03 maggio 2008

Una società con poco onore


Alla scuola media di Sant’Antimo (Napoli) cinque ragazzi si esibiscono per far vedere chi ce l’ha più lungo. Tirano fuori gli organi sessuali. A scuola. Giudice della gara, una insegnante di 40 anni, ora denunciata con gli scolari alla procura.

A Lugagnano, Verona, massacro dei due coniugi Luciana e Luigi Meche, villetta con piscina: l’assassino, un ventenne romeno, sostiene di aver ricevuto avances sessuali da lui (60 anni), e «gli elementi di prova che gli investigatori hanno raccolro nell’abitazione, la posizione dei corpi, la possibilità che al momento della morte Meche fosse nudo», tendono a dar ragione al ragazzo. Che paese siamo?

Dostojevsky scrive da qualche parte, nei «Demoni» (o meglio, «Posseduti»): offrite agli uomini il diritto al disonore, e sarete sicuri di vederceli accorrere in massa, con voluttà. La frase rischia di essere enigmatica. Il concetto di «onore» da gran tempo è abbandonato. Evoca al massimo qualche commedia all’italiana, il «delitto d’onore» ridicolizzato in molti film di quarant’anni fa.

Effettivamente - lo dico per i più giovani - ancora negli anni ‘50, un marito che scopriva la moglie «in flagrante» con un amante, uccidendo tutt’e due, aveva dalla sua la clemenza del codice. Egualmente una giovane, che avesse dato la verginità sotto promessa di matrimonio, se poi lui non avesse mantenuto la promessa, poteva uccidere con qualche diritto, perchè il suo onore era stato tradito. Ridicolo. Cosa da Paesi islamici.

Ma Tolstoi, in un breve bellissimo romanzo («Sonata a Kreutzer») racconta di un marito che s’accorge, dall’intesa con cui sua moglie al piano accompagna il suo insegnante di musica che suona violino, mentre appunto eseguono la «Sonata a Kreutzer», che tra i due è consumato l’adulterio; forse solo nell’anima, ma non importa. Li uccide, e «i giurati lo assolsero».

Di fatto, anche in Russia, anche nelle legislazioni europee, non molto tempo fa, l’onore era qualcosa che veniva preso molto sul serio. Adulteri avvenivano, come sempre, ma erano anche fisicamente pericolosi.

Oggi non si capisce nemmeno più bene che cosa significhi, «onore», e la necessità di salvaguardarlo. Lo si confonde, temo, con la reputazione, il «cosa dirà la gente».

Così, il pathos di un’intera grande letteratura europea si stinge per noi, banalmente. Se c’è ancora chi riesce a leggere Madame Bovary, magari sbuffa: quante storia per una scopata! E’ il racconto, psicologicamente insuperabile, di come una moglie, a poco a poco, si concede il diritto al disonore. Anna Karenina, è la storia di una donna che, irresistibilmente, cade nel disonore. Persino l’eros che rende intensi quei romanzi diventa scipito, a chi non sa cosa sia l’onore.

Il gran romanzo di Proust è, anche, la piccante o mostruosa rivelazione di come una folla di persone onorate e onorevoli, in realtà si disonorino in vizii segreti; la rivelazione che la società ha falle occulte e bassifondi ripugnanti, dove ci si rivoltola nel disonore.

Ancor più chiuso, enigmatico alla nostra compressione contemporanea, è «Cuore di Tenebra» di Conrad, perchè lì non si tratta di onore sessuale, ma di ben altro. Kurtz, il funzionario della compagnia belga, che dal fondo della foresta congolese manda una quantità prodigiosa di zanne d’elefante - come scoprirà l’io narrante alla fine della risalita sul tenebroso fiume - si è fatto capo di una tribù negra, che ha soggiogato e che lo adora come un dio.

Kurtz ha rinunciato all’onore dell’uomo bianco pur mantenendone tutte le conoscenze, ha usato la civiltà per avere il potere più brutale. Ed ha orrore di sè stesso. «L’orrore, l’orrore», sono le ultime parole di Kurtz.

