stati Uniti e dominus da 17 anni della Casa Bianca (Cheney fu anche ministro della difesa di George Bush senior). Il secondo, Karl Rove, braccio destro di George Bush junior, e legato alla destra israeliana di Netanyahu, fu lo stratega che non solo gestì la campagna elettorale di Bush, ma imbastì il grande inganno che portò alla guerra all'Iraq. Entrambi costruirono il casus belli che fu il pretesto per scatenare la guerra illegittima ad un paese indipendente, l'Iraq. Questa storia é raccontata minutamente ne “La grande menzogna” (edizioni Koiné, 2006, autore Ferdinando Imposimato, prefazione di Clementina Forleo). La tesi di fondo del libro, fondata su documenti, dichiarazioni, testimonianze, atti processuali e risultanze delle inchieste del congresso americano, é semplice: la guerra all'Iraq non fu la risposta giusta ed inevitabile degli Stati Uniti e della Gran Bretagna all'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, dietro cui sarebbe stato il perfido e malvagio Saddam Hussein, reo di volersi procurare armi atomiche per distruggere la candida ed innocente America. La Guerra all'Iraq, scatenata contro la volontà della stragrande maggioranza dell'opinione pubblica mondiale, del Papa Giovanni Paolo II, delle Nazioni Unite, benché iniziata il 20 marzo 2003, era stata decisa molto tempo prima. Gli scopi erano molteplici: la conquista delle risorse petrolifere del Medio Oriente, l'estensione del dominio imperiale degli Stati Uniti e il sostegno all'industria bellica americana, che fattura da sola 450 miliardi di dollari l'anno (la stessa cifra che il comparto bellico raggiunge in tutto il resto del mondo. Ed ha un solo cliente: il Pentagono).
IL GRANDE COMPLOTTO

Per giustificare questa guerra ingiusta e suicida, che ancora oggi miete migliaia di vittime innocenti in Iraq ed in tutto il mondo, con effetti sulla pace internazionale non facilmente prevedibili, venne ordito un gigantesco complotto, che vide la partecipazione della Cia, del Mossad, dell'M15 (il servizio britannico) e del Sismi, di alcuni giornalisti del Washington Post e del New York Times, dei principali collaboratori della Casa Bianca e del Pentagono. Ma da chi fu ordito precisamente il complotto? Dagli uomini ombra della Casa Bianca e del Pentagono con l'appoggio di agenti segreti sparsi per il mondo. Costoro riuscirono a costruire dal nulla per Bush, Cheney e Donald Rumsfeld - e contro la verità - «le prove del legame tra Saddam Hussein e l'11 settembre»; e quelle della fornitura di 500 tonnellate di uranio del governo del Niger al dittatore iracheno. Il regista occulto dell'intera operazione fu Dick Cheney, padre padrone della Casa Bianca, da quando cioè riuscì a convincere il vecchio Bush a scatenare, nel 1990, la prima guerra del Golfo.

