01 febbraio 2008

Europa 7 batte Retequattro 1-0 dts



Ci siamo occupati diverse volte su questo argomento, ma l'evidenza viene negata ogni volta. Non è possibile che la voce della informazione venga manipolata in maniera tanto spudorata dai politici di turno.Poi, quando i magistrati intervengono vengono puniti i magistrati o... viene cambiata la sede del processo. Incredibile! Ma questa è l'Italia del 2008 e, senza un governo in carica.

La società televisiva Europa 7 di Francesco Di Stefano ha diritto a trasmettere i suoi programmi in chiaro sulle frequenze oggi occupate da Retequattro, che fa capo a Mediaset di Silvio Berlusconi. E’ questo il succo della sentenza decisa dall’Alta Corte Europea del Lussemburgo e che piomba come un macigno sulle sorti dell’oligopolio berlusconiano e sulle quelle più traballanti della controriforma Gasparri sul sistema dei media, già messa sotto accusa dalla Commissione di Bruxelles con una procedura formale di infrazione contro lo Stato italiano.
Il regime italiano di assegnazione delle frequenze per le attività di trasmissione radiotelevisive, recita in pratica la sentenza, è contrario al diritto comunitario. Per i giudici UE: “tale regime non rispetta il principio della libera prestazione di servizi e non segue criteri di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”, si legge in una nota sulla sentenza diffusa a Bruxelles.
“La Corte -prosegue il testo- rileva che l'applicazione in successione dei regimi transitori strutturati dalla normativa a favore delle reti esistenti ha avuto l'effetto di impedire l'accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze. Questo effetto restrittivo e' stato consolidato dall'autorizzazione generale, a favore delle sole reti esistenti, ad operare sul mercato dei servizi radiotrasmessi. Tali regimi hanno avuto l'effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali già attivi su questo mercato”.


Per la Corte: “il limite al numero degli operatori sul territorio nazionale potrebbe essere giustificato da obiettivi di interesse generale ma, come stabilisce il nuovo quadro normativo comune per i servizi di comunicazione elettronica, esso dovrebbe essere organizzato sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionali. Di conseguenza, l'assegnazione in esclusiva è senza limiti di tempo delle frequenze ad un numero limitato di operatori esistenti, senza tenere conto dei criteri citati, è contraria ai principi del Trattato sulla libera prestazione dei servizi”.
Il caso Europa 7 risale al 1999, quando l'emittente tv ha ottenuto dalle autorità italiane competenti un'autorizzazione a trasmettere a livello nazionale in tecnica analogica, ma non è mai stata in grado di trasmettere in mancanza di assegnazione di radiofrequenze. Il Consiglio di Stato, dinanzi al quale pende attualmente la causa, ha interrogato la Corte di giustizia UE sull'interpretazione delle disposizioni previste dal diritto comunitario per i criteri di assegnazione di radiofrequenze al fine di operare sul mercato delle trasmissioni tv. Il giudice del rinvio, si legge nel testo, “sottolinea che in Italia il piano nazionale di assegnazione per le frequenze non è mai stato attuato per ragioni essenzialmente normative, che hanno consentito agli occupanti di fatto delle frequenze di continuare le loro trasmissioni nonostante i diritti dei nuovi titolari di concessioni. Le leggi succedutesi, che hanno perpetuato un regime transitorio, hanno avuto l'effetto di non liberare le frequenze destinate ad essere assegnate ai titolari di concessioni in tecnica analogica e di impedire ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale”.

Sulla sentenza e le ripercussioni che avranno anche in merito alla Procedura d’infrazione, elevata dalla Commissione europea contro la legge Gasparri, abbiamo intervistato il professor Ottavio Grandinetti, difensore di Centro Europa 7 e docente di diritto dell’informazione
D. Ci spieghi in sintesi il meccanismo della sentenza?
R. “La Corte di Giustizia ha dichiarato che il regime transitorio della Legge Meccanico è contrario almeno dal 1999 all’Articolo 49 del Trattato della Comunità europea. Inoltre, tutti i regimi transitori introdotti successivamente, al fine di prorogare ulteriormente la attività delle reti eccedenti (Retequattro e Telepiù Nero), a danno di Centro Europa 7, sono altresì contrari alle norme delle direttive comunitarie sulle comunicazioni elettroniche, a partire dal 2003.
Questo significa che il Consiglio di Stato dovrà “disapplicare” tutte queste disposizioni transitorie e riconoscere finalmente la piena spettanza del diritto di Europa 7 ad ottenere le frequenze e trasmettere in chiaro.
La Corte di Giustizia, dichiarando l’illegittimità del regime transitorio della legge Meccanico a partire dal 1999 si è discostata, inoltre, anche da quanto aveva deciso la Corte Costituzionale nel 2002 con la sentenza numero 466, in cui la nostra Alta Corte aveva ritenuto che il regime transitorio dovesse cessare solo a partire dal 31 dicembre 2003.
D. Questo significa che anche la Gasparri deve essere modificata per adeguarsi a questa sentenza?
R. “La sentenza della Corte del Lussemburgo sancisce l’immedesimazione tra l’anomalia radiotelevisiva italiana ed il caso Europa 7. Se si vorranno risolvere i due problemi, in via definitiva, occorrerà che l’Italia modifichi la sua legislazione conformemente a quanto ci richiede l’Europa.
D. La sentenza può adesso influire sulla procedura d’infrazione, avanzata dalla Commissione europea su tutta la riforma Gasparri e che è per ora sospesa, prima di arrivare alla Corte?
R. “Certamente, perché questa decisione della Corte dimostra che tutto il sistema radiotelevisivo italiano dal 1997 ad oggi viola la normativa comunitaria. E la legge Gasparri è parte essenziale di questa violazione”.

E se la procedura dovesse, come preannunciato dalla Commissaria alla concorrenza Kroes, approdare all’Alta Corte del Lussemburgo, dopo questa sentenza diventerebbe più che probabile la condanna dello Stato italiano che non ha modificato la Gasparri, bloccando il disegno di legge di riforma presentato alla Camera dal ministro Gentiloni. Una condanna che costerebbe a tutti i contribuenti italiani all’incirca 400 milioni di euro al giorno. Un ennesimo regalo del “portatore sano” di conflitto di interessi, quel Berlusconi che prima ha fatto di tutto con i suoi soci per non far discutere la riforma e poi, con l’affondo illiberale di gridare “Al voto! Al voto!”, sta di fatto avvelenando i pozzi del sistema democratico, costituzionale, pur di salvare sé stesso, il suo potere e le sue ricchezze.
di Gianni Rossi

31 gennaio 2008

E, venne anche il giorno della sua-legge.


