03 maggio 2008

Una società con poco onore


Alla scuola media di Sant’Antimo (Napoli) cinque ragazzi si esibiscono per far vedere chi ce l’ha più lungo. Tirano fuori gli organi sessuali. A scuola. Giudice della gara, una insegnante di 40 anni, ora denunciata con gli scolari alla procura.

A Lugagnano, Verona, massacro dei due coniugi Luciana e Luigi Meche, villetta con piscina: l’assassino, un ventenne romeno, sostiene di aver ricevuto avances sessuali da lui (60 anni), e «gli elementi di prova che gli investigatori hanno raccolro nell’abitazione, la posizione dei corpi, la possibilità che al momento della morte Meche fosse nudo», tendono a dar ragione al ragazzo. Che paese siamo?

Dostojevsky scrive da qualche parte, nei «Demoni» (o meglio, «Posseduti»): offrite agli uomini il diritto al disonore, e sarete sicuri di vederceli accorrere in massa, con voluttà. La frase rischia di essere enigmatica. Il concetto di «onore» da gran tempo è abbandonato. Evoca al massimo qualche commedia all’italiana, il «delitto d’onore» ridicolizzato in molti film di quarant’anni fa.

Effettivamente - lo dico per i più giovani - ancora negli anni ‘50, un marito che scopriva la moglie «in flagrante» con un amante, uccidendo tutt’e due, aveva dalla sua la clemenza del codice. Egualmente una giovane, che avesse dato la verginità sotto promessa di matrimonio, se poi lui non avesse mantenuto la promessa, poteva uccidere con qualche diritto, perchè il suo onore era stato tradito. Ridicolo. Cosa da Paesi islamici.

Ma Tolstoi, in un breve bellissimo romanzo («Sonata a Kreutzer») racconta di un marito che s’accorge, dall’intesa con cui sua moglie al piano accompagna il suo insegnante di musica che suona violino, mentre appunto eseguono la «Sonata a Kreutzer», che tra i due è consumato l’adulterio; forse solo nell’anima, ma non importa. Li uccide, e «i giurati lo assolsero».

Di fatto, anche in Russia, anche nelle legislazioni europee, non molto tempo fa, l’onore era qualcosa che veniva preso molto sul serio. Adulteri avvenivano, come sempre, ma erano anche fisicamente pericolosi.

Oggi non si capisce nemmeno più bene che cosa significhi, «onore», e la necessità di salvaguardarlo. Lo si confonde, temo, con la reputazione, il «cosa dirà la gente».

Così, il pathos di un’intera grande letteratura europea si stinge per noi, banalmente. Se c’è ancora chi riesce a leggere Madame Bovary, magari sbuffa: quante storia per una scopata! E’ il racconto, psicologicamente insuperabile, di come una moglie, a poco a poco, si concede il diritto al disonore. Anna Karenina, è la storia di una donna che, irresistibilmente, cade nel disonore. Persino l’eros che rende intensi quei romanzi diventa scipito, a chi non sa cosa sia l’onore.

Il gran romanzo di Proust è, anche, la piccante o mostruosa rivelazione di come una folla di persone onorate e onorevoli, in realtà si disonorino in vizii segreti; la rivelazione che la società ha falle occulte e bassifondi ripugnanti, dove ci si rivoltola nel disonore.

Ancor più chiuso, enigmatico alla nostra compressione contemporanea, è «Cuore di Tenebra» di Conrad, perchè lì non si tratta di onore sessuale, ma di ben altro. Kurtz, il funzionario della compagnia belga, che dal fondo della foresta congolese manda una quantità prodigiosa di zanne d’elefante - come scoprirà l’io narrante alla fine della risalita sul tenebroso fiume - si è fatto capo di una tribù negra, che ha soggiogato e che lo adora come un dio.

Kurtz ha rinunciato all’onore dell’uomo bianco pur mantenendone tutte le conoscenze, ha usato la civiltà per avere il potere più brutale. Ed ha orrore di sè stesso. «L’orrore, l’orrore», sono le ultime parole di Kurtz.

Ma noi non lo capiamo: orrore di che? Il fatto è che di Kurtz ne abbiamo a migliaia attorno e sopra di noi. La figura che Conrad prefigura è il dittatore tecnologico e neo-selvaggio, che abusa senza limiti dei mezzi della civiltà avendo rinunciato al decoro civile perchè lo sente come ostacolo, ossia quella che ha dominato il ventesimo secolo.

Dostojevsky ne aveva già dato una versione: nei «Posseduti» c’è un personaggio, Chigalev, ossessionato dall’ideologia dell’uguaglianza assoluta da stabilire tra gli uomini, il quale conclude che l’uguaglianza dovrà essere imposta col sopruso.

E dice: «La calunnia e l’assassinio nei casi estremi, ma soprattutto l’uguaglianza»: è la profezia del sistema sovietico, della sua polizia torturatrice e concentrazionaria, senza onore (la calunnia è ancor più disonorante dell’omicidio). Ma non lo capiamo, perchè ci abbiamo fatto il callo.

Oggi, il diritto al disonore è banalizzato, di massa, nella scuola di Sant’Antimo come a Lugagnano. Faremo il callo anche a questo, già lo stiamo facendo.

