29 novembre 2007

UN SISTEMA FINANZIARIO SOTTO ASSEDIO



"Se si includono questi argomenti [i benefici promessi nella Previdenza Sociale, Assistenza Sanitaria Nazionale, nella Gestione dei Veterani ed in altri programmi di assistenza], si stima l'onere totale [del debito] al valore attuale del dollaro sia di circa 53 trilioni di dollari. Messa diversamente, l'onere totale corrente stimato è di quasi 175.000 dollari per ogni americano; ed ogni giorno quell'onere diventa più grande."
David Walker, Revisore Generale dei Conti degli Stati Uniti

"Le forze economiche che guidano l'equilibrio globale di risparmio e investimento si sono sviluppate nel decennio scorso, cosicché la ripidezza del recente declino nei rendimenti di lunga durata del dollaro e nei tassi a lungo termine collegati, suggerisce che possa essere in opera qualcosa di più ampio".
Alan Greenspan, ex presidente FED, 20 luglio 2005

"Il buco nero dei subprime sembra sempre più profondo, più scuro e spaventoso di quanto [le banche] pensino. Hanno avuto ricadute su... circa il 40 % del cumulo della parte di prestito speculativo e lì ci sono decisamente dei segni di disgelo".
Tony James, Presidente e CEO del Blackstone Group LP


Il sistema finanziario globale basato sul dollaro è in crisi e sta minacciando la prosperità e la stabilità di molte economie.
Eccessi finanziari di ogni genere hanno insidiato la sua legittimità e la sua efficienza. Il dollaro USA sta perdendo la sua predominanza come principale valuta di riserva internazionale mentre molte banche sono travolte dal subbuglio della crisi dei crediti subprime.

Lo scenario generale è la bolla senza precedenti dei beni immobili che c'è stata in tutto il mondo dal 1995 al 2005. Negli Stati Uniti, ad esempio, i prezzi delle case occupate dai proprietari sono aumentati annualmente di una media di circa il 9 %. Il valore di mercato del capitale delle case occupate dal proprietario negli Stati Uniti è aumentato da un po' meno di 8 trilioni di dollari del 1995 ad un po' più di 18 trilioni nel 2005. Da allora si sta contraendo, confermando il funzionamento del ciclo di 18 anni del mercato immobiliare teorizzato da Kuznets, che va dal picco del 1987 al picco del 2005.

Ciò che rende questo periodo particolarmente pericoloso è il fatto che è in gioco anche il ciclo dei 54 anni di Kondratieff di inflazione-disinflazione-deflazione, iniziato nel 1949 dopo che i prezzi si erano scongelati. L'inflazione mondiale è poi salita per venti anni fino al 1980, seguita da un periodo di disinflazione sotto la FED di Volcker. L'entrata della Cina nella World Trade Organization (WTO) l'11 dicembre 2001, con i suoi lavoratori in abbondanza e stipendi bassi, ha liberato notevoli forze deflazionistiche in tutto il mondo. Ciò a sua volta ha poi condotto ad aspettative di un'inflazione più bassa che hanno aperto la strada alla FED di Greenspan per tenere i tassi d'interesse ad un livello anormalmente basso.

Tassi di interesse persistentemente bassi ed aspettative di bassa inflazione hanno portato ad una frenesia nei prestiti e ad un vasto aumento nella valutazione del mercato, non solo dei beni immobili ma anche delle azioni e delle obbligazioni. Le banche ed altri istituti di credito ipotecario hanno approfittato dell'occasione per introdurre alcune innovazioni finanziarie per finanziare l'esplosione del mercato ipotecario. Queste innovazioni hanno provocato lo spaccamento del tradizionale collegamento diretto fra mutuatario e prestatore e la riduzione del rischio del prestatore normalmente associato ai prestiti ipotecari.

Quindi, con la connivenza delle agenzie di rating e del Sistema della Federal Reserve, grandi banche hanno inventato nuovi prodotti finanziari sotto vari nomi tipo "obbligazioni collateralizzate" (CBOs), "obbligazioni di debito collateralizzate" (CDOs), anche chiamate "veicoli di investimento strutturati" (SIVs), che hanno avuto le caratteristiche di cambiale finanziaria a breve termine fluttuante. Nel mercato delle ipoteche residenziali, ad esempio, i mediatori di ipoteche ed i prestatori "al minuto" vendevano i loro prestiti ipotecari alle banche, che a loro volta ne facevano un unico pacco e lo spezzettavano in differenti classi di titoli garantiti da ipoteche (RMBS), che portavano differenti livelli di rischio e di guadagno, prima di venderli agli investitori.

Quindi questi nuovi strumenti finanziari erano il risultato finale di un processo di "conversione dei beni in titoli" ed erano fette di pacchetti di prestiti, non solo prestiti ipotecari ma anche debiti delle carte di credito, prestiti per automobili, prestiti agli studenti ed altri crediti esigibili a breve termine. Ogni fetta portava un differente onere di rischio ed un differente rendimento. Con la benedizione delle agenzie di rating, le banche sono andate persino un po' oltre ed hanno cominciato a riunire le fette finanziarie più rischiose in pacchetti ancor più rischiosi dividendoli ancora per venderli agli investitori in cerca di rendimenti elevati.

Vendendo questi nuovi strumenti di debito agli investitori in cerca di rendimenti sempre più elevati, compresi i fondi monetari protetti ed i fondi pensione, le banche sono state doppiamente ricompensate. In primo luogo, per i loro sforzi hanno riscosso meravigliosi diritti di gestione. Ma in secondo luogo e di maggior importanza, hanno scaricato il rischio dei prestiti all'ignaro compratore di tali titoli, perché nel caso di default dei prestiti originali, la banca l'avrebbe fatta franca. Erano stati già pagati ed erano stati liberati dal rischio di default e di preclusione sui prestiti originali.

Il ruolo residuo delle banche era di raccogliere e distribuire interesse, finchè i mutuatari avevano effettuato i loro pagamenti degli interessi. Ma se i pagamenti si arrestavano, le perdite di capitale incontrate a causa del declino nel valore di prestiti non performanti sarebbero invece state sostenute dagli investitori dei CBO e CDO. Le stesse banche non avrebbero sofferto perdite e sarebbero state libere di usare le loro basi di capitale per impegnarsi in ulteriori vantaggiosi prestiti. Infatti, gli investitori alla fine della catena divennero i reali prestatori di ipoteca (senza raccogliere tutte le ricompense di tali rischiosi prestiti) e le banche poterono riutilizzare il loro capitale per arricchirsi sempre più con le loro operazioni di prestito. Questo era il periodo migliore per le banche e si abbuffavano senza freno. Alcune di loro hanno pagato ai loro impiegati decine di miliardi di dollari in indennità di fine d'anno.