Ma noi non lo capiamo: orrore di che? Il fatto è che di Kurtz ne abbiamo a migliaia attorno e sopra di noi. La figura che Conrad prefigura è il dittatore tecnologico e neo-selvaggio, che abusa senza limiti dei mezzi della civiltà avendo rinunciato al decoro civile perchè lo sente come ostacolo, ossia quella che ha dominato il ventesimo secolo.

Dostojevsky ne aveva già dato una versione: nei «Posseduti» c’è un personaggio, Chigalev, ossessionato dall’ideologia dell’uguaglianza assoluta da stabilire tra gli uomini, il quale conclude che l’uguaglianza dovrà essere imposta col sopruso.

E dice: «La calunnia e l’assassinio nei casi estremi, ma soprattutto l’uguaglianza»: è la profezia del sistema sovietico, della sua polizia torturatrice e concentrazionaria, senza onore (la calunnia è ancor più disonorante dell’omicidio). Ma non lo capiamo, perchè ci abbiamo fatto il callo.

Oggi, il diritto al disonore è banalizzato, di massa, nella scuola di Sant’Antimo come a Lugagnano. Faremo il callo anche a questo, già lo stiamo facendo.

Non faccio la predica da chissà quale altezza morale, anch’io sono cresciuto e vissuto in una società che da gran tempo s’è data il diritto al disonore. Anch’io ho poco senso dell’onore. Le prove di questa insensibilità sono dovunque.

Il senatore a vita ottantenne Emilio Colombo, che manda la scorta che gli è data (agenti della Finanza) a comprargli la cocaina, è un uomo senza onore perchè resta al suo posto. Disonora il Senato, il quale si disonora per conto suo non esigendo da lui di dimettersi. Un presidente della repubblica eletto alla massima carica dopo essere stato rimproverato dalla Comunità Europea per aver rubacchiato sulle note spese, è un caso disonorevole; che felicemente accettiamo ed applaudiamo quando parla altamente a nostro nome.

Ciò ha naturalmente gravi conseguenze su tutta la società, la fa marcire. Perchè in realtà, facciamo finta di accettare i richiami alla Costituzione, alla legalità, alla Resistenza, che ci vengono dalle «istituzioni» e dal suo vertice - anche i giornalisti e i politici che fingono di aderire, untuosi, nel «rispetto per il capo dello Stato» - sanno che è solo una finzione.

L’ufficialità istituzionale è diventata radicalmente finzione, nessuno si sente tenuto a comportarsi con coerenza con quelle parole. L’ordine alla padre Zappata - fate quel che dico, non quel che faccio - non ha alcuna forza di convinzione, al contrario è un incitamento coperto al disonore generale.

Così, le Caste disonorate rafforzano il loro potere difendendo i propri interessi, i politici non si sentono impegnati dalle loro promesse, gli impiegati pubblici alle prestazioni; rubano i sindacati e la Telecom, i fabbricanti di vino si concedono di adulterare, quasi ciascuno si concede l’adulterio senza conseguenze, si scoprono insegnanti privi di senso dell’onore come a Sant’Antimo, coppie mature porno a Lugagnano, gente che non restituisce i prestiti all’amico, ma li restituisce all’usuraio (perchè lui ti minaccia fisicamente), ragazzine indecenti cubiste a 12 anni, verginità gettate nei cessi di una discoteca, ubriachi che ammazzano passanti e fuggono senza soccorrerli, per sfuggire alla responsabilità; vigili con il falso permesso di invalidi sull’auto... alla fine, tutta la parossistica «insicurezza» che proviamo dipende, forse, meno dagli immigrati, che da noi stessi: non ci possiamo più fidare gli uni degli altri, mai.

Sappiamo che colui che ci parla non ha onore, che è pronto - per il suo tornaconto o il suo piacere momentaneo - a disonorarsi. E invochiamo la dittatura delle leggi penali: è la dittatura dei procuratori, spie delle nostre vite e pronti a sbatterci in galera, sotto cui finisce - inevitabilmente - una disonorata società.