Se non fosse l’ingrato che è, il Cainano erigerebbe a sue spese un monumento equestre al centrosinistra, che per la seconda volta gli riconsegna il Paese esattamente come lui l’aveva lasciato. Almeno per i settori che gl’interessano, cioè la giustizia e l’informazione. Pareva brutto cambiare qualcosa, c’era il rischio di offenderlo. Ieri, per esempio, la giustizia ha dimostrato che, volendo, può essere rapida, fulminea: un quarto d’ora di udienza, cinque minuti di camera di consiglio, poi la sentenza del processo Sme-Ariosto bis per i falsi in bilancio Fininvest connessi alle mazzette pagate al giudice Squillante. “Il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, nel senso che l’imputato l’ha depenalizzato.

Il processo era l’ultima coda del filone “toghe sporche” aperto dalla Procura di Milano nell’estate del 1995 in seguito alla testimonianza di Stefania Ariosto. E riguardava i falsi in bilancio contestati al Cavaliere, come titolare del gruppo Fininvest, per far uscire clandestinamente dalle casse delle società estere il denaro necessario a corrompere, o comunque a pagare, alcuni magistrati che stavano sul libro paga del Biscione. Inizialmente il processo Sme-Ariosto era uno solo e vedeva imputati per corruzione giudiziaria Berlusconi, i suoi avvocati Cesare Previti e Attilio Pacifico e i giudici Filippo Verde (per la presunta sentenza venduta sul caso Sme del 1988) e Renato Squillante (per una tangente di 434 mila dollari del 1991); in più Berlusconi rispondeva anche di falso in bilancio. Poi, nel febbraio 2002, il suo governo depenalizzò di fatto i reati contabili, fissando soglie di non punibilità così alte da sanare cifre stratosferiche di fondi neri. Su richiesta della Procura, il Tribunale stralciò il capitolo del falso in bilancio e ricorse contro la nuova legge dinanzi alla Corte di giustizia europea, che però lasciò ai giudici italiani la decisione se applicare la legge italiana o quella (più rigida e prevalente) comunitaria. Intanto, nel processo principale, Previti, Pacifico e Squillante se la cavano con la prescrizione, solo Verde viene assolto. E così Berlusconi, ma solo per insufficienza di prove.

Le accuse
Resta, ormai sul binario morto, il processo sul falso in bilancio che s’è chiuso ieri. Nel capo d’imputazione si legge che “Berlusconi Silvio, in concorso con gli altri amministratori e dirigenti delle spa Fininvest ed Istifi, in esecuzione di un unico disegno criminoso, quale presidente della spa Fininvest e azionista di riferimento dell’omonimo gruppo, fraudolentemente concorreva a esporre nei bilanci di esercizio delle precitate società, relativi agli anni 1986/’87, ‘88, ‘89, nonché nelle relazioni allegate ai bilanci e nelle altre comunicazioni sociali, notizie false e incomplete sulle condizioni economiche delle medesime: operando perché Istifi gestisse la tesoreria del gruppo in modo tale da non consentire l’attribuzione e la ricostruzione delle operazioni finanziarie finalizzate a creare provviste di contanti nonché l’effettivo impiego in operazioni riservate ed illecite ed anche per l’esecuzione dei pagamenti di cui ai capi precedenti (le presunte tangenti ai giudici Squillante e Verde, ndr); creando, attraverso operazioni eseguite presso la Fiduciaria Orefici di Milano, delle disponibilità extracontabili utilizzate per operazioni riservate e illecite nonché per eseguire i pagamenti di cui ai capo che precedono; cosí occultando, nelle diverse comunicazioni sociali, sia la creazione di disponibilità finanziarie, sia il loro impiego, sia l’esistenza di società correlate e di posizioni fiduciarie riferibili alle precitate società (nonché gli impegni per la loro capitalizzazione, i costi relativi e le plusvalenze realizzate)”. Indipendentemente dalla conclusione dei processi, i versamenti in nero della Fininvest sono documentali e incontestabili. I primi risalgono al 1988, poco dopo la sentenza di Cassazione che chiuse la causa civile sulla mancata cessione, nel 1985, della Sme dall’Iri di Prodi alla Buitoni di De Benedetti per l’azione di disturbo inscenata dal trio Berlusconi-Barilla-Ferrero (Iar) su ordine di Bettino Craxi. Il 2 maggio e il 26 luglio 1988, da un conto svizzero di Pietro Barilla, partono due bonifici: il primo di 750 milioni, il secondo di 1 miliardo di lire, entrambi diretti al conto Qasar Business aperto presso la Sbt di Bellinzona dall’avvocato Pacifico. I 750 milioni vengono ritirati in contanti da Pacifico, che li porta in Italia e – secondo l’accusa – ne consegnati una parte (200 milioni) brevi manu al giudice Verde, che nel 1986 ha sentenziato a favore della Iar (che però viene assolto: manca la prova dell’ ultimo passaggio). Il miliardo invece lascia tracce documentali fino al termine del suo percorso: il 29 luglio ’88 Pacifico ne bonifica 850 milioni al conto Mercier di Previti e 100 milioni al conto Rowena di Squillante, trattenendone solo 50 per sè. Perché tutto quel denaro targato Barilla-Berlusconi (soci nella Iar) approda – secondo i pm - sui conti di due magistrati e di due avvocati che l’imprenditore parmigiano non conosce e che non hanno mai lavorato per lui? Perché mai il socio di Berlusconi dovrebbe pagare un miliardo e 750 milioni a due avvocati di Berlusconi che neppure conosce e a un giudice di Roma, anch’egli a lui sconosciuto, se nella causa Sme fosse tutto regolare?

Il bonifico Orologio
C’è poi il versamento del 1991, sganciato dall’affare Sme, ma rientrante – per l’accusa – nello stipendio aggiuntivo che Squillante riceveva da Fininvest per la costante disponibilità al servizio del gruppo: lo attesta un’impressionante sequenza di contabili bancarie svizzere sul passaggio di 434.404 dollari (500 milioni di lire tondi tondi) dal conto Ferrido (All Iberian, cioè Fininvest) al conto Mercier (Previti) al conto Rowena (Squillante), il 5 marzo 1991. Due bonifici diretti, della stessa identica cifra, nel giro di un’ora e mezza, siglati con il riferimento cifrato “Orologio”. Previti, sulle prime, parla di un semplice errore della banca. Poi cambia piú volte versione. All Iberian è la tesoreria occulta del Biscione e bonifica decine di miliardi di lire sui conti svizzeri Polifemo e Ferrido, gestiti dal cassiere centrale Fininvest, Giuseppino Scabini. Da dove arrivano i soldi? Da tre diversi sistemi. Anzitutto dai bonifici della lussemburghese Silvio Berlusconi Finanziaria. Poi, dall’aprile 1991, dal contante versato dalla Diba Cambi di Lugano: il denaro proveniva da due diverse operazioni effettuate grazie alla Fiduciaria Orefici di Milano. La prima è l’operazione «Bica-Rovares», condotta dal gruppo Berlusconi con l’immobiliarista Renato Della Valle, che frutta una ventina di miliardi; la seconda è strettamente legata al «mandato 500»: un mandato personale del Cavaliere aperto presso la Fiduciaria Orefici e utilizzato per acquistare 91 miliardi in Cct. I titoli di Stato vengono poi monetizzati a San Marino e il contante viene consegnato a Milano 2 a Scabini. Parte di questi soldi (18 miliardi circa) finiscono sui conti esteri del gruppo. A portarli in Svizzera provvede lo spallone Alfredo Bossert, che li consegna alla Diba Cambi di Lugano. Insomma, i conti esteri di All Iberian dai quali partono i versamenti ai giudici (ma anche 23 miliardi a Craxi) sono alimentati da denaro della Fininvest e –come ammettono i suoi stessi difensori - «dal patrimonio personale di Silvio Berlusconi». E allora come può il Cavaliere non saperne nulla?