Quindi, ed è qui che la FED ed altre agenzie di controllo sono venute a mancare, i prestatori di ipoteca di prima linea sono diventati sempre più aggressivi nei loro prestiti, con la completa certezza che avrebbero potuto scaricare proficuamente il rischio a valle. Ciò spiega l'espansione del mercato di ipoteche "subprime" in cui il prestito è stato fatto senza pagamenti in acconto, nessun pagamento d'interessi per un certo periodo e niente domande riguardo reddito e solvibilità del mutuatario. Queste non erano normali pratiche di prestito. Simili "schemi di Ponzi" [Charles Ponzi all'inizio del XX secolo divenne celebre, e venne arrestato, per investimenti fraudolenti ad alto profitto che presero il suo nome, ndt] non potevano durare per sempre. E quando i prezzi delle case hanno iniziato a calare, sono aumentati anche i pignoramenti, scuotendo così fino alle fondamenta la nuova casa finanziaria di carte. Le banche divennero le riluttanti proprietarie a valori molto ribassati di parte delle proprietà pignorate.

Perchè allora tante banche sono in difficoltà finanziarie, se il rischio del prestatore era stato trasferito agli ignari investitori? Essenzialmente, perché quando è scoppiato il boom delle case, la giacenza delle banche di "titoli con garanzia collaterale" invenduti era insolitamente alto. Quando il pifferaio ha smesso di suonare e gli investitori hanno smesso di comprare i rischiosi investimenti di recente creazione, il loro valore è precipitato in una notte e le banche sono rimaste con perdite enormi che non si sono ancora completamente riflesse nei loro bilanci finanziari. Quindi, le banche che non hanno scaricato i loro stock di pacchetti ipotecari sono state costrette ad accettare la proprietà di beni pignorati, a valori molto ribassati. Con poco o nessun collaterale dietro i prestiti, le perdite per crediti inesigibili sono diventate inevitabili.

Poiché nessuno sa per certo il valore di qualcosa che non è commerciato, serviranno mesi prima che le banche vengano a capo del totale delle perdite che hanno sofferto nei loro stock di "titoli basati su beni" preconfezionati ed invenduti. È più di una normale "crisi di liquidità" o di un "restringimento del credito " (che risulta quando la banca presta a breve termine ed investe in beni di lunga durata non liquidi); è più come una "crisi di solvibilità" se la base di capitale delle banche è sopraffatta dalla scoperta di enormi perdite finanziarie incontrate quando le banche sono costrette a vendere beni ipotecati in un mercato immobiliare in depressione.

E' questa confusione di operazioni bancarie e finanziarie che si sta sviluppando davanti ai nostri occhi e che sta minacciando il sistema finanziario americano ed internazionale. Ci sono quattro classi di perdenti. In primo luogo, gli acquirenti di case che hanno comprato le proprietà a prezzi inflazionati con poco o nessun acconto e che ora rischiano il pignoramento. In secondo luogo, gli investitori che hanno comprato cambiali finanziarie garantite con ipoteche non liquide e che sono in allarme per il rischio di perdere una parte o tutti i loro investimenti. In terzo luogo, gli azionisti delle banche che hanno tratto profitto finchè il sistema ha funzionato senza difficoltà ma che ora devono far fronte a valori delle azioni in declino. E, per concludere, chiunque tema di diventare vittima, direttamente o indirettamente, del rallentamento economico prossimo venturo.

Rodrigue Tremblay

27 novembre 2007

Energia pulita con le fonti alternative




Un quadrato di 210 per 210 chilometri. Poco più grande di metà della pianura padana. Ma nel Sahara.
«Questo quadrato ipotetico rappresenterebbe comunque poco più di un millesimo dei deserti esistenti – spiega il premio Nobel Carlo Rubbia – ma su di lui il Sole ogni anno irraggia in media 15 terawatt di energia, tanti quanti ne consuma l'intera nostra civiltà. E supponiamo, come ci dicono i trend, che al 2030 si vada al raddoppio. Si tratterebbe solo di aggiungere un altro millesimo di deserto solare, e di metterlo al lavoro».

Questo è il sogno energetico che ormai da più di un decennio muove centinaia di menti e di organizzazioni, pubbliche e private, non solo in Europa ma anche nel Nord-Africa, nel Mediterraneo e negli Usa. E non è solo un sogno, ma una necessità: «al 2025 l'Europa a 25 avrà un deficit elettrico di metà dei suoi consumi – dice Hans Muller-Steinaghen, del Dlr, centro aerospaziale tedesco – pari a oltre 230 gigawatt (l'Italia al 2030 per 16 gigawatt, ndr), a mano a mano che le vecchie centrali fossili verranno dismesse. E altri 230 aggiuntivi verranno dalla crescita dei consumi elettrici dei paesi Mediterranei e del Medio Oriente. Un fabbisogno enorme, che solo una fonte può sostenere: il grande solare desertico, l'unica con un potenziale di oltre cento volte gli scenari più estremi».

Per tre anni gli esperti tedeschi, guidati dal ministero dell'Ambiente di Berlino (insieme a colleghi giordani, marocchini, egiziani e algerini) hanno lavorato sugli scenari tecnologici di Trans-Csp e Med-Csp, due grossi volumi, irti di cifre e grafici, su come dovrà cambiare l'intero contesto energetico dei due continenti. Europa, Nord-Africa e Medio Oriente interconnessi da una sola rete elettrica ad alta capacità di trasporto in corrente continua, e grandi centrali solari termodinamiche a concentrazione desertiche (Csp, concentrated solar power) in grado di produrre e inviare centinaia di gigawatt di potenza fin nel nord-Europa, oltre a soddisfare i consumi locali (anche di acqua desalinizzata). Una visione grandiosa, quasi temeraria (uno dei suoi primi sostenitori, negli anni '90, è stato Carlo Rubbia), ma che ora comincia a diventare realtà.

Se ne è avuta una prova in occasione di World Solar Power 2007, la prima conferenza internazionale sul Csp tenutasi in Europa, a Siviglia. Una tre giorni che ha visto la partecipazione di un centinaio tra aziende, centri di ricerca e istituti finanziari provenienti da Europa, Usa e Medio Oriente. L'occasione per l'organizzatore, la spagnola Abengoa, di esibire la sua creatura solare nuova di zecca, la grande centrale Ps10 con i suoi 600 specchi da 120 metri quadri sempre puntati sulla torre centrale alta 115 metri a Sanlucar, capace di produrre 10 megawatt. Attiva dallo scorso giugno, Ps10 è la prima del suo genere di tipo commerciale (dopo una quindicina di torri solari di ricerca costruite negli ultimi venti anni) ed è già in costruzione Ps20, di doppia potenza (12mila case servite) e poi è allo studio Ps 50, con tecnologie ancora in fase di sviluppo.