L’8 settembre del ‘43 fu per la maggioranza degli italiani il giorno in cui si concessero il diritto al disonore. «Tutti a casa», la «liberazione». Ci furono minoranze che scelsero una parte o l’altra per onore, per tener fede a un giuramento: la metà di queste minoranze è vilipesa per aver scelto «la parte sbagliata», ossia la perdente, in cui non c’era nulla da guadagnare.

Ciò ha oscurato per sempre ogni chiaro senso dell’onore, e impedisce la nostra guarigione. Anche la metà vincente non sta meglio, se ha cominciato con l’eleggere Moranino (un assassino di massa, partigiano rosso) ed ha finito per eleggere Vlad Luxuria, accolta peraltro senza una piega da un parlamento dove un terzo dei nostri rappresentanti tira di coca, e se uno è scoperto in albergo con due puttane, non sente l’obbligo di dimettersi per indegnità.

La parabola discendente ha la forza di una parabola di Esopo: «de te fabula narratur», disonorata società che accetti da te stessa l’inaccettabile.

Potrà sembrare un discorso passatista. Mi domando però se, senza onore, si possa essere perfino cristiani, o credenti veri. Non so se possiamo comprendere che l’intimo rapporto fra Maria e Giuseppe fu un delicato rapporto di onore.

Giuseppe, prendendo Maria incinta per moglie, la salvò dalla lapidazione che toccava alle adultere, e ne salvò l’onore (Lei, come un agnello, non disse una parola per il proprio onore). Lei, delicata, mantenne il segreto sul Padre di quel Figlio, e protesse l’onore del suo vergine marito di questa vita.

Aggiungerò che Maometto afferma la verginità di Maria, ne difende l’onore contro le calunnie disonoranti del Talmud, che la diceva adultera: uomo d’onore, generoso nell’onorare.

Essere cinici, dire che Maria era incinta di Pandera, è ovviamente più «naturale» da credere, per chi all’onore ha rinunciato. Senza onore, persino l’umiltà è impossibile.

L’umiltà è l’accettazione volontaria delle ferite al proprio onore, giunge eroicamente a quella che Padre Pio chiamava «abiezione» («Sono malato fra gente a cui dò fastidio: ecco una buona abiezione»), ma essa suppone che uno abbia un onore da difendere, un patrimonio di dignità a cui rinunciare da vittima.

L’onore era un tempo instillato ai soldati. Da ciò si intuisce la differenza tra l’onore e la reputazione. Sul campo di battaglia puoi fare quasi tutto, violentare, rubare, uccidere inermi a piacere, vilipendere cadaveri. Ciò che ritiene è qualcosa che sta - deve stare - dentro il soldato, l’onore di sè. Sembra incredibile, oggi. Ma ancora la Wermacht si rifiutò a superare certi limiti, per ciò che andava oltre il limite c’era un corpo politico, le SS.

Non ci siamo più abituati, i soldati americani si disonorano ogni giorno in Iraq, preda della loro viltà che diventa ferocia; il loro presidente mente sapendo di mentire, di fronte a tutti; i soldati israeliani si disonorano sparando ai bambini a Gaza e distruggendo gli oliveti degli inermi coi cingoli. Quando tornano alla loro società, tornano come assassini a cui è stato concesso il diritto al disonore. La società sta già pagando il prezzo, per mano loro.

Come si ricostruisce l’onore in una società? Francamente non lo so. Quello europeo fu una lunga, complessa e sempre fragile creazione culturale. Occorrerebbe una cavalleria, una nobiltà, un’opinione pubblica che lo approvasse, un insegnamento all’onore.

