20 giugno 2007

Una vita al contrario. 12.L'appeso


Quando spesso ci accorgiamo che stiamo vivendo sulle nuvole è una sensazione o la constatazione di un mondo al contrario?
Zret

La scuola è una sequela di voti, di compiti in classe, di lezioni aride, di scartoffie, di riti inutili ed insensati. Gli adolescenti sono costretti a spendere i migliori anni della loro vita in un ambiente squallido, stritolati da un ingranaggio assurdo che premia i furbi o, nel migliore dei casi, gli allievi scrupolosi, ma poco intelligenti, laddove i ragazzi creativi, originali, anticonformisti sono, non di rado, condannati all'insuccesso ed all'emarginazione. Si aggiungano i rapporti interpersonali improntati ad insana competitività, invidia, insincerità, livore verso alcuni docenti e compagni. Comprendo che gli animi più sensibili restino feriti ed amareggiati di fronte a tale situazione, eppure la scuola è parte del sistema: terminati gli studi, il mondo del lavoro è un'altra bolgia dantesca, una bolgia di un inferno chiamato mondo.

E' illusorio pensare che, oltre le grigie mura degli edifici scolastici, si estenda una realtà differente. E' una realtà con cui bisogna confrontarsi ogni giorno, ogni attimo, grondante lacrime, sudore e sangue. E' un mondo al contrario dove i pochi giusti sono oltraggiati e perseguitati, in cui i meritevoli restano negletti, mentre la moltitudine infinita degli stolti, dei disonesti e degli ignoranti è osannata e potente. Tuttavia quelle che possono sembrare sconfitte (e, in parte, lo sono) rendono sempre più determinati, l'insofferenza per il sistema ci eleva al di sopra del sistema. Siamo così più forti, quando affrontiamo le sfide del destino. Se una persona non vede storture nelle istituzioni e se non prova insofferenza per tutte le aberrazioni della società, allora bisogna preoccuparsi: quella persona è stata vinta, sopraffatta dalla malvagità, la sua anima è stata annichilita. Chi si oppone, chi, pur tra mille contraddizioni, titubanze e difficoltà, rifiuta lo status quo, sebbene possa essere sconfitto sul piano pratico, è un vincitore sotto il profilo morale e spirituale.

E' inutile invocare riforme del sistema educativo: le riforme peggiorano e, se non cambieremo l'umanità, le riforme, per di più volute ed attuate da chi conosciamo bene, resteranno lettera morta. E' fondamentale, invece, cambiare la nostra condotta e la nostra visione degli eventi, riuscendo a ricavare anche dalle esperienze dolorose e persino irrazionali, un insegnamento, uno sprone per non arrendersi, anche se saremo battuti. La sconfitta è la vittoria, come ci insegna Pessoa.

Anche in un carcere come la scuola, si può maturare qualche esperienza significativa, imparare qualcosa, vivere un momento indimenticabile: può essere un aforisma di un autore, l'emozione dopo aver letto una lirica, il sorriso sincero della compagna di banco... E' poco: lo so, ma l'esistenza è avara di gioie e prodiga di sofferenze. La scuola è un errore ed un orrore, ma è altresì una palestra, perché il mondo al di fuori è pure più spaventoso.

Noi siamo fuori posto, siamo in questo mondo e non solo, come affermava il Messia, non gli apparteniamo, ma siamo anche contro, in nome della speranza di una palingenesi che forse non è un'illusione. Continuiamo a combattere dunque, senza circoscrivere, però, tutte le nostre azioni a questa (ex) "aiuola che ci fa tanto feroci".

Se esiste un senso, non possiamo conoscerlo né comprenderlo del tutto e comunque, nonostante fasi di scoramento e persino di disperazione, parole come resa, indifferenza, arrendevolezza ed approvazione del sistema, non appartengono al nostro vocabolario.