Il caso spagnolo, infatti, è il primo e più massiccio segnale di movimento concreto. Lo scorso 25 maggio il Governo di Madrid ha assicurato, per decreto, una generosa tariffa elettrica incentivata per le centrali solari Csp fino a 50 megawatt: 26,9 centesimi di euro per chilowattora (quasi tre volte il prezzo di mercato) fissi per 25 anni. «Abbastanza per far partire i progetti con le tecnologie solari attuali – osserva Mark Geyer di Solar Paces, l'associazione mondiale del solare termodinamico – per ripagare gli investimenti e i finanziamenti. E soprattutto per avviare quella curva di apprendimento che, al 2020, dovrebbe far scendere il costo del chilowattora solare sotto la soglia magica dei dieci centesimi, competitiva con il gas e il carbone. A quella data gravati da una carbon tax o dal sequestro della CO2».

E la Spagna, con le sue grandi pianure meridionali a tassi di insolazione nord-africani, sta correndo: «Al ministero finora sono affluiti progetti per ben 4.100 megawatt complessivi, di cui 412 megawatt già approvati – spiega Almudena Carrasco della Red Electrica de Espana – una risposta ben superiore alle previsioni». Oggi si contano almeno 35 centrali solari in fase di avvio o di progetto, con una chiara concentrazione in Andalusia e in tutto il centro-sud spagnolo. «La maggiore concentrazione europea, e soltanto noi di Abengoa contiamo di investire due miliardi di euro in un sistema di quattro impianti a SanLucar-Siviglia da 131 megawatt complessivi – spiega Santiago Seage, presidente di Abengoa Solar – ma gli investimenti sono in moto in tutto il mondo. Ad oggi noi stimiamo progetti per 6 gigawatt complessivi (e 20 miliardi di euro) in Europa del Sud, Usa, Nordafrica e Medio Oriente. E presto si aggiungerà alla lista l'Asia, oltre alle prevedibili centrali australiane. E saranno in prima fila anche India e Cina».

Restiamo però al Mediterraneo. Marocco e Algeria sono già della partita. Il primo a Ain Ben Mathar, con un impianto ibrido solare Csp (20 megawatt) e gas a ciclo combinato da 470 megawatt. E i primi 183mila metri quadrati di specchi solari serviranno agli ingegneri marocchini per farsi le ossa, dal 2010 sulla nuova tecnologia. E poi replicarla per esportare in Europa, via interconnessione con la Spagna, elettricità pulita e a basso costo.

Altrettanto, e forse anche di più, per l'Algeria. Qui è stata già avviata una tariffa incentivata (non lontana da quella spagnola) e il primo passo prevede un impianto solare-gas da 160 megawatt a Hassi r'Mel. «Ma in questo complesso gasiero al centro dell'Algeria contiamo di sviluppare un tecnopolo solare tra i primi al mondo: al 2015 – dice Tewfik Hasni, direttore generale di Neal (New Energy Algeria, nuova consociata di Sonatrach) – prevediamo un investimento da un miliardo di dollari per 500 megawatt diretti al mercato interno e al 2020 un salto a 18 miliardi di dollari con un obbiettivo di 6mila megawatt solari per esportare elettricità in Europa. E vogliamo fare di Hassi r'Mel un punto di eccellenza mondiale, anche per lo sviluppo di nuove tecnologie». «E quella algerina è oggi la scommessa più massiccia, forse persino superiore a quella spagnola», commenta Carlo Rubbia.

Questi i progetti operativi presentati alla tre giorni di Siviglia. Ma anche Tunisia, Libia e Egitto stanno muovendosi. Israele ha già due centrali solari in funzione (e vari aziende leader, tra cui Solel e Luz due) mentre negli Emirati, ad Abu Dhabi, è stata recentemente inaugurata una intera nuova università tecnica, il Masdar Institute of Technology, interamente dedicata alle rinnovabili e con apporti del Mit e dell'Imperial College.

Il sogno dell'integrazione elettrica-solare del Mediterraneo, oltre ai collegamenti già attivi (Spagna-Marocco) prevede poi, al 2010, altri dodici elettrodotti (in tecnologia a corrente continua ad alto voltaggio) di cui quattro cross-mediterranei. E la Terna ha già annunciato il collegamento dalla Sicilia a Tunisi. Ma a questi dovrebbero seguire connessioni dirette con la Libia e dalla Sardegna all'Algeria. Mentre dalle coste spagnole partirà un cavo fino ad Orano.

E via Turchia la rete ad alta potenza risalirà fino in Germania. «Obbiettivo: al 2050 almeno 80 gigawatt affluiranno in Europa da una ventina di siti solari sulle altre sponde – conclude Muller-Steinaghen –. E almeno il 15% del consumo elettrico europeo dovrà essere assicurato, via solare, a 5-7 centesimi per chilowattora. Non è questione di sogni, ma di sopravvivenza e di sostenibilità. Per entrambi. Dobbiamo mettere al lavoro il nuovo oro del deserto».


Giuseppe Caravita

24 novembre 2007

I mutui subprime non pignorabili



STATI UNITI - La Deutsche Bank voleva pignorare 14 case di altrettanti proprietari che non riuscivano a pagare il mutuo a Cleveland, nell’Ohio.
Un giudice federale - di nome C.A. Boyko - ha dato torto alla potente banca.
Le cui azioni sono ulteriormente precipitate.
Ecco cosa attende i creditori esteri del debitore USA, si potrebbe concludere.
Ma la morale della storia è un’altra, molto più significativa.
E che suona vendetta per gli indebitati, e rovina per la speculazione.

Il giudice federale Boyko ha chiesto alla Deutsche di esibire i documenti comprovanti il titolo legale alle 14 case.
Le Deutsche Bank National Trust (la sussidiaria americana) non è stato in grado di farlo: non aveva in mano il contratto di mutuo vero e proprio, la prova dell’ipoteca gravante sugli immobili.
Tutto ciò che avevano erano delle «securities», obbligazioni, dove migliaia di mutui acquistati da piccole banche locali di prestito sono stati confezionati insieme dalla «ingegneria finanziaria» e rivenduti ad altri: fondi pensioni, privati risparmiatori, altre banche.

La Deutsche Bank stessa è stata sia confezionatrice di questi pacchetti tossici, sia - evidentemente - acquirente.
Si vendevano, eccome.
Standard & Poors assicurava che questi pacchetti erano AAA, ossia «sicuri», anche se (in una confezione che poteva contenere mille mutui) almeno un 20% erano stati contratti da debitori «subprime», ossia pagatori poco affidabili.
Ma si guadagnavano gli interessi su quelle «securities», consistenti nei ratei di mutuo che i più pagavano.

Si calcola che siano in circolazione 6.500 miliardi di dollari di questi pacchetti, titoli di debito «sostenuti» da patrimonio fisico, una casa («asset backed securities»).
Cifra eguale ai due terzi del reddito interno lordo americano.
Ed ora, grazie al giudice dell’Ohio, si scopre che - a causa della sofisticata struttura di quelle obbligazioni e della dispersione incredibile che hanno subito - non si riesce a sapere chi possieda il contratto di mutuo, il documento fisico comprovante l’ipoteca.

