04 ottobre 2007

BANCA CENTRALE EUROPEA e i suoi legami con la MASSONERIA


Ovvero: "Paperinik e il sospetto di Ciccio"

L’editoriale del numero scorso sulle anomalie giuridiche della Banca d’Italia [La Banca d'Italia, ovvero il secondo tragico Fantozzi e la corazzata Potemkin] ha riscosso vari commenti e per questo motivo anche in questo numero ci occupiamo di anomalie del sistema bancario, in particolare della BCE.

Prima però parliamo di fumetti.

Questa estate mi sono dedicato a letture molto produttive e ho riletto un fumetto cult della mia infanzia. In una delle storie più divertenti, Zio Paperone, Paperino e le Giovani marmotte vanno sull’Isola di Pasqua per cercare di svelare un mistero che è rimasto insoluto da secoli: quello della misteriosa iscrizione sui giganti di pietra dell’Isola di Pasqua, ove compare un’incisione “ESSOF IK EGGEL” che da secoli scienziati di tutte le categorie non riescono a svelare. Sennonché la Giovani marmotte riescono finalmente a svelare il mistero grazie al manuale della giovani marmotte. (NdA: Il significato della frase è: Fesso chi legge).

Un’altra storia molto carina è quella che si intitola “Paperinik e il sospetto di Ciccio”, ove Ciccio, il nipote di Nonna Papera, aveva il “leggerissimo” sospetto che Paperinik fosse in realtà Paperino e quindi quest’ultimo faceva di tutto per sviare questi assurdi sospetti.

La cosa che mi faceva ridere è che Paperino e Paperinik avevano la stessa faccia, un po’ come Superman e Clark Kent, però nessuno mai aveva pensato a questo scambio di identità.

Negli stessi mesi, quando passavo a lettura più serie, i settimanali e le cronache sono state occupate anche da due vicende giudiziarie inerenti la massoneria.

Queste inchieste hanno fatto poi partire la consueta polemica, che ciclicamente si presenta alla stampa, cioè quella sulla legittimità o meno di questa istituzione, cosa su cui non mi voglio soffermare perché il problema è complesso, e non è questo il luogo e la sede.

Mi è però venuto da sorridere quando ho letto su un giornale di “misteriosi legami tra banche e massoneria”. Non riesco a capire cosa ci sia di misterioso, infatti, e questo enigma mi ha fatto fare un parallelo con quello dell’Isola di Pasqua, o della vera identità di Paperinik.

Nello scorso editoriale abbiamo parlato della Banca D’Italia. Parliamo oggi della Banca Centrale Europea. Chi è esperto di diritto bancario, o di diritto europeo, sa che la BCE è l’organo della UE formato dalle banche centrali degli stati europei.

Tuttavia tra i partecipanti al capitale figura anche la Banca d’Inghilterra. E tale banca ha una partecipazione di non poco conto: il 16 per cento, cioè una percentuale addirittura più alta di quella della Banca d’Italia o della banca centrale spagnola. A questo punto uno si domanda perché la Banca d’Inghilterra debba avere partecipazioni in una Banca che teoricamente dovrebbe essere partecipata solo dai paesi dell’area euro. E soprattutto: come è possibile che essa abbia addirittura più potere di altre banche centrali dell’area euro?

Dal momento che la BCE determina la politica monetaria europea, e quindi dalle sue decisioni dipendono fondamentali rapporti di forza economica con gli altri stati del mondo, è assai strano che la Banca centrale di un paese estraneo possa influenzare le sorti dei paesi dell’area Euro.

Andando sul sito ufficiale della Banca d’Inghilterra si apprende che i dirigenti della Banca d’Inghilterra sono nominati dalla Corona.

Conclusioni: la corona inglese ha il potere di influenzare la politica economica europea.

Per cercare di risolvere il mistero, vado a vedere cosa dicono i manuali istituzionali per vedere se sono spiegate le ragioni giuridiche di questa stranezza.

Digesto delle discipline pubblicistiche UTET. Questo dovrebbe essere un testo istituzionale, una specie di Bibbia del diritto pubblico. Risultato: niente. Non esiste una voce Banca centrale europea, in compenso nel volume che contiene la lettera B trovo delle voci senz’altro di grandissimo interesse per il giurista come Barbiere e Parrucchiere, nonché Banca Islamica. La BCE è contenuta all’interno della voce “Istituzioni comunitarie”, al paragrafo 29, per un totale di una colonna e qualche riga. Evidentemente si è ritenuto che per il giurista non sia importante sapere come funziona l’organo che detiene il potere di emettere moneta e quindi nessun cenno ai partecipanti al capitale di questo organo. In compenso mi domando il motivo per cui dovrebbe essere interessante per un giurista consultare le seguenti singole voci dello stesso volume A-C: Cacao e cioccolata; Burro strutto e margarina; “Caffè” e finanche “Chierici”.