17 giugno 2007

Truffa da 4 miliardi di euro allo stato italiano



Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan, tre fra le principali banche d'affari mondiali, costrette a piegarsi davanti alla porta della Procura di Pescara. Bussano per restituire il maltolto e rinunciare a oltre 600 milioni di euro di crediti maturati con l'erario dopo anni di raggiri. Una gigantesca truffa ai danni dello Stato consumata con i pacchetti azionari di investitori di ogni angolo del globo: europei, americani, asiatici, australiani.

Per riuscire a spillare denaro è stato sufficiente chiedere il rimborso del credito d'imposta sui dividendi delle società italiane, facendo credere all'amministrazione finanziaria di averne diritto. Per incassare c'era solo da aspettare; tanto nessuno controllava. In questo modo, secondo i documenti degli inquirenti che "L'espresso" ha potuto visionare, le banche americane e una lunga serie di altri istituti di credito erano riusciti a mettere le mani su una torta miliardaria.

Un giochetto andato avanti per anni, fino a quando la magistratura non ha affondato il bisturi nel bubbone. E allora per le protagoniste dello scandalo sono cominciati i guai. Passando al setaccio oltre 40 mila richieste di rimborso del credito d'imposta sui dividendi per gli anni 1999-2003, il procuratore di Pescara, Nicola Trifuoggi, e i suoi sostituti Giampiero Di Florio (esperto di reati finanziari) e Giuseppe Bellelli, hanno portato alla luce le dimensioni colossali del raggiro: complessivamente, ben 4 miliardi 300 milioni di euro, quasi una manovra finanziaria. E soprattutto, le responsabilità dei vari protagonisti. La scoperta della truffa sui rimborsi, nome in codice "easy credit", risale al 2005 quando, dopo una indagine sulle richieste inoltrate da società inglesi, il Gruppo repressioni frodi della Guardia di finanza di Roma ha trasmesso un rapporto alla Procura di Pescara, competente per territorio visto che nella città abruzzese ha sede il centro operativo dell'Agenzia delle entrate che si occupa di queste pratiche. Secondo la nostra legislazione il diritto al credito d'imposta sui dividendi spetta unicamente alle società e agli enti residenti in Italia. Alcune convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali, come quelle stipulate dall'Italia con la Gran Bretagna e la Francia (hanno funzionato dal 1992 al 2003), prevedono tuttavia l'estensione di questo diritto anche ai residenti nell'altro Stato contraente.

Cosa hanno fatto le tre banche d'affari per mettere le mani sui rimborsi miliardari italiani? Si sono fatte "prestare" temporaneamente da ogni angolo del mondo, da fondi di investimento e istituti di credito delle più svariate nazionalità, pacchetti azionari in maniera che, al momento dello stacco del dividendo delle società italiane, queste azioni risultassero di proprietà delle loro filiali inglesi Lehman Brothers International Europe, Goldman Sachs International e Jp Morgan Securities Limited, tutte e tre con sede a Londra e perciò titolate a chiedere il rimborso. Una volta incassato il dividendo e maturato il credito, tempo qualche settimana, i titoli azionari venivano restituiti agli effettivi proprietari. Un caso tra i tanti. Il 23 marzo 2001, Banca Intesa riceve dalla Deutsche Bank di Londra l'ordine di prelevare 3 milioni di azioni Eni da un proprio conto per girarle a quello della Lehman Brothers International acceso presso la Citibank di Milano.

