11 aprile 2008

Il momento del non voto UTILE


Proseguendo con la carrellata elettorale


Amore per la politica? No! Solo per gli sghei! di kiriosomega

Povera Italia, paese crocevia di disparati interessi sopranazionali che la tormentano. Povera Italia, di cui gli –amati- invasori, che ci liberarono dai nostri padri o nonni, hanno paura perché rimasta fucina d’idea Fascista nonostante Hollywood ed i suoi film. Povera Italia, paese squassato da sovrabbondanti interessi di casta che tale è, e si mantiene, per il regime clientelare che governi e partitocrazia hanno imposto dal dopo guerra ad oggi. Povera Italia, paese in cui i politicanti sono contro ogni amor patrio, almeno quello che loro tocca per nascita. Ma viva l’Italia, secondo gli italyoti, l’Italia ladrona e becera, bigotta e tignosa, crapulona e povera in canna, utile solo a loro che purtroppo la infestano rendendola simile a se stessi!

Gli italiani hanno di che urlare disperati, ed invece chi lamenta i propri lai, come vergine cuccia dissacrata, sono proprio gli italyioti partiti politici, specie quelli che otterranno, purtroppo, il massimo suffragio. Così il Berlusconi, l’ometto dai mille processi a suo carico mai svolti, strepita per paura di brogli elettorali che il suo (W)alter ego politico potrebbe porre in opera coadiuvato dall’aborrita Sinistra. Ma l’abominevole e infida Sinistra altrettanto s’agita, chiassando, contro l’anziano neocon antagonista, e proprio per gli stessi timori.

Anche per questo gli italiani hanno da disperarsi, infatti, a giorni alterni, l’un partito si scaglia contro l’altro sostenendo che i sondaggi lo indicano vincente anche d’oltre dieci punti percentuali, che sono un gran numero di voti, ma poi asserisce cha ha paura che brogli lo affossino. E con questa farsa da stolido avanspettacolo, invece di reale e leale propaganda elettorale verso la nazione, il Veltrusconi sposta a piacimento il suo dire di misere idee che, in ogni caso, mai nasceranno perché solo promesse elettorali.

Ma la gravità della situazione trascende i miseri starnazzamenti di PD e PDL, perché una miriade di “partitini”, senza storia e speranze, si sono affacciati alle votazioni. Partitini simili a nanerottoli per la loro esiguità, ma anche ad informi associazioni forse senza nemmeno velleità di superare gli sbarramenti elettorali per accedere ai palazzacci della politica. Perciò, la domanda che sorge spontanea è: “Perché”.

Ritengo che ci sia poco d’arzigogolare alla ricerca di risposte oggettivamente valide sulla proliferazione di carrozzoni e carrozzine politiche, infatti, in un’epoca dove il dio trino è solo quattrino, anche per la chiesa gerarchica, la risposta che investe la realtà di partiti e partitini è unicamente quella del “business is business”!

Dimostriamo la tesi, e ci renderemo conto che abbiamo colto il segno.

Torniamo con il pensiero al referendum del 18 aprile 1993, e ripensiamone il risultato. Ricorderemo che il 90,3% dell’italica popolazione ambiva la soppressione del finanziamento pubblico dei partiti, e il solo apparentemente innocuo TopolinAmato, allora primo ministro, dovette prendere atto della situazione con parole inequivocabili: “Cerchiamo d’essere consapevoli, l’abolizione del finanziamento statale non è fine a se stesso, esprime qualcosa di più. Il ripudio del partito parificato agli organi pubblici e collocato tra essi…”.

Ma cosa resta di quei propositi e dell’italica volontà dopo quindici anni di politica volutamente pasticciona ed infingarda? Politica, ahimé, sempre più italyota anche per la continua e machiavellica suddivisone delle responsabilità sociali, giuridiche ed amministrative. Nulla, non resta nulla, tranne la casta sempre più casta, perché gli italyoti, proclivi agli inchini, abbassandosi, fanno apparire e vedono grandi gli arroganti che stanno in piedi.

Da allora i nostri questuanti, intesi come “quae vir tuus petet”, della politica cercarono provvedimenti sino a sentenziare: “Il voto degli italiani deve essere interpretato e non apprezzato, perciò bla…bla…bla… trasformarono il finanziamento pubblico cui erano tacitamente assuefatti in rimborsi elettorali, perché la politica costa. Così, i maneggioni dei partiti, dunque, in primis i loro maggiori dirigenti, quelli dell’oligarchia da primi della “lista” in ogni occasione, s’arricchiscono anche attraverso questo meccanismo.

E’ ormai da molti risaputo che, pur una legislatura terminando prematuramente, i partiti continuano a ricevere i rimborsi elettorali come se la stessa continuasse per tutta la sua durata giuridica. In altre parole lo Stato regala molti milioni d’euro ad associazioni politiche che “pubbliche non sono”, e che lucrano anche sulle nuove elezioni che sono ripagate nuovamente per intero.

Diversi giornalisti, secondo me ben pagati dal potere che li alleva, hanno ultimamente scritto ed asserito che “in fin dei conti non sono le spese della politica a svenare l’Italia, e che è giusto che i disonorevoli percepiscano le somme che incamerano”. Poche volte ho ascoltato simili grossolane idiozie in tema d’avvenimenti economici, ma si sa, sempre il potere della casta sibillinamente si difende attaccando in maniera ovattata al bisogno.

Così, dopo diverse riforme della legge sulla retribuzione elettorale ai partiti, incluso il decreto Bersani del 04/Agosto/2007, scopriamo che l’appannaggio ad essi erogato è talmente solido da riuscire a scatenare gli appetiti di chiunque è detentore di qualsiasi associazione che vuole immettere nell’arengo politico. Però, per i peones, realizzare il sogno d’arricchimento non è facile!

Personalmente, a questo proposito ho voluto condurre, nella presente tornata elettorale, una personale ricerca sulle difficoltà che incontra il “disgraziato” di periferia con il pallino di fondare un partito.

Intanto, punto primo, si deve scoprire, ma questo avviene abbastanza in fretta, che l’iter per la fondazione è diverso secondo che si tratta di “partito-lista” comunale, regionale, nazionale mentre l’ancora ignaro speranzoso e presuntuoso signor nessuno è grottescamente rimpallato per più giorni, e per più viaggi, dalla sezione elettorale comunale alla Prefettura, e da questa alla Procura della Repubblica perché certe disposizioni legali … Morale della favola, il cittadino peones si ritrae dal suo proposito dopo cinque sei giorni per: “Non ne posso più d’essere preso per il culo da gentaglia che sorridendo ti dice sempre che sei nell’ufficio sbagliato mentre ti commisera come ebete”!

Provai la ricerca per la fondazione di un partito regionale. Ciò fu ancor peggiore e brutale, perché alle spese telefoniche e di spostamento in loco si aggiunsero le spese per lo spostamento “fuori loco” con pranzi, cene e costi alberghieri. Morale della favola, il cittadino peones si ritrae dalla suo proposito idea dopo cinque sei giorni per: “Non ne posso più d’essere preso per il culo da gentaglia che sorridendo ti dice sempre che sei nell’ufficio sbagliato, mentre ti commisera come ebete”!

Nella ricerca per la fondazione di un partito con presenza su tutto il territorio nazionale, i costi che sostenni non lievitarono, ma solo perché le “ricerche” delle vie giuste per l’ottenimento del risultato le svolsi telefonicamente, e ridotte a solo tre giorni di depistamenti da parte d’impiegati romani giusto per non dare anche a loro il piacere del: “Non ne posso più d’essere preso per il culo da gentaglia che sorridendo ti dice sempre che sei nell’ufficio sbagliato mentre ti commisera come ebete”!

Già dal breve veritiero racconto s’apprende che, per iniziare l’avventura, ci si deve prostituire con almeno due disonorevoli uscenti che avallino la tua richiesta. A questo punto incominci ad ottenere informazioni con costi ancora virtuali, ma che diverranno presto reali a favore dei “politicanti” trombati che t’aiutano.

Chi riuscirà a superare le disavventure che ho “sperimentalmente” patito, quando la sua lista si troverà “in campo” d’elezioni nazionali avrà il suo tornaconto qualunque sia il proprio esito elettorale. Infatti, questo è in Italia il miglior sistema per investire denari, e ciò avviene con l’attribuzione di un utile altissimo che lo Stato dona al signor nessuno che già fece il salto di qualità non appena i due politicanti trombati lo aiutarono. Già al raggiungimento dell’1% elettorale, con l’attuale legge, l’appannaggio del signor nessuno è di ben oltre 2milioni d’euro, a fronte di una spesa di qualche centinaio di migliaia d’euro. Si calcola che lo Stato italiano spenderà, per i rimborsi elettorali, oltre 450milioni d’euro che cadranno a pioggia anche su partiti e politicanti che in queste elezioni non potranno “classificarsi”, ma che con il peculio arraffato si presenteranno alle “europee” con determinazione a vincere anche per mancanza di concorrenti più agguerriti di loro. Insomma, tra parlamentari italiani ed eurodeputati, anche i trombati tra i primi si sistemeranno con ottimi redditi da ozio! E c’è di più, perché per i disgraziati cui ogni cosa sarà fatale, per un avverso destino, ci saranno due possibilità non indifferenti. La prima, d’essere immessi d’ufficio in una “partecipata regionale o comunale”; la seconda, se la iella li accompagnerà insistente, si mostrerà con l’assegno di “di solidarietà di fine mandato”.

Ovviamente, al dilagare di questo malcostume le cui spese sono addossate al lavoratore si potrebbe porre rimedio, ma la casta che s’auto legittima con il clientelismo, e con leggi sempre a favore, non ha interesse a cambiare. Anzi, da noi, anche i compagni ormai vanno in vacanza con il “Grand Soleil da 40 piedi”! Intanto, un altro compagno dal colle recita che il voto deve essere espresso perché diritto del cittadino, e che non esistono voti inutili (deve guadagnarsi la pagnotta anche lui!). Insomma, logicamente parafrasando possiamo affermare: “cornuti e mazziati” perché ormai non ci fanno più nemmeno votare il nome del candidato che si propone ma che è imposto, ma ciò è proprio quello che si vuole da parte della casta, ossia, lasciare il diritto di voto solo a pochi eletti “per portafogli”. Alla faccia della democrazia strombazzata ad ogni piè sospinto.

Ma allora cosa succederà, beh, certamente saranno i Bertroni a vincere, largamente o di misura, e, in questo caso si accorderanno per usare il coitus interruptus in modo da sciogliersi a convenienza. Il giochetto elettorale, assai costoso, darà, in ogni caso, al nanetto di statura, ma secondo me anche mentalmente, la possibilità di tessere le sue ultime trame per morire da Presidente, sempre che “un fato benigno…”.