Miracolo della virtualizzazione estrema della finanza più disincarnata: tutto ciò che ha la Deutsche Bank è un documento, la famosa obbligazione-pacchetto, che rappresenta un «intento di cedere i diritti di mutuo».
Ma l’asset (l’immobile) che presuntivamente la «garantisce» («backed») non si sa di chi sia, né chi abbia in mano il documento relativo.
I geni della finanza creativa non avevano pensato a questo piccolo particolare.

Nel caso specifico, la Deutsche Bank ha agito come «Trustee» (fiduciario organizzatore) di «consorzi di cartolarizzazione» («securitization pools») di gruppi disparati di investitori sparsi per il mondo.
Ma il documento di mutuo richiesto dal giudice per provare che la banca era la creditrice e datrice del mutuo stesso, non è stato possibile esibirlo.
Dov’è?
Chi lo detiene?
Forse le piccole banche che hanno acceso il mutuo originario: ma quali?
Come identificarle, visto che la obbligazione («security») è un miscuglio di un migliaio di ipoteche diverse, anzi di porzioni di ipoteche?

Gli avvocati della Deutsche Bank hanno potuto solo sussurrare che in passato, per anni, le banche hanno potuto sequestrare i beni immobili a mutuo «securitizzato» senza suscitare obiezioni.
La risposta del giudice Boyko dovrà essere scritta nel marmo: «Le banche sembrano dare per scontato che siccome hanno fatto qualcosa per tanto tempo senza opposizione, la consuetudine equivalga alla legalità. Ora che questa pratica è stata messa alla prova, i loro argomenti legali deboli obbligano la corte a fermare la banca sul portone».

Si ritiene che siano forse due milioni di debitori con mutuo a tasso variabile (al 100% e con i primi due anni a tasso bassissimo); e che tra dicembre 2007 e luglio 2008 ben 690 miliardi di dollari di questi mutui subiranno un crudele rialzo degli interessi, perché il biennio di grazia scade.
E ciò proprio nel momento in cui la recessione si incrudelisce, e i redditi dei piccoli debitori probabilmente caleranno o cesseranno.
Centinaia di migliaia di abitanti ricorreranno all’ultima risorsa del debitore: non pagare il rateo mensile.
Si capisce bene perché, dopo questa sentenza - riguardante 14 villette unifamigliari, che la Deutsche Bank potrebbe comprarsi con un milionesimo dei suoi capitali - le azioni della banca tedesco -americana siano crollate.

Ora, se la decisione del giudice di Cleveland non sarà riformata dalla Corte suprema, milioni di debitori col mutuo andranno in fallimento, ma le banche non potranno sequestrare le case per rivenderle.
Per i piccoli proprietari insolventi sarà un dramma, anche perché le case tecnicamente requisibili crolleranno di prezzo (ma forse potranno continuare ad abitarle).
Ma per il sistema bancario americano (e quello internazionale che l’ha seguito nella follia) sarà come il grippaggio del motore in un’auto in corsa, o come uno di quegli ingorghi a croce uncinata dove nessuna auto può andare né avanti né indietro.
O meglio ancora, uno tsunami finanziario, come lo ha chiamato William Engdahl, a cui dobbiamo questa notizia .

Engdahl promette una seconda puntata, in cui specificherà le conseguenze.
Lo attendiamo con ansia, non riuscendo a comprendere sui due piedi tutti i titanici effetti convergenti e complessivi che questa sentenza avrà sul sistema finanziario mondiale e sull’economia sottostante; effetti sicuramente ampliati dalla globalizzazione stessa, che ha asportato le paratie difensive tra le economie nazionali.
La fantasia non arriva a tanto.
E si ha paura ad immaginare tutto.

«Le conseguenze di questa sentenza sono così immense, che non è possibile descriverle», ha infatti confidato all’EIR un’alta fonte della finanza europea .
Questo personaggio ha chiesto in giro nell’ambiente, e ancora nessuno sapeva della sentenza dell’Ohio.
Solo per questo, secondo lui, la baracca della finanza globale sta ancora in qualche modo in piedi.

Questo personaggio paventa inoltre che dietro l’incapacità della Deutsche Bank di fornire il documento dell’ipoteca ci sia un trucco e un buco potenziale ancora più spaventoso: forse la finanza creativa ha moltiplicato gli «asset» presunti (gli immobili) a sostegno delle obbligazioni «asset backed», vendendone più e più volte i medesimi presunti «attivi».
Qualcosa da far impallidire Enron e Parmalat messe assieme.

Ora comincia una nuova fase, ha detto questa fonte, in cui anche i mutui «prime» (contratti da famiglie solvibili e targati AAA) stanno «andando sotto».
Poi, verso fine anno, andranno sotto le borse, la seconda gamba dell’illusionista prosperità finanziaria.
«In ogni consiglio d’amministrazione domina il panico più completo, in quanto nessuno riesce a prevedere le conseguenze delle loro azioni».
Come non bastasse, nota la fonte dell’EIR, dal primo gennaio andranno in vigore le nuove norme mondialiste per i mercati finanziali, il «Basilea II», che essenzialmente consistono nel sostituire i vecchi vincoli di capitale bancario con un sistema di rating.

Di fatto, gli obblighi per le banche di tenere una quota di capitale come riserva porteranno ad un abbassamento di questo limite, mentre tutto sarà «valutato» con il rating.
Ma queste norme sono state pensate nei tempi del boom finanziario, quando le agenzie di rating erano ritenute vangelo (prima del disastro sub-prime), e quando nessuno poteva immaginare che un AAA potesse diventare un rating a rischio…
Ed oggi nessuno sa cosa accadrà quando entrerà in vigore Basilea II.
Paralizzati dalla paura e dall’impotenza, i consigli d’amministrazione penseranno a come cavarsela: non dalla crisi, ma dai plotoni d’esecuzione?
Magari.
Ma non ci contate.
Sappiamo già chi sarà impiccato alla grande crisi.
Nino Galloni fornisce infatti un dato che dice come si è arrivati a questo .

Nel 2006, il prodotto interno lordo USA è stato di 13 mila miliardi di dollari; per contro, il reddito nazionale netto degli americani è stato di 9 mila miliardi.
Ciò vuol dire che per comprare ciò che producono, gli americani (una forza-lavoro tra le più produttive del mondo) ha dovuto indebitarsi per la differenza (4 mila miliardi) o poco meno.
Ciò significa che il lavoro è stato retribuito il 30% in meno della produzione che dà.
E per giunta, deve pagare alle banche o ad altri prestatori il 30% del proprio reddito annuo medio.
A chi è andata la differenza enorme - 4 trilioni - tra redditi e valore della produzione?

A enti come Goldman Sachs, alla speculazione in generale, e alle guerre.
Succede anche in Italia, ma a noi è meno chiaro per chi stentiamo con potere d’acquisto calante, e per chi dobbiamo indebitarci: per la Casta, l’idrovora del nostro differenziale.
E gli uni e gli altri hanno tutti i mezzi per tenerci buoni: compresi i plotoni d’esecuzione.