Passo allora al Trattato di diritto amministrativo diretto da Sabino Cassese. Niente.

Passo alle riviste. Vediamo una delle più autorevoli, Foroeuropa, edita dal Poligrafico dello stato con il patrocinio del parlamento Europeo. Ricerca per estremi: Nulla.

Vado alla ricerca della soluzione del problema sulle altre enciclopedie giuridiche.

E così via.

Insomma, la ragione dell’interferenza della banca d’Inghilterra nella Banca Centrale Europea, che in fondo si sostanzia in una vera e propria cessione di sovranità ad uno stato estero, non giustificata da alcuna norma costituzionale o di altro tipo, ce la dobbiamo cercare da soli.

Chi fosse esperto di massoneria, intendendo con tale aggettivo non un investigatore o un magistrato al corrente di chissà quali oscuri segreti, ma semplicemente una persona che si informa di ciò che della massoneria è ufficiale, nei siti e/o nei dizionari ufficiali massonici, saprebbe che per tradizione storica la corona inglese è anche al vertice della Loggia Madre d’inghilterra. Nei secoli quindi il Re d’Inghilterra è sempre stato anche al vertice della massoneria mondiale. Come dire, il vertice della massoneria mondiale controlla la Banca più potente del mondo, che controlla a cascata tutte le altre banche mondiali, BCE e Federal Reserve compresa.

Quindi viene da sorridere quando magistrati e/o politici parlano di “misteriosi” rapporti tra banche e massoneria.

La cosa è talmente nota che ultimamente all’università di Napoli è stata addirittura presentata una tesi di laurea su questi problemi. ( La tesi si trova on line su www.tesionline.it)

Dove sia questo “mistero” francamente io non lo vedo; mi pare, appunto, il sospetto di Ciccio.

Credo invece che il vero mistero sia un altro, questo sì, inquietante e irrisolvibile: perché sulle enciclopedie del diritto non hanno ritenuto di dedicare una voce alla BCE, ma hanno ritenuto degne di interesse la voce Burro, strutto e margarina? Quali oscure trame si nascondono dietro la scelta di inserire “Cacao e cioccolata” in un Digesto? E la voce “Aceto”?

Inoltre altre domande inquietanti si profilano all’orizzonte. Perché non esiste una voce sulla Nutella?

Questi sono i veri misteri d’Italia.

Per capire il problema del regime giuridico delle banche centrali, invece, non è necessaria una voce del Digesto, e probabilmente è per questo che non è stata inserita, ma la lettura attenta degli albi di Topolino sopra citati, o della tesi di laurea citata.

P.S. Lo so. Gli editoriali dei numeri scorsi erano più divertenti e questo non fa proprio ridere. Il punto è che con questi argomenti c’è poco da scherzare ma questo editoriale contiene un messaggio in codice, come nelle statue dell’isola di Pasqua. E prometto che dal prossimo editoriale torno a parlare di danno esistenziale, causa del contratto, ecc…