Ahi serva Italia


Zero Voto: l'ora dei Ribelli di Andrea Marcon

Non siamo quindi soli nel praticare e predicare l’astensione. Forse qualcosa comincia a muoversi, forse i ribelli si moltiplicano, come potete leggere qui sotto nelle prime di una serie di testimonianze sulla sempre più diffusa coscienza della truffa elettorale. O forse a moltiplicarsi sono solo coloro che vogliono facce nuove, che si indignano leggendo “La Casta” e credono che essere contrari sia a Berlusconi che a Veltroni significhi essere contro il Sistema.
Noi non ci accontentiamo di così poco: non puntiamo solo ai picciotti, puntiamo ai boss. Questa classe politica di inetti parassiti non merita neppure attenzione, preferiamo scagliarci contro i veri poteri forti e per farlo sappiamo che non basta cambiare gli attori ma lo spettacolo.
Zero Voto è prima di tutto un no alla democrazia rappresentativa, un no a questa farsa che vorrebbe regalare al popolo l’illusione di contare davvero qualcosa. E’ l’unica scelta logica e coerente, ma non può rimanere la sola. Non votare non basta, anzi di per sé può addirittura risultare funzionale al Sistema quanto il voto. E’ora di agire, di accompagnare il rifiuto alla legittimazione dell’esistente con la ricerca di un’alternativa. Basta rappresentanti, basta deleghe: è venuto il momento di agire in prima persona, di riappropriarsi della dignità politica perduta, di tornare protagonisti. E’ l’ora dei Ribelli.

Grillo e il non voto utile

Vocabolario Garzanti:
Voto [vó-to]:
1. espressione della volontà, quando si deve eleggere qualcuno o si deve decidere qualcosa collettivamente.
Utile [ù-ti-le]:
1. che può essere usato, che può appagare un bisogno
2. che apporta un vantaggio, un profitto; che è di giovamento efficace.
Il voto del 13 aprile non è contemplato dal vocabolario, non possiamo infatti eleggere qualcuno, ma solo fare una croce su un simbolo di un partito. Anche la decisione collettiva è esclusa dalle elezioni politiche. Non è infatti un referendum e neppure una proposta di legge popolare.
Per un utilizzo aggiornato della parola “voto” va quindi introdotto un nuovo significato:
1. manifestazione di carattere rituale con cui i cittadini ratificano le scelte dei partiti.
Passiamo all’aggettivo “utile”. Qui andiamo senz’altro meglio.
L’aggettivo “utile” insieme alla parola “voto” risignificata è perfetto: “voto utile”.
Il voto utile può “essere usato, può appagare un bisogno”. E’ facile dimostrarlo. Sottrae ai processi i condannati, riabilita i pregiudicati, sistema le mogli, stimola le amanti e piazza i figli di. Il voto utile “apporta un vantaggio, un profitto ed è di giovamento efficace”. Il ritorno economico è indubbio 25.000 euro al mese, la pensione dopo due anni e mezzo, le auto blu e, solo per i trasgressivi, coca e puttane e gli elicotteri dell’Aeronautica Militare.
La campagna per il voto utile è senza confini. Morfeo Napolitano lo ha ricordato in suo raro momento di veglia dal lontano Cile. Ha difeso i partiti, espressione della democrazia, e attaccato i facili populismi. Poi ha ripreso a dormire.
Lo psiconano e Topo Gigio sono da sempre in prima fila per il voto utile. Se li voti sei utile, altrimenti no. Testa d’Asfalto senza il vostro voto non avrebbe più Rete 4, i suoi amici pregiudicati, i conflitti di interessi. Il sindaco de Roma sarebbe costretto a andare in Ruanda o in Madagascar a scrivere libri e a salvare l’umanità in pericolo. Fatelo per loro. Fatelo per voi. Mandateli a fanculo il 13 aprile con un “non voto utile” alle elezioni politiche.
[nón] [vó-to] [ù-ti-le]:
1. riconquista dello Stato da parte dei cittadini
2. delegittimazione del parassitismo dei partiti.
V-day 25 aprile. Informazione libera in libero Stato.
Beppe Grillo

Cardini e l'astensione civica

I firmatari del presente documento confermano anzitutto di ritenere il voto un diritto e un dovere inalienabile del cittadino. Ciò premesso, è con profondo dolore, ma in piena coscienza, ch’essi ritengono di dovere, nelle prossime elezioni politiche del 13-14 aprile del 2008, esercitare eccezionalmente il loro diritto-dovere astenendosi dal voto.
Tale astensione non ha affatto carattere di rinunzia e tantomeno di qualunquistico disinteresse. Al contrario, essa nasce da una piena e profonda assunzione della responsabilità di un così grave gesto, nel nome e al servizio di una più alta coscienza civica.
Molti, e tutti fondamentali, sono i motivi che hanno condotto i firmatari a questa necessaria scelta, il fine ultimo della quale è la denunzia non solo dell’inadeguatezza, ma anche della sostanziale illegittimità della classe politica e parlamentare che uscirà dalle urne del 13-14 aprile, e pertanto della sostanziale illegittimità della maggioranza e del governo che sulla base di tale responso elettorale saranno espressi.
Pregiudiziale motivo, che rende obiettivamente impossibile il partecipare come parte dell’elettorato attivo alle prossime elezioni, è il fatto che le liste presentate sono frutto dell’insindacato arbitrio delle singole segreterie di partito le quali – attraverso lo strumento della negata possibilità di esprimere preferenze – hanno già fin d’ora disegnato la composizione delle due Camere e designato coloro che come senatori o deputati dovranno sedervi. Ciò riduce il ruolo dell’elettorato attivo a quello di semplice sanzionatore di decisioni prese senza il suo minimo contributo, sulla sua testa e in sua assenza. Si tratta nella pratica – come hanno già notato i componenti della Commissione Episcopale Italiana – di un colpo di mano di natura oligarchica, già messo in atto nelle precedenti elezioni. Ad esso si sarebbe potuto rimediare con un’opportuna riforma elettorale, che avrebbe dovuto precedere le prossime elezioni. Le segreterie dei vari partiti hanno concordemente scelto di perseverare nella pessima e forse addirittuta incostituzionale legge elettorale ancora vigente. Ora, poiché errare humanum est, sed perseverare diabolicum, anche quelli di noi che alle precedenti elezioni scelsero di votare nel nome del principio del “male minore” sono costretti ad arrendersi all’evidenza che esso è nell’attuale fattispecie inapplicabile. Da un Parlamento nominato dall’attuale vertice politico, espresso dalle segreterie, non può uscire che sempre e comunque un male di cui noi non vogliamo comunque e in alcun modo renderci complici. (continua...)
Franco Cardini
Alessandro Bedini

e, dulcis in fundo la lista pubblicata da Beppe Grillo per gli eletti alla Camera dei Deputati


10 aprile 2008

Il movimento del non voto UTILE


Su internet girano molte dichiarazioni di non voto con le proprie motivazioni. Vorrei elencarle tutte come un promemoria per un nuovo futuro dove la sovranità nazionale sia un bene inalienabile come l'acqua.

La farsa elettorale di Marco Cedolin

Siamo finalmente giunti all’ultima settimana di questo teatrino pietoso chiamato campagna elettorale, finalizzato a partorire la “dittatura” di due partiti fotocopia intenzionati a legittimare attraverso il voto un pensiero unico che in realtà non corrisponde alla sensibilità dei cittadini italiani.

Gli ingredienti di questa alchimia sono di una semplicità disarmante, avendo come fulcro una legge elettorale finalizzata allo scopo, condita da un ricorso smodato alla disinformazione.

Gli sbarramenti precostituiti del 4% alla Camera e dell’8% al senato ora che tutti (o quasi) corrono da soli impediranno di fatto la possibilità di essere presenti nel prossimo Parlamento a qualunque voce fuori dal coro (solo la Sinistra Arcobaleno, l’UDC e la Destra possono forse aspirare ad ottenere qualche rappresentante) concentrando le scelte degli italiani verso l’unico “voto utile” a produrre rappresentazione parlamentare ed inducendo chiunque non si riconosca nel partito unico di Veltrusconi a disertare le urne senza avere possibilità d’incidere politicamente.

Che scenda dal pullman del PD o dal palco del PDL, Veltrusconi racconta tutto ed il contrario di tutto, di fronte ad un’esposizione mediatica totalizzante costruita per trasformare in verità anche le peggiori menzogne e contraddizioni.

Veltrusconi si presenta come il più grande ambientalista, ma anche come il più grande cementificatore, come fautore dell’ecologia, ma anche degli inceneritori, come l’amico degli operai, ma anche degli industriali, come il difensore dei diritti dei precari, ma anche della legge Biagi che li rende tali, come sostenitore della pace, ma anche delle missioni di guerra, come colui che getterà altri miliardi nel buco nero del TAV ma risanerà anche il debito pubblico, come il grande riformatore ma anche conservatore, come amico dell’energia pulita ma anche del petrolio e del nucleare, come fautore della riduzione del traffico ma anche dell’incremento nelle vendite delle automobili, come sostenitore degli aumenti salariali ma anche dell’incremento della produttività aziendale, come paladino della sicurezza ma anche della libertà, come colui che diminuirà le tasse ma comunque spenderà più denaro pubblico.

Durante questa ultima settimana di farsa elettorale il carattere ed il grado della manipolazione hanno raggiunto livelli parossistici e praticamente ogni cittadino viene imbonito attraverso la “promessa” di realizzare esattamente quello che desidera, poco importa se la realizzazione risulta impossibile ed i desideri sono spesso apertamente in contrasto gli uni con gli altri. L’importante è che ciascuno si senta promettere esattamente quello che vorrebbe sentirsi promettere, non sia così curioso da domandarsi cosa è stato promesso al suo vicino e non abbia alternative, in quanto gli altri che non arriveranno alla soglia del 4% di promesse “concrete” non potranno farne nessuna.

Giunti a questo punto l’unico vero problema di Veltrusconi è costituito dal fatto che gli elettori non si confondano mettendo la croce sul simbolo sbagliato e per evitare che questo accada il Viminale sta provvedendo, a spese dei cittadini, alla stampa di migliaia di manifesti e alla messa in onda di altrettanti spot televisivi che spieghino come votare correttamente. Dopo questo ultimo sforzo sia chiaro che chi per errore non avrà messo la X su Veltrusconi non potrà poi venirsi a lamentare dicendo che la lampada di Aladino non funziona, in quanto era stato avvertito prima e uomo avvisato...

Non Votateli di Marino Badiale

1. Fine della politica.
Nel mondo del neoliberismo non c'è più nessuno spazio per la politica intesa come sfera in cui si confrontano idee diverse sulla direzione da imprimere allo sviluppo sociale. Lo sviluppo sociale è comandato, in ogni ambito, dall'economia e dalle sue esigenze di profitto. A cosa si riduce allora la politica, se si accetta questo mondo? A pura e semplice amministrazione dell'esistente, a competizione fra cordate di amministratori, il cui unico ruolo, ben pagato, è quello di gestire il consenso sociale alle politiche neoliberiste. Poiché tali politiche comportano la perdita di diritti e redditi, il peggioramento lento e costante della qualità della vita, tale consenso può essere ottenuto solo con la distruzione di ogni discussione pubblica razionale. Di qui la distruzione della scuola e dell'Università, e la riduzione dell'informazione a gossip.