Il 5 maggio, puntualmente, le azioni entrano sul conto milanese della Lehman. Il 18 giugno avviene lo stacco del dividendo Eni e meno di un mese dopo, maturato il diritto al rimborso, le azioni fanno il percorso inverso rientrando sul conto londinese della Deutsche Bank. In quei giorni di operazioni di questo tipo ne sono state fatte a migliaia, creando un traffico così intenso da fare quasi scoppiare i portafogli-titoli delle tre banche d'affari. Lehman Brothers international Europe, per esempio, rispetto a una giacenza media nell'intero arco del 2001 di 5 milioni 400 mila azioni Eni, nel mese di giugno vedeva il numero dei titoli petroliferi registrati sul proprio conto milanese superare i 155 milioni. Una grande performance, ma non la sola. Anche Goldman Sachs e Jp Morgan sono state attivissime. La prima, rispetto a una giacenza media annuale di meno di 50 mila titoli Eni, sempre nel giugno 2001 arrivava a possederne 355 milioni. Un record di cui la Guardia di Finanza ha messo a nudo tutte le irregolarità, facendo emergere anche le responsabilità di tutte le altre istituzioni che hanno utilizzato le convenzioni bilaterali sui crediti di imposta sui dividendi firmate dall'Italia. La lista degli accusati alla fine potrebbe essere molto lunga: si parla di un totale di circa 4.500 soggetti finanziari che potrebbero finire presto nel registro degli indagati.

Tra di essi spiccano i nomi di colossi come Merrill Lynch, Nomura International, Citigroup Global Markets Limited e la svizzera Ubs, le cui richieste di rimborso hanno rivelato già imperdonabili pecche agli occhi degli investigatori. Ma sul banco degli imputati ci sono per il momento soprattutto le case madri e le filiali europee di Lehman, Goldman e Jp Morgan, molto note e attive da tanto tempo sul nostro mercato finanziario, avendo per esempio curato alcune delle privatizzazioni fatte negli ultimi dieci anni (Comit e Credito commerciale), per non parlare del ruolo svolto in grandi fusioni societarie (Sai-Fondiaria), nel collocamento di società in Borsa e in quelle dei nostri titoli di Stato sul mercato internazionale. Insieme le tre banche avevano richiesto al fisco 709 milioni di euro di rimborsi, oltre 600 dei quali non dovuti. Una vera e propria stangata per l'erario, scongiurata solo grazie all'intervento della magistratura. Davanti ai pm pescaresi, infatti, sperando di limitare i danni, Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan hanno accettato alla fine un accordo che prevede la loro rinuncia ai 600 milioni di rimborsi non spettanti e la restituzione di 52 milioni già incassati (i soli in tanti anni a causa dei cronici e stavolta provvidenziali ritardi del fisco). "Abbiamo transato; la faccenda è chiusa", commentano a Goldman Sachs. "Siamo soddisfatti", dice invece Lehman Brothers: "Abbiamo cooperato con gli inquirenti; la vicenda si sta chiudendo amichevolmente". Ottimismo giustificato? Non proprio, visto che, nonostante la transazione, le accuse a loro carico restano e sono pesantissime: si va dalla truffa ai danni dello Stato (tentata e consumata) alla responsabilità penale e amministrativa per non avere adottato misure adeguate per evitare che dirigenti e dipendenti commettessero i reati.

Un aspetto molto delicato della vicenda, visto che il comportamento da "furbetti"di Goldman Sachs International di Londra è andato avanti anche negli anni in cui vicepresidente e managing director (amministratore delegato) della società era Mario Draghi, dal dicembre del 2005 governatore della Banca d'Italia. Dalla documentazione acquisita, annotano infatti le Fiamme Gialle in uno dei loro rapporti, è emerso con chiarezza che l'origine e la destinazione finale dei pacchetti azionari movimentati dalle tre filiali europee delle banche d'affari in prossimità dello stacco dei dividendi "sono in realtà riconducibili a investitori residenti in paesi diversi con i quali non risulta stipulata alcuna convenzione che preveda il rimborso del credito di imposta sui dividendi distribuiti da società italiane quotate in Borsa". A chi appartiene per esempio il conto della Deutsche Bank di Londra dal quale Lehman Brothers prende in prestito il pacchetto di azioni Eni nel giugno del 2001? Al fondo Franklin Mutual Series di Short Hills, New Jersey. Un investitore americano: e dunque non titolato a chiedere il rimborso del credito d'imposta. Come non ne avevano diritto gli altri soggetti finanziari dai quali Lehman, Goldman e Jp Morgan hanno preso in prestito quasi tutti gli altri pacchetti azionari. Conclusione amara della Guardia di Finanza: si può "ragionevolmente ipotizzare che le maggiori istituzioni finanziarie estere abbiano costituito un vero e proprio cartello finalizzato ad effettuare in Italia operazioni di "lavaggio dei dividendi"". Un'operazione truffaldina che non si limita alla Gran Bretagna. Se da Londra sono infatti partite richieste sospette di rimborso per 2 miliardi e 200 milioni di euro, anche dalla Francia (l'altro paese con il quale l'Italia ha stipulato un trattato per i crediti d'imposta sui dividendi) sono arrivate istanze per 2 miliardi di euro, molte delle quali inoltrate da Bnp Paribas e Crédit Lyonnais.