Non faccio la predica da chissà quale altezza morale, anch’io sono cresciuto e vissuto in una società che da gran tempo s’è data il diritto al disonore. Anch’io ho poco senso dell’onore. Le prove di questa insensibilità sono dovunque.

Il senatore a vita ottantenne Emilio Colombo, che manda la scorta che gli è data (agenti della Finanza) a comprargli la cocaina, è un uomo senza onore perchè resta al suo posto. Disonora il Senato, il quale si disonora per conto suo non esigendo da lui di dimettersi. Un presidente della repubblica eletto alla massima carica dopo essere stato rimproverato dalla Comunità Europea per aver rubacchiato sulle note spese, è un caso disonorevole; che felicemente accettiamo ed applaudiamo quando parla altamente a nostro nome.

Ciò ha naturalmente gravi conseguenze su tutta la società, la fa marcire. Perchè in realtà, facciamo finta di accettare i richiami alla Costituzione, alla legalità, alla Resistenza, che ci vengono dalle «istituzioni» e dal suo vertice - anche i giornalisti e i politici che fingono di aderire, untuosi, nel «rispetto per il capo dello Stato» - sanno che è solo una finzione.

L’ufficialità istituzionale è diventata radicalmente finzione, nessuno si sente tenuto a comportarsi con coerenza con quelle parole. L’ordine alla padre Zappata - fate quel che dico, non quel che faccio - non ha alcuna forza di convinzione, al contrario è un incitamento coperto al disonore generale.

Così, le Caste disonorate rafforzano il loro potere difendendo i propri interessi, i politici non si sentono impegnati dalle loro promesse, gli impiegati pubblici alle prestazioni; rubano i sindacati e la Telecom, i fabbricanti di vino si concedono di adulterare, quasi ciascuno si concede l’adulterio senza conseguenze, si scoprono insegnanti privi di senso dell’onore come a Sant’Antimo, coppie mature porno a Lugagnano, gente che non restituisce i prestiti all’amico, ma li restituisce all’usuraio (perchè lui ti minaccia fisicamente), ragazzine indecenti cubiste a 12 anni, verginità gettate nei cessi di una discoteca, ubriachi che ammazzano passanti e fuggono senza soccorrerli, per sfuggire alla responsabilità; vigili con il falso permesso di invalidi sull’auto... alla fine, tutta la parossistica «insicurezza» che proviamo dipende, forse, meno dagli immigrati, che da noi stessi: non ci possiamo più fidare gli uni degli altri, mai.

Sappiamo che colui che ci parla non ha onore, che è pronto - per il suo tornaconto o il suo piacere momentaneo - a disonorarsi. E invochiamo la dittatura delle leggi penali: è la dittatura dei procuratori, spie delle nostre vite e pronti a sbatterci in galera, sotto cui finisce - inevitabilmente - una disonorata società.

L’8 settembre del ‘43 fu per la maggioranza degli italiani il giorno in cui si concessero il diritto al disonore. «Tutti a casa», la «liberazione». Ci furono minoranze che scelsero una parte o l’altra per onore, per tener fede a un giuramento: la metà di queste minoranze è vilipesa per aver scelto «la parte sbagliata», ossia la perdente, in cui non c’era nulla da guadagnare.

Ciò ha oscurato per sempre ogni chiaro senso dell’onore, e impedisce la nostra guarigione. Anche la metà vincente non sta meglio, se ha cominciato con l’eleggere Moranino (un assassino di massa, partigiano rosso) ed ha finito per eleggere Vlad Luxuria, accolta peraltro senza una piega da un parlamento dove un terzo dei nostri rappresentanti tira di coca, e se uno è scoperto in albergo con due puttane, non sente l’obbligo di dimettersi per indegnità.

La parabola discendente ha la forza di una parabola di Esopo: «de te fabula narratur», disonorata società che accetti da te stessa l’inaccettabile.

Potrà sembrare un discorso passatista. Mi domando però se, senza onore, si possa essere perfino cristiani, o credenti veri. Non so se possiamo comprendere che l’intimo rapporto fra Maria e Giuseppe fu un delicato rapporto di onore.

Giuseppe, prendendo Maria incinta per moglie, la salvò dalla lapidazione che toccava alle adultere, e ne salvò l’onore (Lei, come un agnello, non disse una parola per il proprio onore). Lei, delicata, mantenne il segreto sul Padre di quel Figlio, e protesse l’onore del suo vergine marito di questa vita.

Aggiungerò che Maometto afferma la verginità di Maria, ne difende l’onore contro le calunnie disonoranti del Talmud, che la diceva adultera: uomo d’onore, generoso nell’onorare.

Essere cinici, dire che Maria era incinta di Pandera, è ovviamente più «naturale» da credere, per chi all’onore ha rinunciato. Senza onore, persino l’umiltà è impossibile.

L’umiltà è l’accettazione volontaria delle ferite al proprio onore, giunge eroicamente a quella che Padre Pio chiamava «abiezione» («Sono malato fra gente a cui dò fastidio: ecco una buona abiezione»), ma essa suppone che uno abbia un onore da difendere, un patrimonio di dignità a cui rinunciare da vittima.