Una partita craxian-berlusconiana
La provvista del bonifico “Orologio” All Iberian-Previti-Squillante proviene da un altro conto del gruppo: il Polifemo, sempre gestito da Scabini. Il 1° marzo 1991, un venerdí, Polifemo riceve da Diba Cambi un accredito di 316.800.000 lire. Il denaro è giunto in Svizzera in contanti quattro giorni prima, il 26 febbraio, direttamente da palazzo Donatello a Milano 2 (sede Fininvest), trasportato dagli uomini di Bossert (la somma non fa parte della provvista creata col «mandato 500», che sarà operativo solo dal luglio 1991). Il lunedí successivo, 4 marzo, quei 316 e rotti milioni permettono a Polifemo di disporre il bonifico di 434.404 dollari a Ferrido (sempre All Iberian), dando cosí il via alla trafila che, attraverso Previti, approda al conto di destinazione finale: Squillante. Insomma, Polifemo gira 2 miliardi a Previti e (tra febbraio e marzo ’91) 10 miliardi a Craxi. Nello stesso periodo Previti riceve un’altra provvista (2,7 miliardi) che utilizza in parte per girare a Pacifico i soldi necessari (425 milioni) a comprare la sentenza del giudice Vittorio Metta che annulla il lodo Mondadori e regala la casa editrice a Berlusconi: un altro affare che sta molto a cuore a Craxi. Nella primavera ’91 dunque Berlusconi completa l’occupazione dei media e paga il politico, gli avvocati e i giudici che l’hanno aiutato. La sequenza temporale ricostruita dall’accusa è impressionante. Il 14 febbraio ’91 Previti versa 425 milioni al giudice Metta tramite Pacifico. Il 6 marzo ’91 bonifica 500 milioni a Squillante. Il 16 aprile ’91, ancora tramite Pacifico, dirotta 500 milioni sul conto «Master 811» di Verde (poi assolto). Sempre con fondi Fininvest.

Non potendo negare i versamenti plurimiliardari a Previti in barba al fisco, Berlusconi li spiega cosí: «Normalissime parcelle professionali”. Ma non esiste una sola fattura che le dimostri. E d’altronde: se quei soldi – come dice la difesa berlusconiana – erano «patrimonio personale di Berlusconi», che c’entrano con le parcelle? Berlusconi pagava le parcelle agli avvocati del gruppo di tasca propria? Assurdo. Ultima perla. Dice Berlusconi che «da uno di quei conti vengono effettuati da Fininvest una serie di acconti ai vari studi legali del gruppo, fra cui lo studio Previti». Ma altri studi non ne risultano: Polifemo finanzia solo l’avvocato Previti e poi Craxi. Anche Craxi era un legale del gruppo Fininvest? Beh, in un certo senso…
"I fatti non sono più previsti dalla legge come reato". Con questa formula i giudici della I sezione penale del Tribunale di Milano hanno prosciolto Silvio Berlusconi dall'accusa di falso in bilancio nell'ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all'ex premier, infatti, risalivano alla fine degli anni Ottanta. All'inizio dell'udienza, durata meno di un quarto d'ora, l'accusa aveva chiesto la prescrizione, mentre la difesa aveva sollecitato i giudici ad un verdetto di proscioglimento perché i fatti non costituiscono più reato. Era stato, infatti, proprio durante il governo Berlusconi che il falso in bilancio era stato derubricato. Una interpretazione, quest'ultima, che è stata accolta dai giudici. I fatti contestati all'ex premier risalivano al periodo che va dal 1986 al 1989, e, quindi, sarebbe comunque state coperti dalla prescrizione. I giudici, come detto, hanno però deciso di prosciogliere Berlusconi perché il fatto non è più previsto come reato, invece che dichiarare la prescrizione, come richiesto dal pm Ilda Boccassini. Il procedimento in cui Berlusconi era imputato di falso in bilancio era stato stralciato dal troncone principale del processo Sme, in quanto i giudici avevano investito la Corte europea affinché valutasse la congruità della normativa italiana sul falso in bilancio con le direttive comunitarie. La Corte europea aveva deciso però di non entrare nel merito delle leggi in vigore nei singoli Paesi. "Dopo sei anni è stata pronunciata una sentenza che il Tribunale e la Procura avevano cercato in ogni modo di evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di Giustizia europea", ha commentato l'avvocato Nicolò Ghedini, difensore insieme al collega Gaetano Pecorella di Silvio Berlusconi. La legge che depenalizza il falso in bilancio è stata una delle prime cosiddette "leggi ad personam" approvate dal passato governo Berlusconi. Il provvedimento è diventato infatti operativo già dal gennaio 2002 grazie a un decreto varato a tempo di record dall'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Le fattispecie di minore gravità del falso in bilancio - spiegava il Guardasigilli - sono state depenalizzate e saranno punite con sanzioni amministrative in linea con l'attuale tendenza a limitare ai casi realmente gravi l'intervento penale". Lo scorso ottobre la Casazione aveva chiuso definitivamente un altro troncone del procedimento Sme a carico di Silvio Berlusconi assolvendolo dalle accuse di corruzione nell'intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell'Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La posizione del leader di Forza Italia era stata stralciata da quella degli altri sei imputati, compresi il senatore Cesare Previti e il giudice Squillante, in seguito all'approvazione del "Lodo Schifani", un'altra delle cosiddette "leggi ad personam" (successivamente dichiarata incostituzionale) che introduceva l'immunità per le cinque più alte cariche dello Stato.

