24 gennaio 2008

De Magistris lascia l'ANM



Era nell'aria, ma gli avvenimenti stanno precipitando in una lenta ma inesorabile successione di eventi.
Ecco la lettera con la quale il pm Luigi De Magistris si dimette dall'Associazione nazionale magistrati (come già aveva fatto la collega Ilda Boccassini due settimane fa), dopo la decisione del Csm di rimuoverlo dalla sede di Catanzaro e dall'ufficio di pm.


Già da alcuni mesi avevo deciso - seppur con grande rammarico - di dimettermi dall'Associazione nazionale magistrati. I successivi eventi che mi hanno riguardato, le priorità dettate dai tempi di un processo disciplinare tanto rapido quanto sommario, ingiusto ed iniquo, mi hanno imposto di soprassedere.
Adesso è il tempo che 'tutti i nodi vengano al pettine'.

Vado via da un'associazione che non solo non è più in grado di rappresentare adeguatamente i magistrati che quotidianamente esercitano le funzioni, spesso in condizioni proibitive, ma sta - con le condotte ed i comportamenti di questi anni - portando, addirittura, all'affievolimento ed all'indebolimento di quei valori costituzionali che dovrebbero essere il punto di riferimento principale della sua azione.

L'Anm - che storicamente aveva avuto il ruolo di contribuire a concretizzare i valori di indipendenza interna ed esterna della magistratura - negli ultimi anni, con prassi e condotte censurabili ormai sotto gli occhi di tutti, ha contribuito al consolidamento di una magistratura 'normalizzata' non sapendo e non volendo 'stare vicino' ai tanti colleghi (sicuramente i più 'bisognosi') che dovevano essere sostenuti nelle loro difficili azioni quotidiane spesso in contesti di forte isolamento; ha fatto proprie tendenze e pratiche di lottizzazione attraverso il sistema delle cosiddette correnti; ha contribuito - di fatto - a rendere sempre più arduo l'esercizio di una giurisdizione indipendente che abbia come principale baluardo il principio costituzionale che impone che tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge.



L'Anm è divenuta, con il tempo, un luogo di esercizio del potere, con scambi di ruoli tra magistrati che oggi ricoprono incarichi associativi, domani siedono al Csm, dopodomani ai vertici del ministero e poi, magari, finito il 'giro', si trovano a ricoprire posti apicali ai vertici degli uffici giudiziari. È uno spettacolo che per quanto mi riguarda è divenuto riprovevole.

Anche io, per un periodo, ho pensato, lottando non poco come tutti i miei colleghi sanno, di poter contribuire a cambiare, dall'interno, l'associazionismo giudiziario, ma non è possibile non essendoci più alcun margine. Lascio, pertanto, l'Anm, donando il contributo ad associazioni che, nell'impegno quotidiano antimafia, cercano di garantire l'indipendenza concreta della magistratura molto meglio dell'associazionismo giudiziario.

Non vi è dubbio che anche il Consiglio superiore della magistratura, composto da membri laici, espressione dei partiti, e membri togati, espressione delle correnti, non può, quindi, non risentire dello stato attuale della politica e della magistratura associata.

I magistrati debbono avere nel cuore e nella mente e praticare nelle loro azioni i principi costituzionali ed essere soggetti solo alla legge.

So bene che all'interno di tutte le correnti dell'Anm vi sono colleghi di prim'ordine, ma questo sistema di funzionamento dell'autogoverno della magistratura lo considero non più tollerabile. Il Csm deve essere il luogo in cui tutti i magistrati si sentano, effettivamente, garantiti e tutelati dalle costanti minacce alla loro indipendenza.

Non è possibile assistere ad indegne omissioni o interventi inaccettabili dell'Anm, come ad esempio negli ultimi mesi, su vicende gravissime che hanno coinvolto magistrati che, in prima linea, cercano di adempiere solo alle loro funzioni: da ultimo, quello che è accaduto ai colleghi di Santa Maria Capua Vetere.

Non parlo delle azioni ed omissioni riprovevoli - da parte anche di magistrati, non solo operanti in Calabria - sulla mia vicenda perché di quello ho riferito alla magistratura ordinaria competente e sono fiducioso che, prima o poi, tutto sarà più chiaro.
Certo, lo spettacolo che mi ha visto in questi giorni protagonista, in un processo disciplinare che mi ha lasciato senza parole, ha contribuito a radicare in me la convinzione che questo sistema ormai è divenuto inaccettabile per tutti quei magistrati che ancora sentono e amano profondamente questo mestiere e che siamo ormai al capolinea.

Io sono orgoglioso - sembrerà paradossale - che questo Csm mi abbia inflitto la censura con trasferimento d'ufficio. Era proprio quello che mi aspettavo. Ed anche scritto, in tempi non sospetti. Ho già detto, ad un mio amico antiquario, di farmi una bella cornice: dovrò mettere il dispositivo della sentenza dietro la scrivania del mio ufficio ed indicare a tutti quelli che me lo chiederanno le vere ragioni del mio trasferimento.

La mia condanna disciplinare è grave e infondata, nei confronti della stessa farò ricorso alle sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione confidando in giudici sereni, onesti, imparziali, in poche parole giusti. La condanna è, poi, talmente priva di fondamento, da ogni punto di vista, che la considero anche inaccettabile.

Mi viene inflitta la censura, devo lasciare Catanzaro ed abbandonare le funzioni di pubblico ministero in sostanza perché non ho informato i miei superiori in alcune circostanze e perché ho secretato un atto solo ed esclusivamente per salvaguardare le indagini ed evitare che vi fossero propalazioni esterne che danneggiassero le inchieste; senza, peraltro, tenere conto delle gravissime ragioni che hanno necessariamente ispirato alcune mie condotte. Troppo zelo, troppi scrupoli, troppo amore per questo mestiere. Del resto il procuratore generale che rappresentava l'accusa in giudizio, nel rimproverarmi, definendomi anche birichino, ha detto che concepisco le mie funzioni come una missione.

Ebbene, questa decisione, a mio umile avviso, contribuisce ad affievolire l'indipendenza della magistratura, conduce ad indebolire i valori ed i principi costituzionali, ci trascina verso una magistratura burocratizzata ed impaurita sotto il maglio e la clava del processo disciplinare.

Il rappresentante della Procura generale della Cassazione in udienza, il dr. Vito D'Ambrosio, ex politico, il quale per circa dieci anni è stato anche presidente della giunta della Regione Marche, ha sostenuto, durante il processo, sostanzialmente, che non rappresento, in modo adeguato, il modello di magistrato.