L’onore era un tempo instillato ai soldati. Da ciò si intuisce la differenza tra l’onore e la reputazione. Sul campo di battaglia puoi fare quasi tutto, violentare, rubare, uccidere inermi a piacere, vilipendere cadaveri. Ciò che ritiene è qualcosa che sta - deve stare - dentro il soldato, l’onore di sè. Sembra incredibile, oggi. Ma ancora la Wermacht si rifiutò a superare certi limiti, per ciò che andava oltre il limite c’era un corpo politico, le SS.

Non ci siamo più abituati, i soldati americani si disonorano ogni giorno in Iraq, preda della loro viltà che diventa ferocia; il loro presidente mente sapendo di mentire, di fronte a tutti; i soldati israeliani si disonorano sparando ai bambini a Gaza e distruggendo gli oliveti degli inermi coi cingoli. Quando tornano alla loro società, tornano come assassini a cui è stato concesso il diritto al disonore. La società sta già pagando il prezzo, per mano loro.

Come si ricostruisce l’onore in una società? Francamente non lo so. Quello europeo fu una lunga, complessa e sempre fragile creazione culturale. Occorrerebbe una cavalleria, una nobiltà, un’opinione pubblica che lo approvasse, un insegnamento all’onore.

Ma l’ultima difenditrice dell’onore - la ragazza che dopo aver dato la «prova d’amore» non è sposata, e perciò spara - è da gran tempo la macchietta di una commedia all’italiana, di cui si è perfino smesso di ridere.


fonte: M.Blondet

02 maggio 2008

Destra e sinistra


Destra e sinistra non esistono. Esiste un gruppo di affari. L'Italia è il suo business. Le nostre tasse sono le sue entrate. I media sono la sua voce. Non esistono giornalisti buoni e giornalisti cattivi. Esiste l'informazione di regime. E' solo una questione di sfumature tra l'Unità e il Giornale, tra il Tg1 e il Tg5. (...) L'informazione in Italia non si può più riformare. E' andata in metastasi nei consigli di amministrazione delle banche e delle industrie, negli uffici stampa dei partiti, nei salotti buoni.
Beppe Grillo, 28 aprile 2008

Chi scrive pensa che sull'informazione Beppe Grillo stia combattendo una battaglia giusta. Il regime dei media è in mano ai padroni del regime tour court: banche, grande industria, partiti. Gli editori sono impuri, cioè i loro profitti sono politici e affaristici (controllo dell'opinione pubblica, manovre finanziarie ed economiche, clientelismo, favori), e non provengono dai lettori. L'intreccio perverso Stato-stampa fin dalle fonti - gli "aiuti" pubblici alle agenzie di notizie - significa connivenza strutturale fra sistema politico e sistema mediatico. Il ricatto costante dello strapotere televisivo berlusconiano sulla raccolta pubblicitaria complessiva uccide in culla qualsiasi tenativo di informazione variegata e indipendente, dato che drena gran parte degli investimenti sull'etere sottraendoli alla carta e al web. I giornalisti sono servi scodinzolanti dei propri padroni, che nel dietro le quinte opportunamente occultato alla vista dell'opinione pubblica lucrano sulle spalle dei cittadini ignari.
Per questo abbiamo firmato per la triplice abolizione dell'ordine dei giornalisti, del finanziamento pubblico della stampa e della legge Gasparri. Perchè non crediamo all'ipocrisia della possibilità di "riformare". Consci, per altro, che non sarà con proposte referendarie - invalidate, per sovrappiù dalla vicinanza temporale con le elezioni politiche - che si potrà spodestare il Grande Fratello dei media pilotati. Ma consapevoli altresì che ogni sforzo di rivolta contro il Potere e di smascheramento della pravda ufficiale è benvenuto.
Questa Italietta conservatrice e imbelle affoga nella difesa dell'ordine costituito. Gli umori delle piazze riempite da Grillo sono sani, ancorchè senza una direttrice certa. Ma l'involuzione del Sacro Sistema Unito con un parlamento appiattito sempre più sul pensiero unico "consuma, produci, crepa" e una sempre più pressante stretta creditizia e sociale sulle nostre vite (col corredo di una domanda d'identità forte che per ora trova un misero e truffaldino sfogo in paraventi leghisti) produrrà gli anticorpi. O meglio, il necessario virus di una coscienza ribelle. Grillo sensibilizza. Ma servono risposte. Politiche e culturali.

Alessio Mannino

30 aprile 2008

Un popolo camaleontico

Il carro dei vincitori non riesce ad accogliere tutti i "saltatori". Immagini e pensieri che ritornano a luglio 2006 dove la nazionale di calcio conquistò la vetta più elevata. A roma non bastarono pullman scoperti per contenere tutta la folla. Adesso, è lo stesso caso. Un popolo che per forza o debolezza si adatta alla situazione vincente del caso. E' un bene o un male? Penso che non sia nè l'uno, nè l'altro è il DNA.