Ma l’ultima difenditrice dell’onore - la ragazza che dopo aver dato la «prova d’amore» non è sposata, e perciò spara - è da gran tempo la macchietta di una commedia all’italiana, di cui si è perfino smesso di ridere.


fonte: M.Blondet

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03 maggio 2008

Una società con poco onore


Alla scuola media di Sant’Antimo (Napoli) cinque ragazzi si esibiscono per far vedere chi ce l’ha più lungo. Tirano fuori gli organi sessuali. A scuola. Giudice della gara, una insegnante di 40 anni, ora denunciata con gli scolari alla procura.

A Lugagnano, Verona, massacro dei due coniugi Luciana e Luigi Meche, villetta con piscina: l’assassino, un ventenne romeno, sostiene di aver ricevuto avances sessuali da lui (60 anni), e «gli elementi di prova che gli investigatori hanno raccolro nell’abitazione, la posizione dei corpi, la possibilità che al momento della morte Meche fosse nudo», tendono a dar ragione al ragazzo. Che paese siamo?

Dostojevsky scrive da qualche parte, nei «Demoni» (o meglio, «Posseduti»): offrite agli uomini il diritto al disonore, e sarete sicuri di vederceli accorrere in massa, con voluttà. La frase rischia di essere enigmatica. Il concetto di «onore» da gran tempo è abbandonato. Evoca al massimo qualche commedia all’italiana, il «delitto d’onore» ridicolizzato in molti film di quarant’anni fa.

Effettivamente - lo dico per i più giovani - ancora negli anni ‘50, un marito che scopriva la moglie «in flagrante» con un amante, uccidendo tutt’e due, aveva dalla sua la clemenza del codice. Egualmente una giovane, che avesse dato la verginità sotto promessa di matrimonio, se poi lui non avesse mantenuto la promessa, poteva uccidere con qualche diritto, perchè il suo onore era stato tradito. Ridicolo. Cosa da Paesi islamici.

Ma Tolstoi, in un breve bellissimo romanzo («Sonata a Kreutzer») racconta di un marito che s’accorge, dall’intesa con cui sua moglie al piano accompagna il suo insegnante di musica che suona violino, mentre appunto eseguono la «Sonata a Kreutzer», che tra i due è consumato l’adulterio; forse solo nell’anima, ma non importa. Li uccide, e «i giurati lo assolsero».

Di fatto, anche in Russia, anche nelle legislazioni europee, non molto tempo fa, l’onore era qualcosa che veniva preso molto sul serio. Adulteri avvenivano, come sempre, ma erano anche fisicamente pericolosi.

Oggi non si capisce nemmeno più bene che cosa significhi, «onore», e la necessità di salvaguardarlo. Lo si confonde, temo, con la reputazione, il «cosa dirà la gente».

Così, il pathos di un’intera grande letteratura europea si stinge per noi, banalmente. Se c’è ancora chi riesce a leggere Madame Bovary, magari sbuffa: quante storia per una scopata! E’ il racconto, psicologicamente insuperabile, di come una moglie, a poco a poco, si concede il diritto al disonore. Anna Karenina, è la storia di una donna che, irresistibilmente, cade nel disonore. Persino l’eros che rende intensi quei romanzi diventa scipito, a chi non sa cosa sia l’onore.

Il gran romanzo di Proust è, anche, la piccante o mostruosa rivelazione di come una folla di persone onorate e onorevoli, in realtà si disonorino in vizii segreti; la rivelazione che la società ha falle occulte e bassifondi ripugnanti, dove ci si rivoltola nel disonore.

Ancor più chiuso, enigmatico alla nostra compressione contemporanea, è «Cuore di Tenebra» di Conrad, perchè lì non si tratta di onore sessuale, ma di ben altro. Kurtz, il funzionario della compagnia belga, che dal fondo della foresta congolese manda una quantità prodigiosa di zanne d’elefante - come scoprirà l’io narrante alla fine della risalita sul tenebroso fiume - si è fatto capo di una tribù negra, che ha soggiogato e che lo adora come un dio.

Kurtz ha rinunciato all’onore dell’uomo bianco pur mantenendone tutte le conoscenze, ha usato la civiltà per avere il potere più brutale. Ed ha orrore di sè stesso. «L’orrore, l’orrore», sono le ultime parole di Kurtz.