Fonte: http://www.altalex.com/

29 settembre 2007

Blog: i nuovi MEDIA


«Qualcuno doveva alzarsi a dire che la democrazia non può sopravvivere con queste interferenze delle corporation e del governo sui mezzi di informazione»: si è vantato così Dan Rather, il celebre anchorman, davanti a Larry King, l'altro celeberrimo anchorman.Poi,Rupert Murdoch da anni avverte i suoi compari editori che la rete sta demolendo i media classici e la loro presunta autorevolezza.
L'ha fatto nel 2005 in modo molto esplicito : «Io sono cresciuto in un mondo informativo altamente centralizzato, dove le notizie erano strettamente controllate da pochi direttori, che ci dicevano cosa potevamo e dovevamo sapere. Le mie due figlie giovani, sono nate nel mondo digitale.
Noi che siamo in posizione di determinare come le informazioni vengono confezionate e diffuse, in questo mondo digitale siamo immigrati freschi. Ci dobbiamo 'sforzare' di applicare la mentalità digitale … dobbiamo capire che la prossima generazione, che ha accesso alle notizie, siano dai giornali o da altra fonte, hanno un diverso criterio di aspettative sul tipo di informazione da cercare, e sul come le ottengono, e da chi».
«Non s'affidano più a una figura divina di informatore; e per estendere l'immagine religiosa, non vogliono più le notizie presentate come vangelo. Anzi, vogliono le notizie a loro richiesta. Vogliono il controllo sui loro media, non esserne controllati».
E citava i sondaggi: «I consumatori (sic) fra i 18 e i 34 anni usano sempre più il web come mezzo di comunicazione per i loro consumi. … il 44% degli interrogati hanno detto di usare un portale almeno una volta al giorno per avere informazioni giornalistiche, contro solo un 19% che compra e legge ogni giorno un quotidiano. Ancor più sinistramente, una proiezione a tre anni mostra che ad usare internet per informarsi saranno il 39%, e quelli che si aspettano di comprare di più i giornali solo l'8%».
Murdoch diamone atto, non fa la solita lagna.
Non dice che quello di internet è un giornalismo «secondario» in quanto parassistario dei MSM. Non parla di complottisti marginali.
Non fa la lezione: notizie incontrollate e «non bilanciate» o «di parte», dove «i fatti non sono separati dalle opinioni».
Non dice: giornalismo di bassa qualità.
Forse perché sa cosa pensare della qualità dei media «autorevoli»: e basta leggere un pezzo di Magdi Allam, che costa a Il Corriere 22 mila euro mensili, per capirlo.
E basta considerare che il 98% delle notizie pubblicate dai grandi media sono prese pari pari da tre agenzie internazionali, senza alcun controllo delle fonti, a scatola chiusa.
Di parte, poi, lo sono tutti, e ancor più quelli che si danno l'aria di «oggettivi».
Già da come presentano i «fatti» si intuisce che ci mettono, surrettiziamente, la «opinione» autorizzata.
Vecchi trucchi che non incantano più.

La vera differenza è più cruciale: che internet è gratis, e che non ci si guadagna: né i giornalisti, né gli editori né la pubblicità.
Così accade già, in America, che bravi giornalisti professionali lavorano per i media mainstream per lo stipendio, poi tengono i blog dove si sfogano, e rivelano per niente quello che non hanno potuto dire nella sfera della libertà vigilata.
E allora, dove è più probabile trovare le notizie di cui fidarsi?
Là dove si scrive per carriera e stipendio, o dove si scrive per sfogarsi e liberarsi la coscienza, gratis?
Ciò nuocerà a noi giornalisti come casta pagata benino (o troppo bene, Allam), ma è un ritorno - tramite il mezzo elettronico - al giornalismo delle origini.
Quello che c'era prima che i giornali e le TV diventassero veicoli servili della pubblicità (il più sporco e irresponsabile dei poteri forti); quello di cui si ha un'idea quando si vede, in certi vecchi western, il direttore di giornalini che si chiamavano «Pomona Telegraph» o «Kentuky Current» che, con la visiera e le mezze maniche, non solo li scriveva, ma li stampava da solo alla vecchia macchina piana, aiutato da ragazzini che gli portavano le notizie e poi distribuivano il fogliaccio macchiato di inchiostro grasso.
Un giornalismo pieno di impurità, gridato, platealmente di parte, soggetto a querele, diffamatorio e ricattatorio: ma svolgeva la funzione che il giornalismo MSM non svolge più.
La funzione originaria, che giustifica il giornalismo: essere il modesto ausiliario della democrazia.
Era «di parte» perché questo serve agli elettori: in ogni questione politica, sentire «l'altra parte», cosa ha da obbiettare l'altra campana, e poi decidere col voto quale «parte» favorire, dato che le scelte politiche sono tutte discutibili, ognuna ha - oltre ai pro - anche dei contro, di cui è bene essere informati.
E non disturbava questa funzione essenziale il fatto che quel giornalismo fosse «esagerato», che fosse più alla Beppe Grillo che alla Angelo Panebianco o alla Paolo Mieli.
L'esagerazione serviva a sottolineare, era il suo stile.
Così in internet.
L'irriverenza, il tono incazzato, la selezione platealmente di parte sono il suo stile: il lettore si abitua a fare la tara, è bene che sia così.
Sono i siti compassati, ufficiali, ufficiosi, della Fiat o della Presidenza del Consiglio, a suscitare il sospetto.
Il lettore è autorizzato a sospettare di noi quando diverremo così.
E il sito di Grillo, se mai diverrà così, sarà abbandonato.
Ma per intanto anche noi, nel nostro piccolo, siamo qui con le mezze maniche nere, e il portacenere pieno di cicche (nelle redazioni MSM è vietato fumare) a lavorare gratis.
E se siamo grati a Grillo e lo diciamo, non è perché lui poi ci darà una mazzetta o una inserzione pubblicitaria.
Non è una garanzia?
Stiamo lavorando anche per i bravi giornalisti che sono nei grandi media.
La rete ha dato coraggio a Dan Rather: «Qualcuno doveva pur alzarsi a dire che la democrazia non sopravvive con questa interferenza delle corporations e del governo».