Ed invero, il modello di magistrato al quale mi sono ispirato è quello rappresentato da mio nonno magistrato (che ha subito anche due attentati durante l'espletamento delle funzioni), da mio padre (che ha condotto processi penali di estrema importanza in materia di terrorismo, criminalità organizzata e corruzione), dai miei magistrati affidatari durante il tirocinio, dai tanti colleghi bravi e onesti conosciuti in questi anni, da quello che ho potuto apprendere ed imparare, sulla mia pelle in contesti ambientali anche molto difficili, dall'esperienza professionale nell'esercizio di un mestiere al quale ho dedicato, praticamente, gran parte della mia vita. Il mio modello è la Costituzione repubblicana, nata dalla resistenza. Il modello 'castale' e del magistrato 'burocrate' non mi interessa e non mi apparterrà mai, nessuna 'quarantena' in altri uffici, nessun 'trattamento di recupero' nelle pur nobili funzioni giudicanti, potrà mutare i miei valori, né potrà far flettere, nemmeno di un centimetro, la mia schiena. Sarò sempre lo stesso, forse, debbo a questo appunto ammetterlo, un magistrato che per il 'sistema' è 'deviato ed eversivo'.

Pertanto, questa sentenza è, per me, la conferma di quello che ho visto in questi anni ed un importante riscontro professionale alla bontà del mio lavoro. Certo è una sentenza che nella sua profonda ingiustizia è anche intrinsecamente mortificante. Imporre ad un pubblico ministero, che si sa che ha sempre professato e praticato l'amore immenso per quel mestiere, di non poterlo più fare - sol perché ha 'osato', in pratica, indagare un sistema devastante di corruzione e cercato di evitare che una 'rete collusiva' ostacolasse il proprio lavoro e, quindi, condannandolo per avere, in definitiva, rispettato la legge - è un po' come dire ad un chirurgo che non può più operare, ad un giornalista di inchiesta che deve occuparsi di fiere in campagna, ad un investigatore di polizia giudiziaria che deve pensare ai servizi amministrativi. Farò di tutto, con passione ed entusiasmo intatti, nei prossimi mesi, per dimostrare quanto ingiusta e grave sia stata questa sentenza e che danno immane abbia prodotto per l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati, ed anche e soprattutto per la Calabria, una terra (che continuerò sempre ad amare comunque finisca questa 'storia') che aveva bisogno di ben altri 'segnali' istituzionali.
Lavorerò ancor più alacremente nei prossimi mesi - prima del mio probabile allontanamento 'coatto' dalla Calabria - presso la Procura della Repubblica di Catanzaro per condurre a termine le indagini più delicate pendenti.

Non mi sottrarrò ad eventuali dibattiti pubblici anche tra i lavoratori, tra gli operai, tra gli studenti, nei luoghi in cui vi è sofferenza di diritti, per contribuire - da cittadino e da magistrato, con la mia forza interiore - al consolidamento di una coscienza civile e per la realizzazione di un tessuto connettivo sinceramente democratico.

Il Paese deve, comunque, sapere che vi sono ancora magistrati che con onore e dignità offrono una garanzia per la tutela dei diritti di tutti (dei forti e dei deboli allo stesso modo) e che non si faranno né intimidire, né condizionare, da alcun tipo di potere, da nessuna casta, esercitando le funzioni con piena indipendenza ed autonomia, in una tensione ideale e morale costituzionalmente orientata, in ossequio, in primo luogo, all'art. 3 della Costituzione repubblicana.

fonte:espresso

Scontri fra raccomandati:le differenze.



L'altra sera Bruno Vespa, marito di Augusta lannini che dirige gli Affari di giustizia del ministero per volontà di Mastella, ha organizzato una passerella per Mastella, cioè per il datore di lavoro della sua signora. Il quale lacrimava per le sorti della sua signora agli arresti. Annunciava il ritiro dell'appoggio esterno, anzi del concorso esterno, al governo. E insultava senza contraddittorio giudici, pm e cronisti (assenti) evocando complotti calabro-lucan-campani e sparando le solite corbellerie. La migliore: «Non si arresta mia moglie senza prima sentirla, lo dice pure Andreotti» (i giudici avrebbero dovuto convocarla, anticiparle le accuse e preannunciarle il suo prossimo arresto, sempreché la signora non avesse nulla in contrario).

Poi l'insetto ha mandato in onda il lungo battibecco fra la «iena» Alessandro Sortino ed Elio Mastella, figlio dei più noti Clemente & Sandra. In studio gli squisiti ospiti si profondevano in complimenti per la performance di Elio, che dava del raccomandato a Sortino perché suo padre è membro dell'Authority delle Comunicazioni; mentre lui, Elio, è un umile «metalmeccanico» che tira avanti «con 1800 euro di stipendio». Il mondo alla rovescia. Sortino viene assunto a Radio Capital perché è molto bravo nel lontano '98, sette anni prima che suo padre vada all'Agcom.

Le lene lo notano e lo ingaggiano nel 2000, cinque anni prima che il padre vada all'Agcom. Dunque non è un raccomandato. Non lo è nemmeno il padre Sebastiano, che vanta un curriculum di prim'ordine: laureato in legge, per 10 anni responsabile della Piccola impresa in Confindustria, per 5 anni dirigente Eni, dal '77 direttore generale della Fieg (federazione editori giornali) e consigliere Cnel, esperto di antitrust e tetti pubblicitari tv, dunque nemico giurato del monopolio Mediaset e odiato da Confalonieri. Sortino figlio ha fatto carriera nonostante il padre e il padre ha fatto carriera nonostante Mediaset.

Nell'Agcom siede pure un rappresentante Udeur; si chiama Roberto Napoli, il suo curriculum fa sorridere: medico legale all'ospedale dì Battipaglia, consigliere comunale a Battipaglia, assessore a Battipaglia, sindaco di Battipaglia, senatore dal '94 al 2001, poi trombato e sistemato all'Agenzia per l'ambiente della Campania. Dall'alto di questa spettacolare esperienza e in barba alla legge sulle Authority che pretende «persone di alta e riconosciuta competenza nel settore», nel 2005 Napoli entra in Agcom. Appena arrivato, si dà subito da fare e nomina sua segretaria Alessia Camilleri, promessa sposa di Pellegrino Mastella, figlio di Clemente. Intanto la figlia Monica Napoli prende il praticantato presso Il Campanile, organo dell'Udeur finanziato dallo Stato con 1,3 milioni l'anno. Al Campanile fanno il praticantato anche Alessia Camilleri, il suo futuro sposo Pellegrino Mastella e l'ex fidanzata di Elio Mastella, Manuela D'Argenio. Nel 2005 Il Campanile, secondo l'Espresso, versa a Clemente 40 mila euro per «compensi giornalistici»; 14 mila per pagare i panettoncini e torroncini della signora Sandra per i regali di Natale; 12 mila allo studio legale di Pellegrino; 36 mila in tre anni alla società assicuratrice dello stesso Pellegrino. Il giornale rimborsa molti viaggi aerei alla famiglia Mastella (compresi Pellegrino, Elio e Alessia). Altri 2 mila euro al mese vanno al benzinaio di Ceppaloni che fa il pieno al Porsche Cayenne di Pellegrino.