Ma quale fu il ruolo di Libby e Rove? Non lo si può capire se non si raccontano gli antefatti. La guerra all'Iraq, in realtà, fu preceduta da due false rivelazioni preparate prima dell'11 settembre 2001. La prima fu che Saddam aveva tentato di importare uranio grezzo dal Niger: nove mesi prima dell'11 settembre, il Joint Intelligence Committee britannico (comitato di coordinamento dei servizi segreti inglesi) scrisse in un suo rapporto: «fonti non confermate dicono che gli iracheni sono interessati ad acquistare uranio». La seconda che Saddam Hussein aveva legami con i terroristi dell'11 settembre 2001. Cominciamo dalla prima bugia. Dove nacque questo piano? Certamente in America, tra un gruppo di neocons inseriti nella Casa Bianca e nel Pentagono; di questo gruppo facevano parte Karl Rove, il braccio destro di Bush, David Lewis Libby, il braccio destro di Cheney, e Paul Wolfowitz, l'uomo chiave del Pentagono, il collaboratore principale di Rumsfeld, ovvero il capo del Pentagono. Il piano, concepito negli Usa, fu sviluppato in Inghilterra ed in Italia, dove fu avallato dal premier Silvio Berlusconi, il quale nel 2002, nel corso di una seduta al Senato, fece riferimento agli «elementi di prova sul riarmo di Saddam Hussein, di cui il Governo e le intelligence dell'Alleanza Occidentale sono a conoscenza (una parte di questi é stata resa nota dal primo ministro inglese Tony Blair nel suo intervento ai Comuni, nda)» (La grande menzogna, pagina 61). Due bugie, sia pure autorevoli, non fanno una verità, ma una grande menzogna, che evoca la strategia della tensione degli anni sessanta-ottanta in Italia.
FALSO SU FALSO
Negli Stati Uniti, Rove, definito “il cervello della Casa Bianca”, si procurò documenti falsi sulla fornitura di uranio nigeriano all'Iraq, tramite un suo consigliere, il professor Michael Ledeen, che si autodefinì fascista universale, attivista della destra americana e membro occulto del comitato di crisi che decise la sorte di Aldo Moro. Il documento usato per giustificare la guerra era stato fabbricato ad arte con la notizia di inesistenti armi di distruzione di massa (WMD), documento che Bush e Cheney, e poi Tony Blair e Silvio Berlusconi, usarono per legittimare la guerra all'Iraq. Ma chi diede questi documenti a Ledeen? Qui la storia si fa più complicata e coinvolge anche l'Italia. Ledeen, per creare il falso dossier, utilizzò un ex agente del Sid, Rocco Martino, che contribuì alla costruzione del gigantesco imbroglio sulla inesistente fornitura di 500 tonnellate di uranio del Niger a Saddam Hussein. A raccontarlo sembra un imbroglio all'amatriciana, per la sua grossolanità, eppure fece breccia in molti giornali di prestigio mondiale. Fra il 31 dicembre 2000 e il 1 gennaio 2001 - nove mesi prima dell'11 settembre - si verificò un episodio misterioso nell'ambasciata del Niger a Roma, in via Baiamonte. Detto in poche parole, venne simulato un furto di carta intestata e timbri veri dell'ambasciata del Niger, da usare per la fabbricazione di documenti falsi: il dossier parlava della fornitura dell'uranio del Niger all'Iraq. In realtà un impiegato dell'ambasciata nigerina avrebbe venduto il materiale cartaceo ad un agente Sid, Rocco Martino, protagonista di questo stratagemma. Costui, scoperto ed accusato di avere ordito l'inganno, in varie interviste concesse a giornali stranieri chiamò in causa alcuni non meglio indicati colleghi del Sismi come committenti dell'imbroglio. Per conto di questi Rocco Martino avrebbe agito. Lo scopo - disse Martino - era semplice: il dossier falso doveva essere smistato tra varie ambasciate occidentali senza che apparissero i mandanti italiani, inglesi, israeliani ed americani dell'operazione Niger-uranio-Saddam. Secondo Martino, il dossier era stato preparato dal servizio segreto militare su input del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per servire i desiderata di Bush e di Blair; adoperando lui per diffonderlo. E lui aveva cercato di strumentalizzare la giornalista di Panorama Elisabetta Berba. La quale aveva verificato con scrupolo la notizia e, avendo compreso che si trattava di una menzogna, non scrisse nulla.


ECCO BERLUSCONI

Intanto Nicolò Pollari, chiamato in causa, sconfessò Rocco Martino e negò un suo coinvolgimento nelle vicenda davanti al Copaco (il comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti). Che scagionò il generale Pollari all'unanimità. Nel frattempo anche la Procura della Repubblica di Roma, che aveva iniziato un procedimento penale, archiviò il caso scagionando Pollari. Dopo l'esplosione della guerra contro l'Iraq si scoprì l'imbroglio; e venne alla luce il ruolo degli uomini ombra della Casa Bianca e del Pentagono. Si seppe che nel dicembre 2001, probabilmente all'Hotel Parco dei Principi di Roma (lo stesso che ospitò nel 1966 il summit golpista della destra eversiva), si era tenuto un incontro tra Ledeen, Harold Rhode, membro dell'Office of Special Plans del Pentagono, il ministro della Difesa italiano Antonio Martino, il generale Pollari, e tale Larry Franklin, funzionario del Pentagono ed arrestato dall'Fbi quale agente di Israele. La copertura venne data da Cheney, informato della riunione. Il gruppo spolverò il dossier sull'uranio nigeriano che giunse alla Casa Bianca. Bush aveva il suo casus belli: la giustificazione formale di una guerra già decisa oltre un anno prima dell'11 settembre. La conferma della bugia venne dalla Dia, la Defense Intelligence Agency, che scrisse il 12 febbraio 2002: «Niamed, capitale del Niger, è d'accordo a vendere 500 tonnellate di uranio a Baghdad». La notizia si diffuse anche con l'avallo del governo e dei mass media italiani, la gente ci credette, si spaventò e volle la distruzione di Saddam Hussein.