2. Poiché le contrapposizioni interne al ceto politico non hanno più nessuno spessore politico o ideologico, e sono semplici scontri sulla distribuzione di posti e prebende fra gang contrapposte, è corretta la caratterizzazione del ceto politico come Casta. La Casta è al servizio della dinamica distruttiva del capitalismo attuale, e va combattuta come nemica della civiltà e della società. Il
fatto che essa non decida nulla (perché tutto è deciso dall'economia) non significa che essa sia irrilevante: è un'articolazione fondamentale del capitalismo neoliberista, è l'ingranaggio che deve conquistare il consensodi masse sempre più impoverite sia sul piano materiale sia su quello culturale
Poiché le contrapposizioni fra destra e sinistra non hanno nessun valore rispetto ai problemi esaminati, destra e sinistra vanno combattute assieme come espressione dello stesso male. In particolare vanno combattuti non solo i due principali raggruppamenti (PD e PdL) ma anche i loro comprimari, come i gruppi che oggi formano la Sinistra Arcobaleno. Durantei governi di centrosinistra questi ultimi hanno mostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, il loro essere totalmente funzionali (come "copertura a sinistra") ai progetti neoliberisti e imperialisti.
2. Esiste uno spazio sociale nel quale agire questa lotta contro la Casta?

3. Esso esiste, a nostro avviso, e si manifesta oggi come rifiuto generalizzato della Casta, che la Casta stessa denomina "antipolitica" (denominazione ovviamente menzognera come tutto quanto proviene dallaCasta: è la Casta a negare la politica, a rappresentare la vera antipolitica). Lo spazio in cui agire questa lotta non però è quello del"popolo di sinistra": chi crede questo ritiene che il fatto che il popolo di sinistra si richiama a ideali di giustizia e uguaglianza ne faccia una base per la lotta contro le linee di tendenza della società attuale. Ma è un errrore: il richiamo ai valori storici della sinistra non ha nessun significato concreto, per il popolo di sinistra, che infatti ha concretamente dimostrato di accettare qualsiasi violazione di tali valori, da parte dei governi di centrosinistra. Il popolo di sinistra reagisce in base a meccanismi identitari che lo portano ad accettare qualsiasi cosa, purchè la faccia un governo di sinistra, e ad aggirare con sofismi di vario tipo le contraddizioni. E' solo da una netta rottura con il popolo di sinistra che può nascere un'area sociale di opposizione alla Casta e al
capitalismo neoliberista.
3. La scelta di non votare significa per prima cosa questo: la rottura con il popolo di sinistra e la sua ossessione per il "pericolo Berlusconi", la riconquista di uno spazio di libertà e dignità intellettuale.
4. Esistono piccoli raggruppamenti, come il PCL o il movimento di Fernando Rossi, che appaiono esprimere istanze esterne alla Casta. Non ci sembra però utile votarli (a livello nazionale: diverso è il dicorso per liste locali). Da una parte personalità interessanti, appunto come Fernando Rossi o Giulietto Chiesa, non sembrano avere rotto il cordone ombelicale con il "popolo di sinistra", per cui si può dubitare che riescano ad esprimere quella netta rottura con la Casta che a noi sembra necessaria. Dall'altra, ogni riproposizione di partiti comunisti è destinata a vivere
una vita ultraminoritaria: e la cosa è talmente evidente e ovvia che sembra necessario dedurre che chi ripropone oggi un partito comunista (che finalmente sarà quello giusto, quello buono, quello vero) vuole appuntoessere una minuscola minoranza chiusa in se stessa.

4. 5. Al solito, che fare (in questo caso, dopo le elezioni)?
Poiché da almeno trent'anni ci stiamo ritirando e il nemico sta avanzando,e non si vedono elelementi che possano far pensare ad un mutamento di questo stato di cose, l'unica prospettiva è quella della resistenza. Per capire quali possono essere le linee di resistenza, occorre capire quali
saranno le linee di attacco.Un primo punto è ovvio: il progetto di dominio globale USA, la "guerra
infinita e permanente" continuerà ad essere perseguito e continuerà a suscitare resistenze. L'appoggio alle resistenze dei popoli aggrediti dall'imperialismo è la linea di resistenza più facile da individuare.
Un secondo punto è quello della difesa dei territori da progetti invasivi, e quindi il sostegno a tutti quei movimenti (NO TAV, NO ponte sullo stretto, NO rigassificatori ecc.) che nascono in opposizione a progetti economici invasivi e devastanti per gli equilibri del territorio stesso.
Queste lotte vanno nella direzione della critica dello sviluppo, anche se i suoi attori possono non averne coscienza. Con questo intendiamo dire che la prospettiva della critica dello sviluppo è l'unica che renda coerenti queste lotte, dando ad esse un valore e una prospettiva generali. Al di fuori di questa prospettiva, esse possono essere facilmente criticate e isolate indicandole come espressione di egoismi locali che devono cedere il passo all'interesse generale. La risposta a questa critica sta appuntonell'indicare il rifiuto dello sviluppo, cioè la decrescita, come interesse generale del paese. Un terzo punto si collega al primo: il progetto di dominio globale USA comporta la messa in mora, nei paesi occidentali, della rete di diritti e garanzie che la civiltà borghese aveva elaborato come diritti del cittadino: l'habeas corpus, il diritto ad un giusto processo, l'indipendenza della magistratura. Sono tutti aspetti della civiltà giuridica borghese che la misure legislative adottate negli USA dopo l'11 settembre (dal "patriot act" in poi) hanno cominciato ad attaccare e indebolire. Analoghi fenomeni stanno avanzando negli altri paesi occidentali (si pensi al fenomeno delle "extraordinary renditions"). Non si tratta di una tendenza momentanea destinata a rientrare, ma di un
aspetto profondo e fondamentale del capitalismo e dell'imperialismo contemporanei. Se è così, allora una linea di resistenza è rappresentata dalla difesa dello Stato di diritto.
Un altro aspetto decisivo del capitalismo contemporaneo è l'ossessivaricerca del profitto senza limiti e a breve e brevissimo termine. Questo non è possibile rimanendo nell'ambito della legge (della stessa legge borghese!): di qui il carattere criminale di una parte sempre più grande dell'economia capitalistica contemporanea. Criminale nel senso di essere legata a pratiche di truffa e di corruzione, e nel senso di lasciare sempre più spazio all'economia delle grandi organizzazioni criminali, che si confonde in misura crescente con quella "legale". Ciò implica che il capitalismo ha bisogno di disattivare il controllo di legalità sui grandi crimini economici. Anche in questo caso, dunque, la richiesta di difendere lo Stato di diritto ha un carattere di resistenza e ostacolo al dispiegamento della logica del capitalismo contemporaneo.Più in generale, come abbiamo detto, l'odierno capitalismo neoliberista e globalizzato deve abbattere tutte le garanzie e i diritti conquistati nel corso dela fase riformista-socialdemocratica. In Italia quelle conquiste hanno trovato un inquadramento nell'ambito legale e istituzionale disegnato dalla Costituzione, che è nata come compromesso di alto livello fra le tradizioni liberale, cattolica e socialista-comunista. Per il pieno dispiegamento della logica distruttiva del capitalismo contemporaneo è quindi necessario abbattere o eludere i vincoli rappresentati dal dettato costituzionale. E' quanto è stato fatto finora in maniera informale (per l'impossibilità di trovare un accordo per una nuova Costituzione fra le diverse sottocaste), è quanto farà dopo le elezioni il nuovo Parlamento. Non sappiamo se ci saranno grandi riforme istituzionali o proseguirà lo svuotamento della Costituzione lasciandone formalmente vigente il dettato.In ogni caso, la difesa della Costituzione ci sembra la migliore linea di resistenza possibile: essa compendia infatti in sé la difesa dello Stato di diritto e la difesa di alcuni fondamentali conquiste della fase riformista-socialdemocratica.

Elezioni politiche,cittadinanza e scelta personale di non andare a votare di Carlo Gambescia

Nell’ultimo mese ci siamo imposti di non parlare di politica italiana. E soprattutto per una ragione “pregressa” di natura personale: chi scrive, infatti, aveva già deciso almeno da gennaio, che, in caso di elezioni anticipate, questa volta non sarebbe andato a votare. Basta.
Ora, se la democrazia non “fabbrica” più cittadini, attraverso l’esercizio del voto, come li “fabbrica”? Nessun problema, il circuito della legittimazione e del consenso oggi segue altre strade.
In primo luogo, va ricordata la “cittadinanza mediatica”. Gli studi sui contenuti dei programmi e delle notizie veicolate dai media, provano che viene costantemente ripetuto un solo messaggio: il nostro sistema di vita, quello italiano, europeo, occidentale, è il migliore in assoluto. E le disfunzioni, che tra l’altro non sono poche (ambientali, sociali, economiche), sono sempre presentate come fisiologiche: come un prezzo, fin troppo lieve, da pagare al giusto progresso. E il cittadino "mediatizzato" si adegua...
In secondo luogo, non può essere ignorata la “cittadinanza economica”. Il sistema produttivo, tutto sommato, finora, pur con alti e bassi, ha retto. Il che ha permesso una redistribuzione abbastanza regolare del prodotto sociale e garantito tutele sindacali, previdenziali e assistenziali. Di qui proviene il consenso delle classi lavoratrici, ma anche la trasformazione del dibattito politico in economico: la “politica” ormai ruota esclusivamente intorno ai criteri fiscali di divisione del prodotto sociale.
Il terzo luogo, va segnalata la “cittadinanza consumistica”. Assicurare a tutti (o quasi) la possibilità di acquisire beni e servizi, rappresenta la carta vincente: la “riprova” che il sistema funziona. L’iperconsumo viene giudicato dalla gente comune, che subisce l’ipnotico effetto della cittadinanza mediatica, come l’ambito traguardo della cittadinanza economica.
E così il cerchio si chiude, e si chiuderà fin quando la "macchina economica" macinerà profitti, da redistribuire a tutti o quasi, anche se in misura diversa secondo la posizione sociale.
Di conseguenza - ecco il ragionamento delle persone comuni - se si vive in una specie di Paese dei Balocchi, che senso può avere la cittadinanza politica? Perché si dovrebbe votare per cambiare? Se, nonostante i casi di corruzione e malgoverno, tutto sembra “marciare” per il meglio, perché l’elettore dovrebbe punire i corrotti ? E del resto non sono gli stessi politici, dagli sguardi rassicuranti e benevoli, a promuovere politiche centriste, presentando la realtà che ci circonda come il migliore dei mondi possibili?
Un’ultima osservazione: le cittadinanze mediatica, economica e consumistica sono inversamente proporzionali alla cittadinanza politica. Se si consolidano le prime tre, si indebolisce la seconda. Insomma, la gente non va a votare perché reputa la politica ininfluente sull'economia. Come del resto si evince dagli studi in materia, che attestano come il crescente astensionismo elettorale sia un fenomeno tipico delle democrazie opulente, tutte incentrate sui consumi, sull'economia e poco o punto sulla politica, in senso forte e alto.
Si dirà: dopo questo "dotto" ragionamento, conseguentemente, si dovrebbe andare a votare. Proprio per distinguersi, diciamo così, dalle masse amorfe del non voto (quelle del Franza o Spagna, eccetera)...

Ma per chi votare? Ecco il punto. Di qui la nostra scelta di restare domenica prossima a casa.

