16 marzo 2008

Le nostre elezioni sono più libere che in Russia?


La domanda potrebbe essere banale, ma non lo è. Come paragonare la nostra democrazia con quella russa? Come credere, che le nostre elezioni siamo esenti da brogli? Lo vanno dicendo ognuno degli opposti schieramenti, un fondo di verità penso ci sia. E allora? Punto.
Si pone la domanda Justin Raimondo, famoso blogger-giornalista .
Si sa, viene indicata come strisciante tendenza al totalitarismo il fatto che Putin resti al potere, ora da primo ministro, mentre il suo successore alla presidenza, Medvedev, riceverà ordini da Putin.
Ma è poi davvero diverso in America, dove si sospetta che Bill Clinton farà da suggeritore ad Hillary, se questa vincerà le elezioni?
Almeno in Russia manca l’elemento dinastico, diventato tipico della «democrazia» americana: Putin almeno non ha dato la presidenza a suo figlio, come Bush senior ha comprato la presidenza a Bush junior.
Praticamente, la terra delle libertà è piena di famiglie reali: «i» Bush, «i» Clinton, «i» Kennedy...
Gli elettori russi non avevano una vera scelta tra partiti, dicono gli accusatori di Putin.
I comitati elettorali hanno rifiutato di registrare certi candidati invisi al Cremlino.
D’accordo, ma in USA nessuno da decenni riesce mai a fondare un terzo partito, e con questo arrivare a sottoporsi al giudizio delle urne.
Se le TV di Mosca non danno notizie sul candidato Kasparov, le libere TV americane non fanno menzione di Ron Paul, e dei suoi primi buoni piazzamenti alle primarie: Ron Paul è una non-persona.
Nonostante tutte le restrizioni alle candidature nel regime putiniano, i russi hanno avuto più scelta degli americani.
Il che vale anche per noi italiani, se ci si pensa.
Possiamo scegliere fra due partiti quasi identici fin nel nome (PD e PDL) con programmi quasi uguali.
Nemmeno possiamo esercitare le preferenze: andranno in Parlamento i primi nomi che appaiono nelle liste, lo vogliate o no.
E l’ordine dei nomi nelle liste l’hanno deciso Veltrusconi e Beltroni.
Sono loro che decidono per chi dovete votare.
Impagabile la critica che gli «osservatori» europei hanno diretto alle elezioni russe: i media sono «pregiudizialmente» orientati, hanno detto.
Manca la libertà di stampa.
E in USA?
Mica erano giornalisti russi quei famosi anchormen che aprivano i TG, ai tempi dell’invasione dell’Iraq, esibendo all’occhiello il distintivo patriottico a stelle e strisce.
Mica è russa Judith Miller, famosa giornalista del New York Times, che sul New York Times, il più grosso e indipendente dei giornali americani, raccontò come Saddam, avesse le armi di distruzione di massa, panzana fedelmente ripetuta da tutti quanti i media americani ed europei; poi si è scoperto che la Miller (ebrea) prendeva l’imbeccata su quel che doveva scrivere direttamente da Cheney e da Bush.
I media «indipendenti» occidentali demonizzano chi contesta la versione ufficiale sull’11 settembre, lo definiscono «negazionista e antisemita» (chissà perché), gli negano la parola.
I media occidentali hanno incolpato senza prove Putin di essere il mandante di assassinii vari (la Politkovskaya, uccisa in realtà da gangster ceceni) e l’ex-spia Litvinenko; ancora due giorni fa m’è capitato personalmente di sentire un giornalista italiota accusare Putin della strage nella scuola di Beslan, perpetrata da terroristi ceceni al soldo dell’oligarca Berezovski.
E ovviamente, se l’Ucraina, per una contestazione sul prezzo con Gazprom, minaccia di far mancare all’Europa il gas proveniente dalla Russia, la colpa è di Putin - anche se l’Ucraina ha un obbligo contrattuale a far passare il gas, essendo pagata per questo con ricche royalty.
Insomma, Putin è aggressivo.
Ma allora come definire il presidente Bush, che ha decretato l’invasione di Afghanistan ed Iraq, occupati da sei e quattro anni da truppe USA, che manda a bombardare villaggi in Somalia (in Somalia!), che vuole installare missili a ridosso della Russia in Polonia, i cui commandos si preparano a fare incursioni in Pakistan per impadronirsi delle testate nucleari di quel Paese, le cui flotte belliche assediano minacciosamente le coste iraniane, e il cui massimo alleato (la sola democrazia del Medio Oriente) ha aggredito tre nazioni negli ultimi tre anni, Libano nel 2006, Siria nel 2007, Gaza nel 2008.
Bisogna riconoscere che c’è un certo disordine nel nuovo ordine mondiale: Israele bombarda le famiglie a Gaza dopo averle affamate, la Turchia compie incursioni in profondità in Iraq, la Colombia compie incursioni armate in Ecuador, sicchè sta per scoppiare una guerra fra la Colombia da una parte e l’Ecuador e il Venezuela dall’altra; tutto il mondo si riarma freneticamente (la Cina ha aumentato decisamente le sue spese militari), la NATO progetta di fornirsi di testate atomiche adatte ad un attacco nucleare preventivo.
Ma se il mondo si riarma non è perché ha paura di Putin; lo fa perché ha paura dell’America e della sua attitudine all’aggressione preventiva e non provocata, e alla sua decisione di «diffondere la democrazia» e «fare la guerra globale al terrorismo».
E’ l’America che ha schedato come sospette di «terrorismo» o simpatie per il terrorismo 700 mila persone, non solo stranieri ma cittadini americani; e a queste persone nega il visto d’entrata, e vieta persino di salire su un aereo di linea.
Non è la Russia ad essersi data un nuovo ministero che si chiama «Dipartimento per la Sicurezza della Terra Patria» (Homeland Security), né che ha legalizzato la tortura per interrogare dei sospetti.
E che dire dell’Europa?
Gli osservatori europei che hanno fatto le pulci alle elezioni russe hanno poi dovuto concludere che i risultati «riflettono la volontà di un elettorato il cui potenziale democratico purtroppo resta inespresso».
Potessimo dire lo stesso noi europei degli osservatori europei: membri di un Parlamento Europeo di cui vi sfido a ricordare i nomi di dieci membri (l’abbiamo votato? Sì, ma sono stati i partiti a decidere chi dei loro doveva «andare in Europa»), un parlamento del resto che ha solo poteri consultivi, mentre il potere di governo appartiene alla Commissione, che mai si sottopone ad elezioni.