Qui la storia si fa incandescente. Entrò in campo Cheney con il suo braccio destro Libby. Ed entrò in scena anche Rove. I due rispolverarono il dossier screditato di Rocco Martino e lo passarono a diversi cronisti. Abboccò per primo all'amo il giornalista Clayton Hallamark che raccontò il summit di Roma, allegando un pezzo del rapporto costruito dall'intelligence sulle carte intestate rubate presso l'ambasciata del Niger, preparato da dilettanti amici di Ledeen, collaboratore di Rove. Cheney, letto il rapporto della Dia, incaricò l'ex diplomatico Joseph Wilson di compiere un'inchiesta in Niger per accertare se era vera la storia dell'uranio. Wilson andò e scoprì che i documenti del Sismi erano una grossolana falsificazione. E rifiutò di avallarli, come gli era stato chiesto. Apriti cielo! Il povero Wilson pensava di meritare un encomio solenne per avere svelato l'inganno. Ed invece la cosa non venne presa bene da Cheney, da Bush e dai loro rispettivi collaboratori Rove e Libby. Costoro scesero in campo ed alimentarono la menzogna attraverso la stampa. Ma Wilson non recedette e cercò di ristabilire la verità: il dossier del Sismi avallato da Cheney e da Bush era falso. A questo punto bisognava distruggere la reputazione di Wilson: per fare questo, Rove, Libby ed il funzionario Larry Franklin, spia del Mossad (cui aveva trasmesso dei documenti segreti), passarono ai più autorevoli giornali americani i dossier falsi per la pubblicazione. Libby li consegnò a Judith Miller, che firmò una lunga inchiesta efficace ma piena di bugie. Quelle bugie furono utilizzate e dilatate da Bush, Blair e Cheney. In questa vicenda torbida si distinse per onestà l'Fbi che denunciò Franklin con l'accusa di cospirazione; e Libby per intralcio alla giustizia. Il 6 luglio 2002 Wilson smentì ancora la Casa Bianca e la versione dell'uranio del Niger all'Iraq dei servizi segreti italiani guidati da Pollari. Ma Rove, Libby e Franklin proseguirono nella loro campagna a base di bugie utilizzando i loro amici giornalisti. Robert Novak, del Washington Post, disinformato da Rove, scrisse che Wilson era stato mandato in Niger non dalla Casa Bianca ma dalla Cia, tramite sua moglie Valerie Plame, agente Cia: una verità e una menzogna, questa volta. Era vero che la Plame era agente della Cia, ma era falso che Wilson fosse stato mandato in Niger dalla Cia. Analoga notizia falsa era stata diffusa da Judith Miller su imbeccata di David Libby.

La Miller, poi arrestata, aveva mentito consapevolmente su istigazione di Libby, dietro il quale c'era Cheney. A pagare sul piano penale furono solo Franklin e Libby, incriminati e processati. Si salvò ingiustamente Rove, che fu costretto a dare le dimissioni, ma non fu incriminato. Sottoposto a martellanti domande di una stampa che aveva compreso l'imbroglio, scomparve per qualche tempo facendo perdere le sue tracce. Poi rientrò a fianco di Bush, dopo avere fatto trasferire i magistrati federali. Altro che “due process of Law” americano! Negli Usa c'é stata in questa vicenda una totale subalternità del Pubblico Ministero all'esecutivo ed una dura sconfitta della giustizia. I padrini politici di Libby e Rove hanno dovuto proteggere i loro assistiti: Bush, un santo che non aveva mai fatto miracoli, concesse la grazia a Libby, nel frattempo condannato a due anni e mezzo di carcere. E Rove andò indenne, nonostante il Procuratore Robert Patrick Fitzgerald avesse accertato che alla Casa Bianca, per punire Wilson, i due collaboratori principali di Bush e Cheney avevano rivelato la vera identità e la professione di Valerie Plame; e avevano fatto credere che la versione di Wilson era inquinata dai servizi segreti, cosa non vera.

La sola cosa certa é che Libby e Rove non agirono in proprio, ma come esecutori degli ordini del presidente Bush e del vice Cheney. Si spiega solo in questo modo la generosità di Bush nella concessione della grazia a Libby e l'uscita di scena soft di Rove.