fonte:Maurizio Blondet

Quando le parole uccidono



L’informazione, qualsiasi informazione, quando è confezionata all’interno di un media, è simile a un missile che parte dalla rampa di lancio. Ma l’informazione è sempre più spesso un missile senza guida. Può deviare il proprio percorso, raggiungendo obiettivi non previsti. Nessuno è realmente a conoscenza di chi lo intercetterà e degli effetti che produrrà. L’informazione ha tuttavia un grande alibi: il diritto di cronaca. Il resto sono solo effetti collaterali, come la morte di un ragazzo di 28 anni. Si chiamava Alberto Mercuriali abitava a Castrocaro Terme, località dell’Appennino forlivese, nota per le gare canore delle “Voci nuove”. Poco più di 5mila abitanti. Dove tutti conoscono tutti.
Alberto Mercuriali è un ragazzo mite, forse un po’ introverso, laureato in agronomia. Giovedì 5 luglio, i carabinieri lo notano mentre fuma uno spinello all’esterno di un bar. Addosso ha anche un piccolo quantitativo di hashish, pari a un paio di ‘canne’. Racconta di aver fatto una ragazzata. E poi è incensurato. Ma i carabinieri non si convincono e nella perquisizione a casa trovano altri 50 grammi nascosti fra le pagine di un libro dal titolo “Il regno dell’ombra”. Scatta la denuncia per detenzione di sostanze stupefacenti per fini di spaccio. Sull’operazione, sabato 7 luglio, i carabinieri fanno una conferenza stampa. Domenica 8 luglio Alberto finisce, pur senza la citazione del nome, sulle prime pagine dei giornali locali. E’ una notizia a cui nessun giornalista, in una grande città, avrebbe dedicato più di qualche riga. Ma nell’assolata calura estiva, quando c’è ben poco da raccontare, per i tre giornali a diffusione provinciale la notizia è ghiotta “imbottito di droga:insospettabile agronomo smascherato dai carabinieri…” Con tanto di maxi-foto dei due militari che mostrano il libro dove Alberto teneva i 50 grammi di hashish. Quella domenica il telefono di Alberto ha cominciato a squillare, squillare, squillare. Anche senza il nome citato sui giornali, non ci vuole molto a individuare in lui, “l’agronomo 28enne del paese”. Lunedì 8 luglio Alberto si uccide con il gas di scarico della propria auto. Oggi, a distanza di mesi, c’è un intero paese che ancora si interroga su quella morte assurda. Da un balcone sventola un lenzuolo con scritto “Stop alle notizie che uccidono”. Da un’altra finestra “Io non credo più ai giornali, in memoria di Alberto”. Gli amici non si danno pace per quella morte di “uno che non aveva un nemico e che invece è stato descritto come un narcotrafficante” ed il suo miglior amico, Raffaele annota come “Alberto teneva molto al nome della famiglia, al cognome che portava”.
Il 17 luglio viene organizzata una fiaccolata in memoria di Alberto. Vi partecipano circa 800 persone. Ma sui tre quotidiani non vi è una riga di questa forte protesta promossa dagli amici di Alberto. Il sistema della comunicazione si chiude a riccio. Non accetta di salire sul banco degli imputati anche quando un intero paese esprime fisicamente la propria protesta (se non il proprio disprezzo). Il 10 settembre viene convocata un’ affollatissima assemblea cittadina, nel salone delle Terme di Castrocaro, con il presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna Gerardo Bombonato, il cappellano del carcere don Dario Ciani e don Andrea Gallo di Genova. Dalla rabbia si riesce - con fatica- a passare alla riflessione sul ruolo dell’informazione, all’ importanza che assume nella società moderna. E soprattutto si sottolinea la delicatezza e l’immensa responsabilità dell’informazione. Concorrenza, fretta, voglia di scoop, voglia di stupire non sono giustificazioni accettabili per i relatori, per gli amici di Alberto, per la tanta gente in sala e, sicuramente, per tutte le persone di buonsenso. Viene aperto un blog all’indirizzo http://amicidialberto.blogspot.com/. che si apre con un appello “In memoria di Alberto” sottoscritto da oltre 600 persone. L’appello inizia con la frase “Un articolo può cambiare la vita di un ragazzo. Un giornalista ha cambiato la vita di un ragazzo”.
Maledetto, bellissimo mestiere, alla ricerca quotidiana di ‘mostri da sbattere in prima pagina’, sempre forte coi deboli e debole coi forti, terribilmente incapace di leggere la fragilità degli uomini e soprattutto di chiedere “perdono”.
di Giorgio Tonelli

04 ottobre 2007

BANCA CENTRALE EUROPEA e i suoi legami con la MASSONERIA


Ovvero: "Paperinik e il sospetto di Ciccio"

L’editoriale del numero scorso sulle anomalie giuridiche della Banca d’Italia [La Banca d'Italia, ovvero il secondo tragico Fantozzi e la corazzata Potemkin] ha riscosso vari commenti e per questo motivo anche in questo numero ci occupiamo di anomalie del sistema bancario, in particolare della BCE.