Fonte: http://espresso.repubblica.it/

Elettricità senza fili: Tesla docet


Questa volta un gruppo di ricercatori del Mit sembra proprio aver fatto il colpo grosso. Non solo, e non tanto, per aver pubblicamente mostrato, venerdì scorso, la trasmissione di energia elettrica senza fili tra due bobine in rame alla distanza di due metri. Quanto, e soprattutto, per la dimostrazione sperimentale della teoria sottostante, semplice e in accordo con tutte le leggi della fisica. E inspiegabilmente mai indagata da decenni.

Il segreto della lampadina da 60 watt accesa dalla bobina ricevente nel laboratorio del Mit sta infatti in una sola parola: risonanza. Un fenomeno antico come il mondo, in cui due corpi, vibranti alla stessa frequenza, stabiliscono tra sè condizioni ottimali per un rapido e massiccio trasferimento di energia. Esempio classico è il tavolo pieno di bicchieri di cristallo con vino a diversi livelli, ciascuno emette un suono diverso se toccato da un cucchiaio. E se nella stanza un cantante emette la nota giusta uno solo di loro esplode. Perché, in risonanza su quella frequenza, si carica energia acustica emessa dalla voce, fino a provocare la rottura. Ma questo fenomeno può valere non solo nell'acustica, ma altresì nella meccanica e nell'elettromagnetismo.

Questa l'intuizione di Marin Soljacic, il fisico del Mit che per primo ha puntato sulla risonanza magnetica come chiave per la trasmissione di energia. In pratica due bobine in rame magneticamente sincronizzate su 10 megahertz che fondono i propri campi magnetici nei due metri che le separano, e, tramite queste fanno passare "code" di energia, pari al 40% di quella emessa da una delle due bobine. Risultato: abbastanza in ricezione per illuminare la lampada da 60 watt. Ovvero: corrente sufficiente anche per ricaricare la batteria di un notebook.

Il tutto con una soluzione non pericolosa. Il campo magnetico accoppiato non è nocivo per gli esseri umani, nè le correnti, a bassa frequenza, avvertibili o dannose. In realtà, spiegano i ricercatori, le bobine risonanti creano un campo magnetico non irradiante attorno a sè, che tende a contenere l'energia non scambiata con l'altro magnete, senza disperderla nell'ambiente (come invece fanno le antenne dei telefonini). In questo modo un qualsiasi dispositivo elettrico del futuro dotato di un'antenna risonante calibrata sul punto di emissione "succhierà" l'energia necessaria, senza per questo saturare l'ambiente di cariche statiche.

Finora infatti alcuni tentativi di trasmissione elettrica senza fili si valevano di emissioni elettromagnetiche "libere", catturate da speciali (e complicatissimi) chip di "raccolta" di queste frequenze disordinate, spesso di rimbalzo dai muri della stanza. Il campo risonante del Mit, invece, fa da ponte all'energia anche in presenza di ostacoli metallici, o di persone tra le due bobine. Una scoperta semplice e fondamentale, insomma, con un'applicabilità pratica estremamente promettente. Al punto che il team bostoniano ha subito coniato per lei il termine WiTricity (wireless electricity). Candidato a un luminosa carriera.
Caravita