Spiaceva quasi, l’altroieri, sentire l’intera piazza San Carlo che sfanculava ogni dieci minuti Johnny Raiotta, il direttore del Tg1 che fa rimpiangere Mimun. Troppi vaffa per un solo ometto. Poi però uno rincasava, cercava il servizio del Tg1 di mezza sera su una manifestazione criticabilissima come tutte, ma imponente, che in un giorno ha raccolto 500mila firme per tre referendum. Invece, sorpresa (si fa per dire): nessun servizio, nessuna notizia, nemmeno una parola.

Molti e giusti servizi sul 25 aprile dei politici, sulle elezioni a Roma, sul caro-prezzi, sul ragazzino annegato, poi largo spazio alle due vere notizie del giorno: le torte in faccia al direttore del New York Times e la mostra riminese su Romolo e Remo (anzi, per dirla col novello premier, Remolo). Seguiva un pallosissimo Tv7 con lo stesso Raiotta, Tremonti, la Bonino e Mieli che discutevano per ore e ore di nonsisabenechecosa. Raiotta indossava eccezionalmente...
una giacca, forse per riguardo verso il direttore del Corriere. Questo sì che è servizio pubblico. Così, nel tentativo maldestro di contrastare - oscurandolo - il V-Day sull’informazione, Johnny Raiotta del Kansas City ne confermava e rafforzava le ragioni.

E anche i giornali di ieri facevano a gara nel dimostrare che Grillo, anche quando esagera, non esagera mai abbastanza. Il Giornale della ditta, giustamente allarmato dal referendum per cancellare la legge Gasparri, sguinzaglia per il terzo giorno consecutivo un piccolo sicario con le mèches in una strepitosa inchiesta a puntate: “La vera vita di Grillo”. Finora il segugio ossigenato ha scoperto, nell’ordine, che Grillo: da giovane andava a letto con ragazze; alcuni suoi amici, invidiosi, parlano male di lui; la sua villa a Genova consuma energia elettrica; ha avuto un tragico incidente stradale; è genovese e dunque tirchio (fosse nato ad Ankara, fumerebbe come un turco); nel suo orto ha sistemato una melanzana di plastica; ha avuto un figlio “nato purtroppo con dei problemi motori” (il giornalista è un cultore della privacy); e, quando fa spettacoli a pagamento, pretende addirittura di essere pagato. Insomma, un delinquente. E siamo solo alla terza puntata: chissà quali altri delitti il Pulitzer arcoriano - già difensore di Craxi, Berlusconi, Dell’Utri e Mangano - scoprirà a carico di Grillo.

Nell’attesa, il Giornale ha mandato al V2-Day un inviato di punta, Tony Damascelli. Il quale, mentre il Cainano riceve il camerata Ciarrapico, paragona Grillo a Mussolini chiamandolo Benito e poi si duole perché piazza San Carlo ha applaudito a lungo Montanelli (fondatore del Giornale quand’era una cosa seria) e Biagi, definito graziosamente “il grande disoccupato”. La scelta di inviare Damascelli non è casuale, trattandosi di un giornalista sospeso dall’Ordine dei Giornalisti perché spiava un collega del suo stesso quotidiano, Franco Ordine, spifferando in anteprima quel che scriveva all’amico Moggi. Siccome l’Ordine non è una cosa seria, lo spione non fu cacciato, ma solo sospeso per 4 mesi. E siccome Il Giornale non è (più) una cosa seria, anziché licenziarlo l’ha spostato in cronaca. E l’ha mandato al V-Day che aveva di mira, fra l’altro, l’Ordine dei Giornalisti. Geniale.

Il Foglio, per dimostrare l’ottima salute di cui gode l’informazione, pubblicava proprio ieri un articolo di Roberto Ciuni, ex P2. Ma, oltre ai giornalisti-cimice, abbiamo pure i giornalisti-medium. Quelli che non han bisogno di assistere a un fatto per raccontarlo: prescindono dal fattore spazio-temporale. Il Riformista, alla vigilia del V-Day, già sapeva che sarebbe stata una manifestazione terroristica, “con minacce in stile Br ai giornalisti servi” (“Le Grillate rosse”). Ecco chi erano i 100 mila in piazza San Carlo: brigatisti. Francesco Merlo se ne sta addirittura a Parigi: di lì, armato di un telescopio potentissimo, riesce a vedere e a spiegare agli italiani quel che accade in Italia. Ieri ha scritto su Repubblica che “in Italia c’è sovrapproduzione di informazione” (testuale): ce ne vorrebbe un po’ meno, ecco.

Quanto a Grillo, è “in crisi” (2 milioni di persone in 45 piazze) e “non riesce a far ridere” (strano: ridevano tutti). Poi, citando Alberoni (mica uno qualsiasi: Alberoni), ha sostenuto che “in piazza c’erano umori che non s’identificano con Grillo”. Ecco, Merlo è così bravo che, appollaiato tra Montmartre e gli Champs Elysées, riesce a penetrare la mente e gli umori dei cittadini in piazza a Torino, Milano, Bologna, Roma. E spiega loro che cosa effettivamente pensano. Più che un giornalista, un paragnosta. Finchè potrà contare su fenomeni così, l’informazione in Italia è salva. Di che si lamentano, allora, Grillo e gli italiani?

fonte:by voglioscendere

03 maggio 2008

Una società con poco onore


Alla scuola media di Sant’Antimo (Napoli) cinque ragazzi si esibiscono per far vedere chi ce l’ha più lungo. Tirano fuori gli organi sessuali. A scuola. Giudice della gara, una insegnante di 40 anni, ora denunciata con gli scolari alla procura.