Prima però parliamo di fumetti.

Questa estate mi sono dedicato a letture molto produttive e ho riletto un fumetto cult della mia infanzia. In una delle storie più divertenti, Zio Paperone, Paperino e le Giovani marmotte vanno sull’Isola di Pasqua per cercare di svelare un mistero che è rimasto insoluto da secoli: quello della misteriosa iscrizione sui giganti di pietra dell’Isola di Pasqua, ove compare un’incisione “ESSOF IK EGGEL” che da secoli scienziati di tutte le categorie non riescono a svelare. Sennonché la Giovani marmotte riescono finalmente a svelare il mistero grazie al manuale della giovani marmotte. (NdA: Il significato della frase è: Fesso chi legge).

Un’altra storia molto carina è quella che si intitola “Paperinik e il sospetto di Ciccio”, ove Ciccio, il nipote di Nonna Papera, aveva il “leggerissimo” sospetto che Paperinik fosse in realtà Paperino e quindi quest’ultimo faceva di tutto per sviare questi assurdi sospetti.

La cosa che mi faceva ridere è che Paperino e Paperinik avevano la stessa faccia, un po’ come Superman e Clark Kent, però nessuno mai aveva pensato a questo scambio di identità.

Negli stessi mesi, quando passavo a lettura più serie, i settimanali e le cronache sono state occupate anche da due vicende giudiziarie inerenti la massoneria.

Queste inchieste hanno fatto poi partire la consueta polemica, che ciclicamente si presenta alla stampa, cioè quella sulla legittimità o meno di questa istituzione, cosa su cui non mi voglio soffermare perché il problema è complesso, e non è questo il luogo e la sede.

Mi è però venuto da sorridere quando ho letto su un giornale di “misteriosi legami tra banche e massoneria”. Non riesco a capire cosa ci sia di misterioso, infatti, e questo enigma mi ha fatto fare un parallelo con quello dell’Isola di Pasqua, o della vera identità di Paperinik.

Nello scorso editoriale abbiamo parlato della Banca D’Italia. Parliamo oggi della Banca Centrale Europea. Chi è esperto di diritto bancario, o di diritto europeo, sa che la BCE è l’organo della UE formato dalle banche centrali degli stati europei.

Tuttavia tra i partecipanti al capitale figura anche la Banca d’Inghilterra. E tale banca ha una partecipazione di non poco conto: il 16 per cento, cioè una percentuale addirittura più alta di quella della Banca d’Italia o della banca centrale spagnola. A questo punto uno si domanda perché la Banca d’Inghilterra debba avere partecipazioni in una Banca che teoricamente dovrebbe essere partecipata solo dai paesi dell’area euro. E soprattutto: come è possibile che essa abbia addirittura più potere di altre banche centrali dell’area euro?

Dal momento che la BCE determina la politica monetaria europea, e quindi dalle sue decisioni dipendono fondamentali rapporti di forza economica con gli altri stati del mondo, è assai strano che la Banca centrale di un paese estraneo possa influenzare le sorti dei paesi dell’area Euro.

Andando sul sito ufficiale della Banca d’Inghilterra si apprende che i dirigenti della Banca d’Inghilterra sono nominati dalla Corona.

Conclusioni: la corona inglese ha il potere di influenzare la politica economica europea.

Per cercare di risolvere il mistero, vado a vedere cosa dicono i manuali istituzionali per vedere se sono spiegate le ragioni giuridiche di questa stranezza.

Digesto delle discipline pubblicistiche UTET. Questo dovrebbe essere un testo istituzionale, una specie di Bibbia del diritto pubblico. Risultato: niente. Non esiste una voce Banca centrale europea, in compenso nel volume che contiene la lettera B trovo delle voci senz’altro di grandissimo interesse per il giurista come Barbiere e Parrucchiere, nonché Banca Islamica. La BCE è contenuta all’interno della voce “Istituzioni comunitarie”, al paragrafo 29, per un totale di una colonna e qualche riga. Evidentemente si è ritenuto che per il giurista non sia importante sapere come funziona l’organo che detiene il potere di emettere moneta e quindi nessun cenno ai partecipanti al capitale di questo organo. In compenso mi domando il motivo per cui dovrebbe essere interessante per un giurista consultare le seguenti singole voci dello stesso volume A-C: Cacao e cioccolata; Burro strutto e margarina; “Caffè” e finanche “Chierici”.