Ora Elio lavora alla Selex, gruppo Finmeccanica, al modico stipendio - dice - di 1800 euro. Strano, perché ogni mese paga insieme al fratello una super-rata di 6700 euro per il mutuo acceso per acquistare uno dei sei appartamenti rilevati dalla famiglia Mastella nel centro di Roma a prezzi stracciati. L'appartamento ex-lnail, in largo Arenula, ospita Il Campanile ed è della società omonima, intestata all'ex tesoriere Tancredi Cimmino e al segretario Mastella, poi girata ai due figli: 50% a Elio, 50% a Pellegrino. Valore dell'immobile: 2,4 milioni.

Ma i giovanotti lo hanno per 1,45 milioni, grazie a un mutuo di 1,1 milioni con rata mensile di 6700 euro. Come lo pagano? Con l'affitto versato dall'Udeur, 6500 euro mensili, il doppio dì quello pagato allora all'Inaii. Come l'hanno garantito? Con due dei 4 appartamenti delle Generali comprati in contanti in lungotevere Flaminio: 2 da Elio, 2 da Pellegrino. Ricapitolando: il giovane metalmeccanico da 1800 euro possiede mezzo mega-appartamento in largo Arenula, un intero terzo piano comprato per soli 200 mila euro e un alloggio costato 67 mila euro.

Sortino jr. si è fatto strada con le sue gambe, ha comprato casa con soldi suoi, a prezzi di mercato. Una vergogna nel Paese dei Ceppalones. Infatti per Porta a Porta il raccomandato è lui, la iena. Viva commozione invece per il metalmeccanico immobiliarista.

Marco Travaglio

23 gennaio 2008

Banca d'Italia e realtà gattopardiana


Mentre i politici urlano e sbraitano sui salotti buoni della Tv, le grandi truffe e i grandi interessi mediatici e finanziari pensano ad altro.
Non è possibile che in uno Stato che si reputa piena di risorse si accanisce su pagliuzze senza vedere le classiche travi.
Il vuoto di potere delle Istituzioni, prima o poi sarà colmato, ma da chi?
Domanda ingenua che si liquida con: il soggetto più forte. Siamo in mano a banche private che fanno prima la moneta che lo stato, emettono moneta (privilegio di Stato nazionale)senza avere Stati, ma insieme virtuale di confini. Più forte di così?
Una domanda di un lettore di effedieffe chiede perchè si è arrivati a questa situazione e Cupertino si lancia in una disanima della situazione.


«… Bankitalia - come tutti gli istituti di emissione aventi il privilegio dell'emissione di moneta fiduciaria - si appropria di risorse dei cittadini in misura pari all'entità delle banconote in circolazione. La cosa è del resto ammessa apertis verbis … nella relazione al disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 1993: '…In conseguenza, non si consente agli esecutivi degli Stati firmatari del Trattato (di Maastricht, ndr) di esercitare signoraggio in senso stretto: OVVERO DI APPROPRIAZIONE DI RISORSE ATTRAVERSO QUELLA FORMA DI DEBITO INESIGIBILE CHE E'LA MONETA INCONVERTIBILE A CORSO LEGALE' ».

Qui ci sia consentita una breve riflessione personale: se non sono gli Stati ad appropriarsi delle risorse derivanti dal signoraggio perché mai tali risorse devono essere di spettanza, in un modo o nell'altro del sistema central-bancario, che è prevalentemente di natura privatistica mentre le risorse da signoraggio sono un bene comune nazionale?
Altra riflessione: giuridicamente dire «debito inesigibile» è affermare un controsenso come dire che il fuoco è freddo.
Nessun debito può essere di per sé inesigibile, altrimenti non sarebbe debito.
Ora, dire che la moneta bancaria è debito inesigibile significa affermare un ingiusto privilegio a favore di chi, la Banca Centrale, emette moneta in forma di debito senza dover mai rispondere, a causa della inconvertibilità, della propria esposizione debitoria.

Ma continuiamo con la citazione di Salvatore Verde: «Benché questa situazione (la truffa bancaria dell'appropriazione di risorse da signoraggio, ndr) talvolta - come nel caso accennato - venga confessata, di solito viene invece occultata mediante l'espediente contabile di esporre al passivo del bilancio l'importo relativo alla circolazione (nel 1993: 92.507.777.422.000 lire) che invece - per il fatto di essere debito inesigibile - non vi dovrebbe figurare… Ne deriva che il bilancio di Bankitalia in realtà - come si dice in gergo contabile - 'quadra' solo aritmeticamente e formalmente, ma non sostanzialmente (altra riflessione personale: siamo di fronte ad un falso in bilancio? Giriamo la domanda, come tentò il compianto Giacinto Auriti, ma senza ottenere né risposta né giustizia, alla competente Procura della Repubblica o, visto che siamo in Europa, alla Corte di Giustizia Europea, se competente)».
«E meglio sarebbe - continua Verde - se i 93.508 miliardi circa venissero ripartiti imputandoli ad accantonamenti vari e fondi di riserva. O meglio ancora ad 'utili da ripartire', con grande beneficio dei signori partecipanti ed anche dello Stato che ne percepirebbe quota notevole come imposta sul reddito, a sollievo dei contribuenti o a decurtazione del debito pubblico».

Fermiamoci ancora per una riflessione: Verde sembra dire che il debito pubblico nasce a causa di questo trucco central-bancario e che correggere tale imbroglio comporterebbe una notevole riduzione del debito pubblico medesimo, senza dover tagliare pensioni, privatizzare servizi pubblici, ridurre prestazioni sanitarie e scolastiche, aumentare tasse, etc.
Anche Marx, da noi citato nel nostro articolo, riconosceva che: «L'accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche centrali…(perché) la Banca (dà) … con una mano per aver restituito di più con l'altra, (e) …, proprio mentre riceve…, rimane… creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che (ha) … dato».
Ma ascoltiamo ancora Salvatore Verde: «In sostanza, la voce 'Circolazione' che si legge alla prima riga del passivo del bilancio (di Bankitalia, ndr) dovrebbe scomparire, per apparire nelle 'note' al bilancio, oppure fra le 'voci' fuori bilancio se si volesse tenere in piedi la fictio secondo cui in un avvenire indeterminato abolendo il corso forzoso e tornando alla moneta-merce il debito cesserebbe di essere inestinguibile per tornare ad essere reale… lo Stato dovrebbe spiegare ai cittadini per quale ragione si consente ad una società per azioni sia pure 'sui generis' di appropriarsi di beni reali pari al valore di tale massa circolante di base monetaria. Infatti, lo Stato non ne usufruisce (specie dopo il 'divorzio': tra Tesoro e Banca centrale, ndr) dovendo anch'esso diventare debitore nei confronti di Bankitalia ogni volta che - essendo insufficienti le entrate fiscali e le vendite di beni demaniali - ha bisogno di denaro. L'INDEBITAMENTO NEI CONFRONTI DI BANKITALIA AVVIENE ORMAI QUASI ESCLUSIVAMENTE CONTRO IL RILASCIO DI TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO SU CUI (LO STATO, ndr) DOVRA' PAGARE (NOI DOVREMO PAGARE) SALATISSIMI INTERESSI (E PROVVIGIONI). Mentre sarebbe tanto più semplice e meno oneroso se (lo Stato o - oggi - l'Unione di Stati, ndr) emettesse direttamente tutto il denaro di cui necessita mediante l'emissione di proprie banconote. Dove sta scritto - conclude Verde - che senza un Istituto Centrale di emissione la politica monetaria dev'essere fatalmente inflazionistica? E' solo un problema di buone leggi e di uomini capaci».