MILANO - Silvio Berlusconi è stato assolto nel processo stralcio per la vicenda Sme. Il pm Ilda Boccassini aveva chiesto che fosse dichiarata la prescrizione per il reato di falso in bilancio relativo alle attività della Fininvest negli anni 1986-1989 di cui era accusato l'ex premier. I suoi
difensori, Nicolò Ghedini e Gaetano Pecorella, aveva invece chiesto l´assoluzione perché il fatto non è più rubricato come reato, dopo la modifica della normativa sul falso in bilancio nell´aprile 2002.
SENTENZA-LAMPO - La sentenza di assoluzione è stata letta dopo 5 minuti di camera di consiglio dai giudici della prima sezione penale presieduti da Antonella Bertoja. Il tribunale ha pronunciato il non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, accogliendo così la richiesta della difesa di Berlusconi. Complessivamente l'udienza è durata circa un quarto d'ora.
STRALCIATO - Il capitolo Sme in questione era stato separato dal troncone principale - in cui Berlusconi è stato assolto dall'accusa di corruzione in atti giudiziari - perché i giudici si erano rivolti alla Corte europea per chiedere di valutare la corrispondenza tra la normativa italiana e le direttive comunitarie. A ottobre la Cassazione ha confermato l'assoluzione per Berlusconi, dopo che il 27 aprile l'ex premier era stato assolto con formula piena dalla Corte di Appello di Milano.
«IN RITARDO» - «Una sentenza che arriva in ritardo di sei anni, alla fine di un processo che la Procura e il Tribunale di Milano avevano fatto di tutto per evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di giustizia europea - commenta l'avvocato Ghedini -. I giudici europei e la Corte Costituzionale avevano detto che la modifica di legge dell´aprile del 2002 era corretta e rispondente alle direttive comunitarie per cui a Milano sono stati costretti, sia pure in ritardo, a celebrare un processo scomodo che è finito come doveva finire».
RUSSO SPENA - «L´assoluzione di Berlusconi dall´accusa di falso in bilancio era scontata: la legge che abolisce il reato se l´era fatta, come molte altre, su misura». Parole di Giovanni Russo Spena, capogruppo di Prc al Senato. «Il governo di centrosinistra - aggiunge - stava reintroducendo il reato di falso in bilancio con il decreto sicurezza, il mondo giuridico e gli imprenditori onesti infatti chiedevano proprio questo ed è ovvio che, se Berlusconi vince le
elezioni, falsificare i bilanci delle aziende diventerà uno sport nazionale».

Marco Travaglio

29 gennaio 2008

Iperinflazione


Mentre tutte le banche si affannano ad iniettare liquidità al sistema finanziario si assiste al declino della carta moneta o titoli spazzatura.
La Storia si ripete, una storia già vissuta nel periodo passato.


I febbrili sforzi per salvare il sistema finanziario internazionale, come la psicotica riduzione del 0.75% del tasso di sconto della Riserva Federale e il piano di “stimolo” di Bush/Paulson, non soltanto sono inutili e inefficienti, ma causeranno un ritorno di fiamma spettacolare. Questo è, nella sostanza, il monito dell’economista e statista americano Lyndon H. LaRouche Jr.: il sistema finanziario è ormai defunto. Qualunque tentativo di salvare il valore fittizio dei milioni di miliardi di dollari circolanti in forma di titoli finanziarii, è destinato a fallire: anzi, qualunque nazione che fosse sufficientemente folle da farsi tentare da una simile ricetta, sarebbe distrutta.

Il sistema finanziario globale, inclusi gli Stati Uniti e l'Europa, entra in un periodo comparabile a quello della Germania di Weimar nell’autunno 1923. Se i danni dell’iperinflazione di allora rimasero in larga misura circoscritti alla Germania stessa, quelli derivanti dal crac odierno sono e saranno globali. Nessun sistema nazionale potrà sopravvivere ai suoi effetti; forse, entro l’anno appena cominciato le nazioni stesse si disferanno.

Il Trattato di Versailles, ratificato alla fine della prima guerra mondiale, prevedeva delle riparazioni di guerra così ingenti, da renderne impossibile il pagamento da parte della Germania sconfitta: l’intenzione era precisamente quella di impedirle di funzionare. Cercando di onorare i suoi impegni, la Germania cominciò a stampare moneta, finanziando così i suoi assegni di riparazione e le necessità della sua economia al grande costo dell’instabilità del marco. Lo stimolo monetario inasprì la situazioni a livelli talmente inauditi che fu coniato apposta il termine “iperinflazione”, per individuarne l’orrore.

Mentre l’economia tedesca crollava, il governo rispose con la stampa di ulteriore moneta a mo’ di stimolo: il valore del Reichsmark cominciò così a precipitare. Durante il periodo 1913-1915 esso si era attestato intorno al valore di 4 marchi per un dollaro, raggiungendo il rapporto di circa sei marchi per dollaro nel periodo 1917-1918. La situazione cominciò a peggiorare poco dopo: i 20 Reichsmark per dollaro del 1919 divennero 62 Reichsmark nel 1920, quindi 105 Reichsmark nel 1921. Alla fine si raggiunse il fondo, con 1886 Reichsmark nel 1922 e un incredibile cambio di 535 miliardi di Reichsmark per lo stesso dollaro, nel 1923. Durante lo stesso periodo l’indice del costo della vita subì un passaggio dal livello di 100 del 1912, al livello di 1019 del 1920, fino al mostruoso livello di 657 miliardi del 23 novembre 1923. Questi sono i dati dell’Istituto di Statistica della Germania.

Come abbiamo detto, è il mondo intero, oggi, a conoscere un collasso iperinflattivo sullo stile della Germania di Weimar. Molte, e simili, ne sono le ragioni. Le azioni della Riserva Federale e della Banca Centrale Europea, così come di altre banche centrali e degli stessi governi; la loro determinazione a cercare di stimolare il morto (il sistema finanziario, appunto), sperando nella sua risurrezione; il loro cieco rifiuto di riconoscere la verità; tutto questo contribuisce a mettere in scena una vera e propria tragedia classica. Bloccati dalla paura, questi moderni Amleto stanno preferendo la distruzione di tutto ciò che hanno di più caro, piuttosto che abbandonare la malriposta fede nelle fallimentari politiche monetarie.

Le nazioni d’Europa, macinate dagli accordi di Maastricht anti-sovranità, hanno rinunciato al loro potere di reagire alla crisi. Questo significa che il peso ricade sugli Stati Uniti, in accordo con i poteri e le responsabilità previsti dalla loro Costituzione: essi devono non soltanto restituirsi a sé stessi, ma salvare il mondo intero. Piuttosto che continuare la strada dei folli tentativi di stimolazione del cadavere, il governo degli Stati Uniti d’America deve usare i suoi poteri sovrani per sottoporre il suo intero sistema finanziario ad una procedura di riorganizzazione fallimentare, stabilendo un precedente e un contesto per le azioni equivalenti che le altri nazioni vorranno intraprendere. Il passo cruciale da compiere innanzitutto, è l’approvazione del disegno di legge di LaRouche in protezione dei proprietari di casa e delle banche (preso in considerazione da un numero crescente di consigli comunali e di assemblee legislative statali), per erigere una muraglia di protezione degli aspetti essenziali delle infrastrutture economiche di base e della popolazione stessa, in modo da mantenere l’economia fisica in grado di funzionare, una volta evitati i danni causati dal crollo finanziario.
Fonte :Movisol

01 febbraio 2008

Europa 7 batte Retequattro 1-0 dts



Ci siamo occupati diverse volte su questo argomento, ma l'evidenza viene negata ogni volta. Non è possibile che la voce della informazione venga manipolata in maniera tanto spudorata dai politici di turno.Poi, quando i magistrati intervengono vengono puniti i magistrati o... viene cambiata la sede del processo. Incredibile! Ma questa è l'Italia del 2008 e, senza un governo in carica.

