16 gennaio 2011

Gli Stati Uniti dichiarano una “guerra finanziaria” al mondo


Il noto economista Michael Hudson – da non confondere con il famoso giornalista investigativo, suo omonimo ma 22 anni più giovane e autore dell’importante libro inchiesta “The Monster”: come una banda di predatori prestatori e i loro banchieri di Wall Street spellarono (sic) gli Stati Uniti e crearono una crisi globale – ha collaborato come consulente ai massimi livelli con grandi banche di Wall Street, lavorando anche tramite il controverso Hudson Institute (legato alla Rand Corporation). Ha progettato nel 1990 il primo fondo del debito sovrano per il Terzo Mondo e aveva previsto con due anni di anticipo lo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti (Harper’s, mayo de 2006).
Pochi conoscono come lui il sistema finanziario degli Stati Uniti dall’interno e oggi, dalla sua cattedra presso l’Università del Missuri (nel Kansas), sembra aver avuto una miracolosa conversione.
È l’autore del libro Superimperialismo: la strategia economica dell’impero americano, che rivela le macchinazioni geopolitiche dell’economia globale gestita dagli Stati Uniti. Il suo nuovo libro “Frattura Globale” tratta del nuovo ordine economico internazionale che verrà a crearsi con la divisione del mondo in blocchi commerciali e valutari, tesi coincidenti con quelle pubblicate nei nostri libri più recenti (www.alfredojalife.com).
Fatti
Lo tsunami finanziario globale provocato dall’israelo-statunitense Ben Shalom Bernanke, discusso governatore della Federal Reserve degli Stati Uniti (vedi Bajo la Lupa, 7 y 10/11/10), è stato pesantemente condannato dal resto del mondo e sembrerebbe destinato ad indebolire anche le vulnerabili finanze dei BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), che per questo si sono già allarmati.
Michael Hudson sostiene che gli Stati Uniti hanno intrapreso una nuova (sic) guerra finanziaria mondiale, che coinvolgerà praticamente tutti (CounterPunch, 11/10/10).
Dotato di una grande sensibilità geopolitica – non comune di solito negli economisti – sottolinea un aspetto poco seguito della guerra finanziaria (che comprende la guerra delle divise) quando gli Stati Uniti ottengono lo stesso obiettivo dei loro eserciti mediante la ricchezza monetaria e l’usurpazione dei beni semplicemente tramite operazioni finanziarie.
Questo perchè le armi e la finanza sono complementari: gli Stati Uniti – e in passato anche la Gran Bretagna – non potrebbe imporre una guerra finanziaria al mondo senza la copertura delle sue testate nucleari. Chi vince la guerra militare impone il suo doppio ordine, quello economico e quello finanziario.
Non è il momento di questionare con Michael Hudson, che si propone di esporre concetti esplosivi: come gli Stati Uniti stampino grosse quantità di carta straccia come moneta dagli schermi dei loro computer (prima 1,7 miliardi di dollari e ora altri 600 milioni di euro) per acquistare tutte le azioni e le obbligazioni del mondo, terreni ed altri beni in vendita, nella speranza di ottenerne guadagni in conto capitale rimborsando (sic) le differenze tramite l’emissione di prestiti ad un tasso inferiore all’1% di interesse. Così funziona il gioco oggi.
Sostiene che “la finanza è una nuova forma di guerra (...). È una gara nella creazione del credito per comprare risorse straniere, beni immobili, infrastrutture pubbliche e poi privatizzarle, obbligazioni societarie e azioni”. La chiave è quella di convincere le banche centrali ad accettare il credito elettronico.
Questo fino ad un certo punto, perchè oggi le banche centrali del BRIC e alcuni degli stati del G-7 (Germania e, in misura minore, la Francia) – con la rimarcabile eccezione del Messico, che resta controllato da un ex dipendente del FMI – si sono ribellati alla finanza globale, contro i furti del monetarismo vigente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna: una vera dittatura delle banche centrali che sono riuscite a mettere da parte una classe politica che non capisce niente di quello che succede e che approva ogni tipo di violenza contro il bene comune, sempre quando le viene riconosciuta la liquidità per far fronte alle spese correnti.
Prima del clamoroso fallimento del G-20 di Seul – fallito a causa dell’effetto Bernanke e che non meritava nemmeno un epitaffio civile da Obama-, Michael Hudson questionava sul grado di masochismo dei Paesi nel soccombere alla finanza anglosassone delle banche centrali: “il mondo è stato costretto a scegliere tra l’anarchia finanziaria e la subordinazione al nuovo nazionalismo economico degli Stati Uniti, cosa che incoraggia i Paesi a creare un sistema finanziario alternativo, con la deludente eccezione del Messico calderonista, che non ha niente a che fare con il G-20 dove solo opera come schiavo degli Stati Uniti”.
Spiega che l’esperimento monetarista è già drammaticamente fallito in Giappone, dove troviamo una recessione e/o una crescita nulla da ormai due decenni. La Cina non è disposta a ripetere il suicidio del Giappone (la rivalutazione dello yen) per beneficiare in modo parassitario del dollaro.
Sostiene che il sistema finanziario internazionale premia la speculazione, che si traduce in stratosferici aumenti di prezzo per distorcere il commercio internazionale e allentare le relazioni di investimento.
A nostro avviso, il grave problema è che le banche degli Stati Uniti vanno verso un fallimento nascosto (la Bank of America è sull’orlo del fallimento ufficiale), non per l’attività del credito, ma perchè sono impegnate a ripulire i loro bilanci dalle poste negative dovute ad una speculazione frenetica.
Secondo Michael Hudson, il sistema è stato destabilizzato per le spese belliche dovute per mantenere l’immunità geopolitica della quale godono gli Stati Uniti. Critica la posizione (sic) dei media che sostengono che il deficit degli Stati Uniti sia in primo luogo commerciale, quando in realtà è ampiamente militare (super sic!). (Nota: la sola avventura di Bush in Iraq costò più di 3 bilioni di dollari, secondo Joseph Stiglitz, The Washington Post, 9/3/08).
Conclusione
Michael Hudson conclude che i paesi (soprattutto i BRIC, che hanno cominciato a creare un sistema parallelo, esteso alla Turchia, all’Argentina, e ad altri membri ribelli del moribondo G-20) possono prevenire la rivalutazione forzata delle loro divise contro la svalutazione forzata del dollaro, in tre modi: 1) raccolta di dollari investiti in titoli del Tesoro degli Stati Uniti; 2) imporre controlli (super sic!) ai capitali; 3) evitare l’uso del dollaro o altro tipo di divisa utilizzato dagli speculatori.
Dopo un flirt con l’oro, Michael Hudson riferisce che si possono ripetere i sistemi che venivano applicati tra gli anni 30 e 50 utilizzando un diverso tasso di cambio a seconda che si trattasse di movimenti finanziari o commerciali. Questo porterebbe alla sparizione del FMI, del Banco Mondiale, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, con la nascita di nuove istituzioni che escluderebbero gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’eurozona.
Non sarebbe male.
Al di là del leggendario nichilismo anglosassone, sarà in discussione la capacità creativa del resto dei paesi – in particolare i BRIC e i paesi emergenti che non hanno perso il desiderio di riparare al danno del colonialismo – per ricostruire il mondo con un nuovo sistema economico e finanziario meno barbaro.
di Alfredo Jalife-Rahme