09 aprile 2008

La Grande moderazione e la disinflazione


Nell’ultimo quarto di secolo, le autorità finanziarie hanno creduto di aver scoperto il segreto per attenuare i cicli economici: e difatti i periodi di espansione sono diventati più lunghi, quelli di recessione più brevi e meno acuti, e l’inflazione è caduta. Come hanno fatto?

L’economista Thomas Palley dà una risposta rivelatrice: i banchieri centrali si sono accordati nel praticare quella che è stata definita «la Grande Moderazione». Per lo più economisti cattedratici, i banchieri centrali hanno adottato le teorie economiche su cui esiste il massimo «consensus», e le hanno imposte, silenziosamente, ai popoli.

Una di queste teorie ufficiali è quella formulata dal polacco Mihael Kalecki: quando una società ragggiunge il pieno impiego della sua forza-lavoro, l’inflazione aumenta perché i lavoratori diventano una «risorsa scarsa». Sicuri della stabilità dell’impiego, essi reclamano ed ottengono salari più alti. Difatti, secondo il «consensus» degli economisti, proprio questo era avvenuto negli anni 1960-70, in cui l’Occidente aveva conosciuto la «stagflation», ossia stagnazione con inflazione, a causa del pieno impiego.

In realtà, dice Palley, questa era l’interpretazione che faceva comodo ai detentori di capitale finanziario: ma si sa, sono i vincitori che scrivono la storia, e i capitalisti-speculatori sono i vincitori del secolo. Sicchè i banchieri centrali, coi loro testi alla mano, trovarono la soluzione.

Molto semplice: basta evitare di raggiungere il pieno impiego. Anziché cercare di risolvere il problema - che è politico-sociale - dell’occupazione, i banchieri centrali si concentrarono sulla «stabilità della moneta», ossia si diedero come scopo istituzionale unico la riduzione dell’inflazione. Di fatto, guidarono le politiche sociali dei politici con «suggerimenti» antisociali.

Ricordate Ciampi? Ascoltate Draghi (o Trichet) che ancora raccomandano «moderazione salariale»? negli anni della «Grande Moderazione», non a caso, è stata promossa la tacitazione delle rivendicazioni salariali. I sindacati sono stati stroncati, oppure sono stati asserviti (come in Italia) alla politica di «moderazione». Sono emersi leader politici «di sinistra» come Tony Blair, fautori del liberismo senza regole, di fatto reaganiani.

In altri Paesi (indovinate quali) i comunisti andarono al governo dopo aver gettato alle ortiche il marxismo, e adottato la «moderalzione» liberista. Con ciò, l’inflazione è effettivamente cresciuta meno (false statistiche aiutando), ma al prezzo di un quarto di secolo di stagnazione delle paghe e, soprattutto, della rottura del rapporto fra salari e crescita di produttività.

I lavoratori (specie in USA, ma anche in Germania) diventavano sempre più produttivi, ma guadagnando sempre meno in termini reali. La «Grande Moderazione» era intesa come moderazione solo dei salari, non dei profitti. Di fatto, tutto si è tradotto in un esproprio al lavoro per retribuire di più il capitale.

Ecco com’è oggi la situazione, secondo le statistiche ufficiali dell’Ufficio del Bilancio del congresso USA: tra il 1979 e il 2005 il reddito delle famiglie più povere è cresciuto dell’1,3%, quello del ceto medio dell’1% l’anno. Mentre quello dell’1% delle famiglie più ricche, il vertice estremo della scala sociale, è cresciuto nello stesso periodo del 200% l’anno. Anzi, questo è il loro reddito prima delle tasse; «dopo» le tasse, il reddito dell’ultimo vertice dei ricchi è cresciuto del… 228 %. Grazie ai tagli fiscali di Bush, i ricchissimi, dopo la tassazione, sono diventati ancora più ricchi.

Infatti, se nel 1979 gli introiti dell’1% dei più ricchi dopo le tasse era 8 volte superiore a quello dei ceti medi, oggi è 21 volte superiore. Nel 2002-2006 (presidenza Bush) l’1% dei super-ricchi ha intercettato i tre quarti della crescita del reddito nazionale, lasciandone solo un quarto al 99% della popolazione sottostante.

In America, il reddito medio, pagate le tasse, ammonta a 15 mila dollari annui per le famiglie del 20% più povero della popolazione, sale a 50.200 dollari annui per i ceti medi, e ammonta a 1 milione di dollari annui per l’1% che sta al vertice.

La stessa ineguaglianza crescente s’è verificata in tutti i Paesi sviluppati, dalla Spagna al Giappone. Ciò vale anche per l’Italia, con la sola differenza che da noi i percettori di redditi altissimi a danno del resto del Paese non sono tanto i capitalisti, ma soprattutto la Casta, ossia le alte burocrazie pubbliche inadempienti e i mestieranti della politica.

Difatti, basta tradurre da dollaro ad euro i dati sopra citati per gli americani, e si vede: lo strato più povero ha un reddito sui 10 mila euro annui, il ceto medio sui 30 mila se va bene, e Ciampi - il banchiere centrale, il capo di governo, il senatore a vita e Venerato Maestro percettore di tre redditi cumulati - 780 mila euro annui.

Pazienza - dicono i privilegiati che non devono campare con 10 mila euro l’anno: se questa crescente disparità ha portato alla riduzione degli alti e bassi del ciclo economico, se è il segreto per ampi periodi di crescita, recessioni brevissime e inflazione quasi a zero, il prezzo vale la pena di essere pagato.

Invece no, replica Palley: proprio la «Grande Moderazione» (dei salari) è la causa della rovina finanziaria attuale. Perché? Perché, come previsto dalla teoria Kaleski, il blocco ventennale dei salari ha prodotto disinflazione. E la disinflazione ha causato l’abbassamento dei tassi d’interesse, specie nei periodi di rallentamento della crescita.

In USA, i bassi tassi hanno incoraggiato chi aveva acceso un mutuo a rifinanziarlo più e più volte, tanto più che il valore della casa ipotecata aumentava: di fatto gli americani compensarono i loro bassi salari estaendo «valore» dalla loro casa, da spendere in consumi. Le «innovazioni» della finanza creativa hanno ulteriormente facilitato laccesso al credito e ne hanno aumentato i volumi. Per questo le recessioni sono state brevi e poco profonde (i salari bassi erano compensati da denaro presto a prestito con ipoteca) e le espansioni più lunghe, perché il rincaro dei beni immobiliari e delle azioni ha consentito un aumento di spesa attraverso l’indebitamento.

L’espansione ultima, causa ed effetto della bolla immobiliare, è durata ben otto anni. Il fatto è che se uno, con magro stipendio, fa la bella vita ipotecando la casa per consumi che non può permettersi, l’economia che ne risulta non può durare all’infinito. Adesso è finita.

Della «Grande Moderazione», dovuta a disinflazione, aumento degli immobili, crescita dell’indebitamento dei consumatori - tutti fattori transitori - è rimasto solo l’elemento scatenato dai banchieri centrali: la «Grande moderazione» salariale e l’abbandono di politiche del pieno impiego.

La disinflazione è bruciata dai rincari di petrolio, cibo e materie prime, che si riflettono sui prezzi al consumo; il rincaro degli immobili si è rovesciato in caduta dei prezzi; l’indebitamento dei consumatori ha raggiunto il limite, dopo il quale nemmeno i più fanatici speculatori concedono più un’altra carta di credito o un altro mutuo a gente poco solvibile. I poveri sono più poveri, i lavoratori si accorgono di essere arretrati in potere d’acquisto, la recessione appena cominciata sarà lunga e molto acuta: fallimento della «Grande Moderazione» e dei banchieri centrali.

Oggi, cresce la rabbia degli sfavoriti dall’espansione. In USA, i banchieri che si sono pagati bonus favolosi negli anni buoni, ed ora negli anni cattivi si stanno facendo salvare dalla Federal Reserve (ossia dalle tasse dei cittadini infinitamente più poveri di loro) stanno attraendo umori vendicativi di massa.

Annusata l’aria che tira e presentito il cambiamento, in Francia Sarkozy minaccia di tassare le stock-option, le opzioni azionarie con cui i grandi manager si fanno pagare in parte dai consigli d’amministrazione, perché in esenzione fiscale. In Germania la Merkel, prima della classe del liberismo selvaggio, ha minacciato di imporre salari minimi in certi settori, se gli industriali di quei settori si chiamano fuori dai contratti collettivi e se ribassano le paghe.

Persino il Financial Times (2) ammette che adesso è ora di «moderare» gli eccessi degli emolumenti dei favoriti, speculatori, banchieri e manager, e parla della necessità di «redistribuzione» più equa delle ricchezze prodotte, per scongiurare la rivolta politico-sociale.

E in Italia? Il discorso vale da noi più che altrove, visto che abbiamo i salari più bassi d’Europa, e la burocrazia strapagata e la classe che vive «di» politica più numerose, corrotte e inefficienti del mondo. Una redistribuzione dovrebbe scremare da quei redditi e da quegli emolumenti, come nelle parti del mondo più serie si pone il problema di succhiare più introito fiscale dai profitti aziendali o bancari.

Ma qui è il difficile, ed anche l’occasione di una furbata in malafede di nuovo tipo: ora le sinistre della Casta (perché la Casta è essenzialmente di sinistra, non foss’altro perché non riceve i suoi grassi redditi nel settore privato, sotto concorrenza) tireranno fuori dalle ortiche il marxismo, ed esigeranno una tassazione più progressiva. Il che non risolve niente, anzi aggrava il problema.

Per il fatto che la tassazione diretta sui redditi è concepita fin dal principio per «alleggerire» il lavoro dipendente, e non i redditi di natura diversa; sicchè l’aumento di progressività colpirà più duramente il ceto medio-superiore, i medi dirigenti, i quadri, ma non i padroni né i banchieri.

Non c’è, o almeno non è stato trovato, un metodo per colpire con progressività i redditi da capitale, i dividendi, e ancor meno i guadagni speculativi, senza con ciò aggravare di costi eccessivi le imprese; in ogni caso, è impossibile tassare redditi di ditte che hanno la finanziaria di famiglia in Lussemburgo.

Quanto alla tassazione della Casta, è un sogno proibito e una terra incognita. Per fare un esempio, l’ex ministro Gasparri, che da ministro ha fatto accordi sulle telecomunicazioni con Israele, risulta direttore «non esecutivo» della Telit, ditta israeliana molto vicina al Mossad: non chiediamoci per quali motivi di gratitudine, basta che ci chiediamo: è tassabile quell’emolumento estero, che si aggiunge agli altri datigli dal «mestiere politico» in Italia?

E’ appunto solo un esempio: quanti ministri risiedono in consigli d’amministrazione per grazia ricevuta e favori fatti? O quante mazzette estero-su-estero finiscono nelle tasse di coloro che chiamiamo «governanti» quando vanno a Mosca a firmare un contrarro Eni-Gazprom, o - nel caso di semplici assessori regionali - come compenso per aver dato l’appalto delle lavanderie ospedaliere ad una certa azienda?

Su quei redditi, il modulo 740 non può nulla. La Casta è, per definizione, esente.