La società televisiva Europa 7 di Francesco Di Stefano ha diritto a trasmettere i suoi programmi in chiaro sulle frequenze oggi occupate da Retequattro, che fa capo a Mediaset di Silvio Berlusconi. E’ questo il succo della sentenza decisa dall’Alta Corte Europea del Lussemburgo e che piomba come un macigno sulle sorti dell’oligopolio berlusconiano e sulle quelle più traballanti della controriforma Gasparri sul sistema dei media, già messa sotto accusa dalla Commissione di Bruxelles con una procedura formale di infrazione contro lo Stato italiano.
Il regime italiano di assegnazione delle frequenze per le attività di trasmissione radiotelevisive, recita in pratica la sentenza, è contrario al diritto comunitario. Per i giudici UE: “tale regime non rispetta il principio della libera prestazione di servizi e non segue criteri di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”, si legge in una nota sulla sentenza diffusa a Bruxelles.
“La Corte -prosegue il testo- rileva che l'applicazione in successione dei regimi transitori strutturati dalla normativa a favore delle reti esistenti ha avuto l'effetto di impedire l'accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze. Questo effetto restrittivo e' stato consolidato dall'autorizzazione generale, a favore delle sole reti esistenti, ad operare sul mercato dei servizi radiotrasmessi. Tali regimi hanno avuto l'effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali già attivi su questo mercato”.


Per la Corte: “il limite al numero degli operatori sul territorio nazionale potrebbe essere giustificato da obiettivi di interesse generale ma, come stabilisce il nuovo quadro normativo comune per i servizi di comunicazione elettronica, esso dovrebbe essere organizzato sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionali. Di conseguenza, l'assegnazione in esclusiva è senza limiti di tempo delle frequenze ad un numero limitato di operatori esistenti, senza tenere conto dei criteri citati, è contraria ai principi del Trattato sulla libera prestazione dei servizi”.
Il caso Europa 7 risale al 1999, quando l'emittente tv ha ottenuto dalle autorità italiane competenti un'autorizzazione a trasmettere a livello nazionale in tecnica analogica, ma non è mai stata in grado di trasmettere in mancanza di assegnazione di radiofrequenze. Il Consiglio di Stato, dinanzi al quale pende attualmente la causa, ha interrogato la Corte di giustizia UE sull'interpretazione delle disposizioni previste dal diritto comunitario per i criteri di assegnazione di radiofrequenze al fine di operare sul mercato delle trasmissioni tv. Il giudice del rinvio, si legge nel testo, “sottolinea che in Italia il piano nazionale di assegnazione per le frequenze non è mai stato attuato per ragioni essenzialmente normative, che hanno consentito agli occupanti di fatto delle frequenze di continuare le loro trasmissioni nonostante i diritti dei nuovi titolari di concessioni. Le leggi succedutesi, che hanno perpetuato un regime transitorio, hanno avuto l'effetto di non liberare le frequenze destinate ad essere assegnate ai titolari di concessioni in tecnica analogica e di impedire ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale”.

Sulla sentenza e le ripercussioni che avranno anche in merito alla Procedura d’infrazione, elevata dalla Commissione europea contro la legge Gasparri, abbiamo intervistato il professor Ottavio Grandinetti, difensore di Centro Europa 7 e docente di diritto dell’informazione
D. Ci spieghi in sintesi il meccanismo della sentenza?
R. “La Corte di Giustizia ha dichiarato che il regime transitorio della Legge Meccanico è contrario almeno dal 1999 all’Articolo 49 del Trattato della Comunità europea. Inoltre, tutti i regimi transitori introdotti successivamente, al fine di prorogare ulteriormente la attività delle reti eccedenti (Retequattro e Telepiù Nero), a danno di Centro Europa 7, sono altresì contrari alle norme delle direttive comunitarie sulle comunicazioni elettroniche, a partire dal 2003.
Questo significa che il Consiglio di Stato dovrà “disapplicare” tutte queste disposizioni transitorie e riconoscere finalmente la piena spettanza del diritto di Europa 7 ad ottenere le frequenze e trasmettere in chiaro.
La Corte di Giustizia, dichiarando l’illegittimità del regime transitorio della legge Meccanico a partire dal 1999 si è discostata, inoltre, anche da quanto aveva deciso la Corte Costituzionale nel 2002 con la sentenza numero 466, in cui la nostra Alta Corte aveva ritenuto che il regime transitorio dovesse cessare solo a partire dal 31 dicembre 2003.
D. Questo significa che anche la Gasparri deve essere modificata per adeguarsi a questa sentenza?
R. “La sentenza della Corte del Lussemburgo sancisce l’immedesimazione tra l’anomalia radiotelevisiva italiana ed il caso Europa 7. Se si vorranno risolvere i due problemi, in via definitiva, occorrerà che l’Italia modifichi la sua legislazione conformemente a quanto ci richiede l’Europa.
D. La sentenza può adesso influire sulla procedura d’infrazione, avanzata dalla Commissione europea su tutta la riforma Gasparri e che è per ora sospesa, prima di arrivare alla Corte?
R. “Certamente, perché questa decisione della Corte dimostra che tutto il sistema radiotelevisivo italiano dal 1997 ad oggi viola la normativa comunitaria. E la legge Gasparri è parte essenziale di questa violazione”.

E se la procedura dovesse, come preannunciato dalla Commissaria alla concorrenza Kroes, approdare all’Alta Corte del Lussemburgo, dopo questa sentenza diventerebbe più che probabile la condanna dello Stato italiano che non ha modificato la Gasparri, bloccando il disegno di legge di riforma presentato alla Camera dal ministro Gentiloni. Una condanna che costerebbe a tutti i contribuenti italiani all’incirca 400 milioni di euro al giorno. Un ennesimo regalo del “portatore sano” di conflitto di interessi, quel Berlusconi che prima ha fatto di tutto con i suoi soci per non far discutere la riforma e poi, con l’affondo illiberale di gridare “Al voto! Al voto!”, sta di fatto avvelenando i pozzi del sistema democratico, costituzionale, pur di salvare sé stesso, il suo potere e le sue ricchezze.
di Gianni Rossi

31 gennaio 2008

E, venne anche il giorno della sua-legge.