Gli strateghi della guerra preventiva, dunque, non sono stati puniti per la serie di menzogne sull'Iraq. E forse si preparano a ritornare a galla per le prossime elezioni politiche e ad allestire le condizioni di una nuova guerra preventiva.
- da la Voce della Campania
Ferdinando Imposimato

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20 marzo 2008

Le due Torri di falsità


Quasi ignorate dai media le ultime performance di due fedelissimi di Bush, David Libby e Karl Rove, in prima fila per inventare le false prove contro l'Iraq di Saddam Hussein. Ecco le loro vere storie e la ricostruzione di quella diabolica messinscena che ha visto coprotagonisti eccellenti Silvio Berlusconi e Nicolò Pollari.

Sul Corsera del 3 luglio scorso in prima pagina é apparsa la notizia: «David Lewis Libby, condannato a 2 anni e mezzo di reclusione, graziato da George Bush».

Il 14 agosto 2007 Alberto Flores D'Arcais, in un articolo per la Repubblica, scrive «Bush perde il mago delle elezioni, si dimette il guru Karl Rove». Poi nel sottotitolo, «molti insinuano che si tratti di una breve ritirata in vista di una candidatura nelle elezioni del 2008». Solo alla fine si legge: «la sua fama ha avuto un colpo di arresto l'anno scorso, quando distaccato dai suoi compiti nello staff presidenziale per seguire da vicino le elezioni di medio termine, non riuscì ad evitare la sconfitta repubblicana da parte dei democratici di tutte e due le camere del congresso». E finalmente al termine del pezzo: «Diverse ombre si sono addensate su di lui durante il Cia Gate, quando fu ritenuta una delle gole profonde all'origine della fuga di notizie che fece saltare la copertura dell'agente Cia Valerie Plame».

Messe così le cose, il lettore non capisce assolutamente nulla di questi due personaggi e del ruolo che essi hanno svolto alla Casa Bianca in questi ultimi anni. L'unico giornale a riferire qualcosa di vero sulla vita di Karl Rove è stato l'Unità del 14 agosto 2007, che ha scritto: «il primo consigliere politico di George Bush (Karl Rove), dopo essere scampato due anni fa all'inchiesta sul Cia Gate, si trova adesso sotto inchiesta del congresso americano per lo scandalo dei Procuratori licenziati e per una serie di ingerenze nell'attività di varie agenzie governative». Ma anche questo non basta a spiegare cosa é successo. E dunque abbiamo il dovere di tentare di ristabilire la verità su questa storia intricata, colmando le lacune clamorose nell'informazione della stampa internazionale e nazionale: e lo facciamo in tutta umiltà ma anche con preoccupazione. Ricordando ciò che scrisse 70 anni fa Albert Einstein: «I mezzi di comunicazione di massa - la stampa, la radio (a quel tempo non esisteva la tivvù, ndr) - hanno portato all'asservimento di corpi ed anime ad un'autorità strategica mondiale. E in ciò sta la principale fonte di pericolo per l'umanità. Le moderne democrazie, che mascherano regimi tirannici, utilizzano i mezzi di comunicazione come strumenti di disinformazione e di stravolgimento delle coscienze degli uomini per alimentare la paura di massa in funzione delle guerre preventive».