20 giugno 2007

Una vita al contrario. 12.L'appeso


Quando spesso ci accorgiamo che stiamo vivendo sulle nuvole è una sensazione o la constatazione di un mondo al contrario?
Zret

La scuola è una sequela di voti, di compiti in classe, di lezioni aride, di scartoffie, di riti inutili ed insensati. Gli adolescenti sono costretti a spendere i migliori anni della loro vita in un ambiente squallido, stritolati da un ingranaggio assurdo che premia i furbi o, nel migliore dei casi, gli allievi scrupolosi, ma poco intelligenti, laddove i ragazzi creativi, originali, anticonformisti sono, non di rado, condannati all'insuccesso ed all'emarginazione. Si aggiungano i rapporti interpersonali improntati ad insana competitività, invidia, insincerità, livore verso alcuni docenti e compagni. Comprendo che gli animi più sensibili restino feriti ed amareggiati di fronte a tale situazione, eppure la scuola è parte del sistema: terminati gli studi, il mondo del lavoro è un'altra bolgia dantesca, una bolgia di un inferno chiamato mondo.

E' illusorio pensare che, oltre le grigie mura degli edifici scolastici, si estenda una realtà differente. E' una realtà con cui bisogna confrontarsi ogni giorno, ogni attimo, grondante lacrime, sudore e sangue. E' un mondo al contrario dove i pochi giusti sono oltraggiati e perseguitati, in cui i meritevoli restano negletti, mentre la moltitudine infinita degli stolti, dei disonesti e degli ignoranti è osannata e potente. Tuttavia quelle che possono sembrare sconfitte (e, in parte, lo sono) rendono sempre più determinati, l'insofferenza per il sistema ci eleva al di sopra del sistema. Siamo così più forti, quando affrontiamo le sfide del destino. Se una persona non vede storture nelle istituzioni e se non prova insofferenza per tutte le aberrazioni della società, allora bisogna preoccuparsi: quella persona è stata vinta, sopraffatta dalla malvagità, la sua anima è stata annichilita. Chi si oppone, chi, pur tra mille contraddizioni, titubanze e difficoltà, rifiuta lo status quo, sebbene possa essere sconfitto sul piano pratico, è un vincitore sotto il profilo morale e spirituale.

E' inutile invocare riforme del sistema educativo: le riforme peggiorano e, se non cambieremo l'umanità, le riforme, per di più volute ed attuate da chi conosciamo bene, resteranno lettera morta. E' fondamentale, invece, cambiare la nostra condotta e la nostra visione degli eventi, riuscendo a ricavare anche dalle esperienze dolorose e persino irrazionali, un insegnamento, uno sprone per non arrendersi, anche se saremo battuti. La sconfitta è la vittoria, come ci insegna Pessoa.

Anche in un carcere come la scuola, si può maturare qualche esperienza significativa, imparare qualcosa, vivere un momento indimenticabile: può essere un aforisma di un autore, l'emozione dopo aver letto una lirica, il sorriso sincero della compagna di banco... E' poco: lo so, ma l'esistenza è avara di gioie e prodiga di sofferenze. La scuola è un errore ed un orrore, ma è altresì una palestra, perché il mondo al di fuori è pure più spaventoso.

Noi siamo fuori posto, siamo in questo mondo e non solo, come affermava il Messia, non gli apparteniamo, ma siamo anche contro, in nome della speranza di una palingenesi che forse non è un'illusione. Continuiamo a combattere dunque, senza circoscrivere, però, tutte le nostre azioni a questa (ex) "aiuola che ci fa tanto feroci".

Se esiste un senso, non possiamo conoscerlo né comprenderlo del tutto e comunque, nonostante fasi di scoramento e persino di disperazione, parole come resa, indifferenza, arrendevolezza ed approvazione del sistema, non appartengono al nostro vocabolario.