Se non fosse l’ingrato che è, il Cainano erigerebbe a sue spese un monumento equestre al centrosinistra, che per la seconda volta gli riconsegna il Paese esattamente come lui l’aveva lasciato. Almeno per i settori che gl’interessano, cioè la giustizia e l’informazione. Pareva brutto cambiare qualcosa, c’era il rischio di offenderlo. Ieri, per esempio, la giustizia ha dimostrato che, volendo, può essere rapida, fulminea: un quarto d’ora di udienza, cinque minuti di camera di consiglio, poi la sentenza del processo Sme-Ariosto bis per i falsi in bilancio Fininvest connessi alle mazzette pagate al giudice Squillante. “Il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, nel senso che l’imputato l’ha depenalizzato.

Il processo era l’ultima coda del filone “toghe sporche” aperto dalla Procura di Milano nell’estate del 1995 in seguito alla testimonianza di Stefania Ariosto. E riguardava i falsi in bilancio contestati al Cavaliere, come titolare del gruppo Fininvest, per far uscire clandestinamente dalle casse delle società estere il denaro necessario a corrompere, o comunque a pagare, alcuni magistrati che stavano sul libro paga del Biscione. Inizialmente il processo Sme-Ariosto era uno solo e vedeva imputati per corruzione giudiziaria Berlusconi, i suoi avvocati Cesare Previti e Attilio Pacifico e i giudici Filippo Verde (per la presunta sentenza venduta sul caso Sme del 1988) e Renato Squillante (per una tangente di 434 mila dollari del 1991); in più Berlusconi rispondeva anche di falso in bilancio. Poi, nel febbraio 2002, il suo governo depenalizzò di fatto i reati contabili, fissando soglie di non punibilità così alte da sanare cifre stratosferiche di fondi neri. Su richiesta della Procura, il Tribunale stralciò il capitolo del falso in bilancio e ricorse contro la nuova legge dinanzi alla Corte di giustizia europea, che però lasciò ai giudici italiani la decisione se applicare la legge italiana o quella (più rigida e prevalente) comunitaria. Intanto, nel processo principale, Previti, Pacifico e Squillante se la cavano con la prescrizione, solo Verde viene assolto. E così Berlusconi, ma solo per insufficienza di prove.

Le accuse
Resta, ormai sul binario morto, il processo sul falso in bilancio che s’è chiuso ieri. Nel capo d’imputazione si legge che “Berlusconi Silvio, in concorso con gli altri amministratori e dirigenti delle spa Fininvest ed Istifi, in esecuzione di un unico disegno criminoso, quale presidente della spa Fininvest e azionista di riferimento dell’omonimo gruppo, fraudolentemente concorreva a esporre nei bilanci di esercizio delle precitate società, relativi agli anni 1986/’87, ‘88, ‘89, nonché nelle relazioni allegate ai bilanci e nelle altre comunicazioni sociali, notizie false e incomplete sulle condizioni economiche delle medesime: operando perché Istifi gestisse la tesoreria del gruppo in modo tale da non consentire l’attribuzione e la ricostruzione delle operazioni finanziarie finalizzate a creare provviste di contanti nonché l’effettivo impiego in operazioni riservate ed illecite ed anche per l’esecuzione dei pagamenti di cui ai capi precedenti (le presunte tangenti ai giudici Squillante e Verde, ndr); creando, attraverso operazioni eseguite presso la Fiduciaria Orefici di Milano, delle disponibilità extracontabili utilizzate per operazioni riservate e illecite nonché per eseguire i pagamenti di cui ai capo che precedono; cosí occultando, nelle diverse comunicazioni sociali, sia la creazione di disponibilità finanziarie, sia il loro impiego, sia l’esistenza di società correlate e di posizioni fiduciarie riferibili alle precitate società (nonché gli impegni per la loro capitalizzazione, i costi relativi e le plusvalenze realizzate)”. Indipendentemente dalla conclusione dei processi, i versamenti in nero della Fininvest sono documentali e incontestabili. I primi risalgono al 1988, poco dopo la sentenza di Cassazione che chiuse la causa civile sulla mancata cessione, nel 1985, della Sme dall’Iri di Prodi alla Buitoni di De Benedetti per l’azione di disturbo inscenata dal trio Berlusconi-Barilla-Ferrero (Iar) su ordine di Bettino Craxi. Il 2 maggio e il 26 luglio 1988, da un conto svizzero di Pietro Barilla, partono due bonifici: il primo di 750 milioni, il secondo di 1 miliardo di lire, entrambi diretti al conto Qasar Business aperto presso la Sbt di Bellinzona dall’avvocato Pacifico. I 750 milioni vengono ritirati in contanti da Pacifico, che li porta in Italia e – secondo l’accusa – ne consegnati una parte (200 milioni) brevi manu al giudice Verde, che nel 1986 ha sentenziato a favore della Iar (che però viene assolto: manca la prova dell’ ultimo passaggio). Il miliardo invece lascia tracce documentali fino al termine del suo percorso: il 29 luglio ’88 Pacifico ne bonifica 850 milioni al conto Mercier di Previti e 100 milioni al conto Rowena di Squillante, trattenendone solo 50 per sè. Perché tutto quel denaro targato Barilla-Berlusconi (soci nella Iar) approda – secondo i pm - sui conti di due magistrati e di due avvocati che l’imprenditore parmigiano non conosce e che non hanno mai lavorato per lui? Perché mai il socio di Berlusconi dovrebbe pagare un miliardo e 750 milioni a due avvocati di Berlusconi che neppure conosce e a un giudice di Roma, anch’egli a lui sconosciuto, se nella causa Sme fosse tutto regolare?

Il bonifico Orologio
C’è poi il versamento del 1991, sganciato dall’affare Sme, ma rientrante – per l’accusa – nello stipendio aggiuntivo che Squillante riceveva da Fininvest per la costante disponibilità al servizio del gruppo: lo attesta un’impressionante sequenza di contabili bancarie svizzere sul passaggio di 434.404 dollari (500 milioni di lire tondi tondi) dal conto Ferrido (All Iberian, cioè Fininvest) al conto Mercier (Previti) al conto Rowena (Squillante), il 5 marzo 1991. Due bonifici diretti, della stessa identica cifra, nel giro di un’ora e mezza, siglati con il riferimento cifrato “Orologio”. Previti, sulle prime, parla di un semplice errore della banca. Poi cambia piú volte versione. All Iberian è la tesoreria occulta del Biscione e bonifica decine di miliardi di lire sui conti svizzeri Polifemo e Ferrido, gestiti dal cassiere centrale Fininvest, Giuseppino Scabini. Da dove arrivano i soldi? Da tre diversi sistemi. Anzitutto dai bonifici della lussemburghese Silvio Berlusconi Finanziaria. Poi, dall’aprile 1991, dal contante versato dalla Diba Cambi di Lugano: il denaro proveniva da due diverse operazioni effettuate grazie alla Fiduciaria Orefici di Milano. La prima è l’operazione «Bica-Rovares», condotta dal gruppo Berlusconi con l’immobiliarista Renato Della Valle, che frutta una ventina di miliardi; la seconda è strettamente legata al «mandato 500»: un mandato personale del Cavaliere aperto presso la Fiduciaria Orefici e utilizzato per acquistare 91 miliardi in Cct. I titoli di Stato vengono poi monetizzati a San Marino e il contante viene consegnato a Milano 2 a Scabini. Parte di questi soldi (18 miliardi circa) finiscono sui conti esteri del gruppo. A portarli in Svizzera provvede lo spallone Alfredo Bossert, che li consegna alla Diba Cambi di Lugano. Insomma, i conti esteri di All Iberian dai quali partono i versamenti ai giudici (ma anche 23 miliardi a Craxi) sono alimentati da denaro della Fininvest e –come ammettono i suoi stessi difensori - «dal patrimonio personale di Silvio Berlusconi». E allora come può il Cavaliere non saperne nulla?