Maurizio Blondet

29 novembre 2007

UN SISTEMA FINANZIARIO SOTTO ASSEDIO



"Se si includono questi argomenti [i benefici promessi nella Previdenza Sociale, Assistenza Sanitaria Nazionale, nella Gestione dei Veterani ed in altri programmi di assistenza], si stima l'onere totale [del debito] al valore attuale del dollaro sia di circa 53 trilioni di dollari. Messa diversamente, l'onere totale corrente stimato è di quasi 175.000 dollari per ogni americano; ed ogni giorno quell'onere diventa più grande."
David Walker, Revisore Generale dei Conti degli Stati Uniti

"Le forze economiche che guidano l'equilibrio globale di risparmio e investimento si sono sviluppate nel decennio scorso, cosicché la ripidezza del recente declino nei rendimenti di lunga durata del dollaro e nei tassi a lungo termine collegati, suggerisce che possa essere in opera qualcosa di più ampio".
Alan Greenspan, ex presidente FED, 20 luglio 2005

"Il buco nero dei subprime sembra sempre più profondo, più scuro e spaventoso di quanto [le banche] pensino. Hanno avuto ricadute su... circa il 40 % del cumulo della parte di prestito speculativo e lì ci sono decisamente dei segni di disgelo".
Tony James, Presidente e CEO del Blackstone Group LP


Il sistema finanziario globale basato sul dollaro è in crisi e sta minacciando la prosperità e la stabilità di molte economie.
Eccessi finanziari di ogni genere hanno insidiato la sua legittimità e la sua efficienza. Il dollaro USA sta perdendo la sua predominanza come principale valuta di riserva internazionale mentre molte banche sono travolte dal subbuglio della crisi dei crediti subprime.

Lo scenario generale è la bolla senza precedenti dei beni immobili che c'è stata in tutto il mondo dal 1995 al 2005. Negli Stati Uniti, ad esempio, i prezzi delle case occupate dai proprietari sono aumentati annualmente di una media di circa il 9 %. Il valore di mercato del capitale delle case occupate dal proprietario negli Stati Uniti è aumentato da un po' meno di 8 trilioni di dollari del 1995 ad un po' più di 18 trilioni nel 2005. Da allora si sta contraendo, confermando il funzionamento del ciclo di 18 anni del mercato immobiliare teorizzato da Kuznets, che va dal picco del 1987 al picco del 2005.

Ciò che rende questo periodo particolarmente pericoloso è il fatto che è in gioco anche il ciclo dei 54 anni di Kondratieff di inflazione-disinflazione-deflazione, iniziato nel 1949 dopo che i prezzi si erano scongelati. L'inflazione mondiale è poi salita per venti anni fino al 1980, seguita da un periodo di disinflazione sotto la FED di Volcker. L'entrata della Cina nella World Trade Organization (WTO) l'11 dicembre 2001, con i suoi lavoratori in abbondanza e stipendi bassi, ha liberato notevoli forze deflazionistiche in tutto il mondo. Ciò a sua volta ha poi condotto ad aspettative di un'inflazione più bassa che hanno aperto la strada alla FED di Greenspan per tenere i tassi d'interesse ad un livello anormalmente basso.

Tassi di interesse persistentemente bassi ed aspettative di bassa inflazione hanno portato ad una frenesia nei prestiti e ad un vasto aumento nella valutazione del mercato, non solo dei beni immobili ma anche delle azioni e delle obbligazioni. Le banche ed altri istituti di credito ipotecario hanno approfittato dell'occasione per introdurre alcune innovazioni finanziarie per finanziare l'esplosione del mercato ipotecario. Queste innovazioni hanno provocato lo spaccamento del tradizionale collegamento diretto fra mutuatario e prestatore e la riduzione del rischio del prestatore normalmente associato ai prestiti ipotecari.

Quindi, con la connivenza delle agenzie di rating e del Sistema della Federal Reserve, grandi banche hanno inventato nuovi prodotti finanziari sotto vari nomi tipo "obbligazioni collateralizzate" (CBOs), "obbligazioni di debito collateralizzate" (CDOs), anche chiamate "veicoli di investimento strutturati" (SIVs), che hanno avuto le caratteristiche di cambiale finanziaria a breve termine fluttuante. Nel mercato delle ipoteche residenziali, ad esempio, i mediatori di ipoteche ed i prestatori "al minuto" vendevano i loro prestiti ipotecari alle banche, che a loro volta ne facevano un unico pacco e lo spezzettavano in differenti classi di titoli garantiti da ipoteche (RMBS), che portavano differenti livelli di rischio e di guadagno, prima di venderli agli investitori.

Quindi questi nuovi strumenti finanziari erano il risultato finale di un processo di "conversione dei beni in titoli" ed erano fette di pacchetti di prestiti, non solo prestiti ipotecari ma anche debiti delle carte di credito, prestiti per automobili, prestiti agli studenti ed altri crediti esigibili a breve termine. Ogni fetta portava un differente onere di rischio ed un differente rendimento. Con la benedizione delle agenzie di rating, le banche sono andate persino un po' oltre ed hanno cominciato a riunire le fette finanziarie più rischiose in pacchetti ancor più rischiosi dividendoli ancora per venderli agli investitori in cerca di rendimenti elevati.

Vendendo questi nuovi strumenti di debito agli investitori in cerca di rendimenti sempre più elevati, compresi i fondi monetari protetti ed i fondi pensione, le banche sono state doppiamente ricompensate. In primo luogo, per i loro sforzi hanno riscosso meravigliosi diritti di gestione. Ma in secondo luogo e di maggior importanza, hanno scaricato il rischio dei prestiti all'ignaro compratore di tali titoli, perché nel caso di default dei prestiti originali, la banca l'avrebbe fatta franca. Erano stati già pagati ed erano stati liberati dal rischio di default e di preclusione sui prestiti originali.

Il ruolo residuo delle banche era di raccogliere e distribuire interesse, finchè i mutuatari avevano effettuato i loro pagamenti degli interessi. Ma se i pagamenti si arrestavano, le perdite di capitale incontrate a causa del declino nel valore di prestiti non performanti sarebbero invece state sostenute dagli investitori dei CBO e CDO. Le stesse banche non avrebbero sofferto perdite e sarebbero state libere di usare le loro basi di capitale per impegnarsi in ulteriori vantaggiosi prestiti. Infatti, gli investitori alla fine della catena divennero i reali prestatori di ipoteca (senza raccogliere tutte le ricompense di tali rischiosi prestiti) e le banche poterono riutilizzare il loro capitale per arricchirsi sempre più con le loro operazioni di prestito. Questo era il periodo migliore per le banche e si abbuffavano senza freno. Alcune di loro hanno pagato ai loro impiegati decine di miliardi di dollari in indennità di fine d'anno.