Passo allora al Trattato di diritto amministrativo diretto da Sabino Cassese. Niente.

Passo alle riviste. Vediamo una delle più autorevoli, Foroeuropa, edita dal Poligrafico dello stato con il patrocinio del parlamento Europeo. Ricerca per estremi: Nulla.

Vado alla ricerca della soluzione del problema sulle altre enciclopedie giuridiche.

E così via.

Insomma, la ragione dell’interferenza della banca d’Inghilterra nella Banca Centrale Europea, che in fondo si sostanzia in una vera e propria cessione di sovranità ad uno stato estero, non giustificata da alcuna norma costituzionale o di altro tipo, ce la dobbiamo cercare da soli.

Chi fosse esperto di massoneria, intendendo con tale aggettivo non un investigatore o un magistrato al corrente di chissà quali oscuri segreti, ma semplicemente una persona che si informa di ciò che della massoneria è ufficiale, nei siti e/o nei dizionari ufficiali massonici, saprebbe che per tradizione storica la corona inglese è anche al vertice della Loggia Madre d’inghilterra. Nei secoli quindi il Re d’Inghilterra è sempre stato anche al vertice della massoneria mondiale. Come dire, il vertice della massoneria mondiale controlla la Banca più potente del mondo, che controlla a cascata tutte le altre banche mondiali, BCE e Federal Reserve compresa.

Quindi viene da sorridere quando magistrati e/o politici parlano di “misteriosi” rapporti tra banche e massoneria.

La cosa è talmente nota che ultimamente all’università di Napoli è stata addirittura presentata una tesi di laurea su questi problemi. ( La tesi si trova on line su www.tesionline.it)

Dove sia questo “mistero” francamente io non lo vedo; mi pare, appunto, il sospetto di Ciccio.

Credo invece che il vero mistero sia un altro, questo sì, inquietante e irrisolvibile: perché sulle enciclopedie del diritto non hanno ritenuto di dedicare una voce alla BCE, ma hanno ritenuto degne di interesse la voce Burro, strutto e margarina? Quali oscure trame si nascondono dietro la scelta di inserire “Cacao e cioccolata” in un Digesto? E la voce “Aceto”?

Inoltre altre domande inquietanti si profilano all’orizzonte. Perché non esiste una voce sulla Nutella?

Questi sono i veri misteri d’Italia.

Per capire il problema del regime giuridico delle banche centrali, invece, non è necessaria una voce del Digesto, e probabilmente è per questo che non è stata inserita, ma la lettura attenta degli albi di Topolino sopra citati, o della tesi di laurea citata.

P.S. Lo so. Gli editoriali dei numeri scorsi erano più divertenti e questo non fa proprio ridere. Il punto è che con questi argomenti c’è poco da scherzare ma questo editoriale contiene un messaggio in codice, come nelle statue dell’isola di Pasqua. E prometto che dal prossimo editoriale torno a parlare di danno esistenziale, causa del contratto, ecc…