E’ un’Europa che evita in tutti i modi di sottoporre a referendum la Costituzione (cosiddetta) europea, per non vedersela bocciare.
Sicchè possiamo dire che anche in Europa «il potenziale democratico dell’elettorato resta purtroppo inespresso», ma - al contrario dei russi - non possiamo dire che «i risultati riflettono la volontà dell’elettorato» medesimo.
O forse avete scelto voi Solana, Frattini, Trichet, perché vi piacciono?
I russi, Putin, se lo sono scelto e lo vogliono tenere dov’è.
Forse perché Putin ha tirato fuori la Russia dall’abisso economico-sociale, ha recuperato dal saccheggio degli «oligarchi» finanziati da Wall Stret e dalla City che s’erano accaparrati le materie prime nazionali, e l’ha liberata dalle ricette liberiste suggerite dalla Scuola di Chicago, che l’avevano portata al collasso («liberalizzazione» costata sei milioni di morti, soprattutto fra i pensionati, e il sorgere di una criminalità ferocissima e ricchissima).
Sotto il non-democratico Putin, la Russia è cresciuta economicamente al ritmo del 7% annuo (8,1% nel 2007), mentre i democratici Stati Uniti stanno crollando in una depressione storica a forza di debiti e fantasie finanziarie, con 2 milioni di famiglie che probabilmente nel 2008 perderanno la casa ipotecata.
La Russia, sotto Putin, ha pagato in anticipo tutti i suoi debiti, ed ora ha riserve per 480 miliardi di dollari (nel 1998 le sue riserve erano zero); ha un attivo di bilancio pari al 6% del PIL (l’Italia ha un passivo di… lasciamo perdere); in Russia, l’imposta sul reddito è del 13% (in Italia del 43%, più IVA 20%) .
E non è vero, come ripetono i soliti maestri di democrazia, che la Russia è un’economia basata sul petrolio come l’Arabia Saudita.
La sua industria edilizia cresce del 16% annuo, le vendite al dettaglio del 13%, gli investimenti interni del 20% (Putin sta rinnovando le vecchie cadenti infrastrutture sovietiche).
Il suo settore scientifico-tecnologico è di prim’ordine, deve essere solo messo a profitto nel civile, cosa che prima o poi accadrà.
Vero che ci sono inconvenienti (inflazione, corruzione, poca trasparenza, commistione del politico con l’economico).
Vero anche che lo slancio iniziale per la ripresa Putin l’ha tratto da una decisione di aumentare del 50% la produzione annuale di greggio.
Ma questo è stato un vantaggio anche per noi europei: se avesse bloccato la produzione, rifiutandosi come fa l’OPEC di aumentarla e magari associandosi all’OPEC, oggi il petrolio ci costerebbe 150, non 100 dollari al barile.
L’Italia però ha la democrazia.
Forse per questo era la quarta economia mondiale ai tempi di Craxi, ed è oggi la settima.
Sarà perché ancora 15 anni fa il 70% dell’economia italiana era controllata dallo Stato - o meglio dai partiti, siamo in democrazia - ed ancor oggi le privatizzazioni ci hanno dato aziende come Alitalia, Trenitalia e Telecom, dei monopoli più inefficienti e avidi di prima, più incapaci di fornire servizi, solo coi «manager» pagati il triplo di prima, perché ora questi marpioni messi a quelle poltrone da Prodi sono «dirigenti privati».
L’Italia è una democrazia, e perciò l’intrusione dello Stato è moltiplicata con l’intrusione delle Regioni, delle Province, dei Comuni e dei consigli di zona; le università sono moltiplicate in relazione diretta con l’ignoranza generale; la produttività è diminuita, la precarietà aumentata, e per trovare lavoro non ci si rivolge al libero mercato, ma alle raccomandazioni e alle tessere di partito, a Mastella e a De Mita o a Formigoni.
Pensate se al posto di Prodi ci fosse Putin: che rischio per la monnezza di Napoli!
Invece, la democrazia italiana è orgogliosa di poter dire al mondo che la sua terza città è sepolta nella sua stessa spazzature da sei mesi, senza soluzione in vista, grazie al fatto che nessuno esercita l’autoritarismo per costringere a lavorare i 20 mila spazzini-camorristi napoletani, o a costruire gli inceneritori contro la volontà dei numerosi verdi pro-monnezza.
Una splendida democrazia.
Che l’ISN di Zurigo (International Relations and Security Network) ha descritto ai suoi lettori così: «Le agenzie di rating hanno abbassato il debito pubblico a due punti al disopra dei junk-bond; i livelli di disoccupazione nel sud del Paese sono i più alti dell’Europa occidentale; le statistiche pubbliche sono notoriamente inaffidabili; le speranze dei cittadini nel governo sono al livello più basso della storia; la criminalità organizzata controlla vaste zone del territorio nazionale; il sistema giudiziario è privo di autorità; e le prospettive economiche sono di declino» .
E ancora: «In politica come in economia compaiono e ricompaiono le stesse facce e le stesse idee che sono in giro da anni».
«In aprile gli italiani andranno al voto con poca possibilità di eleggere un governo che duri per tutto il mandato».
«Non è un segreto che l’Italia ha da anni bisogno di un ampio ventaglio di cambiamenti strutturali, ma che non ha mai avuto un governo con la stabilità e il mandato per imporre questi cambiamenti».
«I problemi economici sono tutti assolutamente dovuti alla politica» (la Casta).
«L’Italia è da troppo anni una nazione ingovernabile come poche altre nel mondo».
L’Italia, prevede l’ISN, è sulla via di diventare un «failed state», uno Stato fallito.
Uno Stato fallito è «uno Stato in cui il governo centrale è troppo incapace (ineffective)
per esercitare il controllo pratico sul suo territorio».
La lista dei failed states ne comprende 32, con in testa «Sudan, Iraq e Somalia».
Ma noi, con le tasse più esose d’Europa, la legislazione più punitiva per gli onesti e più accomodante per i delinquenti, i servizi peggiori, il settore pubblico più pletorico e più pagato del mondo: uno Stato fallito pieno di «ricchi di Stato».
E’ il trionfo della democrazia secessionista permanente.
Mica siamo come i russi, che si tengono l’autoritario, il non-democratico Putin.