Quindi, ed è qui che la FED ed altre agenzie di controllo sono venute a mancare, i prestatori di ipoteca di prima linea sono diventati sempre più aggressivi nei loro prestiti, con la completa certezza che avrebbero potuto scaricare proficuamente il rischio a valle. Ciò spiega l'espansione del mercato di ipoteche "subprime" in cui il prestito è stato fatto senza pagamenti in acconto, nessun pagamento d'interessi per un certo periodo e niente domande riguardo reddito e solvibilità del mutuatario. Queste non erano normali pratiche di prestito. Simili "schemi di Ponzi" [Charles Ponzi all'inizio del XX secolo divenne celebre, e venne arrestato, per investimenti fraudolenti ad alto profitto che presero il suo nome, ndt] non potevano durare per sempre. E quando i prezzi delle case hanno iniziato a calare, sono aumentati anche i pignoramenti, scuotendo così fino alle fondamenta la nuova casa finanziaria di carte. Le banche divennero le riluttanti proprietarie a valori molto ribassati di parte delle proprietà pignorate.

Perchè allora tante banche sono in difficoltà finanziarie, se il rischio del prestatore era stato trasferito agli ignari investitori? Essenzialmente, perché quando è scoppiato il boom delle case, la giacenza delle banche di "titoli con garanzia collaterale" invenduti era insolitamente alto. Quando il pifferaio ha smesso di suonare e gli investitori hanno smesso di comprare i rischiosi investimenti di recente creazione, il loro valore è precipitato in una notte e le banche sono rimaste con perdite enormi che non si sono ancora completamente riflesse nei loro bilanci finanziari. Quindi, le banche che non hanno scaricato i loro stock di pacchetti ipotecari sono state costrette ad accettare la proprietà di beni pignorati, a valori molto ribassati. Con poco o nessun collaterale dietro i prestiti, le perdite per crediti inesigibili sono diventate inevitabili.

Poiché nessuno sa per certo il valore di qualcosa che non è commerciato, serviranno mesi prima che le banche vengano a capo del totale delle perdite che hanno sofferto nei loro stock di "titoli basati su beni" preconfezionati ed invenduti. È più di una normale "crisi di liquidità" o di un "restringimento del credito " (che risulta quando la banca presta a breve termine ed investe in beni di lunga durata non liquidi); è più come una "crisi di solvibilità" se la base di capitale delle banche è sopraffatta dalla scoperta di enormi perdite finanziarie incontrate quando le banche sono costrette a vendere beni ipotecati in un mercato immobiliare in depressione.

E' questa confusione di operazioni bancarie e finanziarie che si sta sviluppando davanti ai nostri occhi e che sta minacciando il sistema finanziario americano ed internazionale. Ci sono quattro classi di perdenti. In primo luogo, gli acquirenti di case che hanno comprato le proprietà a prezzi inflazionati con poco o nessun acconto e che ora rischiano il pignoramento. In secondo luogo, gli investitori che hanno comprato cambiali finanziarie garantite con ipoteche non liquide e che sono in allarme per il rischio di perdere una parte o tutti i loro investimenti. In terzo luogo, gli azionisti delle banche che hanno tratto profitto finchè il sistema ha funzionato senza difficoltà ma che ora devono far fronte a valori delle azioni in declino. E, per concludere, chiunque tema di diventare vittima, direttamente o indirettamente, del rallentamento economico prossimo venturo.

Rodrigue Tremblay

27 novembre 2007

Energia pulita con le fonti alternative




Un quadrato di 210 per 210 chilometri. Poco più grande di metà della pianura padana. Ma nel Sahara.
«Questo quadrato ipotetico rappresenterebbe comunque poco più di un millesimo dei deserti esistenti – spiega il premio Nobel Carlo Rubbia – ma su di lui il Sole ogni anno irraggia in media 15 terawatt di energia, tanti quanti ne consuma l'intera nostra civiltà. E supponiamo, come ci dicono i trend, che al 2030 si vada al raddoppio. Si tratterebbe solo di aggiungere un altro millesimo di deserto solare, e di metterlo al lavoro».

Questo è il sogno energetico che ormai da più di un decennio muove centinaia di menti e di organizzazioni, pubbliche e private, non solo in Europa ma anche nel Nord-Africa, nel Mediterraneo e negli Usa. E non è solo un sogno, ma una necessità: «al 2025 l'Europa a 25 avrà un deficit elettrico di metà dei suoi consumi – dice Hans Muller-Steinaghen, del Dlr, centro aerospaziale tedesco – pari a oltre 230 gigawatt (l'Italia al 2030 per 16 gigawatt, ndr), a mano a mano che le vecchie centrali fossili verranno dismesse. E altri 230 aggiuntivi verranno dalla crescita dei consumi elettrici dei paesi Mediterranei e del Medio Oriente. Un fabbisogno enorme, che solo una fonte può sostenere: il grande solare desertico, l'unica con un potenziale di oltre cento volte gli scenari più estremi».

Per tre anni gli esperti tedeschi, guidati dal ministero dell'Ambiente di Berlino (insieme a colleghi giordani, marocchini, egiziani e algerini) hanno lavorato sugli scenari tecnologici di Trans-Csp e Med-Csp, due grossi volumi, irti di cifre e grafici, su come dovrà cambiare l'intero contesto energetico dei due continenti. Europa, Nord-Africa e Medio Oriente interconnessi da una sola rete elettrica ad alta capacità di trasporto in corrente continua, e grandi centrali solari termodinamiche a concentrazione desertiche (Csp, concentrated solar power) in grado di produrre e inviare centinaia di gigawatt di potenza fin nel nord-Europa, oltre a soddisfare i consumi locali (anche di acqua desalinizzata). Una visione grandiosa, quasi temeraria (uno dei suoi primi sostenitori, negli anni '90, è stato Carlo Rubbia), ma che ora comincia a diventare realtà.

Se ne è avuta una prova in occasione di World Solar Power 2007, la prima conferenza internazionale sul Csp tenutasi in Europa, a Siviglia. Una tre giorni che ha visto la partecipazione di un centinaio tra aziende, centri di ricerca e istituti finanziari provenienti da Europa, Usa e Medio Oriente. L'occasione per l'organizzatore, la spagnola Abengoa, di esibire la sua creatura solare nuova di zecca, la grande centrale Ps10 con i suoi 600 specchi da 120 metri quadri sempre puntati sulla torre centrale alta 115 metri a Sanlucar, capace di produrre 10 megawatt. Attiva dallo scorso giugno, Ps10 è la prima del suo genere di tipo commerciale (dopo una quindicina di torri solari di ricerca costruite negli ultimi venti anni) ed è già in costruzione Ps20, di doppia potenza (12mila case servite) e poi è allo studio Ps 50, con tecnologie ancora in fase di sviluppo.