Anch'io osservavo che si tratta solo di controlli tecnici sull'esercizio del potere di emissione della monete che deve tornare ad essere un potere statuale perché afferente organicamente alla sovranità nazionale o - oggi - alla sovranità dell'Unione di Stati.
Da quanto sopra esposto quel che, però, è più importante desumere è che non è rilevante il fatto che la Banca Centrale non possa detenere essa stessa i titoli del debito pubblico rilasciati dallo Stato a fronte dell'emissione di moneta bancaria.
Infatti, anche se tali titoli sono venduti all'asta in favore del pubblico, su di essi lo Stato, ossia noi, paga salatissimi interessi che, in fin dei conti, sono originati dalla fraudolenta emissione bancaria della moneta circolante, a seguito della storica sottrazione di tale potere alla nazione sovrana.
Si tenga poi conto che, al di là di questo, il vero privilegio del sistema central-bancario è nella indebita appropriazione a suo favore di quel bene immateriale che, nell'articolo, ho definito, con l'Auriti, come «valore indotto» creato dalla accettazione fiduciaria della carta moneta da parte del pubblico e che costituisce il vero «potere d'acquisto» incorporato nel simbolo cartaceo.
E non si venga a dire che il valore al simbolo cartaceo lo conferisce la Banca Centrale emittente: si metta il Governatore della Banca Centrale Europea a stampare euro su un'isola deserta e si verifichi quanto valore avrà la carta da esso stampata.

Per spiegare questa gravissima truffa, così evidente che non ce ne accorgiamo neanche, Auriti soleva fare questo esempio: «L'atteggiamento che la Banca Centrale assume nei confronti della collettività è analogo a quello di chi presta nasse vuote ai pescatori indebitando questi ultimi non solo della nasse ma anche del pesce che sarà pescato».
Fuor di metafora: le «nasse» sono i simboli cartacei che di per sé, al momento della stampa, non valgono assolutamente nulla mentre il pesce è il «valore indotto», ossia il valore che sarà incorporato, nei simboli cartacei, nel successivo momento della loro emissione e circolazione, dalla fiduciaria accettazione del pubblico, che quel valore, per l'appunto, crea.
Un'ultima annotazione sulla natura giuridica delle Banche Centrali.
Esse per lo più sono società per azioni partecipate pro-quota da diversi istituti assicurativi e dalle più importanti banche nazionali (o, oggi, europee), pubbliche ma soprattutto private.
In tal modo, le Banche Centrali risultano essere, benché esercitano poteri pubblici direttamente connessi con l'essenza stessa della sovranità, enti a carattere prevalentemente privatistico, i cui amministratori sono nominati dall'assemblea degli istituti «partecipanti».
La presenza della mano pubblica in tali assetti societari è andata sempre più diminuendo con i processi di privatizzazione degli ultimi vent'anni (si pensi, ad esempio, che la privatizzazione delle Casse di Risparmio, istituti «partecipanti» al capitale di Bankitalia, si trasformò, a suo tempo, automaticamente in una ulteriore privatizzazione della Banca d'Italia).
Sicché le stesse Banche Centrali sono rimaste esposte alle forze dirompenti di una finanza globale ormai incontrollabile dagli Stati.

Questo sistema di assetti societari e di nomine è rimasto sostanzialmente invariato anche a livello europeo con la costituzione della BCE.
In Italia, attualmente, dopo la nota vicenda di Fazio e dei «furbetti del quartiere», lo Stato è parzialmente rientrato in possesso di alcune quote di partecipazione al capitale di Bankitalia e di alcuni poteri in ordine alla nomina del Governatore (che non è più a tempo indeterminato come fu fino a Fazio).
Ma rimane il fatto che, anche per via della sua istituzionalizzazione con il Trattato di Maastricht, che si riflette anche nelle recenti riforme della nostra Costituzione, la Banca Centrale conserva tuttora la sua più totale autonomia nel decidere le politiche monetarie.
Anzi l'ultima riforma italiana, vista la qualità bassissima del nostro ceto politico, rischia di rovesciarsi in una ulteriore dipendenza della politica dalla finanza.
In altri termini, la Banca Centrale, che dovrebbe essere soltanto il «cassiere» dello Stato, magari con chiari ma limitati poteri di controllo, esclusivamente tecnico, per evitare l'abuso politico dello strumento monetario, è invece il «corpo», impolitico e di natura - si ripete - prevalentemente privatistica, che decide, per conto dello Stato o dell'Unione di Stati, ed al loro posto, i parametri finanziari entro i quali poi i politici, che altro non sono in tal sistema che i «camerieri dei banchieri centrali», possono elaborare i loro programmi di governo da sottoporre agli elettori.

Se i cittadini, però, pensano di essere ancora i veri sovrani e di essere soggetti politici di una democrazia, e non sudditi di una bancocrazia, sono solo dei poveri illusi.
Sembra che due secoli di lotte per togliere ai re cristiani la sovranità abbiano avuto come esito paradossale (ma non tanto per chi conosce i retroscena «esoterici» delle filosofie e delle rivoluzioni) quello di subordinare i popoli alla sudditanza alla consorteria central-bancaria.
Quindi, il problema non sta soltanto nei vantaggi economici lucrati immoralmente dal central-banchismo, che pure ci sono e sono immondi anche perché ricadono su pensionati, lavoratori di ogni categoria, imprenditori, ma sta soprattutto nella «castrazione» degli Stati e nell'appropriazione della sovranità monetaria, e quindi in ultima analisi della sovranità politica, da parte delle Banche Centrali e consorterie affini.