M. Blondet

15 marzo 2008

Se tuo voto vale 50 euro, tu quanto vali?


Fin quando nessuno vivrà il terrore delle proprie azioni tutto rimarrà immobile. Nessuno si rende conto della violenza dell'immobilismo un movimento gandhiano in modo inverso. Queste elezioni, inutili, anticostituzionali ed altro accresceranno il divario fra realtà e privilegi barocchi. Qualcuno interverrà? Ne dubito.

NESSUNO vincerà le elezioni in Italia. Nessuno. Perché finora tutti sembrano ignorare una questione fondamentale che si chiama "organizzazioni criminali" e ancor più "economia criminale". Non molto tempo fa il rapporto di Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90 miliardi di euro, pari al 7 per cento del Pil, l'equivalente di cinque manovre finanziarie. Il titolo "La mafia s. p. a. è la più grande impresa italiana" fece il giro di tutti i giornali del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha parlato ancora.

E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa non solo perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a realizzare opere pubbliche.

Non le vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se non si affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre loro. Indipendentemente da quale schieramento governerà il paese. Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici accordarsi, in entrambi i schieramenti. Non c'è elezione in Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un'arma formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni ricompare persino l'emigrazione verso l'estero. E' cosa risaputa ma che nessuno osa affrontare.

Quando ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a scuola, negli ospedali, negli uffici comunali. Mentre crescevo il voto è stato venduto per molto meno. Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano un lavoro a tempo determinato.

Alle ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro. Quasi come al tempo di Achille Lauro, l'imprenditore sindaco di Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca, mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria. Oggi si ottengono voti per poco, per pochissimo. La disperazione del meridione che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina.

Mai come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata. Dagli italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica. Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire obiettivi, mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi. Nessuno pretende che possa rigenerarsi nell'arco di una campagna elettorale.

Ma nel vuoto di potere in cui si è fatta serva di maneggi e interessate miopie prevalgono poteri incompatibili con una democrazia avanzata. E' una democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa? O dove dal '92 a oggi, le organizzazioni hanno ucciso più di 3.100 persone? Più che a Beirut? Se vuole essere davvero nuovo, il Partito Democratico di Walter Veltroni non abbia paura di cambiare. Non scenda a compromessi per paura di perdere.

Il governo Prodi è caduto in terra di camorra. Ha forse sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del piccolo partito Udeur, ma i rischi che comportava l'inserimento nelle liste di una parte dei suoi uomini. Personaggi sconosciuti all'opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso al governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo fallimento nella gestione dell'emergenza rifiuti. E non ha capito che quella situazione rappresenta solo l'esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo scacco.

Tutto questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della Sicilia Cuffaro per una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un boss, limitandosi a scagionarlo dall'accusa di essere lui stesso un mafioso vero e proprio.

La questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese intero. Inoltre molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi di giovani cattolici i cui voti non sempre vanno al centrosinistra. Anche questi elettori dovrebbero pretendere che non siano candidate soubrette o personaggi capaci solo di difendere il proprio interesse. Pretendano gli elettori di centrodestra che non ci siano solo soubrette e a sud esponenti di consorterie imprenditoriali. E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all'Italia ferita dalle stragi di mafia: "Questo popolo... talmente attaccato alla vita, che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte... Mi rivolgo ai responsabili... Un giorno verrà il giudizio di Dio". Parole che avrebbero dovuto crescere nelle coscienze.

È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa.

Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo strumento di impegno più forte che possiedo. Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire che il chiasso delle polemiche distolga l'attenzione verso problemi che meno fanno rumore, più fanno danno. O che le disquisizioni morali coprano le scelte concrete a cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il momento di non permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli. Che futuri ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non accontentarci.