17 giugno 2007

Truffa da 4 miliardi di euro allo stato italiano



Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan, tre fra le principali banche d'affari mondiali, costrette a piegarsi davanti alla porta della Procura di Pescara. Bussano per restituire il maltolto e rinunciare a oltre 600 milioni di euro di crediti maturati con l'erario dopo anni di raggiri. Una gigantesca truffa ai danni dello Stato consumata con i pacchetti azionari di investitori di ogni angolo del globo: europei, americani, asiatici, australiani.

Per riuscire a spillare denaro è stato sufficiente chiedere il rimborso del credito d'imposta sui dividendi delle società italiane, facendo credere all'amministrazione finanziaria di averne diritto. Per incassare c'era solo da aspettare; tanto nessuno controllava. In questo modo, secondo i documenti degli inquirenti che "L'espresso" ha potuto visionare, le banche americane e una lunga serie di altri istituti di credito erano riusciti a mettere le mani su una torta miliardaria.

Un giochetto andato avanti per anni, fino a quando la magistratura non ha affondato il bisturi nel bubbone. E allora per le protagoniste dello scandalo sono cominciati i guai. Passando al setaccio oltre 40 mila richieste di rimborso del credito d'imposta sui dividendi per gli anni 1999-2003, il procuratore di Pescara, Nicola Trifuoggi, e i suoi sostituti Giampiero Di Florio (esperto di reati finanziari) e Giuseppe Bellelli, hanno portato alla luce le dimensioni colossali del raggiro: complessivamente, ben 4 miliardi 300 milioni di euro, quasi una manovra finanziaria. E soprattutto, le responsabilità dei vari protagonisti. La scoperta della truffa sui rimborsi, nome in codice "easy credit", risale al 2005 quando, dopo una indagine sulle richieste inoltrate da società inglesi, il Gruppo repressioni frodi della Guardia di finanza di Roma ha trasmesso un rapporto alla Procura di Pescara, competente per territorio visto che nella città abruzzese ha sede il centro operativo dell'Agenzia delle entrate che si occupa di queste pratiche. Secondo la nostra legislazione il diritto al credito d'imposta sui dividendi spetta unicamente alle società e agli enti residenti in Italia. Alcune convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali, come quelle stipulate dall'Italia con la Gran Bretagna e la Francia (hanno funzionato dal 1992 al 2003), prevedono tuttavia l'estensione di questo diritto anche ai residenti nell'altro Stato contraente.

Cosa hanno fatto le tre banche d'affari per mettere le mani sui rimborsi miliardari italiani? Si sono fatte "prestare" temporaneamente da ogni angolo del mondo, da fondi di investimento e istituti di credito delle più svariate nazionalità, pacchetti azionari in maniera che, al momento dello stacco del dividendo delle società italiane, queste azioni risultassero di proprietà delle loro filiali inglesi Lehman Brothers International Europe, Goldman Sachs International e Jp Morgan Securities Limited, tutte e tre con sede a Londra e perciò titolate a chiedere il rimborso. Una volta incassato il dividendo e maturato il credito, tempo qualche settimana, i titoli azionari venivano restituiti agli effettivi proprietari. Un caso tra i tanti. Il 23 marzo 2001, Banca Intesa riceve dalla Deutsche Bank di Londra l'ordine di prelevare 3 milioni di azioni Eni da un proprio conto per girarle a quello della Lehman Brothers International acceso presso la Citibank di Milano.