Luigi Copertino

24 gennaio 2008

De Magistris lascia l'ANM



Era nell'aria, ma gli avvenimenti stanno precipitando in una lenta ma inesorabile successione di eventi.
Ecco la lettera con la quale il pm Luigi De Magistris si dimette dall'Associazione nazionale magistrati (come già aveva fatto la collega Ilda Boccassini due settimane fa), dopo la decisione del Csm di rimuoverlo dalla sede di Catanzaro e dall'ufficio di pm.


Già da alcuni mesi avevo deciso - seppur con grande rammarico - di dimettermi dall'Associazione nazionale magistrati. I successivi eventi che mi hanno riguardato, le priorità dettate dai tempi di un processo disciplinare tanto rapido quanto sommario, ingiusto ed iniquo, mi hanno imposto di soprassedere.
Adesso è il tempo che 'tutti i nodi vengano al pettine'.

Vado via da un'associazione che non solo non è più in grado di rappresentare adeguatamente i magistrati che quotidianamente esercitano le funzioni, spesso in condizioni proibitive, ma sta - con le condotte ed i comportamenti di questi anni - portando, addirittura, all'affievolimento ed all'indebolimento di quei valori costituzionali che dovrebbero essere il punto di riferimento principale della sua azione.

L'Anm - che storicamente aveva avuto il ruolo di contribuire a concretizzare i valori di indipendenza interna ed esterna della magistratura - negli ultimi anni, con prassi e condotte censurabili ormai sotto gli occhi di tutti, ha contribuito al consolidamento di una magistratura 'normalizzata' non sapendo e non volendo 'stare vicino' ai tanti colleghi (sicuramente i più 'bisognosi') che dovevano essere sostenuti nelle loro difficili azioni quotidiane spesso in contesti di forte isolamento; ha fatto proprie tendenze e pratiche di lottizzazione attraverso il sistema delle cosiddette correnti; ha contribuito - di fatto - a rendere sempre più arduo l'esercizio di una giurisdizione indipendente che abbia come principale baluardo il principio costituzionale che impone che tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge.



L'Anm è divenuta, con il tempo, un luogo di esercizio del potere, con scambi di ruoli tra magistrati che oggi ricoprono incarichi associativi, domani siedono al Csm, dopodomani ai vertici del ministero e poi, magari, finito il 'giro', si trovano a ricoprire posti apicali ai vertici degli uffici giudiziari. È uno spettacolo che per quanto mi riguarda è divenuto riprovevole.

Anche io, per un periodo, ho pensato, lottando non poco come tutti i miei colleghi sanno, di poter contribuire a cambiare, dall'interno, l'associazionismo giudiziario, ma non è possibile non essendoci più alcun margine. Lascio, pertanto, l'Anm, donando il contributo ad associazioni che, nell'impegno quotidiano antimafia, cercano di garantire l'indipendenza concreta della magistratura molto meglio dell'associazionismo giudiziario.

Non vi è dubbio che anche il Consiglio superiore della magistratura, composto da membri laici, espressione dei partiti, e membri togati, espressione delle correnti, non può, quindi, non risentire dello stato attuale della politica e della magistratura associata.

I magistrati debbono avere nel cuore e nella mente e praticare nelle loro azioni i principi costituzionali ed essere soggetti solo alla legge.

So bene che all'interno di tutte le correnti dell'Anm vi sono colleghi di prim'ordine, ma questo sistema di funzionamento dell'autogoverno della magistratura lo considero non più tollerabile. Il Csm deve essere il luogo in cui tutti i magistrati si sentano, effettivamente, garantiti e tutelati dalle costanti minacce alla loro indipendenza.

Non è possibile assistere ad indegne omissioni o interventi inaccettabili dell'Anm, come ad esempio negli ultimi mesi, su vicende gravissime che hanno coinvolto magistrati che, in prima linea, cercano di adempiere solo alle loro funzioni: da ultimo, quello che è accaduto ai colleghi di Santa Maria Capua Vetere.

Non parlo delle azioni ed omissioni riprovevoli - da parte anche di magistrati, non solo operanti in Calabria - sulla mia vicenda perché di quello ho riferito alla magistratura ordinaria competente e sono fiducioso che, prima o poi, tutto sarà più chiaro.
Certo, lo spettacolo che mi ha visto in questi giorni protagonista, in un processo disciplinare che mi ha lasciato senza parole, ha contribuito a radicare in me la convinzione che questo sistema ormai è divenuto inaccettabile per tutti quei magistrati che ancora sentono e amano profondamente questo mestiere e che siamo ormai al capolinea.

Io sono orgoglioso - sembrerà paradossale - che questo Csm mi abbia inflitto la censura con trasferimento d'ufficio. Era proprio quello che mi aspettavo. Ed anche scritto, in tempi non sospetti. Ho già detto, ad un mio amico antiquario, di farmi una bella cornice: dovrò mettere il dispositivo della sentenza dietro la scrivania del mio ufficio ed indicare a tutti quelli che me lo chiederanno le vere ragioni del mio trasferimento.

La mia condanna disciplinare è grave e infondata, nei confronti della stessa farò ricorso alle sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione confidando in giudici sereni, onesti, imparziali, in poche parole giusti. La condanna è, poi, talmente priva di fondamento, da ogni punto di vista, che la considero anche inaccettabile.

Mi viene inflitta la censura, devo lasciare Catanzaro ed abbandonare le funzioni di pubblico ministero in sostanza perché non ho informato i miei superiori in alcune circostanze e perché ho secretato un atto solo ed esclusivamente per salvaguardare le indagini ed evitare che vi fossero propalazioni esterne che danneggiassero le inchieste; senza, peraltro, tenere conto delle gravissime ragioni che hanno necessariamente ispirato alcune mie condotte. Troppo zelo, troppi scrupoli, troppo amore per questo mestiere. Del resto il procuratore generale che rappresentava l'accusa in giudizio, nel rimproverarmi, definendomi anche birichino, ha detto che concepisco le mie funzioni come una missione.

Ebbene, questa decisione, a mio umile avviso, contribuisce ad affievolire l'indipendenza della magistratura, conduce ad indebolire i valori ed i principi costituzionali, ci trascina verso una magistratura burocratizzata ed impaurita sotto il maglio e la clava del processo disciplinare.

Il rappresentante della Procura generale della Cassazione in udienza, il dr. Vito D'Ambrosio, ex politico, il quale per circa dieci anni è stato anche presidente della giunta della Regione Marche, ha sostenuto, durante il processo, sostanzialmente, che non rappresento, in modo adeguato, il modello di magistrato.