Nel 1793 la Costituzione francese aveva previsto il diritto all'insurrezione: forse è il momento di far valere in Italia il diritto alla non sopportazione. A non svendere il proprio voto. A dare ancora un senso alla scelta democratica, scegliendo di non barattare il proprio destino con un cellulare o la luce pagata per qualche mese.
Roberto Saviano

14 marzo 2008

I furbetti del Parlamento



Dopo i vari scandali e rinvii a giudizio dei furbetti che sfruttando le maglie della legalità e della posizione dominante si innescavano spirali di guadagno illecito come in un sistema multilevel, adesso è il momento dei deputati-cavalli che la legge elettorale vigente permette. Naturalmente è tutto legale, il voto elettorale è una merce di scambio per gli oligarchi di partito. Complimenti a loro.Vuoi vedere che tutti i partiti sono d'accordo su questo sistema elettorale? Ma tutti i cittadini sono d'accordo su questa legge?Questo è un paese che non ha nemmeno la sovranità elettorale

Ebbene sì, mentre il teatrino dell'oligarchia va avanti, con nuove (vecchie) comparse, la lobby dei "furbetti" delle scalate torna tranquilla in Parlamento...
Il PD candida senza pudore Massimo D'Alema (già graziato dalla prescrizione per una tangente dell'uomo della sanità pugliese legato alla SCU), Piero Fassino e Nicola Latorre [vedere ordinanza Gip Forleo ]. Ma anche il Pdl rivuole gli "scalatori" in Parlamento. Così, ad esempio, facendo finta di nulla, candida il buon vecchio Luigi Grillo non più nella sua Liguria, bensì nella lontana Puglia. Peccato che con la "rete" sia facile trovarlo! [vedere ordinanza Gip Forleo - formato .pdf]
La Lega Nord in Liguria candida il suo uomo del Bingo e della banca legaiola salvata dal Giampiero Fiorani, Maurizio Balocchi. L'UdC, che si sa ci tiene a ribadire "io c'entro", propone Totò "Vasa Vasa" Cuffaro appena condannato in primo grado per favoreggiamento di singoli boss mafiosi, come anche...
il buon vecchio Lorenzo Cesa coinvolto nell'inchiesta Why Not e già beccato con la valigetta di tangenti ai tempi del Ministro Prandini.

Gli amici di Cosa Nostra non potevano certo ridursi al solo Cuffaro ed allora ecco che il Pdl conferma Marcello Dell'Utri [sentenza] in ed il PD il Valdimiro Crisafulli (per cui Beppe Lumia chiede, inascoltato, da anni l'espulsione), tanto per citarne due, per iniziare. Ma tra i candidati al Parlamento non potevano mancare le chicche di Antonio Di Pietro (impegnato strenuamente tra il sostegno della Brebemi con il Testa -il suo socio bulgaro-, le "deviazioni" dei soldi pubblici destinati quali "rimborsi elettorali" all'Italia dei "Valori" ed il "collocamento" nei Cda). L'impropriamente detto "moralizzatore" [il dossier - il grafico] schiera, ad esempio in Liguria:
- l'irriducibile difensore della repressione cilena durante il G8 di Genova, Giovanni Paladini (che sia per far concorrenza a Claudio Scajola, candidato del Pdl?!?);
- Carmen Patrizia Muratore che abbiamo trovato in due società costituite a Genova, registrate nel Molise del buon Tonino e trasferite a Roma, insieme all'uomo della Gallipoli dalemiana - attivissimo a Genova con le società del Lazzarini, l'amico di Claudio Burlando -, Giuseppe Marzo.
Ma il buon Di Pietro schiera anche una giovane donna dalle buone premesse, Manuela Cappello, avvallatrice di scempi e abusi alla faccia della tutela del territorio e capace di grandi promesse, prontamente smentite [il caso di Davagna altri articoli sul caso nello speciale "speculazioni in Liguria" - il caso del Civ]
Ma questo è solo una premessa... a breve nuovi approfondimenti sui candidati di quella farsa chiamata "elezioni".

PS
Intanto in Calabria tutto si sta "normalizzando". Dopo il siluramento di De Magistris - con il contributo di quei "paladini della legalità" con le campagne ad personam da pecore - tutto porta a credere che i "sorveglianti" abbiano assicurato la "copertura" del Tempio. Infatti le inchieste di De Magistris rischiavano di rovinare la buona media calabrese: 1 sola condanna per corruzione ed 1 sola condanna per concussione in 20 anni! Così piano piano tutti vengono prosciolti, a partire dal già "graziato" Agazio Loiero, passando per Adamo e Pacenza... La Calabria secondo le sentenze definitive degli ultimi 20 anni è la regione più pulita d'Italia. Niente da dire... c'è da crederci, si potrebbe pensare che abbiano partecipato in molti agli stessi corsi di approfondimento del giudice che a Gela dopo 8 anni non ha ancora scritto le motivazioni della sentenza di condanna dei boss mafiosi e della moglie di Piddu Madonia, garantendo loro la scarcerazione per decorrenza dei termini. Si può sapere chi è il "venerabile maestro" di questi corsi? Tra i suoi aiutanti, vista l'abilità, deve per forza avere un buon "mancino" o qualche "maccanico"... chissà se mai lo sapremo, forse al prossimo "carnevale" scopriremo qualcosa lungo una vecchia o nuova "contrada"!
C.Abbondanza - S.Castiglion

16 marzo 2008

Le nostre elezioni sono più libere che in Russia?