A Lugagnano, Verona, massacro dei due coniugi Luciana e Luigi Meche, villetta con piscina: l’assassino, un ventenne romeno, sostiene di aver ricevuto avances sessuali da lui (60 anni), e «gli elementi di prova che gli investigatori hanno raccolro nell’abitazione, la posizione dei corpi, la possibilità che al momento della morte Meche fosse nudo», tendono a dar ragione al ragazzo. Che paese siamo?

Dostojevsky scrive da qualche parte, nei «Demoni» (o meglio, «Posseduti»): offrite agli uomini il diritto al disonore, e sarete sicuri di vederceli accorrere in massa, con voluttà. La frase rischia di essere enigmatica. Il concetto di «onore» da gran tempo è abbandonato. Evoca al massimo qualche commedia all’italiana, il «delitto d’onore» ridicolizzato in molti film di quarant’anni fa.

Effettivamente - lo dico per i più giovani - ancora negli anni ‘50, un marito che scopriva la moglie «in flagrante» con un amante, uccidendo tutt’e due, aveva dalla sua la clemenza del codice. Egualmente una giovane, che avesse dato la verginità sotto promessa di matrimonio, se poi lui non avesse mantenuto la promessa, poteva uccidere con qualche diritto, perchè il suo onore era stato tradito. Ridicolo. Cosa da Paesi islamici.

Ma Tolstoi, in un breve bellissimo romanzo («Sonata a Kreutzer») racconta di un marito che s’accorge, dall’intesa con cui sua moglie al piano accompagna il suo insegnante di musica che suona violino, mentre appunto eseguono la «Sonata a Kreutzer», che tra i due è consumato l’adulterio; forse solo nell’anima, ma non importa. Li uccide, e «i giurati lo assolsero».

Di fatto, anche in Russia, anche nelle legislazioni europee, non molto tempo fa, l’onore era qualcosa che veniva preso molto sul serio. Adulteri avvenivano, come sempre, ma erano anche fisicamente pericolosi.

Oggi non si capisce nemmeno più bene che cosa significhi, «onore», e la necessità di salvaguardarlo. Lo si confonde, temo, con la reputazione, il «cosa dirà la gente».

Così, il pathos di un’intera grande letteratura europea si stinge per noi, banalmente. Se c’è ancora chi riesce a leggere Madame Bovary, magari sbuffa: quante storia per una scopata! E’ il racconto, psicologicamente insuperabile, di come una moglie, a poco a poco, si concede il diritto al disonore. Anna Karenina, è la storia di una donna che, irresistibilmente, cade nel disonore. Persino l’eros che rende intensi quei romanzi diventa scipito, a chi non sa cosa sia l’onore.

Il gran romanzo di Proust è, anche, la piccante o mostruosa rivelazione di come una folla di persone onorate e onorevoli, in realtà si disonorino in vizii segreti; la rivelazione che la società ha falle occulte e bassifondi ripugnanti, dove ci si rivoltola nel disonore.

Ancor più chiuso, enigmatico alla nostra compressione contemporanea, è «Cuore di Tenebra» di Conrad, perchè lì non si tratta di onore sessuale, ma di ben altro. Kurtz, il funzionario della compagnia belga, che dal fondo della foresta congolese manda una quantità prodigiosa di zanne d’elefante - come scoprirà l’io narrante alla fine della risalita sul tenebroso fiume - si è fatto capo di una tribù negra, che ha soggiogato e che lo adora come un dio.

Kurtz ha rinunciato all’onore dell’uomo bianco pur mantenendone tutte le conoscenze, ha usato la civiltà per avere il potere più brutale. Ed ha orrore di sè stesso. «L’orrore, l’orrore», sono le ultime parole di Kurtz.

Ma noi non lo capiamo: orrore di che? Il fatto è che di Kurtz ne abbiamo a migliaia attorno e sopra di noi. La figura che Conrad prefigura è il dittatore tecnologico e neo-selvaggio, che abusa senza limiti dei mezzi della civiltà avendo rinunciato al decoro civile perchè lo sente come ostacolo, ossia quella che ha dominato il ventesimo secolo.

Dostojevsky ne aveva già dato una versione: nei «Posseduti» c’è un personaggio, Chigalev, ossessionato dall’ideologia dell’uguaglianza assoluta da stabilire tra gli uomini, il quale conclude che l’uguaglianza dovrà essere imposta col sopruso.

E dice: «La calunnia e l’assassinio nei casi estremi, ma soprattutto l’uguaglianza»: è la profezia del sistema sovietico, della sua polizia torturatrice e concentrazionaria, senza onore (la calunnia è ancor più disonorante dell’omicidio). Ma non lo capiamo, perchè ci abbiamo fatto il callo.

Oggi, il diritto al disonore è banalizzato, di massa, nella scuola di Sant’Antimo come a Lugagnano. Faremo il callo anche a questo, già lo stiamo facendo.