Ed invero, il modello di magistrato al quale mi sono ispirato è quello rappresentato da mio nonno magistrato (che ha subito anche due attentati durante l'espletamento delle funzioni), da mio padre (che ha condotto processi penali di estrema importanza in materia di terrorismo, criminalità organizzata e corruzione), dai miei magistrati affidatari durante il tirocinio, dai tanti colleghi bravi e onesti conosciuti in questi anni, da quello che ho potuto apprendere ed imparare, sulla mia pelle in contesti ambientali anche molto difficili, dall'esperienza professionale nell'esercizio di un mestiere al quale ho dedicato, praticamente, gran parte della mia vita. Il mio modello è la Costituzione repubblicana, nata dalla resistenza. Il modello 'castale' e del magistrato 'burocrate' non mi interessa e non mi apparterrà mai, nessuna 'quarantena' in altri uffici, nessun 'trattamento di recupero' nelle pur nobili funzioni giudicanti, potrà mutare i miei valori, né potrà far flettere, nemmeno di un centimetro, la mia schiena. Sarò sempre lo stesso, forse, debbo a questo appunto ammetterlo, un magistrato che per il 'sistema' è 'deviato ed eversivo'.

Pertanto, questa sentenza è, per me, la conferma di quello che ho visto in questi anni ed un importante riscontro professionale alla bontà del mio lavoro. Certo è una sentenza che nella sua profonda ingiustizia è anche intrinsecamente mortificante. Imporre ad un pubblico ministero, che si sa che ha sempre professato e praticato l'amore immenso per quel mestiere, di non poterlo più fare - sol perché ha 'osato', in pratica, indagare un sistema devastante di corruzione e cercato di evitare che una 'rete collusiva' ostacolasse il proprio lavoro e, quindi, condannandolo per avere, in definitiva, rispettato la legge - è un po' come dire ad un chirurgo che non può più operare, ad un giornalista di inchiesta che deve occuparsi di fiere in campagna, ad un investigatore di polizia giudiziaria che deve pensare ai servizi amministrativi. Farò di tutto, con passione ed entusiasmo intatti, nei prossimi mesi, per dimostrare quanto ingiusta e grave sia stata questa sentenza e che danno immane abbia prodotto per l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati, ed anche e soprattutto per la Calabria, una terra (che continuerò sempre ad amare comunque finisca questa 'storia') che aveva bisogno di ben altri 'segnali' istituzionali.
Lavorerò ancor più alacremente nei prossimi mesi - prima del mio probabile allontanamento 'coatto' dalla Calabria - presso la Procura della Repubblica di Catanzaro per condurre a termine le indagini più delicate pendenti.

Non mi sottrarrò ad eventuali dibattiti pubblici anche tra i lavoratori, tra gli operai, tra gli studenti, nei luoghi in cui vi è sofferenza di diritti, per contribuire - da cittadino e da magistrato, con la mia forza interiore - al consolidamento di una coscienza civile e per la realizzazione di un tessuto connettivo sinceramente democratico.

Il Paese deve, comunque, sapere che vi sono ancora magistrati che con onore e dignità offrono una garanzia per la tutela dei diritti di tutti (dei forti e dei deboli allo stesso modo) e che non si faranno né intimidire, né condizionare, da alcun tipo di potere, da nessuna casta, esercitando le funzioni con piena indipendenza ed autonomia, in una tensione ideale e morale costituzionalmente orientata, in ossequio, in primo luogo, all'art. 3 della Costituzione repubblicana.

fonte:espresso

Scontri fra raccomandati:le differenze.



L'altra sera Bruno Vespa, marito di Augusta lannini che dirige gli Affari di giustizia del ministero per volontà di Mastella, ha organizzato una passerella per Mastella, cioè per il datore di lavoro della sua signora. Il quale lacrimava per le sorti della sua signora agli arresti. Annunciava il ritiro dell'appoggio esterno, anzi del concorso esterno, al governo. E insultava senza contraddittorio giudici, pm e cronisti (assenti) evocando complotti calabro-lucan-campani e sparando le solite corbellerie. La migliore: «Non si arresta mia moglie senza prima sentirla, lo dice pure Andreotti» (i giudici avrebbero dovuto convocarla, anticiparle le accuse e preannunciarle il suo prossimo arresto, sempreché la signora non avesse nulla in contrario).

Poi l'insetto ha mandato in onda il lungo battibecco fra la «iena» Alessandro Sortino ed Elio Mastella, figlio dei più noti Clemente & Sandra. In studio gli squisiti ospiti si profondevano in complimenti per la performance di Elio, che dava del raccomandato a Sortino perché suo padre è membro dell'Authority delle Comunicazioni; mentre lui, Elio, è un umile «metalmeccanico» che tira avanti «con 1800 euro di stipendio». Il mondo alla rovescia. Sortino viene assunto a Radio Capital perché è molto bravo nel lontano '98, sette anni prima che suo padre vada all'Agcom.

Le lene lo notano e lo ingaggiano nel 2000, cinque anni prima che il padre vada all'Agcom. Dunque non è un raccomandato. Non lo è nemmeno il padre Sebastiano, che vanta un curriculum di prim'ordine: laureato in legge, per 10 anni responsabile della Piccola impresa in Confindustria, per 5 anni dirigente Eni, dal '77 direttore generale della Fieg (federazione editori giornali) e consigliere Cnel, esperto di antitrust e tetti pubblicitari tv, dunque nemico giurato del monopolio Mediaset e odiato da Confalonieri. Sortino figlio ha fatto carriera nonostante il padre e il padre ha fatto carriera nonostante Mediaset.

Nell'Agcom siede pure un rappresentante Udeur; si chiama Roberto Napoli, il suo curriculum fa sorridere: medico legale all'ospedale dì Battipaglia, consigliere comunale a Battipaglia, assessore a Battipaglia, sindaco di Battipaglia, senatore dal '94 al 2001, poi trombato e sistemato all'Agenzia per l'ambiente della Campania. Dall'alto di questa spettacolare esperienza e in barba alla legge sulle Authority che pretende «persone di alta e riconosciuta competenza nel settore», nel 2005 Napoli entra in Agcom. Appena arrivato, si dà subito da fare e nomina sua segretaria Alessia Camilleri, promessa sposa di Pellegrino Mastella, figlio di Clemente. Intanto la figlia Monica Napoli prende il praticantato presso Il Campanile, organo dell'Udeur finanziato dallo Stato con 1,3 milioni l'anno. Al Campanile fanno il praticantato anche Alessia Camilleri, il suo futuro sposo Pellegrino Mastella e l'ex fidanzata di Elio Mastella, Manuela D'Argenio. Nel 2005 Il Campanile, secondo l'Espresso, versa a Clemente 40 mila euro per «compensi giornalistici»; 14 mila per pagare i panettoncini e torroncini della signora Sandra per i regali di Natale; 12 mila allo studio legale di Pellegrino; 36 mila in tre anni alla società assicuratrice dello stesso Pellegrino. Il giornale rimborsa molti viaggi aerei alla famiglia Mastella (compresi Pellegrino, Elio e Alessia). Altri 2 mila euro al mese vanno al benzinaio di Ceppaloni che fa il pieno al Porsche Cayenne di Pellegrino.