Il 5 maggio, puntualmente, le azioni entrano sul conto milanese della Lehman. Il 18 giugno avviene lo stacco del dividendo Eni e meno di un mese dopo, maturato il diritto al rimborso, le azioni fanno il percorso inverso rientrando sul conto londinese della Deutsche Bank. In quei giorni di operazioni di questo tipo ne sono state fatte a migliaia, creando un traffico così intenso da fare quasi scoppiare i portafogli-titoli delle tre banche d'affari. Lehman Brothers international Europe, per esempio, rispetto a una giacenza media nell'intero arco del 2001 di 5 milioni 400 mila azioni Eni, nel mese di giugno vedeva il numero dei titoli petroliferi registrati sul proprio conto milanese superare i 155 milioni. Una grande performance, ma non la sola. Anche Goldman Sachs e Jp Morgan sono state attivissime. La prima, rispetto a una giacenza media annuale di meno di 50 mila titoli Eni, sempre nel giugno 2001 arrivava a possederne 355 milioni. Un record di cui la Guardia di Finanza ha messo a nudo tutte le irregolarità, facendo emergere anche le responsabilità di tutte le altre istituzioni che hanno utilizzato le convenzioni bilaterali sui crediti di imposta sui dividendi firmate dall'Italia. La lista degli accusati alla fine potrebbe essere molto lunga: si parla di un totale di circa 4.500 soggetti finanziari che potrebbero finire presto nel registro degli indagati.

Tra di essi spiccano i nomi di colossi come Merrill Lynch, Nomura International, Citigroup Global Markets Limited e la svizzera Ubs, le cui richieste di rimborso hanno rivelato già imperdonabili pecche agli occhi degli investigatori. Ma sul banco degli imputati ci sono per il momento soprattutto le case madri e le filiali europee di Lehman, Goldman e Jp Morgan, molto note e attive da tanto tempo sul nostro mercato finanziario, avendo per esempio curato alcune delle privatizzazioni fatte negli ultimi dieci anni (Comit e Credito commerciale), per non parlare del ruolo svolto in grandi fusioni societarie (Sai-Fondiaria), nel collocamento di società in Borsa e in quelle dei nostri titoli di Stato sul mercato internazionale. Insieme le tre banche avevano richiesto al fisco 709 milioni di euro di rimborsi, oltre 600 dei quali non dovuti. Una vera e propria stangata per l'erario, scongiurata solo grazie all'intervento della magistratura. Davanti ai pm pescaresi, infatti, sperando di limitare i danni, Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan hanno accettato alla fine un accordo che prevede la loro rinuncia ai 600 milioni di rimborsi non spettanti e la restituzione di 52 milioni già incassati (i soli in tanti anni a causa dei cronici e stavolta provvidenziali ritardi del fisco). "Abbiamo transato; la faccenda è chiusa", commentano a Goldman Sachs. "Siamo soddisfatti", dice invece Lehman Brothers: "Abbiamo cooperato con gli inquirenti; la vicenda si sta chiudendo amichevolmente". Ottimismo giustificato? Non proprio, visto che, nonostante la transazione, le accuse a loro carico restano e sono pesantissime: si va dalla truffa ai danni dello Stato (tentata e consumata) alla responsabilità penale e amministrativa per non avere adottato misure adeguate per evitare che dirigenti e dipendenti commettessero i reati.

Un aspetto molto delicato della vicenda, visto che il comportamento da "furbetti"di Goldman Sachs International di Londra è andato avanti anche negli anni in cui vicepresidente e managing director (amministratore delegato) della società era Mario Draghi, dal dicembre del 2005 governatore della Banca d'Italia. Dalla documentazione acquisita, annotano infatti le Fiamme Gialle in uno dei loro rapporti, è emerso con chiarezza che l'origine e la destinazione finale dei pacchetti azionari movimentati dalle tre filiali europee delle banche d'affari in prossimità dello stacco dei dividendi "sono in realtà riconducibili a investitori residenti in paesi diversi con i quali non risulta stipulata alcuna convenzione che preveda il rimborso del credito di imposta sui dividendi distribuiti da società italiane quotate in Borsa". A chi appartiene per esempio il conto della Deutsche Bank di Londra dal quale Lehman Brothers prende in prestito il pacchetto di azioni Eni nel giugno del 2001? Al fondo Franklin Mutual Series di Short Hills, New Jersey. Un investitore americano: e dunque non titolato a chiedere il rimborso del credito d'imposta. Come non ne avevano diritto gli altri soggetti finanziari dai quali Lehman, Goldman e Jp Morgan hanno preso in prestito quasi tutti gli altri pacchetti azionari. Conclusione amara della Guardia di Finanza: si può "ragionevolmente ipotizzare che le maggiori istituzioni finanziarie estere abbiano costituito un vero e proprio cartello finalizzato ad effettuare in Italia operazioni di "lavaggio dei dividendi"". Un'operazione truffaldina che non si limita alla Gran Bretagna. Se da Londra sono infatti partite richieste sospette di rimborso per 2 miliardi e 200 milioni di euro, anche dalla Francia (l'altro paese con il quale l'Italia ha stipulato un trattato per i crediti d'imposta sui dividendi) sono arrivate istanze per 2 miliardi di euro, molte delle quali inoltrate da Bnp Paribas e Crédit Lyonnais.

