24 novembre 2007

I mutui subprime non pignorabili



STATI UNITI - La Deutsche Bank voleva pignorare 14 case di altrettanti proprietari che non riuscivano a pagare il mutuo a Cleveland, nell’Ohio.
Un giudice federale - di nome C.A. Boyko - ha dato torto alla potente banca.
Le cui azioni sono ulteriormente precipitate.
Ecco cosa attende i creditori esteri del debitore USA, si potrebbe concludere.
Ma la morale della storia è un’altra, molto più significativa.
E che suona vendetta per gli indebitati, e rovina per la speculazione.

Il giudice federale Boyko ha chiesto alla Deutsche di esibire i documenti comprovanti il titolo legale alle 14 case.
Le Deutsche Bank National Trust (la sussidiaria americana) non è stato in grado di farlo: non aveva in mano il contratto di mutuo vero e proprio, la prova dell’ipoteca gravante sugli immobili.
Tutto ciò che avevano erano delle «securities», obbligazioni, dove migliaia di mutui acquistati da piccole banche locali di prestito sono stati confezionati insieme dalla «ingegneria finanziaria» e rivenduti ad altri: fondi pensioni, privati risparmiatori, altre banche.

La Deutsche Bank stessa è stata sia confezionatrice di questi pacchetti tossici, sia - evidentemente - acquirente.
Si vendevano, eccome.
Standard & Poors assicurava che questi pacchetti erano AAA, ossia «sicuri», anche se (in una confezione che poteva contenere mille mutui) almeno un 20% erano stati contratti da debitori «subprime», ossia pagatori poco affidabili.
Ma si guadagnavano gli interessi su quelle «securities», consistenti nei ratei di mutuo che i più pagavano.

Si calcola che siano in circolazione 6.500 miliardi di dollari di questi pacchetti, titoli di debito «sostenuti» da patrimonio fisico, una casa («asset backed securities»).
Cifra eguale ai due terzi del reddito interno lordo americano.
Ed ora, grazie al giudice dell’Ohio, si scopre che - a causa della sofisticata struttura di quelle obbligazioni e della dispersione incredibile che hanno subito - non si riesce a sapere chi possieda il contratto di mutuo, il documento fisico comprovante l’ipoteca.

Miracolo della virtualizzazione estrema della finanza più disincarnata: tutto ciò che ha la Deutsche Bank è un documento, la famosa obbligazione-pacchetto, che rappresenta un «intento di cedere i diritti di mutuo».
Ma l’asset (l’immobile) che presuntivamente la «garantisce» («backed») non si sa di chi sia, né chi abbia in mano il documento relativo.
I geni della finanza creativa non avevano pensato a questo piccolo particolare.

Nel caso specifico, la Deutsche Bank ha agito come «Trustee» (fiduciario organizzatore) di «consorzi di cartolarizzazione» («securitization pools») di gruppi disparati di investitori sparsi per il mondo.
Ma il documento di mutuo richiesto dal giudice per provare che la banca era la creditrice e datrice del mutuo stesso, non è stato possibile esibirlo.
Dov’è?
Chi lo detiene?
Forse le piccole banche che hanno acceso il mutuo originario: ma quali?
Come identificarle, visto che la obbligazione («security») è un miscuglio di un migliaio di ipoteche diverse, anzi di porzioni di ipoteche?

Gli avvocati della Deutsche Bank hanno potuto solo sussurrare che in passato, per anni, le banche hanno potuto sequestrare i beni immobili a mutuo «securitizzato» senza suscitare obiezioni.
La risposta del giudice Boyko dovrà essere scritta nel marmo: «Le banche sembrano dare per scontato che siccome hanno fatto qualcosa per tanto tempo senza opposizione, la consuetudine equivalga alla legalità. Ora che questa pratica è stata messa alla prova, i loro argomenti legali deboli obbligano la corte a fermare la banca sul portone».

Si ritiene che siano forse due milioni di debitori con mutuo a tasso variabile (al 100% e con i primi due anni a tasso bassissimo); e che tra dicembre 2007 e luglio 2008 ben 690 miliardi di dollari di questi mutui subiranno un crudele rialzo degli interessi, perché il biennio di grazia scade.
E ciò proprio nel momento in cui la recessione si incrudelisce, e i redditi dei piccoli debitori probabilmente caleranno o cesseranno.
Centinaia di migliaia di abitanti ricorreranno all’ultima risorsa del debitore: non pagare il rateo mensile.
Si capisce bene perché, dopo questa sentenza - riguardante 14 villette unifamigliari, che la Deutsche Bank potrebbe comprarsi con un milionesimo dei suoi capitali - le azioni della banca tedesco -americana siano crollate.