ATTENTI A QUEI DUE
Ritornando ai due nostri “eroi”, rievochiamo alcuni dei punti salienti di quella storia che va sotto il nome di Cia Gate, la quale riguarda anche l'Italia. Essa ci portò alla guerra contro l'Iraq, e a centinaia di migliaia di morti civili, tra cui molti bambini e donne, e ad una tensione e ad una diffusione del terrorismo in tutto il mondo. Cominciamo dal primo. David Lewis Libby, fruendo della grazia di ben due anni e mezzo per un reato contro l'amministrazione della giustizia, non era un signore qualsiasi toccato dalla misericordia di Bush (cosa mai avvenuta per i molti condannati a morte innocenti, tra cui Rocco Derek Barnabei): era l'ex capo di gabinetto di Dick Cheney, vice presidente degli Stati Uniti e dominus da 17 anni della Casa Bianca (Cheney fu anche ministro della difesa di George Bush senior). Il secondo, Karl Rove, braccio destro di George Bush junior, e legato alla destra israeliana di Netanyahu, fu lo stratega che non solo gestì la campagna elettorale di Bush, ma imbastì il grande inganno che portò alla guerra all'Iraq. Entrambi costruirono il casus belli che fu il pretesto per scatenare la guerra illegittima ad un paese indipendente, l'Iraq. Questa storia é raccontata minutamente ne “La grande menzogna” (edizioni Koiné, 2006, autore Ferdinando Imposimato, prefazione di Clementina Forleo). La tesi di fondo del libro, fondata su documenti, dichiarazioni, testimonianze, atti processuali e risultanze delle inchieste del congresso americano, é semplice: la guerra all'Iraq non fu la risposta giusta ed inevitabile degli Stati Uniti e della Gran Bretagna all'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, dietro cui sarebbe stato il perfido e malvagio Saddam Hussein, reo di volersi procurare armi atomiche per distruggere la candida ed innocente America. La Guerra all'Iraq, scatenata contro la volontà della stragrande maggioranza dell'opinione pubblica mondiale, del Papa Giovanni Paolo II, delle Nazioni Unite, benché iniziata il 20 marzo 2003, era stata decisa molto tempo prima. Gli scopi erano molteplici: la conquista delle risorse petrolifere del Medio Oriente, l'estensione del dominio imperiale degli Stati Uniti e il sostegno all'industria bellica americana, che fattura da sola 450 miliardi di dollari l'anno (la stessa cifra che il comparto bellico raggiunge in tutto il resto del mondo. Ed ha un solo cliente: il Pentagono).
IL GRANDE COMPLOTTO

Per giustificare questa guerra ingiusta e suicida, che ancora oggi miete migliaia di vittime innocenti in Iraq ed in tutto il mondo, con effetti sulla pace internazionale non facilmente prevedibili, venne ordito un gigantesco complotto, che vide la partecipazione della Cia, del Mossad, dell'M15 (il servizio britannico) e del Sismi, di alcuni giornalisti del Washington Post e del New York Times, dei principali collaboratori della Casa Bianca e del Pentagono. Ma da chi fu ordito precisamente il complotto? Dagli uomini ombra della Casa Bianca e del Pentagono con l'appoggio di agenti segreti sparsi per il mondo. Costoro riuscirono a costruire dal nulla per Bush, Cheney e Donald Rumsfeld - e contro la verità - «le prove del legame tra Saddam Hussein e l'11 settembre»; e quelle della fornitura di 500 tonnellate di uranio del governo del Niger al dittatore iracheno. Il regista occulto dell'intera operazione fu Dick Cheney, padre padrone della Casa Bianca, da quando cioè riuscì a convincere il vecchio Bush a scatenare, nel 1990, la prima guerra del Golfo.