Non faccio la predica da chissà quale altezza morale, anch’io sono cresciuto e vissuto in una società che da gran tempo s’è data il diritto al disonore. Anch’io ho poco senso dell’onore. Le prove di questa insensibilità sono dovunque.

Il senatore a vita ottantenne Emilio Colombo, che manda la scorta che gli è data (agenti della Finanza) a comprargli la cocaina, è un uomo senza onore perchè resta al suo posto. Disonora il Senato, il quale si disonora per conto suo non esigendo da lui di dimettersi. Un presidente della repubblica eletto alla massima carica dopo essere stato rimproverato dalla Comunità Europea per aver rubacchiato sulle note spese, è un caso disonorevole; che felicemente accettiamo ed applaudiamo quando parla altamente a nostro nome.

Ciò ha naturalmente gravi conseguenze su tutta la società, la fa marcire. Perchè in realtà, facciamo finta di accettare i richiami alla Costituzione, alla legalità, alla Resistenza, che ci vengono dalle «istituzioni» e dal suo vertice - anche i giornalisti e i politici che fingono di aderire, untuosi, nel «rispetto per il capo dello Stato» - sanno che è solo una finzione.

L’ufficialità istituzionale è diventata radicalmente finzione, nessuno si sente tenuto a comportarsi con coerenza con quelle parole. L’ordine alla padre Zappata - fate quel che dico, non quel che faccio - non ha alcuna forza di convinzione, al contrario è un incitamento coperto al disonore generale.

Così, le Caste disonorate rafforzano il loro potere difendendo i propri interessi, i politici non si sentono impegnati dalle loro promesse, gli impiegati pubblici alle prestazioni; rubano i sindacati e la Telecom, i fabbricanti di vino si concedono di adulterare, quasi ciascuno si concede l’adulterio senza conseguenze, si scoprono insegnanti privi di senso dell’onore come a Sant’Antimo, coppie mature porno a Lugagnano, gente che non restituisce i prestiti all’amico, ma li restituisce all’usuraio (perchè lui ti minaccia fisicamente), ragazzine indecenti cubiste a 12 anni, verginità gettate nei cessi di una discoteca, ubriachi che ammazzano passanti e fuggono senza soccorrerli, per sfuggire alla responsabilità; vigili con il falso permesso di invalidi sull’auto... alla fine, tutta la parossistica «insicurezza» che proviamo dipende, forse, meno dagli immigrati, che da noi stessi: non ci possiamo più fidare gli uni degli altri, mai.

Sappiamo che colui che ci parla non ha onore, che è pronto - per il suo tornaconto o il suo piacere momentaneo - a disonorarsi. E invochiamo la dittatura delle leggi penali: è la dittatura dei procuratori, spie delle nostre vite e pronti a sbatterci in galera, sotto cui finisce - inevitabilmente - una disonorata società.

L’8 settembre del ‘43 fu per la maggioranza degli italiani il giorno in cui si concessero il diritto al disonore. «Tutti a casa», la «liberazione». Ci furono minoranze che scelsero una parte o l’altra per onore, per tener fede a un giuramento: la metà di queste minoranze è vilipesa per aver scelto «la parte sbagliata», ossia la perdente, in cui non c’era nulla da guadagnare.

Ciò ha oscurato per sempre ogni chiaro senso dell’onore, e impedisce la nostra guarigione. Anche la metà vincente non sta meglio, se ha cominciato con l’eleggere Moranino (un assassino di massa, partigiano rosso) ed ha finito per eleggere Vlad Luxuria, accolta peraltro senza una piega da un parlamento dove un terzo dei nostri rappresentanti tira di coca, e se uno è scoperto in albergo con due puttane, non sente l’obbligo di dimettersi per indegnità.

La parabola discendente ha la forza di una parabola di Esopo: «de te fabula narratur», disonorata società che accetti da te stessa l’inaccettabile.

Potrà sembrare un discorso passatista. Mi domando però se, senza onore, si possa essere perfino cristiani, o credenti veri. Non so se possiamo comprendere che l’intimo rapporto fra Maria e Giuseppe fu un delicato rapporto di onore.

Giuseppe, prendendo Maria incinta per moglie, la salvò dalla lapidazione che toccava alle adultere, e ne salvò l’onore (Lei, come un agnello, non disse una parola per il proprio onore). Lei, delicata, mantenne il segreto sul Padre di quel Figlio, e protesse l’onore del suo vergine marito di questa vita.

Aggiungerò che Maometto afferma la verginità di Maria, ne difende l’onore contro le calunnie disonoranti del Talmud, che la diceva adultera: uomo d’onore, generoso nell’onorare.

Essere cinici, dire che Maria era incinta di Pandera, è ovviamente più «naturale» da credere, per chi all’onore ha rinunciato. Senza onore, persino l’umiltà è impossibile.

L’umiltà è l’accettazione volontaria delle ferite al proprio onore, giunge eroicamente a quella che Padre Pio chiamava «abiezione» («Sono malato fra gente a cui dò fastidio: ecco una buona abiezione»), ma essa suppone che uno abbia un onore da difendere, un patrimonio di dignità a cui rinunciare da vittima.