Ma noi non lo capiamo: orrore di che? Il fatto è che di Kurtz ne abbiamo a migliaia attorno e sopra di noi. La figura che Conrad prefigura è il dittatore tecnologico e neo-selvaggio, che abusa senza limiti dei mezzi della civiltà avendo rinunciato al decoro civile perchè lo sente come ostacolo, ossia quella che ha dominato il ventesimo secolo.

Dostojevsky ne aveva già dato una versione: nei «Posseduti» c’è un personaggio, Chigalev, ossessionato dall’ideologia dell’uguaglianza assoluta da stabilire tra gli uomini, il quale conclude che l’uguaglianza dovrà essere imposta col sopruso.

E dice: «La calunnia e l’assassinio nei casi estremi, ma soprattutto l’uguaglianza»: è la profezia del sistema sovietico, della sua polizia torturatrice e concentrazionaria, senza onore (la calunnia è ancor più disonorante dell’omicidio). Ma non lo capiamo, perchè ci abbiamo fatto il callo.

Oggi, il diritto al disonore è banalizzato, di massa, nella scuola di Sant’Antimo come a Lugagnano. Faremo il callo anche a questo, già lo stiamo facendo.

Non faccio la predica da chissà quale altezza morale, anch’io sono cresciuto e vissuto in una società che da gran tempo s’è data il diritto al disonore. Anch’io ho poco senso dell’onore. Le prove di questa insensibilità sono dovunque.

Il senatore a vita ottantenne Emilio Colombo, che manda la scorta che gli è data (agenti della Finanza) a comprargli la cocaina, è un uomo senza onore perchè resta al suo posto. Disonora il Senato, il quale si disonora per conto suo non esigendo da lui di dimettersi. Un presidente della repubblica eletto alla massima carica dopo essere stato rimproverato dalla Comunità Europea per aver rubacchiato sulle note spese, è un caso disonorevole; che felicemente accettiamo ed applaudiamo quando parla altamente a nostro nome.

Ciò ha naturalmente gravi conseguenze su tutta la società, la fa marcire. Perchè in realtà, facciamo finta di accettare i richiami alla Costituzione, alla legalità, alla Resistenza, che ci vengono dalle «istituzioni» e dal suo vertice - anche i giornalisti e i politici che fingono di aderire, untuosi, nel «rispetto per il capo dello Stato» - sanno che è solo una finzione.

L’ufficialità istituzionale è diventata radicalmente finzione, nessuno si sente tenuto a comportarsi con coerenza con quelle parole. L’ordine alla padre Zappata - fate quel che dico, non quel che faccio - non ha alcuna forza di convinzione, al contrario è un incitamento coperto al disonore generale.

Così, le Caste disonorate rafforzano il loro potere difendendo i propri interessi, i politici non si sentono impegnati dalle loro promesse, gli impiegati pubblici alle prestazioni; rubano i sindacati e la Telecom, i fabbricanti di vino si concedono di adulterare, quasi ciascuno si concede l’adulterio senza conseguenze, si scoprono insegnanti privi di senso dell’onore come a Sant’Antimo, coppie mature porno a Lugagnano, gente che non restituisce i prestiti all’amico, ma li restituisce all’usuraio (perchè lui ti minaccia fisicamente), ragazzine indecenti cubiste a 12 anni, verginità gettate nei cessi di una discoteca, ubriachi che ammazzano passanti e fuggono senza soccorrerli, per sfuggire alla responsabilità; vigili con il falso permesso di invalidi sull’auto... alla fine, tutta la parossistica «insicurezza» che proviamo dipende, forse, meno dagli immigrati, che da noi stessi: non ci possiamo più fidare gli uni degli altri, mai.

Sappiamo che colui che ci parla non ha onore, che è pronto - per il suo tornaconto o il suo piacere momentaneo - a disonorarsi. E invochiamo la dittatura delle leggi penali: è la dittatura dei procuratori, spie delle nostre vite e pronti a sbatterci in galera, sotto cui finisce - inevitabilmente - una disonorata società.