Ma quale fu il ruolo di Libby e Rove? Non lo si può capire se non si raccontano gli antefatti. La guerra all'Iraq, in realtà, fu preceduta da due false rivelazioni preparate prima dell'11 settembre 2001. La prima fu che Saddam aveva tentato di importare uranio grezzo dal Niger: nove mesi prima dell'11 settembre, il Joint Intelligence Committee britannico (comitato di coordinamento dei servizi segreti inglesi) scrisse in un suo rapporto: «fonti non confermate dicono che gli iracheni sono interessati ad acquistare uranio». La seconda che Saddam Hussein aveva legami con i terroristi dell'11 settembre 2001. Cominciamo dalla prima bugia. Dove nacque questo piano? Certamente in America, tra un gruppo di neocons inseriti nella Casa Bianca e nel Pentagono; di questo gruppo facevano parte Karl Rove, il braccio destro di Bush, David Lewis Libby, il braccio destro di Cheney, e Paul Wolfowitz, l'uomo chiave del Pentagono, il collaboratore principale di Rumsfeld, ovvero il capo del Pentagono. Il piano, concepito negli Usa, fu sviluppato in Inghilterra ed in Italia, dove fu avallato dal premier Silvio Berlusconi, il quale nel 2002, nel corso di una seduta al Senato, fece riferimento agli «elementi di prova sul riarmo di Saddam Hussein, di cui il Governo e le intelligence dell'Alleanza Occidentale sono a conoscenza (una parte di questi é stata resa nota dal primo ministro inglese Tony Blair nel suo intervento ai Comuni, nda)» (La grande menzogna, pagina 61). Due bugie, sia pure autorevoli, non fanno una verità, ma una grande menzogna, che evoca la strategia della tensione degli anni sessanta-ottanta in Italia.
FALSO SU FALSO
Negli Stati Uniti, Rove, definito “il cervello della Casa Bianca”, si procurò documenti falsi sulla fornitura di uranio nigeriano all'Iraq, tramite un suo consigliere, il professor Michael Ledeen, che si autodefinì fascista universale, attivista della destra americana e membro occulto del comitato di crisi che decise la sorte di Aldo Moro. Il documento usato per giustificare la guerra era stato fabbricato ad arte con la notizia di inesistenti armi di distruzione di massa (WMD), documento che Bush e Cheney, e poi Tony Blair e Silvio Berlusconi, usarono per legittimare la guerra all'Iraq. Ma chi diede questi documenti a Ledeen? Qui la storia si fa più complicata e coinvolge anche l'Italia. Ledeen, per creare il falso dossier, utilizzò un ex agente del Sid, Rocco Martino, che contribuì alla costruzione del gigantesco imbroglio sulla inesistente fornitura di 500 tonnellate di uranio del Niger a Saddam Hussein. A raccontarlo sembra un imbroglio all'amatriciana, per la sua grossolanità, eppure fece breccia in molti giornali di prestigio mondiale. Fra il 31 dicembre 2000 e il 1 gennaio 2001 - nove mesi prima dell'11 settembre - si verificò un episodio misterioso nell'ambasciata del Niger a Roma, in via Baiamonte. Detto in poche parole, venne simulato un furto di carta intestata e timbri veri dell'ambasciata del Niger, da usare per la fabbricazione di documenti falsi: il dossier parlava della fornitura dell'uranio del Niger all'Iraq. In realtà un impiegato dell'ambasciata nigerina avrebbe venduto il materiale cartaceo ad un agente Sid, Rocco Martino, protagonista di questo stratagemma. Costui, scoperto ed accusato di avere ordito l'inganno, in varie interviste concesse a giornali stranieri chiamò in causa alcuni non meglio indicati colleghi del Sismi come committenti dell'imbroglio. Per conto di questi Rocco Martino avrebbe agito. Lo scopo - disse Martino - era semplice: il dossier falso doveva essere smistato tra varie ambasciate occidentali senza che apparissero i mandanti italiani, inglesi, israeliani ed americani dell'operazione Niger-uranio-Saddam. Secondo Martino, il dossier era stato preparato dal servizio segreto militare su input del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per servire i desiderata di Bush e di Blair; adoperando lui per diffonderlo. E lui aveva cercato di strumentalizzare la giornalista di Panorama Elisabetta Berba. La quale aveva verificato con scrupolo la notizia e, avendo compreso che si trattava di una menzogna, non scrisse nulla.


ECCO BERLUSCONI

Intanto Nicolò Pollari, chiamato in causa, sconfessò Rocco Martino e negò un suo coinvolgimento nelle vicenda davanti al Copaco (il comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti). Che scagionò il generale Pollari all'unanimità. Nel frattempo anche la Procura della Repubblica di Roma, che aveva iniziato un procedimento penale, archiviò il caso scagionando Pollari. Dopo l'esplosione della guerra contro l'Iraq si scoprì l'imbroglio; e venne alla luce il ruolo degli uomini ombra della Casa Bianca e del Pentagono. Si seppe che nel dicembre 2001, probabilmente all'Hotel Parco dei Principi di Roma (lo stesso che ospitò nel 1966 il summit golpista della destra eversiva), si era tenuto un incontro tra Ledeen, Harold Rhode, membro dell'Office of Special Plans del Pentagono, il ministro della Difesa italiano Antonio Martino, il generale Pollari, e tale Larry Franklin, funzionario del Pentagono ed arrestato dall'Fbi quale agente di Israele. La copertura venne data da Cheney, informato della riunione. Il gruppo spolverò il dossier sull'uranio nigeriano che giunse alla Casa Bianca. Bush aveva il suo casus belli: la giustificazione formale di una guerra già decisa oltre un anno prima dell'11 settembre. La conferma della bugia venne dalla Dia, la Defense Intelligence Agency, che scrisse il 12 febbraio 2002: «Niamed, capitale del Niger, è d'accordo a vendere 500 tonnellate di uranio a Baghdad». La notizia si diffuse anche con l'avallo del governo e dei mass media italiani, la gente ci credette, si spaventò e volle la distruzione di Saddam Hussein.