Ora, se la decisione del giudice di Cleveland non sarà riformata dalla Corte suprema, milioni di debitori col mutuo andranno in fallimento, ma le banche non potranno sequestrare le case per rivenderle.
Per i piccoli proprietari insolventi sarà un dramma, anche perché le case tecnicamente requisibili crolleranno di prezzo (ma forse potranno continuare ad abitarle).
Ma per il sistema bancario americano (e quello internazionale che l’ha seguito nella follia) sarà come il grippaggio del motore in un’auto in corsa, o come uno di quegli ingorghi a croce uncinata dove nessuna auto può andare né avanti né indietro.
O meglio ancora, uno tsunami finanziario, come lo ha chiamato William Engdahl, a cui dobbiamo questa notizia .

Engdahl promette una seconda puntata, in cui specificherà le conseguenze.
Lo attendiamo con ansia, non riuscendo a comprendere sui due piedi tutti i titanici effetti convergenti e complessivi che questa sentenza avrà sul sistema finanziario mondiale e sull’economia sottostante; effetti sicuramente ampliati dalla globalizzazione stessa, che ha asportato le paratie difensive tra le economie nazionali.
La fantasia non arriva a tanto.
E si ha paura ad immaginare tutto.

«Le conseguenze di questa sentenza sono così immense, che non è possibile descriverle», ha infatti confidato all’EIR un’alta fonte della finanza europea .
Questo personaggio ha chiesto in giro nell’ambiente, e ancora nessuno sapeva della sentenza dell’Ohio.
Solo per questo, secondo lui, la baracca della finanza globale sta ancora in qualche modo in piedi.

Questo personaggio paventa inoltre che dietro l’incapacità della Deutsche Bank di fornire il documento dell’ipoteca ci sia un trucco e un buco potenziale ancora più spaventoso: forse la finanza creativa ha moltiplicato gli «asset» presunti (gli immobili) a sostegno delle obbligazioni «asset backed», vendendone più e più volte i medesimi presunti «attivi».
Qualcosa da far impallidire Enron e Parmalat messe assieme.

Ora comincia una nuova fase, ha detto questa fonte, in cui anche i mutui «prime» (contratti da famiglie solvibili e targati AAA) stanno «andando sotto».
Poi, verso fine anno, andranno sotto le borse, la seconda gamba dell’illusionista prosperità finanziaria.
«In ogni consiglio d’amministrazione domina il panico più completo, in quanto nessuno riesce a prevedere le conseguenze delle loro azioni».
Come non bastasse, nota la fonte dell’EIR, dal primo gennaio andranno in vigore le nuove norme mondialiste per i mercati finanziali, il «Basilea II», che essenzialmente consistono nel sostituire i vecchi vincoli di capitale bancario con un sistema di rating.

Di fatto, gli obblighi per le banche di tenere una quota di capitale come riserva porteranno ad un abbassamento di questo limite, mentre tutto sarà «valutato» con il rating.
Ma queste norme sono state pensate nei tempi del boom finanziario, quando le agenzie di rating erano ritenute vangelo (prima del disastro sub-prime), e quando nessuno poteva immaginare che un AAA potesse diventare un rating a rischio…
Ed oggi nessuno sa cosa accadrà quando entrerà in vigore Basilea II.
Paralizzati dalla paura e dall’impotenza, i consigli d’amministrazione penseranno a come cavarsela: non dalla crisi, ma dai plotoni d’esecuzione?
Magari.
Ma non ci contate.
Sappiamo già chi sarà impiccato alla grande crisi.
Nino Galloni fornisce infatti un dato che dice come si è arrivati a questo .

Nel 2006, il prodotto interno lordo USA è stato di 13 mila miliardi di dollari; per contro, il reddito nazionale netto degli americani è stato di 9 mila miliardi.
Ciò vuol dire che per comprare ciò che producono, gli americani (una forza-lavoro tra le più produttive del mondo) ha dovuto indebitarsi per la differenza (4 mila miliardi) o poco meno.
Ciò significa che il lavoro è stato retribuito il 30% in meno della produzione che dà.
E per giunta, deve pagare alle banche o ad altri prestatori il 30% del proprio reddito annuo medio.
A chi è andata la differenza enorme - 4 trilioni - tra redditi e valore della produzione?

A enti come Goldman Sachs, alla speculazione in generale, e alle guerre.
Succede anche in Italia, ma a noi è meno chiaro per chi stentiamo con potere d’acquisto calante, e per chi dobbiamo indebitarci: per la Casta, l’idrovora del nostro differenziale.
E gli uni e gli altri hanno tutti i mezzi per tenerci buoni: compresi i plotoni d’esecuzione.

