18 giugno 2008

Il monopolio invisibile


Non è solo l’autorevole TechCrunch, che nella tecnologia americana è un punto di riferimento, ad avere dubbi sulla “Yahoogle”. Cioè l’accordo con Google, che segue alla rottura con Microsoft da parte di Yahoo!, e che lega il “primo nome di internet” a un contratto pubblicitario da 800 milioni di dollari e a una partnership vincolante per il futuro. Dubbi che dovrebbero prendere anche chi è molto lontano dalla California, da internet e dal business. Dubbi che dovebbero prendere anche il singolo utente della rete.

Cosa dice Arrington?
Cosa dice Michael Arrington, fondatore di Techcrunch? Dice: “Abbiamo sostenuto che un mercato competitivo della ricerca è importante per la salute della rete internet”. Sì, è gergale, non si capisce cosa Arrington intenda se uno non sta proprio dentro tutti i discorsi sulla rete. Il guaio delle questioni internet è che si presentano avvolte dentro questo involucro di tecnicismo, che non si scioglie certo se poi uno usa termini come “grande fratello” e “controllo totale”. E però poi del controllo del mercato della conoscenza nel mondo si tratta. Della “tua” conoscenza, dei tuoi occhi e dei tuoi processi di apprendimento, informazione, espressione. Di cose molto poco tecniche.

La posta in gioco
Perché Bill Gates voleva Yahoo? Perché nel campo della pubblicità online, che cresce a ritmi sconosciuti per gli altri media, che risentono molto più duramente del ciclo economico, sta costituendosi un polo unico e predominante: quello di Google. Su cosa è fondato questo potere? Sul fatto che la ricerca è diventata per la mente delle persone ciò che la metropolitana è per i loro corpi. Il veicolo insostituibile per portare se stessi da una attività vitale all’altra. Leggere notizie, comprare viaggi o libri, comunicare con le persone e - scusate se è poco - lavorare. Tutto ciò si fa oggi con la ricerca che conferisce all’individuo il senso di un nuovo potere, proprio e personale, contrapposto alle tradizionali agenzie della conoscenza - dai giornali alla scuola.

Lo sposamento conoscitivo.
C’è chi ha parlato di uno spostamento dei paradigmi conoscitivi, di una nuova antropologia, e non è andato lontano da ciò che sta avvenendo. Tanti anni fa, agli albori di internet, gli scettici chiedevano agli entusiasti: ma chi paga Internet? Ora la domanda ha una risposta: paga l’umanità che vi è presente, che respira l’aria della conoscenza e spende il denaro della propria attenzione. Quel “denaro” si concretizza nella pubblicità. La linfa vitale che dai giornali, dalle radio e televisioni va spostandosi verso la rete. Lì ci sono gli occhi e le teste. Questo voleva Bill Gates: partecipare, come già fa, del grande business della conoscenza e della pubblicità mettendo le sue aziende e i suoi software che studiano il consumatore al posto degli altri. Ha fallito. E capire perché serve a capire di cosa preoccuparsi.

La sensazione di invincibilità
Aggiudicarsi parte di quella torta richiede potenza tecnologica e grandi disponibilità di denaro. Le ha Microsoft? Sì, le ha. E allora perché ha perso? Ci sono le ragioni contingenti del denaro, forse, ma Arrington spiega quale danno devastante abbiano subito gli azionisti di Yahoo! col salto dell’accordo. E allora bisogna considerare questa sensazione di invincibilità che oggi Google trasmette all’intero mondo internet. La sensazione di avere insieme gli algoritmi giusti e la filosofia migliore per il mondo di domani. Il management di Yahoo! aveva poche certezze, una però sopravviveva: nel caso di “merge” con Microsoft il gigante avrebbe cominciato subito a digerirli e annullarli. Con Google tutti pensano di essere saliti sul carro del vincitore mantenendo intatta, anzi potenziata, la propria libertà.

Come la vede il signor X, l’ideologia-Google
Dal punto di vista delle persone che usano internet, il fatto che Google “attacchi” i diversi business della conoscenza è una buona notizia. Molti in internet pensano di sapere di più perché con la ricerca possono verificare che un giornalista ha scritto un’inesattezza oppure possono costruirsi il proprio menù di informazione, saltando la gerarchia conoscitiva data dai giornali. Nel senso di onnipotenza che viene sentito come proprio dagli utenti del web, c’è molta ideologia-Google.