Ora Elio lavora alla Selex, gruppo Finmeccanica, al modico stipendio - dice - di 1800 euro. Strano, perché ogni mese paga insieme al fratello una super-rata di 6700 euro per il mutuo acceso per acquistare uno dei sei appartamenti rilevati dalla famiglia Mastella nel centro di Roma a prezzi stracciati. L'appartamento ex-lnail, in largo Arenula, ospita Il Campanile ed è della società omonima, intestata all'ex tesoriere Tancredi Cimmino e al segretario Mastella, poi girata ai due figli: 50% a Elio, 50% a Pellegrino. Valore dell'immobile: 2,4 milioni.

Ma i giovanotti lo hanno per 1,45 milioni, grazie a un mutuo di 1,1 milioni con rata mensile di 6700 euro. Come lo pagano? Con l'affitto versato dall'Udeur, 6500 euro mensili, il doppio dì quello pagato allora all'Inaii. Come l'hanno garantito? Con due dei 4 appartamenti delle Generali comprati in contanti in lungotevere Flaminio: 2 da Elio, 2 da Pellegrino. Ricapitolando: il giovane metalmeccanico da 1800 euro possiede mezzo mega-appartamento in largo Arenula, un intero terzo piano comprato per soli 200 mila euro e un alloggio costato 67 mila euro.

Sortino jr. si è fatto strada con le sue gambe, ha comprato casa con soldi suoi, a prezzi di mercato. Una vergogna nel Paese dei Ceppalones. Infatti per Porta a Porta il raccomandato è lui, la iena. Viva commozione invece per il metalmeccanico immobiliarista.

Marco Travaglio

23 gennaio 2008

Banca d'Italia e realtà gattopardiana


Mentre i politici urlano e sbraitano sui salotti buoni della Tv, le grandi truffe e i grandi interessi mediatici e finanziari pensano ad altro.
Non è possibile che in uno Stato che si reputa piena di risorse si accanisce su pagliuzze senza vedere le classiche travi.
Il vuoto di potere delle Istituzioni, prima o poi sarà colmato, ma da chi?
Domanda ingenua che si liquida con: il soggetto più forte. Siamo in mano a banche private che fanno prima la moneta che lo stato, emettono moneta (privilegio di Stato nazionale)senza avere Stati, ma insieme virtuale di confini. Più forte di così?
Una domanda di un lettore di effedieffe chiede perchè si è arrivati a questa situazione e Cupertino si lancia in una disanima della situazione.


«… Bankitalia - come tutti gli istituti di emissione aventi il privilegio dell'emissione di moneta fiduciaria - si appropria di risorse dei cittadini in misura pari all'entità delle banconote in circolazione. La cosa è del resto ammessa apertis verbis … nella relazione al disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 1993: '…In conseguenza, non si consente agli esecutivi degli Stati firmatari del Trattato (di Maastricht, ndr) di esercitare signoraggio in senso stretto: OVVERO DI APPROPRIAZIONE DI RISORSE ATTRAVERSO QUELLA FORMA DI DEBITO INESIGIBILE CHE E'LA MONETA INCONVERTIBILE A CORSO LEGALE' ».

Qui ci sia consentita una breve riflessione personale: se non sono gli Stati ad appropriarsi delle risorse derivanti dal signoraggio perché mai tali risorse devono essere di spettanza, in un modo o nell'altro del sistema central-bancario, che è prevalentemente di natura privatistica mentre le risorse da signoraggio sono un bene comune nazionale?
Altra riflessione: giuridicamente dire «debito inesigibile» è affermare un controsenso come dire che il fuoco è freddo.
Nessun debito può essere di per sé inesigibile, altrimenti non sarebbe debito.
Ora, dire che la moneta bancaria è debito inesigibile significa affermare un ingiusto privilegio a favore di chi, la Banca Centrale, emette moneta in forma di debito senza dover mai rispondere, a causa della inconvertibilità, della propria esposizione debitoria.

Ma continuiamo con la citazione di Salvatore Verde: «Benché questa situazione (la truffa bancaria dell'appropriazione di risorse da signoraggio, ndr) talvolta - come nel caso accennato - venga confessata, di solito viene invece occultata mediante l'espediente contabile di esporre al passivo del bilancio l'importo relativo alla circolazione (nel 1993: 92.507.777.422.000 lire) che invece - per il fatto di essere debito inesigibile - non vi dovrebbe figurare… Ne deriva che il bilancio di Bankitalia in realtà - come si dice in gergo contabile - 'quadra' solo aritmeticamente e formalmente, ma non sostanzialmente (altra riflessione personale: siamo di fronte ad un falso in bilancio? Giriamo la domanda, come tentò il compianto Giacinto Auriti, ma senza ottenere né risposta né giustizia, alla competente Procura della Repubblica o, visto che siamo in Europa, alla Corte di Giustizia Europea, se competente)».
«E meglio sarebbe - continua Verde - se i 93.508 miliardi circa venissero ripartiti imputandoli ad accantonamenti vari e fondi di riserva. O meglio ancora ad 'utili da ripartire', con grande beneficio dei signori partecipanti ed anche dello Stato che ne percepirebbe quota notevole come imposta sul reddito, a sollievo dei contribuenti o a decurtazione del debito pubblico».

Fermiamoci ancora per una riflessione: Verde sembra dire che il debito pubblico nasce a causa di questo trucco central-bancario e che correggere tale imbroglio comporterebbe una notevole riduzione del debito pubblico medesimo, senza dover tagliare pensioni, privatizzare servizi pubblici, ridurre prestazioni sanitarie e scolastiche, aumentare tasse, etc.
Anche Marx, da noi citato nel nostro articolo, riconosceva che: «L'accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche centrali…(perché) la Banca (dà) … con una mano per aver restituito di più con l'altra, (e) …, proprio mentre riceve…, rimane… creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che (ha) … dato».
Ma ascoltiamo ancora Salvatore Verde: «In sostanza, la voce 'Circolazione' che si legge alla prima riga del passivo del bilancio (di Bankitalia, ndr) dovrebbe scomparire, per apparire nelle 'note' al bilancio, oppure fra le 'voci' fuori bilancio se si volesse tenere in piedi la fictio secondo cui in un avvenire indeterminato abolendo il corso forzoso e tornando alla moneta-merce il debito cesserebbe di essere inestinguibile per tornare ad essere reale… lo Stato dovrebbe spiegare ai cittadini per quale ragione si consente ad una società per azioni sia pure 'sui generis' di appropriarsi di beni reali pari al valore di tale massa circolante di base monetaria. Infatti, lo Stato non ne usufruisce (specie dopo il 'divorzio': tra Tesoro e Banca centrale, ndr) dovendo anch'esso diventare debitore nei confronti di Bankitalia ogni volta che - essendo insufficienti le entrate fiscali e le vendite di beni demaniali - ha bisogno di denaro. L'INDEBITAMENTO NEI CONFRONTI DI BANKITALIA AVVIENE ORMAI QUASI ESCLUSIVAMENTE CONTRO IL RILASCIO DI TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO SU CUI (LO STATO, ndr) DOVRA' PAGARE (NOI DOVREMO PAGARE) SALATISSIMI INTERESSI (E PROVVIGIONI). Mentre sarebbe tanto più semplice e meno oneroso se (lo Stato o - oggi - l'Unione di Stati, ndr) emettesse direttamente tutto il denaro di cui necessita mediante l'emissione di proprie banconote. Dove sta scritto - conclude Verde - che senza un Istituto Centrale di emissione la politica monetaria dev'essere fatalmente inflazionistica? E' solo un problema di buone leggi e di uomini capaci».