Maurizio Blondet

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24 novembre 2007

I mutui subprime non pignorabili



STATI UNITI - La Deutsche Bank voleva pignorare 14 case di altrettanti proprietari che non riuscivano a pagare il mutuo a Cleveland, nell’Ohio.
Un giudice federale - di nome C.A. Boyko - ha dato torto alla potente banca.
Le cui azioni sono ulteriormente precipitate.
Ecco cosa attende i creditori esteri del debitore USA, si potrebbe concludere.
Ma la morale della storia è un’altra, molto più significativa.
E che suona vendetta per gli indebitati, e rovina per la speculazione.

Il giudice federale Boyko ha chiesto alla Deutsche di esibire i documenti comprovanti il titolo legale alle 14 case.
Le Deutsche Bank National Trust (la sussidiaria americana) non è stato in grado di farlo: non aveva in mano il contratto di mutuo vero e proprio, la prova dell’ipoteca gravante sugli immobili.
Tutto ciò che avevano erano delle «securities», obbligazioni, dove migliaia di mutui acquistati da piccole banche locali di prestito sono stati confezionati insieme dalla «ingegneria finanziaria» e rivenduti ad altri: fondi pensioni, privati risparmiatori, altre banche.

La Deutsche Bank stessa è stata sia confezionatrice di questi pacchetti tossici, sia - evidentemente - acquirente.
Si vendevano, eccome.
Standard & Poors assicurava che questi pacchetti erano AAA, ossia «sicuri», anche se (in una confezione che poteva contenere mille mutui) almeno un 20% erano stati contratti da debitori «subprime», ossia pagatori poco affidabili.
Ma si guadagnavano gli interessi su quelle «securities», consistenti nei ratei di mutuo che i più pagavano.

Si calcola che siano in circolazione 6.500 miliardi di dollari di questi pacchetti, titoli di debito «sostenuti» da patrimonio fisico, una casa («asset backed securities»).
Cifra eguale ai due terzi del reddito interno lordo americano.
Ed ora, grazie al giudice dell’Ohio, si scopre che - a causa della sofisticata struttura di quelle obbligazioni e della dispersione incredibile che hanno subito - non si riesce a sapere chi possieda il contratto di mutuo, il documento fisico comprovante l’ipoteca.

Miracolo della virtualizzazione estrema della finanza più disincarnata: tutto ciò che ha la Deutsche Bank è un documento, la famosa obbligazione-pacchetto, che rappresenta un «intento di cedere i diritti di mutuo».
Ma l’asset (l’immobile) che presuntivamente la «garantisce» («backed») non si sa di chi sia, né chi abbia in mano il documento relativo.
I geni della finanza creativa non avevano pensato a questo piccolo particolare.

Nel caso specifico, la Deutsche Bank ha agito come «Trustee» (fiduciario organizzatore) di «consorzi di cartolarizzazione» («securitization pools») di gruppi disparati di investitori sparsi per il mondo.
Ma il documento di mutuo richiesto dal giudice per provare che la banca era la creditrice e datrice del mutuo stesso, non è stato possibile esibirlo.
Dov’è?
Chi lo detiene?
Forse le piccole banche che hanno acceso il mutuo originario: ma quali?
Come identificarle, visto che la obbligazione («security») è un miscuglio di un migliaio di ipoteche diverse, anzi di porzioni di ipoteche?

Gli avvocati della Deutsche Bank hanno potuto solo sussurrare che in passato, per anni, le banche hanno potuto sequestrare i beni immobili a mutuo «securitizzato» senza suscitare obiezioni.
La risposta del giudice Boyko dovrà essere scritta nel marmo: «Le banche sembrano dare per scontato che siccome hanno fatto qualcosa per tanto tempo senza opposizione, la consuetudine equivalga alla legalità. Ora che questa pratica è stata messa alla prova, i loro argomenti legali deboli obbligano la corte a fermare la banca sul portone».

Si ritiene che siano forse due milioni di debitori con mutuo a tasso variabile (al 100% e con i primi due anni a tasso bassissimo); e che tra dicembre 2007 e luglio 2008 ben 690 miliardi di dollari di questi mutui subiranno un crudele rialzo degli interessi, perché il biennio di grazia scade.
E ciò proprio nel momento in cui la recessione si incrudelisce, e i redditi dei piccoli debitori probabilmente caleranno o cesseranno.
Centinaia di migliaia di abitanti ricorreranno all’ultima risorsa del debitore: non pagare il rateo mensile.
Si capisce bene perché, dopo questa sentenza - riguardante 14 villette unifamigliari, che la Deutsche Bank potrebbe comprarsi con un milionesimo dei suoi capitali - le azioni della banca tedesco -americana siano crollate.