L’onore era un tempo instillato ai soldati. Da ciò si intuisce la differenza tra l’onore e la reputazione. Sul campo di battaglia puoi fare quasi tutto, violentare, rubare, uccidere inermi a piacere, vilipendere cadaveri. Ciò che ritiene è qualcosa che sta - deve stare - dentro il soldato, l’onore di sè. Sembra incredibile, oggi. Ma ancora la Wermacht si rifiutò a superare certi limiti, per ciò che andava oltre il limite c’era un corpo politico, le SS.

Non ci siamo più abituati, i soldati americani si disonorano ogni giorno in Iraq, preda della loro viltà che diventa ferocia; il loro presidente mente sapendo di mentire, di fronte a tutti; i soldati israeliani si disonorano sparando ai bambini a Gaza e distruggendo gli oliveti degli inermi coi cingoli. Quando tornano alla loro società, tornano come assassini a cui è stato concesso il diritto al disonore. La società sta già pagando il prezzo, per mano loro.

Come si ricostruisce l’onore in una società? Francamente non lo so. Quello europeo fu una lunga, complessa e sempre fragile creazione culturale. Occorrerebbe una cavalleria, una nobiltà, un’opinione pubblica che lo approvasse, un insegnamento all’onore.

Ma l’ultima difenditrice dell’onore - la ragazza che dopo aver dato la «prova d’amore» non è sposata, e perciò spara - è da gran tempo la macchietta di una commedia all’italiana, di cui si è perfino smesso di ridere.


fonte: M.Blondet

02 maggio 2008

Destra e sinistra


Destra e sinistra non esistono. Esiste un gruppo di affari. L'Italia è il suo business. Le nostre tasse sono le sue entrate. I media sono la sua voce. Non esistono giornalisti buoni e giornalisti cattivi. Esiste l'informazione di regime. E' solo una questione di sfumature tra l'Unità e il Giornale, tra il Tg1 e il Tg5. (...) L'informazione in Italia non si può più riformare. E' andata in metastasi nei consigli di amministrazione delle banche e delle industrie, negli uffici stampa dei partiti, nei salotti buoni.
Beppe Grillo, 28 aprile 2008

Chi scrive pensa che sull'informazione Beppe Grillo stia combattendo una battaglia giusta. Il regime dei media è in mano ai padroni del regime tour court: banche, grande industria, partiti. Gli editori sono impuri, cioè i loro profitti sono politici e affaristici (controllo dell'opinione pubblica, manovre finanziarie ed economiche, clientelismo, favori), e non provengono dai lettori. L'intreccio perverso Stato-stampa fin dalle fonti - gli "aiuti" pubblici alle agenzie di notizie - significa connivenza strutturale fra sistema politico e sistema mediatico. Il ricatto costante dello strapotere televisivo berlusconiano sulla raccolta pubblicitaria complessiva uccide in culla qualsiasi tenativo di informazione variegata e indipendente, dato che drena gran parte degli investimenti sull'etere sottraendoli alla carta e al web. I giornalisti sono servi scodinzolanti dei propri padroni, che nel dietro le quinte opportunamente occultato alla vista dell'opinione pubblica lucrano sulle spalle dei cittadini ignari.
Per questo abbiamo firmato per la triplice abolizione dell'ordine dei giornalisti, del finanziamento pubblico della stampa e della legge Gasparri. Perchè non crediamo all'ipocrisia della possibilità di "riformare". Consci, per altro, che non sarà con proposte referendarie - invalidate, per sovrappiù dalla vicinanza temporale con le elezioni politiche - che si potrà spodestare il Grande Fratello dei media pilotati. Ma consapevoli altresì che ogni sforzo di rivolta contro il Potere e di smascheramento della pravda ufficiale è benvenuto.
Questa Italietta conservatrice e imbelle affoga nella difesa dell'ordine costituito. Gli umori delle piazze riempite da Grillo sono sani, ancorchè senza una direttrice certa. Ma l'involuzione del Sacro Sistema Unito con un parlamento appiattito sempre più sul pensiero unico "consuma, produci, crepa" e una sempre più pressante stretta creditizia e sociale sulle nostre vite (col corredo di una domanda d'identità forte che per ora trova un misero e truffaldino sfogo in paraventi leghisti) produrrà gli anticorpi. O meglio, il necessario virus di una coscienza ribelle. Grillo sensibilizza. Ma servono risposte. Politiche e culturali.

Alessio Mannino

30 aprile 2008

Un popolo camaleontico

Il carro dei vincitori non riesce ad accogliere tutti i "saltatori". Immagini e pensieri che ritornano a luglio 2006 dove la nazionale di calcio conquistò la vetta più elevata. A roma non bastarono pullman scoperti per contenere tutta la folla. Adesso, è lo stesso caso. Un popolo che per forza o debolezza si adatta alla situazione vincente del caso. E' un bene o un male? Penso che non sia nè l'uno, nè l'altro è il DNA.