Anch'io osservavo che si tratta solo di controlli tecnici sull'esercizio del potere di emissione della monete che deve tornare ad essere un potere statuale perché afferente organicamente alla sovranità nazionale o - oggi - alla sovranità dell'Unione di Stati.
Da quanto sopra esposto quel che, però, è più importante desumere è che non è rilevante il fatto che la Banca Centrale non possa detenere essa stessa i titoli del debito pubblico rilasciati dallo Stato a fronte dell'emissione di moneta bancaria.
Infatti, anche se tali titoli sono venduti all'asta in favore del pubblico, su di essi lo Stato, ossia noi, paga salatissimi interessi che, in fin dei conti, sono originati dalla fraudolenta emissione bancaria della moneta circolante, a seguito della storica sottrazione di tale potere alla nazione sovrana.
Si tenga poi conto che, al di là di questo, il vero privilegio del sistema central-bancario è nella indebita appropriazione a suo favore di quel bene immateriale che, nell'articolo, ho definito, con l'Auriti, come «valore indotto» creato dalla accettazione fiduciaria della carta moneta da parte del pubblico e che costituisce il vero «potere d'acquisto» incorporato nel simbolo cartaceo.
E non si venga a dire che il valore al simbolo cartaceo lo conferisce la Banca Centrale emittente: si metta il Governatore della Banca Centrale Europea a stampare euro su un'isola deserta e si verifichi quanto valore avrà la carta da esso stampata.

Per spiegare questa gravissima truffa, così evidente che non ce ne accorgiamo neanche, Auriti soleva fare questo esempio: «L'atteggiamento che la Banca Centrale assume nei confronti della collettività è analogo a quello di chi presta nasse vuote ai pescatori indebitando questi ultimi non solo della nasse ma anche del pesce che sarà pescato».
Fuor di metafora: le «nasse» sono i simboli cartacei che di per sé, al momento della stampa, non valgono assolutamente nulla mentre il pesce è il «valore indotto», ossia il valore che sarà incorporato, nei simboli cartacei, nel successivo momento della loro emissione e circolazione, dalla fiduciaria accettazione del pubblico, che quel valore, per l'appunto, crea.
Un'ultima annotazione sulla natura giuridica delle Banche Centrali.
Esse per lo più sono società per azioni partecipate pro-quota da diversi istituti assicurativi e dalle più importanti banche nazionali (o, oggi, europee), pubbliche ma soprattutto private.
In tal modo, le Banche Centrali risultano essere, benché esercitano poteri pubblici direttamente connessi con l'essenza stessa della sovranità, enti a carattere prevalentemente privatistico, i cui amministratori sono nominati dall'assemblea degli istituti «partecipanti».
La presenza della mano pubblica in tali assetti societari è andata sempre più diminuendo con i processi di privatizzazione degli ultimi vent'anni (si pensi, ad esempio, che la privatizzazione delle Casse di Risparmio, istituti «partecipanti» al capitale di Bankitalia, si trasformò, a suo tempo, automaticamente in una ulteriore privatizzazione della Banca d'Italia).
Sicché le stesse Banche Centrali sono rimaste esposte alle forze dirompenti di una finanza globale ormai incontrollabile dagli Stati.

Questo sistema di assetti societari e di nomine è rimasto sostanzialmente invariato anche a livello europeo con la costituzione della BCE.
In Italia, attualmente, dopo la nota vicenda di Fazio e dei «furbetti del quartiere», lo Stato è parzialmente rientrato in possesso di alcune quote di partecipazione al capitale di Bankitalia e di alcuni poteri in ordine alla nomina del Governatore (che non è più a tempo indeterminato come fu fino a Fazio).
Ma rimane il fatto che, anche per via della sua istituzionalizzazione con il Trattato di Maastricht, che si riflette anche nelle recenti riforme della nostra Costituzione, la Banca Centrale conserva tuttora la sua più totale autonomia nel decidere le politiche monetarie.
Anzi l'ultima riforma italiana, vista la qualità bassissima del nostro ceto politico, rischia di rovesciarsi in una ulteriore dipendenza della politica dalla finanza.
In altri termini, la Banca Centrale, che dovrebbe essere soltanto il «cassiere» dello Stato, magari con chiari ma limitati poteri di controllo, esclusivamente tecnico, per evitare l'abuso politico dello strumento monetario, è invece il «corpo», impolitico e di natura - si ripete - prevalentemente privatistica, che decide, per conto dello Stato o dell'Unione di Stati, ed al loro posto, i parametri finanziari entro i quali poi i politici, che altro non sono in tal sistema che i «camerieri dei banchieri centrali», possono elaborare i loro programmi di governo da sottoporre agli elettori.

Se i cittadini, però, pensano di essere ancora i veri sovrani e di essere soggetti politici di una democrazia, e non sudditi di una bancocrazia, sono solo dei poveri illusi.
Sembra che due secoli di lotte per togliere ai re cristiani la sovranità abbiano avuto come esito paradossale (ma non tanto per chi conosce i retroscena «esoterici» delle filosofie e delle rivoluzioni) quello di subordinare i popoli alla sudditanza alla consorteria central-bancaria.
Quindi, il problema non sta soltanto nei vantaggi economici lucrati immoralmente dal central-banchismo, che pure ci sono e sono immondi anche perché ricadono su pensionati, lavoratori di ogni categoria, imprenditori, ma sta soprattutto nella «castrazione» degli Stati e nell'appropriazione della sovranità monetaria, e quindi in ultima analisi della sovranità politica, da parte delle Banche Centrali e consorterie affini.

Luigi Copertino