Il caso spagnolo, infatti, è il primo e più massiccio segnale di movimento concreto. Lo scorso 25 maggio il Governo di Madrid ha assicurato, per decreto, una generosa tariffa elettrica incentivata per le centrali solari Csp fino a 50 megawatt: 26,9 centesimi di euro per chilowattora (quasi tre volte il prezzo di mercato) fissi per 25 anni. «Abbastanza per far partire i progetti con le tecnologie solari attuali – osserva Mark Geyer di Solar Paces, l'associazione mondiale del solare termodinamico – per ripagare gli investimenti e i finanziamenti. E soprattutto per avviare quella curva di apprendimento che, al 2020, dovrebbe far scendere il costo del chilowattora solare sotto la soglia magica dei dieci centesimi, competitiva con il gas e il carbone. A quella data gravati da una carbon tax o dal sequestro della CO2».

E la Spagna, con le sue grandi pianure meridionali a tassi di insolazione nord-africani, sta correndo: «Al ministero finora sono affluiti progetti per ben 4.100 megawatt complessivi, di cui 412 megawatt già approvati – spiega Almudena Carrasco della Red Electrica de Espana – una risposta ben superiore alle previsioni». Oggi si contano almeno 35 centrali solari in fase di avvio o di progetto, con una chiara concentrazione in Andalusia e in tutto il centro-sud spagnolo. «La maggiore concentrazione europea, e soltanto noi di Abengoa contiamo di investire due miliardi di euro in un sistema di quattro impianti a SanLucar-Siviglia da 131 megawatt complessivi – spiega Santiago Seage, presidente di Abengoa Solar – ma gli investimenti sono in moto in tutto il mondo. Ad oggi noi stimiamo progetti per 6 gigawatt complessivi (e 20 miliardi di euro) in Europa del Sud, Usa, Nordafrica e Medio Oriente. E presto si aggiungerà alla lista l'Asia, oltre alle prevedibili centrali australiane. E saranno in prima fila anche India e Cina».

Restiamo però al Mediterraneo. Marocco e Algeria sono già della partita. Il primo a Ain Ben Mathar, con un impianto ibrido solare Csp (20 megawatt) e gas a ciclo combinato da 470 megawatt. E i primi 183mila metri quadrati di specchi solari serviranno agli ingegneri marocchini per farsi le ossa, dal 2010 sulla nuova tecnologia. E poi replicarla per esportare in Europa, via interconnessione con la Spagna, elettricità pulita e a basso costo.

Altrettanto, e forse anche di più, per l'Algeria. Qui è stata già avviata una tariffa incentivata (non lontana da quella spagnola) e il primo passo prevede un impianto solare-gas da 160 megawatt a Hassi r'Mel. «Ma in questo complesso gasiero al centro dell'Algeria contiamo di sviluppare un tecnopolo solare tra i primi al mondo: al 2015 – dice Tewfik Hasni, direttore generale di Neal (New Energy Algeria, nuova consociata di Sonatrach) – prevediamo un investimento da un miliardo di dollari per 500 megawatt diretti al mercato interno e al 2020 un salto a 18 miliardi di dollari con un obbiettivo di 6mila megawatt solari per esportare elettricità in Europa. E vogliamo fare di Hassi r'Mel un punto di eccellenza mondiale, anche per lo sviluppo di nuove tecnologie». «E quella algerina è oggi la scommessa più massiccia, forse persino superiore a quella spagnola», commenta Carlo Rubbia.

Questi i progetti operativi presentati alla tre giorni di Siviglia. Ma anche Tunisia, Libia e Egitto stanno muovendosi. Israele ha già due centrali solari in funzione (e vari aziende leader, tra cui Solel e Luz due) mentre negli Emirati, ad Abu Dhabi, è stata recentemente inaugurata una intera nuova università tecnica, il Masdar Institute of Technology, interamente dedicata alle rinnovabili e con apporti del Mit e dell'Imperial College.

Il sogno dell'integrazione elettrica-solare del Mediterraneo, oltre ai collegamenti già attivi (Spagna-Marocco) prevede poi, al 2010, altri dodici elettrodotti (in tecnologia a corrente continua ad alto voltaggio) di cui quattro cross-mediterranei. E la Terna ha già annunciato il collegamento dalla Sicilia a Tunisi. Ma a questi dovrebbero seguire connessioni dirette con la Libia e dalla Sardegna all'Algeria. Mentre dalle coste spagnole partirà un cavo fino ad Orano.

E via Turchia la rete ad alta potenza risalirà fino in Germania. «Obbiettivo: al 2050 almeno 80 gigawatt affluiranno in Europa da una ventina di siti solari sulle altre sponde – conclude Muller-Steinaghen –. E almeno il 15% del consumo elettrico europeo dovrà essere assicurato, via solare, a 5-7 centesimi per chilowattora. Non è questione di sogni, ma di sopravvivenza e di sostenibilità. Per entrambi. Dobbiamo mettere al lavoro il nuovo oro del deserto».


Giuseppe Caravita

24 novembre 2007

I mutui subprime non pignorabili



STATI UNITI - La Deutsche Bank voleva pignorare 14 case di altrettanti proprietari che non riuscivano a pagare il mutuo a Cleveland, nell’Ohio.
Un giudice federale - di nome C.A. Boyko - ha dato torto alla potente banca.
Le cui azioni sono ulteriormente precipitate.
Ecco cosa attende i creditori esteri del debitore USA, si potrebbe concludere.
Ma la morale della storia è un’altra, molto più significativa.
E che suona vendetta per gli indebitati, e rovina per la speculazione.

Il giudice federale Boyko ha chiesto alla Deutsche di esibire i documenti comprovanti il titolo legale alle 14 case.
Le Deutsche Bank National Trust (la sussidiaria americana) non è stato in grado di farlo: non aveva in mano il contratto di mutuo vero e proprio, la prova dell’ipoteca gravante sugli immobili.
Tutto ciò che avevano erano delle «securities», obbligazioni, dove migliaia di mutui acquistati da piccole banche locali di prestito sono stati confezionati insieme dalla «ingegneria finanziaria» e rivenduti ad altri: fondi pensioni, privati risparmiatori, altre banche.

La Deutsche Bank stessa è stata sia confezionatrice di questi pacchetti tossici, sia - evidentemente - acquirente.
Si vendevano, eccome.
Standard & Poors assicurava che questi pacchetti erano AAA, ossia «sicuri», anche se (in una confezione che poteva contenere mille mutui) almeno un 20% erano stati contratti da debitori «subprime», ossia pagatori poco affidabili.
Ma si guadagnavano gli interessi su quelle «securities», consistenti nei ratei di mutuo che i più pagavano.

Si calcola che siano in circolazione 6.500 miliardi di dollari di questi pacchetti, titoli di debito «sostenuti» da patrimonio fisico, una casa («asset backed securities»).
Cifra eguale ai due terzi del reddito interno lordo americano.
Ed ora, grazie al giudice dell’Ohio, si scopre che - a causa della sofisticata struttura di quelle obbligazioni e della dispersione incredibile che hanno subito - non si riesce a sapere chi possieda il contratto di mutuo, il documento fisico comprovante l’ipoteca.