11 aprile 2008

Il momento del non voto UTILE


Proseguendo con la carrellata elettorale


Amore per la politica? No! Solo per gli sghei! di kiriosomega

Povera Italia, paese crocevia di disparati interessi sopranazionali che la tormentano. Povera Italia, di cui gli –amati- invasori, che ci liberarono dai nostri padri o nonni, hanno paura perché rimasta fucina d’idea Fascista nonostante Hollywood ed i suoi film. Povera Italia, paese squassato da sovrabbondanti interessi di casta che tale è, e si mantiene, per il regime clientelare che governi e partitocrazia hanno imposto dal dopo guerra ad oggi. Povera Italia, paese in cui i politicanti sono contro ogni amor patrio, almeno quello che loro tocca per nascita. Ma viva l’Italia, secondo gli italyoti, l’Italia ladrona e becera, bigotta e tignosa, crapulona e povera in canna, utile solo a loro che purtroppo la infestano rendendola simile a se stessi!

Gli italiani hanno di che urlare disperati, ed invece chi lamenta i propri lai, come vergine cuccia dissacrata, sono proprio gli italyioti partiti politici, specie quelli che otterranno, purtroppo, il massimo suffragio. Così il Berlusconi, l’ometto dai mille processi a suo carico mai svolti, strepita per paura di brogli elettorali che il suo (W)alter ego politico potrebbe porre in opera coadiuvato dall’aborrita Sinistra. Ma l’abominevole e infida Sinistra altrettanto s’agita, chiassando, contro l’anziano neocon antagonista, e proprio per gli stessi timori.

Anche per questo gli italiani hanno da disperarsi, infatti, a giorni alterni, l’un partito si scaglia contro l’altro sostenendo che i sondaggi lo indicano vincente anche d’oltre dieci punti percentuali, che sono un gran numero di voti, ma poi asserisce cha ha paura che brogli lo affossino. E con questa farsa da stolido avanspettacolo, invece di reale e leale propaganda elettorale verso la nazione, il Veltrusconi sposta a piacimento il suo dire di misere idee che, in ogni caso, mai nasceranno perché solo promesse elettorali.

Ma la gravità della situazione trascende i miseri starnazzamenti di PD e PDL, perché una miriade di “partitini”, senza storia e speranze, si sono affacciati alle votazioni. Partitini simili a nanerottoli per la loro esiguità, ma anche ad informi associazioni forse senza nemmeno velleità di superare gli sbarramenti elettorali per accedere ai palazzacci della politica. Perciò, la domanda che sorge spontanea è: “Perché”.

Ritengo che ci sia poco d’arzigogolare alla ricerca di risposte oggettivamente valide sulla proliferazione di carrozzoni e carrozzine politiche, infatti, in un’epoca dove il dio trino è solo quattrino, anche per la chiesa gerarchica, la risposta che investe la realtà di partiti e partitini è unicamente quella del “business is business”!

Dimostriamo la tesi, e ci renderemo conto che abbiamo colto il segno.

Torniamo con il pensiero al referendum del 18 aprile 1993, e ripensiamone il risultato. Ricorderemo che il 90,3% dell’italica popolazione ambiva la soppressione del finanziamento pubblico dei partiti, e il solo apparentemente innocuo TopolinAmato, allora primo ministro, dovette prendere atto della situazione con parole inequivocabili: “Cerchiamo d’essere consapevoli, l’abolizione del finanziamento statale non è fine a se stesso, esprime qualcosa di più. Il ripudio del partito parificato agli organi pubblici e collocato tra essi…”.

Ma cosa resta di quei propositi e dell’italica volontà dopo quindici anni di politica volutamente pasticciona ed infingarda? Politica, ahimé, sempre più italyota anche per la continua e machiavellica suddivisone delle responsabilità sociali, giuridiche ed amministrative. Nulla, non resta nulla, tranne la casta sempre più casta, perché gli italyoti, proclivi agli inchini, abbassandosi, fanno apparire e vedono grandi gli arroganti che stanno in piedi.

Da allora i nostri questuanti, intesi come “quae vir tuus petet”, della politica cercarono provvedimenti sino a sentenziare: “Il voto degli italiani deve essere interpretato e non apprezzato, perciò bla…bla…bla… trasformarono il finanziamento pubblico cui erano tacitamente assuefatti in rimborsi elettorali, perché la politica costa. Così, i maneggioni dei partiti, dunque, in primis i loro maggiori dirigenti, quelli dell’oligarchia da primi della “lista” in ogni occasione, s’arricchiscono anche attraverso questo meccanismo.

E’ ormai da molti risaputo che, pur una legislatura terminando prematuramente, i partiti continuano a ricevere i rimborsi elettorali come se la stessa continuasse per tutta la sua durata giuridica. In altre parole lo Stato regala molti milioni d’euro ad associazioni politiche che “pubbliche non sono”, e che lucrano anche sulle nuove elezioni che sono ripagate nuovamente per intero.

Diversi giornalisti, secondo me ben pagati dal potere che li alleva, hanno ultimamente scritto ed asserito che “in fin dei conti non sono le spese della politica a svenare l’Italia, e che è giusto che i disonorevoli percepiscano le somme che incamerano”. Poche volte ho ascoltato simili grossolane idiozie in tema d’avvenimenti economici, ma si sa, sempre il potere della casta sibillinamente si difende attaccando in maniera ovattata al bisogno.

Così, dopo diverse riforme della legge sulla retribuzione elettorale ai partiti, incluso il decreto Bersani del 04/Agosto/2007, scopriamo che l’appannaggio ad essi erogato è talmente solido da riuscire a scatenare gli appetiti di chiunque è detentore di qualsiasi associazione che vuole immettere nell’arengo politico. Però, per i peones, realizzare il sogno d’arricchimento non è facile!

Personalmente, a questo proposito ho voluto condurre, nella presente tornata elettorale, una personale ricerca sulle difficoltà che incontra il “disgraziato” di periferia con il pallino di fondare un partito.

Intanto, punto primo, si deve scoprire, ma questo avviene abbastanza in fretta, che l’iter per la fondazione è diverso secondo che si tratta di “partito-lista” comunale, regionale, nazionale mentre l’ancora ignaro speranzoso e presuntuoso signor nessuno è grottescamente rimpallato per più giorni, e per più viaggi, dalla sezione elettorale comunale alla Prefettura, e da questa alla Procura della Repubblica perché certe disposizioni legali … Morale della favola, il cittadino peones si ritrae dal suo proposito dopo cinque sei giorni per: “Non ne posso più d’essere preso per il culo da gentaglia che sorridendo ti dice sempre che sei nell’ufficio sbagliato mentre ti commisera come ebete”!

Provai la ricerca per la fondazione di un partito regionale. Ciò fu ancor peggiore e brutale, perché alle spese telefoniche e di spostamento in loco si aggiunsero le spese per lo spostamento “fuori loco” con pranzi, cene e costi alberghieri. Morale della favola, il cittadino peones si ritrae dalla suo proposito idea dopo cinque sei giorni per: “Non ne posso più d’essere preso per il culo da gentaglia che sorridendo ti dice sempre che sei nell’ufficio sbagliato, mentre ti commisera come ebete”!

Nella ricerca per la fondazione di un partito con presenza su tutto il territorio nazionale, i costi che sostenni non lievitarono, ma solo perché le “ricerche” delle vie giuste per l’ottenimento del risultato le svolsi telefonicamente, e ridotte a solo tre giorni di depistamenti da parte d’impiegati romani giusto per non dare anche a loro il piacere del: “Non ne posso più d’essere preso per il culo da gentaglia che sorridendo ti dice sempre che sei nell’ufficio sbagliato mentre ti commisera come ebete”!

Già dal breve veritiero racconto s’apprende che, per iniziare l’avventura, ci si deve prostituire con almeno due disonorevoli uscenti che avallino la tua richiesta. A questo punto incominci ad ottenere informazioni con costi ancora virtuali, ma che diverranno presto reali a favore dei “politicanti” trombati che t’aiutano.

Chi riuscirà a superare le disavventure che ho “sperimentalmente” patito, quando la sua lista si troverà “in campo” d’elezioni nazionali avrà il suo tornaconto qualunque sia il proprio esito elettorale. Infatti, questo è in Italia il miglior sistema per investire denari, e ciò avviene con l’attribuzione di un utile altissimo che lo Stato dona al signor nessuno che già fece il salto di qualità non appena i due politicanti trombati lo aiutarono. Già al raggiungimento dell’1% elettorale, con l’attuale legge, l’appannaggio del signor nessuno è di ben oltre 2milioni d’euro, a fronte di una spesa di qualche centinaio di migliaia d’euro. Si calcola che lo Stato italiano spenderà, per i rimborsi elettorali, oltre 450milioni d’euro che cadranno a pioggia anche su partiti e politicanti che in queste elezioni non potranno “classificarsi”, ma che con il peculio arraffato si presenteranno alle “europee” con determinazione a vincere anche per mancanza di concorrenti più agguerriti di loro. Insomma, tra parlamentari italiani ed eurodeputati, anche i trombati tra i primi si sistemeranno con ottimi redditi da ozio! E c’è di più, perché per i disgraziati cui ogni cosa sarà fatale, per un avverso destino, ci saranno due possibilità non indifferenti. La prima, d’essere immessi d’ufficio in una “partecipata regionale o comunale”; la seconda, se la iella li accompagnerà insistente, si mostrerà con l’assegno di “di solidarietà di fine mandato”.

Ovviamente, al dilagare di questo malcostume le cui spese sono addossate al lavoratore si potrebbe porre rimedio, ma la casta che s’auto legittima con il clientelismo, e con leggi sempre a favore, non ha interesse a cambiare. Anzi, da noi, anche i compagni ormai vanno in vacanza con il “Grand Soleil da 40 piedi”! Intanto, un altro compagno dal colle recita che il voto deve essere espresso perché diritto del cittadino, e che non esistono voti inutili (deve guadagnarsi la pagnotta anche lui!). Insomma, logicamente parafrasando possiamo affermare: “cornuti e mazziati” perché ormai non ci fanno più nemmeno votare il nome del candidato che si propone ma che è imposto, ma ciò è proprio quello che si vuole da parte della casta, ossia, lasciare il diritto di voto solo a pochi eletti “per portafogli”. Alla faccia della democrazia strombazzata ad ogni piè sospinto.

Ma allora cosa succederà, beh, certamente saranno i Bertroni a vincere, largamente o di misura, e, in questo caso si accorderanno per usare il coitus interruptus in modo da sciogliersi a convenienza. Il giochetto elettorale, assai costoso, darà, in ogni caso, al nanetto di statura, ma secondo me anche mentalmente, la possibilità di tessere le sue ultime trame per morire da Presidente, sempre che “un fato benigno…”.