Ora, se la decisione del giudice di Cleveland non sarà riformata dalla Corte suprema, milioni di debitori col mutuo andranno in fallimento, ma le banche non potranno sequestrare le case per rivenderle.
Per i piccoli proprietari insolventi sarà un dramma, anche perché le case tecnicamente requisibili crolleranno di prezzo (ma forse potranno continuare ad abitarle).
Ma per il sistema bancario americano (e quello internazionale che l’ha seguito nella follia) sarà come il grippaggio del motore in un’auto in corsa, o come uno di quegli ingorghi a croce uncinata dove nessuna auto può andare né avanti né indietro.
O meglio ancora, uno tsunami finanziario, come lo ha chiamato William Engdahl, a cui dobbiamo questa notizia .

Engdahl promette una seconda puntata, in cui specificherà le conseguenze.
Lo attendiamo con ansia, non riuscendo a comprendere sui due piedi tutti i titanici effetti convergenti e complessivi che questa sentenza avrà sul sistema finanziario mondiale e sull’economia sottostante; effetti sicuramente ampliati dalla globalizzazione stessa, che ha asportato le paratie difensive tra le economie nazionali.
La fantasia non arriva a tanto.
E si ha paura ad immaginare tutto.

«Le conseguenze di questa sentenza sono così immense, che non è possibile descriverle», ha infatti confidato all’EIR un’alta fonte della finanza europea .
Questo personaggio ha chiesto in giro nell’ambiente, e ancora nessuno sapeva della sentenza dell’Ohio.
Solo per questo, secondo lui, la baracca della finanza globale sta ancora in qualche modo in piedi.

Questo personaggio paventa inoltre che dietro l’incapacità della Deutsche Bank di fornire il documento dell’ipoteca ci sia un trucco e un buco potenziale ancora più spaventoso: forse la finanza creativa ha moltiplicato gli «asset» presunti (gli immobili) a sostegno delle obbligazioni «asset backed», vendendone più e più volte i medesimi presunti «attivi».
Qualcosa da far impallidire Enron e Parmalat messe assieme.

Ora comincia una nuova fase, ha detto questa fonte, in cui anche i mutui «prime» (contratti da famiglie solvibili e targati AAA) stanno «andando sotto».
Poi, verso fine anno, andranno sotto le borse, la seconda gamba dell’illusionista prosperità finanziaria.
«In ogni consiglio d’amministrazione domina il panico più completo, in quanto nessuno riesce a prevedere le conseguenze delle loro azioni».
Come non bastasse, nota la fonte dell’EIR, dal primo gennaio andranno in vigore le nuove norme mondialiste per i mercati finanziali, il «Basilea II», che essenzialmente consistono nel sostituire i vecchi vincoli di capitale bancario con un sistema di rating.

Di fatto, gli obblighi per le banche di tenere una quota di capitale come riserva porteranno ad un abbassamento di questo limite, mentre tutto sarà «valutato» con il rating.
Ma queste norme sono state pensate nei tempi del boom finanziario, quando le agenzie di rating erano ritenute vangelo (prima del disastro sub-prime), e quando nessuno poteva immaginare che un AAA potesse diventare un rating a rischio…
Ed oggi nessuno sa cosa accadrà quando entrerà in vigore Basilea II.
Paralizzati dalla paura e dall’impotenza, i consigli d’amministrazione penseranno a come cavarsela: non dalla crisi, ma dai plotoni d’esecuzione?
Magari.
Ma non ci contate.
Sappiamo già chi sarà impiccato alla grande crisi.
Nino Galloni fornisce infatti un dato che dice come si è arrivati a questo .

Nel 2006, il prodotto interno lordo USA è stato di 13 mila miliardi di dollari; per contro, il reddito nazionale netto degli americani è stato di 9 mila miliardi.
Ciò vuol dire che per comprare ciò che producono, gli americani (una forza-lavoro tra le più produttive del mondo) ha dovuto indebitarsi per la differenza (4 mila miliardi) o poco meno.
Ciò significa che il lavoro è stato retribuito il 30% in meno della produzione che dà.
E per giunta, deve pagare alle banche o ad altri prestatori il 30% del proprio reddito annuo medio.
A chi è andata la differenza enorme - 4 trilioni - tra redditi e valore della produzione?

A enti come Goldman Sachs, alla speculazione in generale, e alle guerre.
Succede anche in Italia, ma a noi è meno chiaro per chi stentiamo con potere d’acquisto calante, e per chi dobbiamo indebitarci: per la Casta, l’idrovora del nostro differenziale.
E gli uni e gli altri hanno tutti i mezzi per tenerci buoni: compresi i plotoni d’esecuzione.

Maurizio Blondet

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