Miracolo della virtualizzazione estrema della finanza più disincarnata: tutto ciò che ha la Deutsche Bank è un documento, la famosa obbligazione-pacchetto, che rappresenta un «intento di cedere i diritti di mutuo».
Ma l’asset (l’immobile) che presuntivamente la «garantisce» («backed») non si sa di chi sia, né chi abbia in mano il documento relativo.
I geni della finanza creativa non avevano pensato a questo piccolo particolare.

Nel caso specifico, la Deutsche Bank ha agito come «Trustee» (fiduciario organizzatore) di «consorzi di cartolarizzazione» («securitization pools») di gruppi disparati di investitori sparsi per il mondo.
Ma il documento di mutuo richiesto dal giudice per provare che la banca era la creditrice e datrice del mutuo stesso, non è stato possibile esibirlo.
Dov’è?
Chi lo detiene?
Forse le piccole banche che hanno acceso il mutuo originario: ma quali?
Come identificarle, visto che la obbligazione («security») è un miscuglio di un migliaio di ipoteche diverse, anzi di porzioni di ipoteche?

Gli avvocati della Deutsche Bank hanno potuto solo sussurrare che in passato, per anni, le banche hanno potuto sequestrare i beni immobili a mutuo «securitizzato» senza suscitare obiezioni.
La risposta del giudice Boyko dovrà essere scritta nel marmo: «Le banche sembrano dare per scontato che siccome hanno fatto qualcosa per tanto tempo senza opposizione, la consuetudine equivalga alla legalità. Ora che questa pratica è stata messa alla prova, i loro argomenti legali deboli obbligano la corte a fermare la banca sul portone».

Si ritiene che siano forse due milioni di debitori con mutuo a tasso variabile (al 100% e con i primi due anni a tasso bassissimo); e che tra dicembre 2007 e luglio 2008 ben 690 miliardi di dollari di questi mutui subiranno un crudele rialzo degli interessi, perché il biennio di grazia scade.
E ciò proprio nel momento in cui la recessione si incrudelisce, e i redditi dei piccoli debitori probabilmente caleranno o cesseranno.
Centinaia di migliaia di abitanti ricorreranno all’ultima risorsa del debitore: non pagare il rateo mensile.
Si capisce bene perché, dopo questa sentenza - riguardante 14 villette unifamigliari, che la Deutsche Bank potrebbe comprarsi con un milionesimo dei suoi capitali - le azioni della banca tedesco -americana siano crollate.

Ora, se la decisione del giudice di Cleveland non sarà riformata dalla Corte suprema, milioni di debitori col mutuo andranno in fallimento, ma le banche non potranno sequestrare le case per rivenderle.
Per i piccoli proprietari insolventi sarà un dramma, anche perché le case tecnicamente requisibili crolleranno di prezzo (ma forse potranno continuare ad abitarle).
Ma per il sistema bancario americano (e quello internazionale che l’ha seguito nella follia) sarà come il grippaggio del motore in un’auto in corsa, o come uno di quegli ingorghi a croce uncinata dove nessuna auto può andare né avanti né indietro.
O meglio ancora, uno tsunami finanziario, come lo ha chiamato William Engdahl, a cui dobbiamo questa notizia .

Engdahl promette una seconda puntata, in cui specificherà le conseguenze.
Lo attendiamo con ansia, non riuscendo a comprendere sui due piedi tutti i titanici effetti convergenti e complessivi che questa sentenza avrà sul sistema finanziario mondiale e sull’economia sottostante; effetti sicuramente ampliati dalla globalizzazione stessa, che ha asportato le paratie difensive tra le economie nazionali.
La fantasia non arriva a tanto.
E si ha paura ad immaginare tutto.

«Le conseguenze di questa sentenza sono così immense, che non è possibile descriverle», ha infatti confidato all’EIR un’alta fonte della finanza europea .
Questo personaggio ha chiesto in giro nell’ambiente, e ancora nessuno sapeva della sentenza dell’Ohio.
Solo per questo, secondo lui, la baracca della finanza globale sta ancora in qualche modo in piedi.

Questo personaggio paventa inoltre che dietro l’incapacità della Deutsche Bank di fornire il documento dell’ipoteca ci sia un trucco e un buco potenziale ancora più spaventoso: forse la finanza creativa ha moltiplicato gli «asset» presunti (gli immobili) a sostegno delle obbligazioni «asset backed», vendendone più e più volte i medesimi presunti «attivi».
Qualcosa da far impallidire Enron e Parmalat messe assieme.

Ora comincia una nuova fase, ha detto questa fonte, in cui anche i mutui «prime» (contratti da famiglie solvibili e targati AAA) stanno «andando sotto».
Poi, verso fine anno, andranno sotto le borse, la seconda gamba dell’illusionista prosperità finanziaria.
«In ogni consiglio d’amministrazione domina il panico più completo, in quanto nessuno riesce a prevedere le conseguenze delle loro azioni».
Come non bastasse, nota la fonte dell’EIR, dal primo gennaio andranno in vigore le nuove norme mondialiste per i mercati finanziali, il «Basilea II», che essenzialmente consistono nel sostituire i vecchi vincoli di capitale bancario con un sistema di rating.

Di fatto, gli obblighi per le banche di tenere una quota di capitale come riserva porteranno ad un abbassamento di questo limite, mentre tutto sarà «valutato» con il rating.
Ma queste norme sono state pensate nei tempi del boom finanziario, quando le agenzie di rating erano ritenute vangelo (prima del disastro sub-prime), e quando nessuno poteva immaginare che un AAA potesse diventare un rating a rischio…
Ed oggi nessuno sa cosa accadrà quando entrerà in vigore Basilea II.
Paralizzati dalla paura e dall’impotenza, i consigli d’amministrazione penseranno a come cavarsela: non dalla crisi, ma dai plotoni d’esecuzione?
Magari.
Ma non ci contate.
Sappiamo già chi sarà impiccato alla grande crisi.
Nino Galloni fornisce infatti un dato che dice come si è arrivati a questo .

Nel 2006, il prodotto interno lordo USA è stato di 13 mila miliardi di dollari; per contro, il reddito nazionale netto degli americani è stato di 9 mila miliardi.
Ciò vuol dire che per comprare ciò che producono, gli americani (una forza-lavoro tra le più produttive del mondo) ha dovuto indebitarsi per la differenza (4 mila miliardi) o poco meno.
Ciò significa che il lavoro è stato retribuito il 30% in meno della produzione che dà.
E per giunta, deve pagare alle banche o ad altri prestatori il 30% del proprio reddito annuo medio.
A chi è andata la differenza enorme - 4 trilioni - tra redditi e valore della produzione?

A enti come Goldman Sachs, alla speculazione in generale, e alle guerre.
Succede anche in Italia, ma a noi è meno chiaro per chi stentiamo con potere d’acquisto calante, e per chi dobbiamo indebitarci: per la Casta, l’idrovora del nostro differenziale.
E gli uni e gli altri hanno tutti i mezzi per tenerci buoni: compresi i plotoni d’esecuzione.

Maurizio Blondet