La domanda potrebbe essere banale, ma non lo è. Come paragonare la nostra democrazia con quella russa? Come credere, che le nostre elezioni siamo esenti da brogli? Lo vanno dicendo ognuno degli opposti schieramenti, un fondo di verità penso ci sia. E allora? Punto.
Si pone la domanda Justin Raimondo, famoso blogger-giornalista .
Si sa, viene indicata come strisciante tendenza al totalitarismo il fatto che Putin resti al potere, ora da primo ministro, mentre il suo successore alla presidenza, Medvedev, riceverà ordini da Putin.
Ma è poi davvero diverso in America, dove si sospetta che Bill Clinton farà da suggeritore ad Hillary, se questa vincerà le elezioni?
Almeno in Russia manca l’elemento dinastico, diventato tipico della «democrazia» americana: Putin almeno non ha dato la presidenza a suo figlio, come Bush senior ha comprato la presidenza a Bush junior.
Praticamente, la terra delle libertà è piena di famiglie reali: «i» Bush, «i» Clinton, «i» Kennedy...
Gli elettori russi non avevano una vera scelta tra partiti, dicono gli accusatori di Putin.
I comitati elettorali hanno rifiutato di registrare certi candidati invisi al Cremlino.
D’accordo, ma in USA nessuno da decenni riesce mai a fondare un terzo partito, e con questo arrivare a sottoporsi al giudizio delle urne.
Se le TV di Mosca non danno notizie sul candidato Kasparov, le libere TV americane non fanno menzione di Ron Paul, e dei suoi primi buoni piazzamenti alle primarie: Ron Paul è una non-persona.
Nonostante tutte le restrizioni alle candidature nel regime putiniano, i russi hanno avuto più scelta degli americani.
Il che vale anche per noi italiani, se ci si pensa.
Possiamo scegliere fra due partiti quasi identici fin nel nome (PD e PDL) con programmi quasi uguali.
Nemmeno possiamo esercitare le preferenze: andranno in Parlamento i primi nomi che appaiono nelle liste, lo vogliate o no.
E l’ordine dei nomi nelle liste l’hanno deciso Veltrusconi e Beltroni.
Sono loro che decidono per chi dovete votare.
Impagabile la critica che gli «osservatori» europei hanno diretto alle elezioni russe: i media sono «pregiudizialmente» orientati, hanno detto.
Manca la libertà di stampa.
E in USA?
Mica erano giornalisti russi quei famosi anchormen che aprivano i TG, ai tempi dell’invasione dell’Iraq, esibendo all’occhiello il distintivo patriottico a stelle e strisce.
Mica è russa Judith Miller, famosa giornalista del New York Times, che sul New York Times, il più grosso e indipendente dei giornali americani, raccontò come Saddam, avesse le armi di distruzione di massa, panzana fedelmente ripetuta da tutti quanti i media americani ed europei; poi si è scoperto che la Miller (ebrea) prendeva l’imbeccata su quel che doveva scrivere direttamente da Cheney e da Bush.
I media «indipendenti» occidentali demonizzano chi contesta la versione ufficiale sull’11 settembre, lo definiscono «negazionista e antisemita» (chissà perché), gli negano la parola.
I media occidentali hanno incolpato senza prove Putin di essere il mandante di assassinii vari (la Politkovskaya, uccisa in realtà da gangster ceceni) e l’ex-spia Litvinenko; ancora due giorni fa m’è capitato personalmente di sentire un giornalista italiota accusare Putin della strage nella scuola di Beslan, perpetrata da terroristi ceceni al soldo dell’oligarca Berezovski.
E ovviamente, se l’Ucraina, per una contestazione sul prezzo con Gazprom, minaccia di far mancare all’Europa il gas proveniente dalla Russia, la colpa è di Putin - anche se l’Ucraina ha un obbligo contrattuale a far passare il gas, essendo pagata per questo con ricche royalty.
Insomma, Putin è aggressivo.
Ma allora come definire il presidente Bush, che ha decretato l’invasione di Afghanistan ed Iraq, occupati da sei e quattro anni da truppe USA, che manda a bombardare villaggi in Somalia (in Somalia!), che vuole installare missili a ridosso della Russia in Polonia, i cui commandos si preparano a fare incursioni in Pakistan per impadronirsi delle testate nucleari di quel Paese, le cui flotte belliche assediano minacciosamente le coste iraniane, e il cui massimo alleato (la sola democrazia del Medio Oriente) ha aggredito tre nazioni negli ultimi tre anni, Libano nel 2006, Siria nel 2007, Gaza nel 2008.
Bisogna riconoscere che c’è un certo disordine nel nuovo ordine mondiale: Israele bombarda le famiglie a Gaza dopo averle affamate, la Turchia compie incursioni in profondità in Iraq, la Colombia compie incursioni armate in Ecuador, sicchè sta per scoppiare una guerra fra la Colombia da una parte e l’Ecuador e il Venezuela dall’altra; tutto il mondo si riarma freneticamente (la Cina ha aumentato decisamente le sue spese militari), la NATO progetta di fornirsi di testate atomiche adatte ad un attacco nucleare preventivo.
Ma se il mondo si riarma non è perché ha paura di Putin; lo fa perché ha paura dell’America e della sua attitudine all’aggressione preventiva e non provocata, e alla sua decisione di «diffondere la democrazia» e «fare la guerra globale al terrorismo».
E’ l’America che ha schedato come sospette di «terrorismo» o simpatie per il terrorismo 700 mila persone, non solo stranieri ma cittadini americani; e a queste persone nega il visto d’entrata, e vieta persino di salire su un aereo di linea.
Non è la Russia ad essersi data un nuovo ministero che si chiama «Dipartimento per la Sicurezza della Terra Patria» (Homeland Security), né che ha legalizzato la tortura per interrogare dei sospetti.
E che dire dell’Europa?
Gli osservatori europei che hanno fatto le pulci alle elezioni russe hanno poi dovuto concludere che i risultati «riflettono la volontà di un elettorato il cui potenziale democratico purtroppo resta inespresso».
Potessimo dire lo stesso noi europei degli osservatori europei: membri di un Parlamento Europeo di cui vi sfido a ricordare i nomi di dieci membri (l’abbiamo votato? Sì, ma sono stati i partiti a decidere chi dei loro doveva «andare in Europa»), un parlamento del resto che ha solo poteri consultivi, mentre il potere di governo appartiene alla Commissione, che mai si sottopone ad elezioni.