L’8 settembre del ‘43 fu per la maggioranza degli italiani il giorno in cui si concessero il diritto al disonore. «Tutti a casa», la «liberazione». Ci furono minoranze che scelsero una parte o l’altra per onore, per tener fede a un giuramento: la metà di queste minoranze è vilipesa per aver scelto «la parte sbagliata», ossia la perdente, in cui non c’era nulla da guadagnare.

Ciò ha oscurato per sempre ogni chiaro senso dell’onore, e impedisce la nostra guarigione. Anche la metà vincente non sta meglio, se ha cominciato con l’eleggere Moranino (un assassino di massa, partigiano rosso) ed ha finito per eleggere Vlad Luxuria, accolta peraltro senza una piega da un parlamento dove un terzo dei nostri rappresentanti tira di coca, e se uno è scoperto in albergo con due puttane, non sente l’obbligo di dimettersi per indegnità.

La parabola discendente ha la forza di una parabola di Esopo: «de te fabula narratur», disonorata società che accetti da te stessa l’inaccettabile.

Potrà sembrare un discorso passatista. Mi domando però se, senza onore, si possa essere perfino cristiani, o credenti veri. Non so se possiamo comprendere che l’intimo rapporto fra Maria e Giuseppe fu un delicato rapporto di onore.

Giuseppe, prendendo Maria incinta per moglie, la salvò dalla lapidazione che toccava alle adultere, e ne salvò l’onore (Lei, come un agnello, non disse una parola per il proprio onore). Lei, delicata, mantenne il segreto sul Padre di quel Figlio, e protesse l’onore del suo vergine marito di questa vita.

Aggiungerò che Maometto afferma la verginità di Maria, ne difende l’onore contro le calunnie disonoranti del Talmud, che la diceva adultera: uomo d’onore, generoso nell’onorare.

Essere cinici, dire che Maria era incinta di Pandera, è ovviamente più «naturale» da credere, per chi all’onore ha rinunciato. Senza onore, persino l’umiltà è impossibile.

L’umiltà è l’accettazione volontaria delle ferite al proprio onore, giunge eroicamente a quella che Padre Pio chiamava «abiezione» («Sono malato fra gente a cui dò fastidio: ecco una buona abiezione»), ma essa suppone che uno abbia un onore da difendere, un patrimonio di dignità a cui rinunciare da vittima.

L’onore era un tempo instillato ai soldati. Da ciò si intuisce la differenza tra l’onore e la reputazione. Sul campo di battaglia puoi fare quasi tutto, violentare, rubare, uccidere inermi a piacere, vilipendere cadaveri. Ciò che ritiene è qualcosa che sta - deve stare - dentro il soldato, l’onore di sè. Sembra incredibile, oggi. Ma ancora la Wermacht si rifiutò a superare certi limiti, per ciò che andava oltre il limite c’era un corpo politico, le SS.

Non ci siamo più abituati, i soldati americani si disonorano ogni giorno in Iraq, preda della loro viltà che diventa ferocia; il loro presidente mente sapendo di mentire, di fronte a tutti; i soldati israeliani si disonorano sparando ai bambini a Gaza e distruggendo gli oliveti degli inermi coi cingoli. Quando tornano alla loro società, tornano come assassini a cui è stato concesso il diritto al disonore. La società sta già pagando il prezzo, per mano loro.

Come si ricostruisce l’onore in una società? Francamente non lo so. Quello europeo fu una lunga, complessa e sempre fragile creazione culturale. Occorrerebbe una cavalleria, una nobiltà, un’opinione pubblica che lo approvasse, un insegnamento all’onore.

Ma l’ultima difenditrice dell’onore - la ragazza che dopo aver dato la «prova d’amore» non è sposata, e perciò spara - è da gran tempo la macchietta di una commedia all’italiana, di cui si è perfino smesso di ridere.


fonte: M.Blondet

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