Traduzione a cura
di Erika Steiner
per italiasociale.net

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16 gennaio 2011

Gli Stati Uniti dichiarano una “guerra finanziaria” al mondo


Il noto economista Michael Hudson – da non confondere con il famoso giornalista investigativo, suo omonimo ma 22 anni più giovane e autore dell’importante libro inchiesta “The Monster”: come una banda di predatori prestatori e i loro banchieri di Wall Street spellarono (sic) gli Stati Uniti e crearono una crisi globale – ha collaborato come consulente ai massimi livelli con grandi banche di Wall Street, lavorando anche tramite il controverso Hudson Institute (legato alla Rand Corporation). Ha progettato nel 1990 il primo fondo del debito sovrano per il Terzo Mondo e aveva previsto con due anni di anticipo lo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti (Harper’s, mayo de 2006).
Pochi conoscono come lui il sistema finanziario degli Stati Uniti dall’interno e oggi, dalla sua cattedra presso l’Università del Missuri (nel Kansas), sembra aver avuto una miracolosa conversione.
È l’autore del libro Superimperialismo: la strategia economica dell’impero americano, che rivela le macchinazioni geopolitiche dell’economia globale gestita dagli Stati Uniti. Il suo nuovo libro “Frattura Globale” tratta del nuovo ordine economico internazionale che verrà a crearsi con la divisione del mondo in blocchi commerciali e valutari, tesi coincidenti con quelle pubblicate nei nostri libri più recenti (www.alfredojalife.com).
Fatti
Lo tsunami finanziario globale provocato dall’israelo-statunitense Ben Shalom Bernanke, discusso governatore della Federal Reserve degli Stati Uniti (vedi Bajo la Lupa, 7 y 10/11/10), è stato pesantemente condannato dal resto del mondo e sembrerebbe destinato ad indebolire anche le vulnerabili finanze dei BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), che per questo si sono già allarmati.
Michael Hudson sostiene che gli Stati Uniti hanno intrapreso una nuova (sic) guerra finanziaria mondiale, che coinvolgerà praticamente tutti (CounterPunch, 11/10/10).
Dotato di una grande sensibilità geopolitica – non comune di solito negli economisti – sottolinea un aspetto poco seguito della guerra finanziaria (che comprende la guerra delle divise) quando gli Stati Uniti ottengono lo stesso obiettivo dei loro eserciti mediante la ricchezza monetaria e l’usurpazione dei beni semplicemente tramite operazioni finanziarie.
Questo perchè le armi e la finanza sono complementari: gli Stati Uniti – e in passato anche la Gran Bretagna – non potrebbe imporre una guerra finanziaria al mondo senza la copertura delle sue testate nucleari. Chi vince la guerra militare impone il suo doppio ordine, quello economico e quello finanziario.
Non è il momento di questionare con Michael Hudson, che si propone di esporre concetti esplosivi: come gli Stati Uniti stampino grosse quantità di carta straccia come moneta dagli schermi dei loro computer (prima 1,7 miliardi di dollari e ora altri 600 milioni di euro) per acquistare tutte le azioni e le obbligazioni del mondo, terreni ed altri beni in vendita, nella speranza di ottenerne guadagni in conto capitale rimborsando (sic) le differenze tramite l’emissione di prestiti ad un tasso inferiore all’1% di interesse. Così funziona il gioco oggi.
Sostiene che “la finanza è una nuova forma di guerra (...). È una gara nella creazione del credito per comprare risorse straniere, beni immobili, infrastrutture pubbliche e poi privatizzarle, obbligazioni societarie e azioni”. La chiave è quella di convincere le banche centrali ad accettare il credito elettronico.