Ed è un fatto che l’entità creata da Brin e Page non venga avvertita con quel senso di oppressione autoritaria che si riservava alla Ibm o alla Microsoft (ve lo ricordate lo spot di Apple del 1984 con il Grande Fratello che viene distrutto dal martello della ragazza liberatrice?). Ora il Grande Fratello è arrivato, è invisibile e funziona bene. Soprattutto ti dà in cambio molto, non l’illusione ma l’esercizio reale di un potere. Il Grande Fratello non solo ti ama, ma ti vuole indipendente perchè ti conosce. Che dietro di questa conoscenza ci siano alcune pratiche assai dubbie, al “cittadino della rete” non interessa nulla. E’ affare di chi il danno lo subisce. Ma si sbaglia.

Qualche esempio in forma di domanda al cittadino elettronico:
1) Il meccanismo con il quale Google vende la propria pubblicità, quella in forma di risultati di ricerca, è opaco. Nessuno sa quanti altri concorrenti ci siano in quel momento, come tutti pensano e pochi dicono: questo danneggia solo chi la pubblicità la paga o anche chi la riceve?

2) La pubblicità “profilata” (una indubitabile comodità) arriva perfino nelle mail private: è un argomento che dovrebbe turbare prima il cittadino elettronico che i dinosauri dei media. O no?

3) Se Google arriverà - e l’accordo di ieri è un passo in questo senso - a dettare regole, condizioni e prezzi della pubblicità online, questo sarà un vantaggio o uno svantaggio per il cittadino elettronico? In altre parole: ci guadagni da un monopolio?

Si potrebbe andare avanti a lungo, per esempio sulla correttezza delle pratiche di Google verso chi produce e veicola contenuto editoriale, ma non aiuterebbe e permetterebbe a chi non è d’accordo di dire che questo è solo il lamento di chi si sente minacciato. Di certo c’è che queste pratiche godono oggi di un consenso generalizzato nel popolo della rete. Contro questo nuovo conformismo c’è chi ha scelto la strada dell’apocalisse, come Andrew Keen, nel suo “The cult of amateur“, ovvero “come internet sta distruggendo la nostra industria e la cultura”. Altri, gli editori del Belgio, hanno pensato di far causa a Google per il servizio di Google News: si sentivano derubati. E’ come far causa all’energia elettrica. Non c’è un tribunale o un’autorità che possa decidere contro il Monopolio Invisibile. C’è la coscienza della gente. Che al momento manca, anzi va dalla parte sbagliata.

by Repubblica.it

Nucleare ? Scelta antieconomica e pericolosa


Il "ritorno del nucleare", con tanto di ambientalisti pentiti (pardon, con tanto di ambientalisti che hanno cambiato idea), è una sciagura quasi unicamente italiana - le maggiori potenze dell'occidente sviluppato, e non solo, hanno smesso da un pezzo di progettare e costruire nuove centrali ad uranio, e investono in altre risorse energetiche. Ecco un dato quasi del tutto trascurato dalla discussione, chiamiamola così, di queste settimane. Che anche per questo ha un taglio e un valore fortemente simbolico - culturale, nel senso lato del termine. Di questo, e delle ragioni di merito per le quali, a più di vent'anni di distanza da Chernobyl, non c'è nessuna ragione valida (scusate il voluto bisticcio linguistico), per rilanciare l'uso del nucleare, abbiamo parlato con Marcello Cini. Un intellettuale che sa di scienza, di non neutralità della scienza e di politica. Un antinuclearista non pentito, oltre che un difensore attivo della laicità.


Il No al nucleare, per quasi vent'anni, è stato largamente egemone nel Paese e nella cultura di sinistra - quantomeno nella sua componente meno "sviluppista" e meno scientista. Oggi non è più così. Come mai, secondo te, la proposta del nuovo governo di centrodestra, ottiene in fondo un consenso così largo, e molto "trasversale"?
Perché questa proposta è parte integrante dell'egemonia attuale, profonda, della destra. E' frutto del clima politico e culturale che stiamo vivendo - che stiamo cioè subendo, come ha ampiamente analizzato Bertinotti nella "giornata di studio" che la rivista "Alternative per il socialismo" ha dedicato, venerdì scorso, alle ragioni della sconfitta. La destra, questa volta,ha vinto anche perché ha "convinto": i suoi valori, i suoi paradigmi, il suo linguaggio, la sua idea di società non hanno trovato - specificamente nell'ultima campagna elettorale - una opposizione (o un'alternativa) davvero reali e convincenti. Così, il nucleare ritorna in campo, insieme al Ponte di Messina, alle Grandi Opere, a tutto ciò che allude ad un modello di sviluppo falsamente "moderno" ed efficiente, per ragioni altamente simboliche.