Ahi serva Italia


Zero Voto: l'ora dei Ribelli di Andrea Marcon

Non siamo quindi soli nel praticare e predicare l’astensione. Forse qualcosa comincia a muoversi, forse i ribelli si moltiplicano, come potete leggere qui sotto nelle prime di una serie di testimonianze sulla sempre più diffusa coscienza della truffa elettorale. O forse a moltiplicarsi sono solo coloro che vogliono facce nuove, che si indignano leggendo “La Casta” e credono che essere contrari sia a Berlusconi che a Veltroni significhi essere contro il Sistema.
Noi non ci accontentiamo di così poco: non puntiamo solo ai picciotti, puntiamo ai boss. Questa classe politica di inetti parassiti non merita neppure attenzione, preferiamo scagliarci contro i veri poteri forti e per farlo sappiamo che non basta cambiare gli attori ma lo spettacolo.
Zero Voto è prima di tutto un no alla democrazia rappresentativa, un no a questa farsa che vorrebbe regalare al popolo l’illusione di contare davvero qualcosa. E’ l’unica scelta logica e coerente, ma non può rimanere la sola. Non votare non basta, anzi di per sé può addirittura risultare funzionale al Sistema quanto il voto. E’ora di agire, di accompagnare il rifiuto alla legittimazione dell’esistente con la ricerca di un’alternativa. Basta rappresentanti, basta deleghe: è venuto il momento di agire in prima persona, di riappropriarsi della dignità politica perduta, di tornare protagonisti. E’ l’ora dei Ribelli.

Grillo e il non voto utile

Vocabolario Garzanti:
Voto [vó-to]:
1. espressione della volontà, quando si deve eleggere qualcuno o si deve decidere qualcosa collettivamente.
Utile [ù-ti-le]:
1. che può essere usato, che può appagare un bisogno
2. che apporta un vantaggio, un profitto; che è di giovamento efficace.
Il voto del 13 aprile non è contemplato dal vocabolario, non possiamo infatti eleggere qualcuno, ma solo fare una croce su un simbolo di un partito. Anche la decisione collettiva è esclusa dalle elezioni politiche. Non è infatti un referendum e neppure una proposta di legge popolare.
Per un utilizzo aggiornato della parola “voto” va quindi introdotto un nuovo significato:
1. manifestazione di carattere rituale con cui i cittadini ratificano le scelte dei partiti.
Passiamo all’aggettivo “utile”. Qui andiamo senz’altro meglio.
L’aggettivo “utile” insieme alla parola “voto” risignificata è perfetto: “voto utile”.
Il voto utile può “essere usato, può appagare un bisogno”. E’ facile dimostrarlo. Sottrae ai processi i condannati, riabilita i pregiudicati, sistema le mogli, stimola le amanti e piazza i figli di. Il voto utile “apporta un vantaggio, un profitto ed è di giovamento efficace”. Il ritorno economico è indubbio 25.000 euro al mese, la pensione dopo due anni e mezzo, le auto blu e, solo per i trasgressivi, coca e puttane e gli elicotteri dell’Aeronautica Militare.
La campagna per il voto utile è senza confini. Morfeo Napolitano lo ha ricordato in suo raro momento di veglia dal lontano Cile. Ha difeso i partiti, espressione della democrazia, e attaccato i facili populismi. Poi ha ripreso a dormire.
Lo psiconano e Topo Gigio sono da sempre in prima fila per il voto utile. Se li voti sei utile, altrimenti no. Testa d’Asfalto senza il vostro voto non avrebbe più Rete 4, i suoi amici pregiudicati, i conflitti di interessi. Il sindaco de Roma sarebbe costretto a andare in Ruanda o in Madagascar a scrivere libri e a salvare l’umanità in pericolo. Fatelo per loro. Fatelo per voi. Mandateli a fanculo il 13 aprile con un “non voto utile” alle elezioni politiche.
[nón] [vó-to] [ù-ti-le]:
1. riconquista dello Stato da parte dei cittadini
2. delegittimazione del parassitismo dei partiti.
V-day 25 aprile. Informazione libera in libero Stato.
Beppe Grillo

Cardini e l'astensione civica

I firmatari del presente documento confermano anzitutto di ritenere il voto un diritto e un dovere inalienabile del cittadino. Ciò premesso, è con profondo dolore, ma in piena coscienza, ch’essi ritengono di dovere, nelle prossime elezioni politiche del 13-14 aprile del 2008, esercitare eccezionalmente il loro diritto-dovere astenendosi dal voto.
Tale astensione non ha affatto carattere di rinunzia e tantomeno di qualunquistico disinteresse. Al contrario, essa nasce da una piena e profonda assunzione della responsabilità di un così grave gesto, nel nome e al servizio di una più alta coscienza civica.
Molti, e tutti fondamentali, sono i motivi che hanno condotto i firmatari a questa necessaria scelta, il fine ultimo della quale è la denunzia non solo dell’inadeguatezza, ma anche della sostanziale illegittimità della classe politica e parlamentare che uscirà dalle urne del 13-14 aprile, e pertanto della sostanziale illegittimità della maggioranza e del governo che sulla base di tale responso elettorale saranno espressi.
Pregiudiziale motivo, che rende obiettivamente impossibile il partecipare come parte dell’elettorato attivo alle prossime elezioni, è il fatto che le liste presentate sono frutto dell’insindacato arbitrio delle singole segreterie di partito le quali – attraverso lo strumento della negata possibilità di esprimere preferenze – hanno già fin d’ora disegnato la composizione delle due Camere e designato coloro che come senatori o deputati dovranno sedervi. Ciò riduce il ruolo dell’elettorato attivo a quello di semplice sanzionatore di decisioni prese senza il suo minimo contributo, sulla sua testa e in sua assenza. Si tratta nella pratica – come hanno già notato i componenti della Commissione Episcopale Italiana – di un colpo di mano di natura oligarchica, già messo in atto nelle precedenti elezioni. Ad esso si sarebbe potuto rimediare con un’opportuna riforma elettorale, che avrebbe dovuto precedere le prossime elezioni. Le segreterie dei vari partiti hanno concordemente scelto di perseverare nella pessima e forse addirittuta incostituzionale legge elettorale ancora vigente. Ora, poiché errare humanum est, sed perseverare diabolicum, anche quelli di noi che alle precedenti elezioni scelsero di votare nel nome del principio del “male minore” sono costretti ad arrendersi all’evidenza che esso è nell’attuale fattispecie inapplicabile. Da un Parlamento nominato dall’attuale vertice politico, espresso dalle segreterie, non può uscire che sempre e comunque un male di cui noi non vogliamo comunque e in alcun modo renderci complici. (continua...)
Franco Cardini
Alessandro Bedini

e, dulcis in fundo la lista pubblicata da Beppe Grillo per gli eletti alla Camera dei Deputati


10 aprile 2008

Il movimento del non voto UTILE


Su internet girano molte dichiarazioni di non voto con le proprie motivazioni. Vorrei elencarle tutte come un promemoria per un nuovo futuro dove la sovranità nazionale sia un bene inalienabile come l'acqua.

La farsa elettorale di Marco Cedolin

Siamo finalmente giunti all’ultima settimana di questo teatrino pietoso chiamato campagna elettorale, finalizzato a partorire la “dittatura” di due partiti fotocopia intenzionati a legittimare attraverso il voto un pensiero unico che in realtà non corrisponde alla sensibilità dei cittadini italiani.

Gli ingredienti di questa alchimia sono di una semplicità disarmante, avendo come fulcro una legge elettorale finalizzata allo scopo, condita da un ricorso smodato alla disinformazione.

Gli sbarramenti precostituiti del 4% alla Camera e dell’8% al senato ora che tutti (o quasi) corrono da soli impediranno di fatto la possibilità di essere presenti nel prossimo Parlamento a qualunque voce fuori dal coro (solo la Sinistra Arcobaleno, l’UDC e la Destra possono forse aspirare ad ottenere qualche rappresentante) concentrando le scelte degli italiani verso l’unico “voto utile” a produrre rappresentazione parlamentare ed inducendo chiunque non si riconosca nel partito unico di Veltrusconi a disertare le urne senza avere possibilità d’incidere politicamente.

Che scenda dal pullman del PD o dal palco del PDL, Veltrusconi racconta tutto ed il contrario di tutto, di fronte ad un’esposizione mediatica totalizzante costruita per trasformare in verità anche le peggiori menzogne e contraddizioni.

Veltrusconi si presenta come il più grande ambientalista, ma anche come il più grande cementificatore, come fautore dell’ecologia, ma anche degli inceneritori, come l’amico degli operai, ma anche degli industriali, come il difensore dei diritti dei precari, ma anche della legge Biagi che li rende tali, come sostenitore della pace, ma anche delle missioni di guerra, come colui che getterà altri miliardi nel buco nero del TAV ma risanerà anche il debito pubblico, come il grande riformatore ma anche conservatore, come amico dell’energia pulita ma anche del petrolio e del nucleare, come fautore della riduzione del traffico ma anche dell’incremento nelle vendite delle automobili, come sostenitore degli aumenti salariali ma anche dell’incremento della produttività aziendale, come paladino della sicurezza ma anche della libertà, come colui che diminuirà le tasse ma comunque spenderà più denaro pubblico.

Durante questa ultima settimana di farsa elettorale il carattere ed il grado della manipolazione hanno raggiunto livelli parossistici e praticamente ogni cittadino viene imbonito attraverso la “promessa” di realizzare esattamente quello che desidera, poco importa se la realizzazione risulta impossibile ed i desideri sono spesso apertamente in contrasto gli uni con gli altri. L’importante è che ciascuno si senta promettere esattamente quello che vorrebbe sentirsi promettere, non sia così curioso da domandarsi cosa è stato promesso al suo vicino e non abbia alternative, in quanto gli altri che non arriveranno alla soglia del 4% di promesse “concrete” non potranno farne nessuna.

Giunti a questo punto l’unico vero problema di Veltrusconi è costituito dal fatto che gli elettori non si confondano mettendo la croce sul simbolo sbagliato e per evitare che questo accada il Viminale sta provvedendo, a spese dei cittadini, alla stampa di migliaia di manifesti e alla messa in onda di altrettanti spot televisivi che spieghino come votare correttamente. Dopo questo ultimo sforzo sia chiaro che chi per errore non avrà messo la X su Veltrusconi non potrà poi venirsi a lamentare dicendo che la lampada di Aladino non funziona, in quanto era stato avvertito prima e uomo avvisato...

Non Votateli di Marino Badiale

1. Fine della politica.
Nel mondo del neoliberismo non c'è più nessuno spazio per la politica intesa come sfera in cui si confrontano idee diverse sulla direzione da imprimere allo sviluppo sociale. Lo sviluppo sociale è comandato, in ogni ambito, dall'economia e dalle sue esigenze di profitto. A cosa si riduce allora la politica, se si accetta questo mondo? A pura e semplice amministrazione dell'esistente, a competizione fra cordate di amministratori, il cui unico ruolo, ben pagato, è quello di gestire il consenso sociale alle politiche neoliberiste. Poiché tali politiche comportano la perdita di diritti e redditi, il peggioramento lento e costante della qualità della vita, tale consenso può essere ottenuto solo con la distruzione di ogni discussione pubblica razionale. Di qui la distruzione della scuola e dell'Università, e la riduzione dell'informazione a gossip.