Questo fino ad un certo punto, perchè oggi le banche centrali del BRIC e alcuni degli stati del G-7 (Germania e, in misura minore, la Francia) – con la rimarcabile eccezione del Messico, che resta controllato da un ex dipendente del FMI – si sono ribellati alla finanza globale, contro i furti del monetarismo vigente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna: una vera dittatura delle banche centrali che sono riuscite a mettere da parte una classe politica che non capisce niente di quello che succede e che approva ogni tipo di violenza contro il bene comune, sempre quando le viene riconosciuta la liquidità per far fronte alle spese correnti.
Prima del clamoroso fallimento del G-20 di Seul – fallito a causa dell’effetto Bernanke e che non meritava nemmeno un epitaffio civile da Obama-, Michael Hudson questionava sul grado di masochismo dei Paesi nel soccombere alla finanza anglosassone delle banche centrali: “il mondo è stato costretto a scegliere tra l’anarchia finanziaria e la subordinazione al nuovo nazionalismo economico degli Stati Uniti, cosa che incoraggia i Paesi a creare un sistema finanziario alternativo, con la deludente eccezione del Messico calderonista, che non ha niente a che fare con il G-20 dove solo opera come schiavo degli Stati Uniti”.
Spiega che l’esperimento monetarista è già drammaticamente fallito in Giappone, dove troviamo una recessione e/o una crescita nulla da ormai due decenni. La Cina non è disposta a ripetere il suicidio del Giappone (la rivalutazione dello yen) per beneficiare in modo parassitario del dollaro.
Sostiene che il sistema finanziario internazionale premia la speculazione, che si traduce in stratosferici aumenti di prezzo per distorcere il commercio internazionale e allentare le relazioni di investimento.
A nostro avviso, il grave problema è che le banche degli Stati Uniti vanno verso un fallimento nascosto (la Bank of America è sull’orlo del fallimento ufficiale), non per l’attività del credito, ma perchè sono impegnate a ripulire i loro bilanci dalle poste negative dovute ad una speculazione frenetica.
Secondo Michael Hudson, il sistema è stato destabilizzato per le spese belliche dovute per mantenere l’immunità geopolitica della quale godono gli Stati Uniti. Critica la posizione (sic) dei media che sostengono che il deficit degli Stati Uniti sia in primo luogo commerciale, quando in realtà è ampiamente militare (super sic!). (Nota: la sola avventura di Bush in Iraq costò più di 3 bilioni di dollari, secondo Joseph Stiglitz, The Washington Post, 9/3/08).
Conclusione
Michael Hudson conclude che i paesi (soprattutto i BRIC, che hanno cominciato a creare un sistema parallelo, esteso alla Turchia, all’Argentina, e ad altri membri ribelli del moribondo G-20) possono prevenire la rivalutazione forzata delle loro divise contro la svalutazione forzata del dollaro, in tre modi: 1) raccolta di dollari investiti in titoli del Tesoro degli Stati Uniti; 2) imporre controlli (super sic!) ai capitali; 3) evitare l’uso del dollaro o altro tipo di divisa utilizzato dagli speculatori.
Dopo un flirt con l’oro, Michael Hudson riferisce che si possono ripetere i sistemi che venivano applicati tra gli anni 30 e 50 utilizzando un diverso tasso di cambio a seconda che si trattasse di movimenti finanziari o commerciali. Questo porterebbe alla sparizione del FMI, del Banco Mondiale, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, con la nascita di nuove istituzioni che escluderebbero gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’eurozona.
Non sarebbe male.
Al di là del leggendario nichilismo anglosassone, sarà in discussione la capacità creativa del resto dei paesi – in particolare i BRIC e i paesi emergenti che non hanno perso il desiderio di riparare al danno del colonialismo – per ricostruire il mondo con un nuovo sistema economico e finanziario meno barbaro.
di Alfredo Jalife-Rahme

Traduzione a cura
di Erika Steiner
per italiasociale.net

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