Qui la storia si fa incandescente. Entrò in campo Cheney con il suo braccio destro Libby. Ed entrò in scena anche Rove. I due rispolverarono il dossier screditato di Rocco Martino e lo passarono a diversi cronisti. Abboccò per primo all'amo il giornalista Clayton Hallamark che raccontò il summit di Roma, allegando un pezzo del rapporto costruito dall'intelligence sulle carte intestate rubate presso l'ambasciata del Niger, preparato da dilettanti amici di Ledeen, collaboratore di Rove. Cheney, letto il rapporto della Dia, incaricò l'ex diplomatico Joseph Wilson di compiere un'inchiesta in Niger per accertare se era vera la storia dell'uranio. Wilson andò e scoprì che i documenti del Sismi erano una grossolana falsificazione. E rifiutò di avallarli, come gli era stato chiesto. Apriti cielo! Il povero Wilson pensava di meritare un encomio solenne per avere svelato l'inganno. Ed invece la cosa non venne presa bene da Cheney, da Bush e dai loro rispettivi collaboratori Rove e Libby. Costoro scesero in campo ed alimentarono la menzogna attraverso la stampa. Ma Wilson non recedette e cercò di ristabilire la verità: il dossier del Sismi avallato da Cheney e da Bush era falso. A questo punto bisognava distruggere la reputazione di Wilson: per fare questo, Rove, Libby ed il funzionario Larry Franklin, spia del Mossad (cui aveva trasmesso dei documenti segreti), passarono ai più autorevoli giornali americani i dossier falsi per la pubblicazione. Libby li consegnò a Judith Miller, che firmò una lunga inchiesta efficace ma piena di bugie. Quelle bugie furono utilizzate e dilatate da Bush, Blair e Cheney. In questa vicenda torbida si distinse per onestà l'Fbi che denunciò Franklin con l'accusa di cospirazione; e Libby per intralcio alla giustizia. Il 6 luglio 2002 Wilson smentì ancora la Casa Bianca e la versione dell'uranio del Niger all'Iraq dei servizi segreti italiani guidati da Pollari. Ma Rove, Libby e Franklin proseguirono nella loro campagna a base di bugie utilizzando i loro amici giornalisti. Robert Novak, del Washington Post, disinformato da Rove, scrisse che Wilson era stato mandato in Niger non dalla Casa Bianca ma dalla Cia, tramite sua moglie Valerie Plame, agente Cia: una verità e una menzogna, questa volta. Era vero che la Plame era agente della Cia, ma era falso che Wilson fosse stato mandato in Niger dalla Cia. Analoga notizia falsa era stata diffusa da Judith Miller su imbeccata di David Libby.

La Miller, poi arrestata, aveva mentito consapevolmente su istigazione di Libby, dietro il quale c'era Cheney. A pagare sul piano penale furono solo Franklin e Libby, incriminati e processati. Si salvò ingiustamente Rove, che fu costretto a dare le dimissioni, ma non fu incriminato. Sottoposto a martellanti domande di una stampa che aveva compreso l'imbroglio, scomparve per qualche tempo facendo perdere le sue tracce. Poi rientrò a fianco di Bush, dopo avere fatto trasferire i magistrati federali. Altro che “due process of Law” americano! Negli Usa c'é stata in questa vicenda una totale subalternità del Pubblico Ministero all'esecutivo ed una dura sconfitta della giustizia. I padrini politici di Libby e Rove hanno dovuto proteggere i loro assistiti: Bush, un santo che non aveva mai fatto miracoli, concesse la grazia a Libby, nel frattempo condannato a due anni e mezzo di carcere. E Rove andò indenne, nonostante il Procuratore Robert Patrick Fitzgerald avesse accertato che alla Casa Bianca, per punire Wilson, i due collaboratori principali di Bush e Cheney avevano rivelato la vera identità e la professione di Valerie Plame; e avevano fatto credere che la versione di Wilson era inquinata dai servizi segreti, cosa non vera.

La sola cosa certa é che Libby e Rove non agirono in proprio, ma come esecutori degli ordini del presidente Bush e del vice Cheney. Si spiega solo in questo modo la generosità di Bush nella concessione della grazia a Libby e l'uscita di scena soft di Rove.

Gli strateghi della guerra preventiva, dunque, non sono stati puniti per la serie di menzogne sull'Iraq. E forse si preparano a ritornare a galla per le prossime elezioni politiche e ad allestire le condizioni di una nuova guerra preventiva.
- da la Voce della Campania
Ferdinando Imposimato

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