2. Poiché le contrapposizioni interne al ceto politico non hanno più nessuno spessore politico o ideologico, e sono semplici scontri sulla distribuzione di posti e prebende fra gang contrapposte, è corretta la caratterizzazione del ceto politico come Casta. La Casta è al servizio della dinamica distruttiva del capitalismo attuale, e va combattuta come nemica della civiltà e della società. Il
fatto che essa non decida nulla (perché tutto è deciso dall'economia) non significa che essa sia irrilevante: è un'articolazione fondamentale del capitalismo neoliberista, è l'ingranaggio che deve conquistare il consensodi masse sempre più impoverite sia sul piano materiale sia su quello culturale
Poiché le contrapposizioni fra destra e sinistra non hanno nessun valore rispetto ai problemi esaminati, destra e sinistra vanno combattute assieme come espressione dello stesso male. In particolare vanno combattuti non solo i due principali raggruppamenti (PD e PdL) ma anche i loro comprimari, come i gruppi che oggi formano la Sinistra Arcobaleno. Durantei governi di centrosinistra questi ultimi hanno mostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, il loro essere totalmente funzionali (come "copertura a sinistra") ai progetti neoliberisti e imperialisti.
2. Esiste uno spazio sociale nel quale agire questa lotta contro la Casta?

3. Esso esiste, a nostro avviso, e si manifesta oggi come rifiuto generalizzato della Casta, che la Casta stessa denomina "antipolitica" (denominazione ovviamente menzognera come tutto quanto proviene dallaCasta: è la Casta a negare la politica, a rappresentare la vera antipolitica). Lo spazio in cui agire questa lotta non però è quello del"popolo di sinistra": chi crede questo ritiene che il fatto che il popolo di sinistra si richiama a ideali di giustizia e uguaglianza ne faccia una base per la lotta contro le linee di tendenza della società attuale. Ma è un errrore: il richiamo ai valori storici della sinistra non ha nessun significato concreto, per il popolo di sinistra, che infatti ha concretamente dimostrato di accettare qualsiasi violazione di tali valori, da parte dei governi di centrosinistra. Il popolo di sinistra reagisce in base a meccanismi identitari che lo portano ad accettare qualsiasi cosa, purchè la faccia un governo di sinistra, e ad aggirare con sofismi di vario tipo le contraddizioni. E' solo da una netta rottura con il popolo di sinistra che può nascere un'area sociale di opposizione alla Casta e al
capitalismo neoliberista.
3. La scelta di non votare significa per prima cosa questo: la rottura con il popolo di sinistra e la sua ossessione per il "pericolo Berlusconi", la riconquista di uno spazio di libertà e dignità intellettuale.
4. Esistono piccoli raggruppamenti, come il PCL o il movimento di Fernando Rossi, che appaiono esprimere istanze esterne alla Casta. Non ci sembra però utile votarli (a livello nazionale: diverso è il dicorso per liste locali). Da una parte personalità interessanti, appunto come Fernando Rossi o Giulietto Chiesa, non sembrano avere rotto il cordone ombelicale con il "popolo di sinistra", per cui si può dubitare che riescano ad esprimere quella netta rottura con la Casta che a noi sembra necessaria. Dall'altra, ogni riproposizione di partiti comunisti è destinata a vivere
una vita ultraminoritaria: e la cosa è talmente evidente e ovvia che sembra necessario dedurre che chi ripropone oggi un partito comunista (che finalmente sarà quello giusto, quello buono, quello vero) vuole appuntoessere una minuscola minoranza chiusa in se stessa.

4. 5. Al solito, che fare (in questo caso, dopo le elezioni)?
Poiché da almeno trent'anni ci stiamo ritirando e il nemico sta avanzando,e non si vedono elelementi che possano far pensare ad un mutamento di questo stato di cose, l'unica prospettiva è quella della resistenza. Per capire quali possono essere le linee di resistenza, occorre capire quali
saranno le linee di attacco.Un primo punto è ovvio: il progetto di dominio globale USA, la "guerra
infinita e permanente" continuerà ad essere perseguito e continuerà a suscitare resistenze. L'appoggio alle resistenze dei popoli aggrediti dall'imperialismo è la linea di resistenza più facile da individuare.
Un secondo punto è quello della difesa dei territori da progetti invasivi, e quindi il sostegno a tutti quei movimenti (NO TAV, NO ponte sullo stretto, NO rigassificatori ecc.) che nascono in opposizione a progetti economici invasivi e devastanti per gli equilibri del territorio stesso.
Queste lotte vanno nella direzione della critica dello sviluppo, anche se i suoi attori possono non averne coscienza. Con questo intendiamo dire che la prospettiva della critica dello sviluppo è l'unica che renda coerenti queste lotte, dando ad esse un valore e una prospettiva generali. Al di fuori di questa prospettiva, esse possono essere facilmente criticate e isolate indicandole come espressione di egoismi locali che devono cedere il passo all'interesse generale. La risposta a questa critica sta appuntonell'indicare il rifiuto dello sviluppo, cioè la decrescita, come interesse generale del paese. Un terzo punto si collega al primo: il progetto di dominio globale USA comporta la messa in mora, nei paesi occidentali, della rete di diritti e garanzie che la civiltà borghese aveva elaborato come diritti del cittadino: l'habeas corpus, il diritto ad un giusto processo, l'indipendenza della magistratura. Sono tutti aspetti della civiltà giuridica borghese che la misure legislative adottate negli USA dopo l'11 settembre (dal "patriot act" in poi) hanno cominciato ad attaccare e indebolire. Analoghi fenomeni stanno avanzando negli altri paesi occidentali (si pensi al fenomeno delle "extraordinary renditions"). Non si tratta di una tendenza momentanea destinata a rientrare, ma di un
aspetto profondo e fondamentale del capitalismo e dell'imperialismo contemporanei. Se è così, allora una linea di resistenza è rappresentata dalla difesa dello Stato di diritto.
Un altro aspetto decisivo del capitalismo contemporaneo è l'ossessivaricerca del profitto senza limiti e a breve e brevissimo termine. Questo non è possibile rimanendo nell'ambito della legge (della stessa legge borghese!): di qui il carattere criminale di una parte sempre più grande dell'economia capitalistica contemporanea. Criminale nel senso di essere legata a pratiche di truffa e di corruzione, e nel senso di lasciare sempre più spazio all'economia delle grandi organizzazioni criminali, che si confonde in misura crescente con quella "legale". Ciò implica che il capitalismo ha bisogno di disattivare il controllo di legalità sui grandi crimini economici. Anche in questo caso, dunque, la richiesta di difendere lo Stato di diritto ha un carattere di resistenza e ostacolo al dispiegamento della logica del capitalismo contemporaneo.Più in generale, come abbiamo detto, l'odierno capitalismo neoliberista e globalizzato deve abbattere tutte le garanzie e i diritti conquistati nel corso dela fase riformista-socialdemocratica. In Italia quelle conquiste hanno trovato un inquadramento nell'ambito legale e istituzionale disegnato dalla Costituzione, che è nata come compromesso di alto livello fra le tradizioni liberale, cattolica e socialista-comunista. Per il pieno dispiegamento della logica distruttiva del capitalismo contemporaneo è quindi necessario abbattere o eludere i vincoli rappresentati dal dettato costituzionale. E' quanto è stato fatto finora in maniera informale (per l'impossibilità di trovare un accordo per una nuova Costituzione fra le diverse sottocaste), è quanto farà dopo le elezioni il nuovo Parlamento. Non sappiamo se ci saranno grandi riforme istituzionali o proseguirà lo svuotamento della Costituzione lasciandone formalmente vigente il dettato.In ogni caso, la difesa della Costituzione ci sembra la migliore linea di resistenza possibile: essa compendia infatti in sé la difesa dello Stato di diritto e la difesa di alcuni fondamentali conquiste della fase riformista-socialdemocratica.

Elezioni politiche,cittadinanza e scelta personale di non andare a votare di Carlo Gambescia

Nell’ultimo mese ci siamo imposti di non parlare di politica italiana. E soprattutto per una ragione “pregressa” di natura personale: chi scrive, infatti, aveva già deciso almeno da gennaio, che, in caso di elezioni anticipate, questa volta non sarebbe andato a votare. Basta.
Ora, se la democrazia non “fabbrica” più cittadini, attraverso l’esercizio del voto, come li “fabbrica”? Nessun problema, il circuito della legittimazione e del consenso oggi segue altre strade.
In primo luogo, va ricordata la “cittadinanza mediatica”. Gli studi sui contenuti dei programmi e delle notizie veicolate dai media, provano che viene costantemente ripetuto un solo messaggio: il nostro sistema di vita, quello italiano, europeo, occidentale, è il migliore in assoluto. E le disfunzioni, che tra l’altro non sono poche (ambientali, sociali, economiche), sono sempre presentate come fisiologiche: come un prezzo, fin troppo lieve, da pagare al giusto progresso. E il cittadino "mediatizzato" si adegua...
In secondo luogo, non può essere ignorata la “cittadinanza economica”. Il sistema produttivo, tutto sommato, finora, pur con alti e bassi, ha retto. Il che ha permesso una redistribuzione abbastanza regolare del prodotto sociale e garantito tutele sindacali, previdenziali e assistenziali. Di qui proviene il consenso delle classi lavoratrici, ma anche la trasformazione del dibattito politico in economico: la “politica” ormai ruota esclusivamente intorno ai criteri fiscali di divisione del prodotto sociale.
Il terzo luogo, va segnalata la “cittadinanza consumistica”. Assicurare a tutti (o quasi) la possibilità di acquisire beni e servizi, rappresenta la carta vincente: la “riprova” che il sistema funziona. L’iperconsumo viene giudicato dalla gente comune, che subisce l’ipnotico effetto della cittadinanza mediatica, come l’ambito traguardo della cittadinanza economica.
E così il cerchio si chiude, e si chiuderà fin quando la "macchina economica" macinerà profitti, da redistribuire a tutti o quasi, anche se in misura diversa secondo la posizione sociale.
Di conseguenza - ecco il ragionamento delle persone comuni - se si vive in una specie di Paese dei Balocchi, che senso può avere la cittadinanza politica? Perché si dovrebbe votare per cambiare? Se, nonostante i casi di corruzione e malgoverno, tutto sembra “marciare” per il meglio, perché l’elettore dovrebbe punire i corrotti ? E del resto non sono gli stessi politici, dagli sguardi rassicuranti e benevoli, a promuovere politiche centriste, presentando la realtà che ci circonda come il migliore dei mondi possibili?
Un’ultima osservazione: le cittadinanze mediatica, economica e consumistica sono inversamente proporzionali alla cittadinanza politica. Se si consolidano le prime tre, si indebolisce la seconda. Insomma, la gente non va a votare perché reputa la politica ininfluente sull'economia. Come del resto si evince dagli studi in materia, che attestano come il crescente astensionismo elettorale sia un fenomeno tipico delle democrazie opulente, tutte incentrate sui consumi, sull'economia e poco o punto sulla politica, in senso forte e alto.
Si dirà: dopo questo "dotto" ragionamento, conseguentemente, si dovrebbe andare a votare. Proprio per distinguersi, diciamo così, dalle masse amorfe del non voto (quelle del Franza o Spagna, eccetera)...

Ma per chi votare? Ecco il punto. Di qui la nostra scelta di restare domenica prossima a casa.