Fonte: http://www.altalex.com/

29 settembre 2007

Blog: i nuovi MEDIA


«Qualcuno doveva alzarsi a dire che la democrazia non può sopravvivere con queste interferenze delle corporation e del governo sui mezzi di informazione»: si è vantato così Dan Rather, il celebre anchorman, davanti a Larry King, l'altro celeberrimo anchorman.Poi,Rupert Murdoch da anni avverte i suoi compari editori che la rete sta demolendo i media classici e la loro presunta autorevolezza.
L'ha fatto nel 2005 in modo molto esplicito : «Io sono cresciuto in un mondo informativo altamente centralizzato, dove le notizie erano strettamente controllate da pochi direttori, che ci dicevano cosa potevamo e dovevamo sapere. Le mie due figlie giovani, sono nate nel mondo digitale.
Noi che siamo in posizione di determinare come le informazioni vengono confezionate e diffuse, in questo mondo digitale siamo immigrati freschi. Ci dobbiamo 'sforzare' di applicare la mentalità digitale … dobbiamo capire che la prossima generazione, che ha accesso alle notizie, siano dai giornali o da altra fonte, hanno un diverso criterio di aspettative sul tipo di informazione da cercare, e sul come le ottengono, e da chi».
«Non s'affidano più a una figura divina di informatore; e per estendere l'immagine religiosa, non vogliono più le notizie presentate come vangelo. Anzi, vogliono le notizie a loro richiesta. Vogliono il controllo sui loro media, non esserne controllati».
E citava i sondaggi: «I consumatori (sic) fra i 18 e i 34 anni usano sempre più il web come mezzo di comunicazione per i loro consumi. … il 44% degli interrogati hanno detto di usare un portale almeno una volta al giorno per avere informazioni giornalistiche, contro solo un 19% che compra e legge ogni giorno un quotidiano. Ancor più sinistramente, una proiezione a tre anni mostra che ad usare internet per informarsi saranno il 39%, e quelli che si aspettano di comprare di più i giornali solo l'8%».
Murdoch diamone atto, non fa la solita lagna.
Non dice che quello di internet è un giornalismo «secondario» in quanto parassistario dei MSM. Non parla di complottisti marginali.
Non fa la lezione: notizie incontrollate e «non bilanciate» o «di parte», dove «i fatti non sono separati dalle opinioni».
Non dice: giornalismo di bassa qualità.
Forse perché sa cosa pensare della qualità dei media «autorevoli»: e basta leggere un pezzo di Magdi Allam, che costa a Il Corriere 22 mila euro mensili, per capirlo.
E basta considerare che il 98% delle notizie pubblicate dai grandi media sono prese pari pari da tre agenzie internazionali, senza alcun controllo delle fonti, a scatola chiusa.
Di parte, poi, lo sono tutti, e ancor più quelli che si danno l'aria di «oggettivi».
Già da come presentano i «fatti» si intuisce che ci mettono, surrettiziamente, la «opinione» autorizzata.
Vecchi trucchi che non incantano più.

La vera differenza è più cruciale: che internet è gratis, e che non ci si guadagna: né i giornalisti, né gli editori né la pubblicità.
Così accade già, in America, che bravi giornalisti professionali lavorano per i media mainstream per lo stipendio, poi tengono i blog dove si sfogano, e rivelano per niente quello che non hanno potuto dire nella sfera della libertà vigilata.
E allora, dove è più probabile trovare le notizie di cui fidarsi?
Là dove si scrive per carriera e stipendio, o dove si scrive per sfogarsi e liberarsi la coscienza, gratis?
Ciò nuocerà a noi giornalisti come casta pagata benino (o troppo bene, Allam), ma è un ritorno - tramite il mezzo elettronico - al giornalismo delle origini.
Quello che c'era prima che i giornali e le TV diventassero veicoli servili della pubblicità (il più sporco e irresponsabile dei poteri forti); quello di cui si ha un'idea quando si vede, in certi vecchi western, il direttore di giornalini che si chiamavano «Pomona Telegraph» o «Kentuky Current» che, con la visiera e le mezze maniche, non solo li scriveva, ma li stampava da solo alla vecchia macchina piana, aiutato da ragazzini che gli portavano le notizie e poi distribuivano il fogliaccio macchiato di inchiostro grasso.
Un giornalismo pieno di impurità, gridato, platealmente di parte, soggetto a querele, diffamatorio e ricattatorio: ma svolgeva la funzione che il giornalismo MSM non svolge più.
La funzione originaria, che giustifica il giornalismo: essere il modesto ausiliario della democrazia.
Era «di parte» perché questo serve agli elettori: in ogni questione politica, sentire «l'altra parte», cosa ha da obbiettare l'altra campana, e poi decidere col voto quale «parte» favorire, dato che le scelte politiche sono tutte discutibili, ognuna ha - oltre ai pro - anche dei contro, di cui è bene essere informati.
E non disturbava questa funzione essenziale il fatto che quel giornalismo fosse «esagerato», che fosse più alla Beppe Grillo che alla Angelo Panebianco o alla Paolo Mieli.
L'esagerazione serviva a sottolineare, era il suo stile.
Così in internet.
L'irriverenza, il tono incazzato, la selezione platealmente di parte sono il suo stile: il lettore si abitua a fare la tara, è bene che sia così.
Sono i siti compassati, ufficiali, ufficiosi, della Fiat o della Presidenza del Consiglio, a suscitare il sospetto.
Il lettore è autorizzato a sospettare di noi quando diverremo così.
E il sito di Grillo, se mai diverrà così, sarà abbandonato.
Ma per intanto anche noi, nel nostro piccolo, siamo qui con le mezze maniche nere, e il portacenere pieno di cicche (nelle redazioni MSM è vietato fumare) a lavorare gratis.
E se siamo grati a Grillo e lo diciamo, non è perché lui poi ci darà una mazzetta o una inserzione pubblicitaria.
Non è una garanzia?
Stiamo lavorando anche per i bravi giornalisti che sono nei grandi media.
La rete ha dato coraggio a Dan Rather: «Qualcuno doveva pur alzarsi a dire che la democrazia non sopravvive con questa interferenza delle corporations e del governo».