E’ un’Europa che evita in tutti i modi di sottoporre a referendum la Costituzione (cosiddetta) europea, per non vedersela bocciare.
Sicchè possiamo dire che anche in Europa «il potenziale democratico dell’elettorato resta purtroppo inespresso», ma - al contrario dei russi - non possiamo dire che «i risultati riflettono la volontà dell’elettorato» medesimo.
O forse avete scelto voi Solana, Frattini, Trichet, perché vi piacciono?
I russi, Putin, se lo sono scelto e lo vogliono tenere dov’è.
Forse perché Putin ha tirato fuori la Russia dall’abisso economico-sociale, ha recuperato dal saccheggio degli «oligarchi» finanziati da Wall Stret e dalla City che s’erano accaparrati le materie prime nazionali, e l’ha liberata dalle ricette liberiste suggerite dalla Scuola di Chicago, che l’avevano portata al collasso («liberalizzazione» costata sei milioni di morti, soprattutto fra i pensionati, e il sorgere di una criminalità ferocissima e ricchissima).
Sotto il non-democratico Putin, la Russia è cresciuta economicamente al ritmo del 7% annuo (8,1% nel 2007), mentre i democratici Stati Uniti stanno crollando in una depressione storica a forza di debiti e fantasie finanziarie, con 2 milioni di famiglie che probabilmente nel 2008 perderanno la casa ipotecata.
La Russia, sotto Putin, ha pagato in anticipo tutti i suoi debiti, ed ora ha riserve per 480 miliardi di dollari (nel 1998 le sue riserve erano zero); ha un attivo di bilancio pari al 6% del PIL (l’Italia ha un passivo di… lasciamo perdere); in Russia, l’imposta sul reddito è del 13% (in Italia del 43%, più IVA 20%) .
E non è vero, come ripetono i soliti maestri di democrazia, che la Russia è un’economia basata sul petrolio come l’Arabia Saudita.
La sua industria edilizia cresce del 16% annuo, le vendite al dettaglio del 13%, gli investimenti interni del 20% (Putin sta rinnovando le vecchie cadenti infrastrutture sovietiche).
Il suo settore scientifico-tecnologico è di prim’ordine, deve essere solo messo a profitto nel civile, cosa che prima o poi accadrà.
Vero che ci sono inconvenienti (inflazione, corruzione, poca trasparenza, commistione del politico con l’economico).
Vero anche che lo slancio iniziale per la ripresa Putin l’ha tratto da una decisione di aumentare del 50% la produzione annuale di greggio.
Ma questo è stato un vantaggio anche per noi europei: se avesse bloccato la produzione, rifiutandosi come fa l’OPEC di aumentarla e magari associandosi all’OPEC, oggi il petrolio ci costerebbe 150, non 100 dollari al barile.
L’Italia però ha la democrazia.
Forse per questo era la quarta economia mondiale ai tempi di Craxi, ed è oggi la settima.
Sarà perché ancora 15 anni fa il 70% dell’economia italiana era controllata dallo Stato - o meglio dai partiti, siamo in democrazia - ed ancor oggi le privatizzazioni ci hanno dato aziende come Alitalia, Trenitalia e Telecom, dei monopoli più inefficienti e avidi di prima, più incapaci di fornire servizi, solo coi «manager» pagati il triplo di prima, perché ora questi marpioni messi a quelle poltrone da Prodi sono «dirigenti privati».
L’Italia è una democrazia, e perciò l’intrusione dello Stato è moltiplicata con l’intrusione delle Regioni, delle Province, dei Comuni e dei consigli di zona; le università sono moltiplicate in relazione diretta con l’ignoranza generale; la produttività è diminuita, la precarietà aumentata, e per trovare lavoro non ci si rivolge al libero mercato, ma alle raccomandazioni e alle tessere di partito, a Mastella e a De Mita o a Formigoni.
Pensate se al posto di Prodi ci fosse Putin: che rischio per la monnezza di Napoli!
Invece, la democrazia italiana è orgogliosa di poter dire al mondo che la sua terza città è sepolta nella sua stessa spazzature da sei mesi, senza soluzione in vista, grazie al fatto che nessuno esercita l’autoritarismo per costringere a lavorare i 20 mila spazzini-camorristi napoletani, o a costruire gli inceneritori contro la volontà dei numerosi verdi pro-monnezza.
Una splendida democrazia.
Che l’ISN di Zurigo (International Relations and Security Network) ha descritto ai suoi lettori così: «Le agenzie di rating hanno abbassato il debito pubblico a due punti al disopra dei junk-bond; i livelli di disoccupazione nel sud del Paese sono i più alti dell’Europa occidentale; le statistiche pubbliche sono notoriamente inaffidabili; le speranze dei cittadini nel governo sono al livello più basso della storia; la criminalità organizzata controlla vaste zone del territorio nazionale; il sistema giudiziario è privo di autorità; e le prospettive economiche sono di declino» .
E ancora: «In politica come in economia compaiono e ricompaiono le stesse facce e le stesse idee che sono in giro da anni».
«In aprile gli italiani andranno al voto con poca possibilità di eleggere un governo che duri per tutto il mandato».
«Non è un segreto che l’Italia ha da anni bisogno di un ampio ventaglio di cambiamenti strutturali, ma che non ha mai avuto un governo con la stabilità e il mandato per imporre questi cambiamenti».
«I problemi economici sono tutti assolutamente dovuti alla politica» (la Casta).
«L’Italia è da troppo anni una nazione ingovernabile come poche altre nel mondo».
L’Italia, prevede l’ISN, è sulla via di diventare un «failed state», uno Stato fallito.
Uno Stato fallito è «uno Stato in cui il governo centrale è troppo incapace (ineffective)
per esercitare il controllo pratico sul suo territorio».
La lista dei failed states ne comprende 32, con in testa «Sudan, Iraq e Somalia».
Ma noi, con le tasse più esose d’Europa, la legislazione più punitiva per gli onesti e più accomodante per i delinquenti, i servizi peggiori, il settore pubblico più pletorico e più pagato del mondo: uno Stato fallito pieno di «ricchi di Stato».
E’ il trionfo della democrazia secessionista permanente.
Mica siamo come i russi, che si tengono l’autoritario, il non-democratico Putin.