09 aprile 2008

La Grande moderazione e la disinflazione


Nell’ultimo quarto di secolo, le autorità finanziarie hanno creduto di aver scoperto il segreto per attenuare i cicli economici: e difatti i periodi di espansione sono diventati più lunghi, quelli di recessione più brevi e meno acuti, e l’inflazione è caduta. Come hanno fatto?

L’economista Thomas Palley dà una risposta rivelatrice: i banchieri centrali si sono accordati nel praticare quella che è stata definita «la Grande Moderazione». Per lo più economisti cattedratici, i banchieri centrali hanno adottato le teorie economiche su cui esiste il massimo «consensus», e le hanno imposte, silenziosamente, ai popoli.

Una di queste teorie ufficiali è quella formulata dal polacco Mihael Kalecki: quando una società ragggiunge il pieno impiego della sua forza-lavoro, l’inflazione aumenta perché i lavoratori diventano una «risorsa scarsa». Sicuri della stabilità dell’impiego, essi reclamano ed ottengono salari più alti. Difatti, secondo il «consensus» degli economisti, proprio questo era avvenuto negli anni 1960-70, in cui l’Occidente aveva conosciuto la «stagflation», ossia stagnazione con inflazione, a causa del pieno impiego.

In realtà, dice Palley, questa era l’interpretazione che faceva comodo ai detentori di capitale finanziario: ma si sa, sono i vincitori che scrivono la storia, e i capitalisti-speculatori sono i vincitori del secolo. Sicchè i banchieri centrali, coi loro testi alla mano, trovarono la soluzione.

Molto semplice: basta evitare di raggiungere il pieno impiego. Anziché cercare di risolvere il problema - che è politico-sociale - dell’occupazione, i banchieri centrali si concentrarono sulla «stabilità della moneta», ossia si diedero come scopo istituzionale unico la riduzione dell’inflazione. Di fatto, guidarono le politiche sociali dei politici con «suggerimenti» antisociali.

Ricordate Ciampi? Ascoltate Draghi (o Trichet) che ancora raccomandano «moderazione salariale»? negli anni della «Grande Moderazione», non a caso, è stata promossa la tacitazione delle rivendicazioni salariali. I sindacati sono stati stroncati, oppure sono stati asserviti (come in Italia) alla politica di «moderazione». Sono emersi leader politici «di sinistra» come Tony Blair, fautori del liberismo senza regole, di fatto reaganiani.

In altri Paesi (indovinate quali) i comunisti andarono al governo dopo aver gettato alle ortiche il marxismo, e adottato la «moderalzione» liberista. Con ciò, l’inflazione è effettivamente cresciuta meno (false statistiche aiutando), ma al prezzo di un quarto di secolo di stagnazione delle paghe e, soprattutto, della rottura del rapporto fra salari e crescita di produttività.

I lavoratori (specie in USA, ma anche in Germania) diventavano sempre più produttivi, ma guadagnando sempre meno in termini reali. La «Grande Moderazione» era intesa come moderazione solo dei salari, non dei profitti. Di fatto, tutto si è tradotto in un esproprio al lavoro per retribuire di più il capitale.

Ecco com’è oggi la situazione, secondo le statistiche ufficiali dell’Ufficio del Bilancio del congresso USA: tra il 1979 e il 2005 il reddito delle famiglie più povere è cresciuto dell’1,3%, quello del ceto medio dell’1% l’anno. Mentre quello dell’1% delle famiglie più ricche, il vertice estremo della scala sociale, è cresciuto nello stesso periodo del 200% l’anno. Anzi, questo è il loro reddito prima delle tasse; «dopo» le tasse, il reddito dell’ultimo vertice dei ricchi è cresciuto del… 228 %. Grazie ai tagli fiscali di Bush, i ricchissimi, dopo la tassazione, sono diventati ancora più ricchi.

Infatti, se nel 1979 gli introiti dell’1% dei più ricchi dopo le tasse era 8 volte superiore a quello dei ceti medi, oggi è 21 volte superiore. Nel 2002-2006 (presidenza Bush) l’1% dei super-ricchi ha intercettato i tre quarti della crescita del reddito nazionale, lasciandone solo un quarto al 99% della popolazione sottostante.

In America, il reddito medio, pagate le tasse, ammonta a 15 mila dollari annui per le famiglie del 20% più povero della popolazione, sale a 50.200 dollari annui per i ceti medi, e ammonta a 1 milione di dollari annui per l’1% che sta al vertice.

La stessa ineguaglianza crescente s’è verificata in tutti i Paesi sviluppati, dalla Spagna al Giappone. Ciò vale anche per l’Italia, con la sola differenza che da noi i percettori di redditi altissimi a danno del resto del Paese non sono tanto i capitalisti, ma soprattutto la Casta, ossia le alte burocrazie pubbliche inadempienti e i mestieranti della politica.

Difatti, basta tradurre da dollaro ad euro i dati sopra citati per gli americani, e si vede: lo strato più povero ha un reddito sui 10 mila euro annui, il ceto medio sui 30 mila se va bene, e Ciampi - il banchiere centrale, il capo di governo, il senatore a vita e Venerato Maestro percettore di tre redditi cumulati - 780 mila euro annui.

Pazienza - dicono i privilegiati che non devono campare con 10 mila euro l’anno: se questa crescente disparità ha portato alla riduzione degli alti e bassi del ciclo economico, se è il segreto per ampi periodi di crescita, recessioni brevissime e inflazione quasi a zero, il prezzo vale la pena di essere pagato.

Invece no, replica Palley: proprio la «Grande Moderazione» (dei salari) è la causa della rovina finanziaria attuale. Perché? Perché, come previsto dalla teoria Kaleski, il blocco ventennale dei salari ha prodotto disinflazione. E la disinflazione ha causato l’abbassamento dei tassi d’interesse, specie nei periodi di rallentamento della crescita.

In USA, i bassi tassi hanno incoraggiato chi aveva acceso un mutuo a rifinanziarlo più e più volte, tanto più che il valore della casa ipotecata aumentava: di fatto gli americani compensarono i loro bassi salari estaendo «valore» dalla loro casa, da spendere in consumi. Le «innovazioni» della finanza creativa hanno ulteriormente facilitato laccesso al credito e ne hanno aumentato i volumi. Per questo le recessioni sono state brevi e poco profonde (i salari bassi erano compensati da denaro presto a prestito con ipoteca) e le espansioni più lunghe, perché il rincaro dei beni immobiliari e delle azioni ha consentito un aumento di spesa attraverso l’indebitamento.

L’espansione ultima, causa ed effetto della bolla immobiliare, è durata ben otto anni. Il fatto è che se uno, con magro stipendio, fa la bella vita ipotecando la casa per consumi che non può permettersi, l’economia che ne risulta non può durare all’infinito. Adesso è finita.

Della «Grande Moderazione», dovuta a disinflazione, aumento degli immobili, crescita dell’indebitamento dei consumatori - tutti fattori transitori - è rimasto solo l’elemento scatenato dai banchieri centrali: la «Grande moderazione» salariale e l’abbandono di politiche del pieno impiego.

La disinflazione è bruciata dai rincari di petrolio, cibo e materie prime, che si riflettono sui prezzi al consumo; il rincaro degli immobili si è rovesciato in caduta dei prezzi; l’indebitamento dei consumatori ha raggiunto il limite, dopo il quale nemmeno i più fanatici speculatori concedono più un’altra carta di credito o un altro mutuo a gente poco solvibile. I poveri sono più poveri, i lavoratori si accorgono di essere arretrati in potere d’acquisto, la recessione appena cominciata sarà lunga e molto acuta: fallimento della «Grande Moderazione» e dei banchieri centrali.

Oggi, cresce la rabbia degli sfavoriti dall’espansione. In USA, i banchieri che si sono pagati bonus favolosi negli anni buoni, ed ora negli anni cattivi si stanno facendo salvare dalla Federal Reserve (ossia dalle tasse dei cittadini infinitamente più poveri di loro) stanno attraendo umori vendicativi di massa.

Annusata l’aria che tira e presentito il cambiamento, in Francia Sarkozy minaccia di tassare le stock-option, le opzioni azionarie con cui i grandi manager si fanno pagare in parte dai consigli d’amministrazione, perché in esenzione fiscale. In Germania la Merkel, prima della classe del liberismo selvaggio, ha minacciato di imporre salari minimi in certi settori, se gli industriali di quei settori si chiamano fuori dai contratti collettivi e se ribassano le paghe.

Persino il Financial Times (2) ammette che adesso è ora di «moderare» gli eccessi degli emolumenti dei favoriti, speculatori, banchieri e manager, e parla della necessità di «redistribuzione» più equa delle ricchezze prodotte, per scongiurare la rivolta politico-sociale.

E in Italia? Il discorso vale da noi più che altrove, visto che abbiamo i salari più bassi d’Europa, e la burocrazia strapagata e la classe che vive «di» politica più numerose, corrotte e inefficienti del mondo. Una redistribuzione dovrebbe scremare da quei redditi e da quegli emolumenti, come nelle parti del mondo più serie si pone il problema di succhiare più introito fiscale dai profitti aziendali o bancari.

Ma qui è il difficile, ed anche l’occasione di una furbata in malafede di nuovo tipo: ora le sinistre della Casta (perché la Casta è essenzialmente di sinistra, non foss’altro perché non riceve i suoi grassi redditi nel settore privato, sotto concorrenza) tireranno fuori dalle ortiche il marxismo, ed esigeranno una tassazione più progressiva. Il che non risolve niente, anzi aggrava il problema.

Per il fatto che la tassazione diretta sui redditi è concepita fin dal principio per «alleggerire» il lavoro dipendente, e non i redditi di natura diversa; sicchè l’aumento di progressività colpirà più duramente il ceto medio-superiore, i medi dirigenti, i quadri, ma non i padroni né i banchieri.

Non c’è, o almeno non è stato trovato, un metodo per colpire con progressività i redditi da capitale, i dividendi, e ancor meno i guadagni speculativi, senza con ciò aggravare di costi eccessivi le imprese; in ogni caso, è impossibile tassare redditi di ditte che hanno la finanziaria di famiglia in Lussemburgo.

Quanto alla tassazione della Casta, è un sogno proibito e una terra incognita. Per fare un esempio, l’ex ministro Gasparri, che da ministro ha fatto accordi sulle telecomunicazioni con Israele, risulta direttore «non esecutivo» della Telit, ditta israeliana molto vicina al Mossad: non chiediamoci per quali motivi di gratitudine, basta che ci chiediamo: è tassabile quell’emolumento estero, che si aggiunge agli altri datigli dal «mestiere politico» in Italia?

E’ appunto solo un esempio: quanti ministri risiedono in consigli d’amministrazione per grazia ricevuta e favori fatti? O quante mazzette estero-su-estero finiscono nelle tasse di coloro che chiamiamo «governanti» quando vanno a Mosca a firmare un contrarro Eni-Gazprom, o - nel caso di semplici assessori regionali - come compenso per aver dato l’appalto delle lavanderie ospedaliere ad una certa azienda?

Su quei redditi, il modulo 740 non può nulla. La Casta è, per definizione, esente.