Una partita craxian-berlusconiana
La provvista del bonifico “Orologio” All Iberian-Previti-Squillante proviene da un altro conto del gruppo: il Polifemo, sempre gestito da Scabini. Il 1° marzo 1991, un venerdí, Polifemo riceve da Diba Cambi un accredito di 316.800.000 lire. Il denaro è giunto in Svizzera in contanti quattro giorni prima, il 26 febbraio, direttamente da palazzo Donatello a Milano 2 (sede Fininvest), trasportato dagli uomini di Bossert (la somma non fa parte della provvista creata col «mandato 500», che sarà operativo solo dal luglio 1991). Il lunedí successivo, 4 marzo, quei 316 e rotti milioni permettono a Polifemo di disporre il bonifico di 434.404 dollari a Ferrido (sempre All Iberian), dando cosí il via alla trafila che, attraverso Previti, approda al conto di destinazione finale: Squillante. Insomma, Polifemo gira 2 miliardi a Previti e (tra febbraio e marzo ’91) 10 miliardi a Craxi. Nello stesso periodo Previti riceve un’altra provvista (2,7 miliardi) che utilizza in parte per girare a Pacifico i soldi necessari (425 milioni) a comprare la sentenza del giudice Vittorio Metta che annulla il lodo Mondadori e regala la casa editrice a Berlusconi: un altro affare che sta molto a cuore a Craxi. Nella primavera ’91 dunque Berlusconi completa l’occupazione dei media e paga il politico, gli avvocati e i giudici che l’hanno aiutato. La sequenza temporale ricostruita dall’accusa è impressionante. Il 14 febbraio ’91 Previti versa 425 milioni al giudice Metta tramite Pacifico. Il 6 marzo ’91 bonifica 500 milioni a Squillante. Il 16 aprile ’91, ancora tramite Pacifico, dirotta 500 milioni sul conto «Master 811» di Verde (poi assolto). Sempre con fondi Fininvest.

Non potendo negare i versamenti plurimiliardari a Previti in barba al fisco, Berlusconi li spiega cosí: «Normalissime parcelle professionali”. Ma non esiste una sola fattura che le dimostri. E d’altronde: se quei soldi – come dice la difesa berlusconiana – erano «patrimonio personale di Berlusconi», che c’entrano con le parcelle? Berlusconi pagava le parcelle agli avvocati del gruppo di tasca propria? Assurdo. Ultima perla. Dice Berlusconi che «da uno di quei conti vengono effettuati da Fininvest una serie di acconti ai vari studi legali del gruppo, fra cui lo studio Previti». Ma altri studi non ne risultano: Polifemo finanzia solo l’avvocato Previti e poi Craxi. Anche Craxi era un legale del gruppo Fininvest? Beh, in un certo senso…
"I fatti non sono più previsti dalla legge come reato". Con questa formula i giudici della I sezione penale del Tribunale di Milano hanno prosciolto Silvio Berlusconi dall'accusa di falso in bilancio nell'ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all'ex premier, infatti, risalivano alla fine degli anni Ottanta. All'inizio dell'udienza, durata meno di un quarto d'ora, l'accusa aveva chiesto la prescrizione, mentre la difesa aveva sollecitato i giudici ad un verdetto di proscioglimento perché i fatti non costituiscono più reato. Era stato, infatti, proprio durante il governo Berlusconi che il falso in bilancio era stato derubricato. Una interpretazione, quest'ultima, che è stata accolta dai giudici. I fatti contestati all'ex premier risalivano al periodo che va dal 1986 al 1989, e, quindi, sarebbe comunque state coperti dalla prescrizione. I giudici, come detto, hanno però deciso di prosciogliere Berlusconi perché il fatto non è più previsto come reato, invece che dichiarare la prescrizione, come richiesto dal pm Ilda Boccassini. Il procedimento in cui Berlusconi era imputato di falso in bilancio era stato stralciato dal troncone principale del processo Sme, in quanto i giudici avevano investito la Corte europea affinché valutasse la congruità della normativa italiana sul falso in bilancio con le direttive comunitarie. La Corte europea aveva deciso però di non entrare nel merito delle leggi in vigore nei singoli Paesi. "Dopo sei anni è stata pronunciata una sentenza che il Tribunale e la Procura avevano cercato in ogni modo di evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di Giustizia europea", ha commentato l'avvocato Nicolò Ghedini, difensore insieme al collega Gaetano Pecorella di Silvio Berlusconi. La legge che depenalizza il falso in bilancio è stata una delle prime cosiddette "leggi ad personam" approvate dal passato governo Berlusconi. Il provvedimento è diventato infatti operativo già dal gennaio 2002 grazie a un decreto varato a tempo di record dall'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Le fattispecie di minore gravità del falso in bilancio - spiegava il Guardasigilli - sono state depenalizzate e saranno punite con sanzioni amministrative in linea con l'attuale tendenza a limitare ai casi realmente gravi l'intervento penale". Lo scorso ottobre la Casazione aveva chiuso definitivamente un altro troncone del procedimento Sme a carico di Silvio Berlusconi assolvendolo dalle accuse di corruzione nell'intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell'Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La posizione del leader di Forza Italia era stata stralciata da quella degli altri sei imputati, compresi il senatore Cesare Previti e il giudice Squillante, in seguito all'approvazione del "Lodo Schifani", un'altra delle cosiddette "leggi ad personam" (successivamente dichiarata incostituzionale) che introduceva l'immunità per le cinque più alte cariche dello Stato.