M. Blondet

15 marzo 2008

Se tuo voto vale 50 euro, tu quanto vali?


Fin quando nessuno vivrà il terrore delle proprie azioni tutto rimarrà immobile. Nessuno si rende conto della violenza dell'immobilismo un movimento gandhiano in modo inverso. Queste elezioni, inutili, anticostituzionali ed altro accresceranno il divario fra realtà e privilegi barocchi. Qualcuno interverrà? Ne dubito.

NESSUNO vincerà le elezioni in Italia. Nessuno. Perché finora tutti sembrano ignorare una questione fondamentale che si chiama "organizzazioni criminali" e ancor più "economia criminale". Non molto tempo fa il rapporto di Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90 miliardi di euro, pari al 7 per cento del Pil, l'equivalente di cinque manovre finanziarie. Il titolo "La mafia s. p. a. è la più grande impresa italiana" fece il giro di tutti i giornali del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha parlato ancora.

E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa non solo perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a realizzare opere pubbliche.

Non le vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se non si affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre loro. Indipendentemente da quale schieramento governerà il paese. Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici accordarsi, in entrambi i schieramenti. Non c'è elezione in Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un'arma formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni ricompare persino l'emigrazione verso l'estero. E' cosa risaputa ma che nessuno osa affrontare.

Quando ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a scuola, negli ospedali, negli uffici comunali. Mentre crescevo il voto è stato venduto per molto meno. Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano un lavoro a tempo determinato.

Alle ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro. Quasi come al tempo di Achille Lauro, l'imprenditore sindaco di Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca, mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria. Oggi si ottengono voti per poco, per pochissimo. La disperazione del meridione che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina.

Mai come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata. Dagli italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica. Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire obiettivi, mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi. Nessuno pretende che possa rigenerarsi nell'arco di una campagna elettorale.

Ma nel vuoto di potere in cui si è fatta serva di maneggi e interessate miopie prevalgono poteri incompatibili con una democrazia avanzata. E' una democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa? O dove dal '92 a oggi, le organizzazioni hanno ucciso più di 3.100 persone? Più che a Beirut? Se vuole essere davvero nuovo, il Partito Democratico di Walter Veltroni non abbia paura di cambiare. Non scenda a compromessi per paura di perdere.

Il governo Prodi è caduto in terra di camorra. Ha forse sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del piccolo partito Udeur, ma i rischi che comportava l'inserimento nelle liste di una parte dei suoi uomini. Personaggi sconosciuti all'opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso al governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo fallimento nella gestione dell'emergenza rifiuti. E non ha capito che quella situazione rappresenta solo l'esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo scacco.

Tutto questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della Sicilia Cuffaro per una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un boss, limitandosi a scagionarlo dall'accusa di essere lui stesso un mafioso vero e proprio.

La questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese intero. Inoltre molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi di giovani cattolici i cui voti non sempre vanno al centrosinistra. Anche questi elettori dovrebbero pretendere che non siano candidate soubrette o personaggi capaci solo di difendere il proprio interesse. Pretendano gli elettori di centrodestra che non ci siano solo soubrette e a sud esponenti di consorterie imprenditoriali. E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all'Italia ferita dalle stragi di mafia: "Questo popolo... talmente attaccato alla vita, che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte... Mi rivolgo ai responsabili... Un giorno verrà il giudizio di Dio". Parole che avrebbero dovuto crescere nelle coscienze.

È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa.

Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo strumento di impegno più forte che possiedo. Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire che il chiasso delle polemiche distolga l'attenzione verso problemi che meno fanno rumore, più fanno danno. O che le disquisizioni morali coprano le scelte concrete a cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il momento di non permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli. Che futuri ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non accontentarci.