fonte:Maurizio Blondet

Quando le parole uccidono



L’informazione, qualsiasi informazione, quando è confezionata all’interno di un media, è simile a un missile che parte dalla rampa di lancio. Ma l’informazione è sempre più spesso un missile senza guida. Può deviare il proprio percorso, raggiungendo obiettivi non previsti. Nessuno è realmente a conoscenza di chi lo intercetterà e degli effetti che produrrà. L’informazione ha tuttavia un grande alibi: il diritto di cronaca. Il resto sono solo effetti collaterali, come la morte di un ragazzo di 28 anni. Si chiamava Alberto Mercuriali abitava a Castrocaro Terme, località dell’Appennino forlivese, nota per le gare canore delle “Voci nuove”. Poco più di 5mila abitanti. Dove tutti conoscono tutti.
Alberto Mercuriali è un ragazzo mite, forse un po’ introverso, laureato in agronomia. Giovedì 5 luglio, i carabinieri lo notano mentre fuma uno spinello all’esterno di un bar. Addosso ha anche un piccolo quantitativo di hashish, pari a un paio di ‘canne’. Racconta di aver fatto una ragazzata. E poi è incensurato. Ma i carabinieri non si convincono e nella perquisizione a casa trovano altri 50 grammi nascosti fra le pagine di un libro dal titolo “Il regno dell’ombra”. Scatta la denuncia per detenzione di sostanze stupefacenti per fini di spaccio. Sull’operazione, sabato 7 luglio, i carabinieri fanno una conferenza stampa. Domenica 8 luglio Alberto finisce, pur senza la citazione del nome, sulle prime pagine dei giornali locali. E’ una notizia a cui nessun giornalista, in una grande città, avrebbe dedicato più di qualche riga. Ma nell’assolata calura estiva, quando c’è ben poco da raccontare, per i tre giornali a diffusione provinciale la notizia è ghiotta “imbottito di droga:insospettabile agronomo smascherato dai carabinieri…” Con tanto di maxi-foto dei due militari che mostrano il libro dove Alberto teneva i 50 grammi di hashish. Quella domenica il telefono di Alberto ha cominciato a squillare, squillare, squillare. Anche senza il nome citato sui giornali, non ci vuole molto a individuare in lui, “l’agronomo 28enne del paese”. Lunedì 8 luglio Alberto si uccide con il gas di scarico della propria auto. Oggi, a distanza di mesi, c’è un intero paese che ancora si interroga su quella morte assurda. Da un balcone sventola un lenzuolo con scritto “Stop alle notizie che uccidono”. Da un’altra finestra “Io non credo più ai giornali, in memoria di Alberto”. Gli amici non si danno pace per quella morte di “uno che non aveva un nemico e che invece è stato descritto come un narcotrafficante” ed il suo miglior amico, Raffaele annota come “Alberto teneva molto al nome della famiglia, al cognome che portava”.
Il 17 luglio viene organizzata una fiaccolata in memoria di Alberto. Vi partecipano circa 800 persone. Ma sui tre quotidiani non vi è una riga di questa forte protesta promossa dagli amici di Alberto. Il sistema della comunicazione si chiude a riccio. Non accetta di salire sul banco degli imputati anche quando un intero paese esprime fisicamente la propria protesta (se non il proprio disprezzo). Il 10 settembre viene convocata un’ affollatissima assemblea cittadina, nel salone delle Terme di Castrocaro, con il presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna Gerardo Bombonato, il cappellano del carcere don Dario Ciani e don Andrea Gallo di Genova. Dalla rabbia si riesce - con fatica- a passare alla riflessione sul ruolo dell’informazione, all’ importanza che assume nella società moderna. E soprattutto si sottolinea la delicatezza e l’immensa responsabilità dell’informazione. Concorrenza, fretta, voglia di scoop, voglia di stupire non sono giustificazioni accettabili per i relatori, per gli amici di Alberto, per la tanta gente in sala e, sicuramente, per tutte le persone di buonsenso. Viene aperto un blog all’indirizzo http://amicidialberto.blogspot.com/. che si apre con un appello “In memoria di Alberto” sottoscritto da oltre 600 persone. L’appello inizia con la frase “Un articolo può cambiare la vita di un ragazzo. Un giornalista ha cambiato la vita di un ragazzo”.
Maledetto, bellissimo mestiere, alla ricerca quotidiana di ‘mostri da sbattere in prima pagina’, sempre forte coi deboli e debole coi forti, terribilmente incapace di leggere la fragilità degli uomini e soprattutto di chiedere “perdono”.
di Giorgio Tonelli