Spiaceva quasi, l’altroieri, sentire l’intera piazza San Carlo che sfanculava ogni dieci minuti Johnny Raiotta, il direttore del Tg1 che fa rimpiangere Mimun. Troppi vaffa per un solo ometto. Poi però uno rincasava, cercava il servizio del Tg1 di mezza sera su una manifestazione criticabilissima come tutte, ma imponente, che in un giorno ha raccolto 500mila firme per tre referendum. Invece, sorpresa (si fa per dire): nessun servizio, nessuna notizia, nemmeno una parola.

Molti e giusti servizi sul 25 aprile dei politici, sulle elezioni a Roma, sul caro-prezzi, sul ragazzino annegato, poi largo spazio alle due vere notizie del giorno: le torte in faccia al direttore del New York Times e la mostra riminese su Romolo e Remo (anzi, per dirla col novello premier, Remolo). Seguiva un pallosissimo Tv7 con lo stesso Raiotta, Tremonti, la Bonino e Mieli che discutevano per ore e ore di nonsisabenechecosa. Raiotta indossava eccezionalmente...
una giacca, forse per riguardo verso il direttore del Corriere. Questo sì che è servizio pubblico. Così, nel tentativo maldestro di contrastare - oscurandolo - il V-Day sull’informazione, Johnny Raiotta del Kansas City ne confermava e rafforzava le ragioni.

E anche i giornali di ieri facevano a gara nel dimostrare che Grillo, anche quando esagera, non esagera mai abbastanza. Il Giornale della ditta, giustamente allarmato dal referendum per cancellare la legge Gasparri, sguinzaglia per il terzo giorno consecutivo un piccolo sicario con le mèches in una strepitosa inchiesta a puntate: “La vera vita di Grillo”. Finora il segugio ossigenato ha scoperto, nell’ordine, che Grillo: da giovane andava a letto con ragazze; alcuni suoi amici, invidiosi, parlano male di lui; la sua villa a Genova consuma energia elettrica; ha avuto un tragico incidente stradale; è genovese e dunque tirchio (fosse nato ad Ankara, fumerebbe come un turco); nel suo orto ha sistemato una melanzana di plastica; ha avuto un figlio “nato purtroppo con dei problemi motori” (il giornalista è un cultore della privacy); e, quando fa spettacoli a pagamento, pretende addirittura di essere pagato. Insomma, un delinquente. E siamo solo alla terza puntata: chissà quali altri delitti il Pulitzer arcoriano - già difensore di Craxi, Berlusconi, Dell’Utri e Mangano - scoprirà a carico di Grillo.

Nell’attesa, il Giornale ha mandato al V2-Day un inviato di punta, Tony Damascelli. Il quale, mentre il Cainano riceve il camerata Ciarrapico, paragona Grillo a Mussolini chiamandolo Benito e poi si duole perché piazza San Carlo ha applaudito a lungo Montanelli (fondatore del Giornale quand’era una cosa seria) e Biagi, definito graziosamente “il grande disoccupato”. La scelta di inviare Damascelli non è casuale, trattandosi di un giornalista sospeso dall’Ordine dei Giornalisti perché spiava un collega del suo stesso quotidiano, Franco Ordine, spifferando in anteprima quel che scriveva all’amico Moggi. Siccome l’Ordine non è una cosa seria, lo spione non fu cacciato, ma solo sospeso per 4 mesi. E siccome Il Giornale non è (più) una cosa seria, anziché licenziarlo l’ha spostato in cronaca. E l’ha mandato al V-Day che aveva di mira, fra l’altro, l’Ordine dei Giornalisti. Geniale.

Il Foglio, per dimostrare l’ottima salute di cui gode l’informazione, pubblicava proprio ieri un articolo di Roberto Ciuni, ex P2. Ma, oltre ai giornalisti-cimice, abbiamo pure i giornalisti-medium. Quelli che non han bisogno di assistere a un fatto per raccontarlo: prescindono dal fattore spazio-temporale. Il Riformista, alla vigilia del V-Day, già sapeva che sarebbe stata una manifestazione terroristica, “con minacce in stile Br ai giornalisti servi” (“Le Grillate rosse”). Ecco chi erano i 100 mila in piazza San Carlo: brigatisti. Francesco Merlo se ne sta addirittura a Parigi: di lì, armato di un telescopio potentissimo, riesce a vedere e a spiegare agli italiani quel che accade in Italia. Ieri ha scritto su Repubblica che “in Italia c’è sovrapproduzione di informazione” (testuale): ce ne vorrebbe un po’ meno, ecco.

Quanto a Grillo, è “in crisi” (2 milioni di persone in 45 piazze) e “non riesce a far ridere” (strano: ridevano tutti). Poi, citando Alberoni (mica uno qualsiasi: Alberoni), ha sostenuto che “in piazza c’erano umori che non s’identificano con Grillo”. Ecco, Merlo è così bravo che, appollaiato tra Montmartre e gli Champs Elysées, riesce a penetrare la mente e gli umori dei cittadini in piazza a Torino, Milano, Bologna, Roma. E spiega loro che cosa effettivamente pensano. Più che un giornalista, un paragnosta. Finchè potrà contare su fenomeni così, l’informazione in Italia è salva. Di che si lamentano, allora, Grillo e gli italiani?

fonte:by voglioscendere