Nel 1793 la Costituzione francese aveva previsto il diritto all'insurrezione: forse è il momento di far valere in Italia il diritto alla non sopportazione. A non svendere il proprio voto. A dare ancora un senso alla scelta democratica, scegliendo di non barattare il proprio destino con un cellulare o la luce pagata per qualche mese.
Roberto Saviano

14 marzo 2008

I furbetti del Parlamento



Dopo i vari scandali e rinvii a giudizio dei furbetti che sfruttando le maglie della legalità e della posizione dominante si innescavano spirali di guadagno illecito come in un sistema multilevel, adesso è il momento dei deputati-cavalli che la legge elettorale vigente permette. Naturalmente è tutto legale, il voto elettorale è una merce di scambio per gli oligarchi di partito. Complimenti a loro.Vuoi vedere che tutti i partiti sono d'accordo su questo sistema elettorale? Ma tutti i cittadini sono d'accordo su questa legge?Questo è un paese che non ha nemmeno la sovranità elettorale

Ebbene sì, mentre il teatrino dell'oligarchia va avanti, con nuove (vecchie) comparse, la lobby dei "furbetti" delle scalate torna tranquilla in Parlamento...
Il PD candida senza pudore Massimo D'Alema (già graziato dalla prescrizione per una tangente dell'uomo della sanità pugliese legato alla SCU), Piero Fassino e Nicola Latorre [vedere ordinanza Gip Forleo ]. Ma anche il Pdl rivuole gli "scalatori" in Parlamento. Così, ad esempio, facendo finta di nulla, candida il buon vecchio Luigi Grillo non più nella sua Liguria, bensì nella lontana Puglia. Peccato che con la "rete" sia facile trovarlo! [vedere ordinanza Gip Forleo - formato .pdf]
La Lega Nord in Liguria candida il suo uomo del Bingo e della banca legaiola salvata dal Giampiero Fiorani, Maurizio Balocchi. L'UdC, che si sa ci tiene a ribadire "io c'entro", propone Totò "Vasa Vasa" Cuffaro appena condannato in primo grado per favoreggiamento di singoli boss mafiosi, come anche...
il buon vecchio Lorenzo Cesa coinvolto nell'inchiesta Why Not e già beccato con la valigetta di tangenti ai tempi del Ministro Prandini.

Gli amici di Cosa Nostra non potevano certo ridursi al solo Cuffaro ed allora ecco che il Pdl conferma Marcello Dell'Utri [sentenza] in ed il PD il Valdimiro Crisafulli (per cui Beppe Lumia chiede, inascoltato, da anni l'espulsione), tanto per citarne due, per iniziare. Ma tra i candidati al Parlamento non potevano mancare le chicche di Antonio Di Pietro (impegnato strenuamente tra il sostegno della Brebemi con il Testa -il suo socio bulgaro-, le "deviazioni" dei soldi pubblici destinati quali "rimborsi elettorali" all'Italia dei "Valori" ed il "collocamento" nei Cda). L'impropriamente detto "moralizzatore" [il dossier - il grafico] schiera, ad esempio in Liguria:
- l'irriducibile difensore della repressione cilena durante il G8 di Genova, Giovanni Paladini (che sia per far concorrenza a Claudio Scajola, candidato del Pdl?!?);
- Carmen Patrizia Muratore che abbiamo trovato in due società costituite a Genova, registrate nel Molise del buon Tonino e trasferite a Roma, insieme all'uomo della Gallipoli dalemiana - attivissimo a Genova con le società del Lazzarini, l'amico di Claudio Burlando -, Giuseppe Marzo.
Ma il buon Di Pietro schiera anche una giovane donna dalle buone premesse, Manuela Cappello, avvallatrice di scempi e abusi alla faccia della tutela del territorio e capace di grandi promesse, prontamente smentite [il caso di Davagna altri articoli sul caso nello speciale "speculazioni in Liguria" - il caso del Civ]
Ma questo è solo una premessa... a breve nuovi approfondimenti sui candidati di quella farsa chiamata "elezioni".

PS
Intanto in Calabria tutto si sta "normalizzando". Dopo il siluramento di De Magistris - con il contributo di quei "paladini della legalità" con le campagne ad personam da pecore - tutto porta a credere che i "sorveglianti" abbiano assicurato la "copertura" del Tempio. Infatti le inchieste di De Magistris rischiavano di rovinare la buona media calabrese: 1 sola condanna per corruzione ed 1 sola condanna per concussione in 20 anni! Così piano piano tutti vengono prosciolti, a partire dal già "graziato" Agazio Loiero, passando per Adamo e Pacenza... La Calabria secondo le sentenze definitive degli ultimi 20 anni è la regione più pulita d'Italia. Niente da dire... c'è da crederci, si potrebbe pensare che abbiano partecipato in molti agli stessi corsi di approfondimento del giudice che a Gela dopo 8 anni non ha ancora scritto le motivazioni della sentenza di condanna dei boss mafiosi e della moglie di Piddu Madonia, garantendo loro la scarcerazione per decorrenza dei termini. Si può sapere chi è il "venerabile maestro" di questi corsi? Tra i suoi aiutanti, vista l'abilità, deve per forza avere un buon "mancino" o qualche "maccanico"... chissà se mai lo sapremo, forse al prossimo "carnevale" scopriremo qualcosa lungo una vecchia o nuova "contrada"!
C.Abbondanza - S.Castiglion