Fonte: http://espresso.repubblica.it/

Elettricità senza fili: Tesla docet


Questa volta un gruppo di ricercatori del Mit sembra proprio aver fatto il colpo grosso. Non solo, e non tanto, per aver pubblicamente mostrato, venerdì scorso, la trasmissione di energia elettrica senza fili tra due bobine in rame alla distanza di due metri. Quanto, e soprattutto, per la dimostrazione sperimentale della teoria sottostante, semplice e in accordo con tutte le leggi della fisica. E inspiegabilmente mai indagata da decenni.

Il segreto della lampadina da 60 watt accesa dalla bobina ricevente nel laboratorio del Mit sta infatti in una sola parola: risonanza. Un fenomeno antico come il mondo, in cui due corpi, vibranti alla stessa frequenza, stabiliscono tra sè condizioni ottimali per un rapido e massiccio trasferimento di energia. Esempio classico è il tavolo pieno di bicchieri di cristallo con vino a diversi livelli, ciascuno emette un suono diverso se toccato da un cucchiaio. E se nella stanza un cantante emette la nota giusta uno solo di loro esplode. Perché, in risonanza su quella frequenza, si carica energia acustica emessa dalla voce, fino a provocare la rottura. Ma questo fenomeno può valere non solo nell'acustica, ma altresì nella meccanica e nell'elettromagnetismo.

Questa l'intuizione di Marin Soljacic, il fisico del Mit che per primo ha puntato sulla risonanza magnetica come chiave per la trasmissione di energia. In pratica due bobine in rame magneticamente sincronizzate su 10 megahertz che fondono i propri campi magnetici nei due metri che le separano, e, tramite queste fanno passare "code" di energia, pari al 40% di quella emessa da una delle due bobine. Risultato: abbastanza in ricezione per illuminare la lampada da 60 watt. Ovvero: corrente sufficiente anche per ricaricare la batteria di un notebook.

Il tutto con una soluzione non pericolosa. Il campo magnetico accoppiato non è nocivo per gli esseri umani, nè le correnti, a bassa frequenza, avvertibili o dannose. In realtà, spiegano i ricercatori, le bobine risonanti creano un campo magnetico non irradiante attorno a sè, che tende a contenere l'energia non scambiata con l'altro magnete, senza disperderla nell'ambiente (come invece fanno le antenne dei telefonini). In questo modo un qualsiasi dispositivo elettrico del futuro dotato di un'antenna risonante calibrata sul punto di emissione "succhierà" l'energia necessaria, senza per questo saturare l'ambiente di cariche statiche.

Finora infatti alcuni tentativi di trasmissione elettrica senza fili si valevano di emissioni elettromagnetiche "libere", catturate da speciali (e complicatissimi) chip di "raccolta" di queste frequenze disordinate, spesso di rimbalzo dai muri della stanza. Il campo risonante del Mit, invece, fa da ponte all'energia anche in presenza di ostacoli metallici, o di persone tra le due bobine. Una scoperta semplice e fondamentale, insomma, con un'applicabilità pratica estremamente promettente. Al punto che il team bostoniano ha subito coniato per lei il termine WiTricity (wireless electricity). Candidato a un luminosa carriera.
Caravita