MILANO - Silvio Berlusconi è stato assolto nel processo stralcio per la vicenda Sme. Il pm Ilda Boccassini aveva chiesto che fosse dichiarata la prescrizione per il reato di falso in bilancio relativo alle attività della Fininvest negli anni 1986-1989 di cui era accusato l'ex premier. I suoi
difensori, Nicolò Ghedini e Gaetano Pecorella, aveva invece chiesto l´assoluzione perché il fatto non è più rubricato come reato, dopo la modifica della normativa sul falso in bilancio nell´aprile 2002.
SENTENZA-LAMPO - La sentenza di assoluzione è stata letta dopo 5 minuti di camera di consiglio dai giudici della prima sezione penale presieduti da Antonella Bertoja. Il tribunale ha pronunciato il non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, accogliendo così la richiesta della difesa di Berlusconi. Complessivamente l'udienza è durata circa un quarto d'ora.
STRALCIATO - Il capitolo Sme in questione era stato separato dal troncone principale - in cui Berlusconi è stato assolto dall'accusa di corruzione in atti giudiziari - perché i giudici si erano rivolti alla Corte europea per chiedere di valutare la corrispondenza tra la normativa italiana e le direttive comunitarie. A ottobre la Cassazione ha confermato l'assoluzione per Berlusconi, dopo che il 27 aprile l'ex premier era stato assolto con formula piena dalla Corte di Appello di Milano.
«IN RITARDO» - «Una sentenza che arriva in ritardo di sei anni, alla fine di un processo che la Procura e il Tribunale di Milano avevano fatto di tutto per evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di giustizia europea - commenta l'avvocato Ghedini -. I giudici europei e la Corte Costituzionale avevano detto che la modifica di legge dell´aprile del 2002 era corretta e rispondente alle direttive comunitarie per cui a Milano sono stati costretti, sia pure in ritardo, a celebrare un processo scomodo che è finito come doveva finire».
RUSSO SPENA - «L´assoluzione di Berlusconi dall´accusa di falso in bilancio era scontata: la legge che abolisce il reato se l´era fatta, come molte altre, su misura». Parole di Giovanni Russo Spena, capogruppo di Prc al Senato. «Il governo di centrosinistra - aggiunge - stava reintroducendo il reato di falso in bilancio con il decreto sicurezza, il mondo giuridico e gli imprenditori onesti infatti chiedevano proprio questo ed è ovvio che, se Berlusconi vince le
elezioni, falsificare i bilanci delle aziende diventerà uno sport nazionale».

Marco Travaglio

29 gennaio 2008

Iperinflazione


Mentre tutte le banche si affannano ad iniettare liquidità al sistema finanziario si assiste al declino della carta moneta o titoli spazzatura.
La Storia si ripete, una storia già vissuta nel periodo passato.


I febbrili sforzi per salvare il sistema finanziario internazionale, come la psicotica riduzione del 0.75% del tasso di sconto della Riserva Federale e il piano di “stimolo” di Bush/Paulson, non soltanto sono inutili e inefficienti, ma causeranno un ritorno di fiamma spettacolare. Questo è, nella sostanza, il monito dell’economista e statista americano Lyndon H. LaRouche Jr.: il sistema finanziario è ormai defunto. Qualunque tentativo di salvare il valore fittizio dei milioni di miliardi di dollari circolanti in forma di titoli finanziarii, è destinato a fallire: anzi, qualunque nazione che fosse sufficientemente folle da farsi tentare da una simile ricetta, sarebbe distrutta.

Il sistema finanziario globale, inclusi gli Stati Uniti e l'Europa, entra in un periodo comparabile a quello della Germania di Weimar nell’autunno 1923. Se i danni dell’iperinflazione di allora rimasero in larga misura circoscritti alla Germania stessa, quelli derivanti dal crac odierno sono e saranno globali. Nessun sistema nazionale potrà sopravvivere ai suoi effetti; forse, entro l’anno appena cominciato le nazioni stesse si disferanno.

Il Trattato di Versailles, ratificato alla fine della prima guerra mondiale, prevedeva delle riparazioni di guerra così ingenti, da renderne impossibile il pagamento da parte della Germania sconfitta: l’intenzione era precisamente quella di impedirle di funzionare. Cercando di onorare i suoi impegni, la Germania cominciò a stampare moneta, finanziando così i suoi assegni di riparazione e le necessità della sua economia al grande costo dell’instabilità del marco. Lo stimolo monetario inasprì la situazioni a livelli talmente inauditi che fu coniato apposta il termine “iperinflazione”, per individuarne l’orrore.

Mentre l’economia tedesca crollava, il governo rispose con la stampa di ulteriore moneta a mo’ di stimolo: il valore del Reichsmark cominciò così a precipitare. Durante il periodo 1913-1915 esso si era attestato intorno al valore di 4 marchi per un dollaro, raggiungendo il rapporto di circa sei marchi per dollaro nel periodo 1917-1918. La situazione cominciò a peggiorare poco dopo: i 20 Reichsmark per dollaro del 1919 divennero 62 Reichsmark nel 1920, quindi 105 Reichsmark nel 1921. Alla fine si raggiunse il fondo, con 1886 Reichsmark nel 1922 e un incredibile cambio di 535 miliardi di Reichsmark per lo stesso dollaro, nel 1923. Durante lo stesso periodo l’indice del costo della vita subì un passaggio dal livello di 100 del 1912, al livello di 1019 del 1920, fino al mostruoso livello di 657 miliardi del 23 novembre 1923. Questi sono i dati dell’Istituto di Statistica della Germania.

Come abbiamo detto, è il mondo intero, oggi, a conoscere un collasso iperinflattivo sullo stile della Germania di Weimar. Molte, e simili, ne sono le ragioni. Le azioni della Riserva Federale e della Banca Centrale Europea, così come di altre banche centrali e degli stessi governi; la loro determinazione a cercare di stimolare il morto (il sistema finanziario, appunto), sperando nella sua risurrezione; il loro cieco rifiuto di riconoscere la verità; tutto questo contribuisce a mettere in scena una vera e propria tragedia classica. Bloccati dalla paura, questi moderni Amleto stanno preferendo la distruzione di tutto ciò che hanno di più caro, piuttosto che abbandonare la malriposta fede nelle fallimentari politiche monetarie.

Le nazioni d’Europa, macinate dagli accordi di Maastricht anti-sovranità, hanno rinunciato al loro potere di reagire alla crisi. Questo significa che il peso ricade sugli Stati Uniti, in accordo con i poteri e le responsabilità previsti dalla loro Costituzione: essi devono non soltanto restituirsi a sé stessi, ma salvare il mondo intero. Piuttosto che continuare la strada dei folli tentativi di stimolazione del cadavere, il governo degli Stati Uniti d’America deve usare i suoi poteri sovrani per sottoporre il suo intero sistema finanziario ad una procedura di riorganizzazione fallimentare, stabilendo un precedente e un contesto per le azioni equivalenti che le altri nazioni vorranno intraprendere. Il passo cruciale da compiere innanzitutto, è l’approvazione del disegno di legge di LaRouche in protezione dei proprietari di casa e delle banche (preso in considerazione da un numero crescente di consigli comunali e di assemblee legislative statali), per erigere una muraglia di protezione degli aspetti essenziali delle infrastrutture economiche di base e della popolazione stessa, in modo da mantenere l’economia fisica in grado di funzionare, una volta evitati i danni causati dal crollo finanziario.
Fonte :Movisol