Più simboliche che economiche? Non c'è dunque, dietro il piano Scajola, un interesse diretto dei "poteri forti"a investire nell'energia nucleare?
Mah, a parte il fatto che il piano Scajola ancora non è davvero noto, il nucleare non è certo un settore che garantisce alti livelli di redditività o di profitto: ha costi enormi, sia di progettazione che di costruzione, oltre che di mantenimento (e di smantellamento), ha bisogno di misure di sicurezza straordinarie, ha una fonte di approvigiomento, l'uranio, che è "finita" quasi quanto il petrolio. Voglio dire che questa scelta del governo (e di parte dell'opposizione) non si spiega attraverso un "classico" paradigma di tipo economicistico (anche se poi, naturalmente, se si procederà alla costruzione di nuove centrali, i soldi, tanti soldi, circoleranno). Il fatto è che questa destra non è riducibile ad un'opzione puramente neo-liberista, "capitalistica", all'equazione libero mercatointeressi diretti di classe della borghesia: essa, quasi al contrario, tende ad attingere a piene mani nelle casse dello Stato, ovvero nelle tasche dei cittadini, inseguendo mega-progetti sostanzialmente irrazionali e improduttivi, colludendo con la componente più speculativa - mafiosa - della borghesia italiana. Da questo punto di vista, il caso del nucleare è esemplare. Ancora non è detto che esso si farà davvero - le centrali così dette di "quarta generazione", quelle che dovrebbero aver risolto tutti i problemi della sicurezza, ci saranno, se ci saranno, tra venti, venticinque anni, non prima. Ma sicuramente nel frattempo l'Enel metterà le mani sulle centrali dell'Est (a proposito, le più vecchie, le meno sicure…). Nel frattempo, verranno investite risorse pubbliche molto ingenti nella "preparazione" e negli studi, a favore di comitati, corti di tecnici, consulenti, e via dicendo. Una pioggia di laute prebende a gruppi ben determinati, che non farà fare a questo Paese alcun vero passo in avanti. Ma anche il simbolo di una scienza e di una tecnologia elitarie: nelle mani dei "pochi che sanno", contro la moltitudine che è tagliata fuori, non sa, non può controllare nulla.

Si dice che le energie alternative, le fonti rinnovabili, non sarebbero comunque in grado di risolvere il problema del fabbisogno energetico. E che dunque serve, come minimo, un mix - nucleare e solare, nucleare ed eolico. E' vero?
No che non è vero. Implicitamente o esplicitamente, il riferimento è sempre quello del modello di sviluppo che si vuole perseguire - che cosa produrre, quanto e come produrlo, quanto e come consumare. L'argomento che citavi, e che viene citato molto spesso, non è solo di tipo "contabile": in realtà, è l'indizio più chiaro della pigrizia della borghesia italiana, della sua inesistenza imprenditoriale. Non c'è oggi, in questo paese, nessun imprenditore che abbia il coraggio di investire sul serio nel campo delle energie alternative, cioè rinnovabili. Così come non c'è un politico che abbia capito la portata del problema - a differenza di quello che accade nei principali paesi d'Europa, come la Germania. E' chiaro come il sole che il solare, l'eolico e il fotovoltaico costituiscono una soluzione di valore crescente man mano che diventano l'investimento privilegiato, man mano che che nella società si afferma la centralità economico-politica e culturale delle energie rinnovabili. E che, viceversa, se si opta per una tecnologia costosissima, e di retroguardia, come il nucleare, il gatto non fa che mordersi la coda.

Riassumendo: il nucleare è, prima di tutto, una scelta miope. Succhia risorse colossali, blocca l'obiettivo vero, le energie rinnovabili, non risolve i problemi, né a lungo né a medio termine. E la sicurezza? La ragione per la quale forse ancora molte persone non si fidano di una centrale atomica?
Guarda che, secondo me, quello della "non sicurezza" è un argomento relativo (a parte il fatto che, siccome viviamo in Italia, mi sembra lecito mettere nel conto non l'"insicurezza" in sé e per sé delle centrali di Scajola, ma l'inaffidabilità dei nostri sistemi di controllo, a differenza di quelli tedeschi o francesi). E' dimostrato, cioè che le centrali nucleari possono essere ben protette e relativamente "sicure", ancorché non sia stato risolta, a tutt'oggi, la questione dello smaltimento delle scorie. La domanda è: a quale prezzo? Con quali costi? E parlo sia dal punto di vista economico che da quello della democrazia. Se una delle ragioni più frequentemente addotte a favore del nucleare, almeno qui da noi, è la necessità di risparmiare sui costi attuali, non è difficile capire che, fatti tutti i conti, sono proprio i conti a non tornare. Insomma, l'energia nucleare "sicura" è costosissima - basti vedere quanto costa chiudere una centrale, quando ha finito il suo percorso di vita. Ma la sicurezza richiesta ha anche un costo politico: militarizzata o no che sia, una centrale nucleare configura una struttura autoritaria. Diventa il simbolo di una società in cui, come già dicevo, nessuno può mettere bocca sulle grandi scelte - nessuno può prender parola, discutere, partecipare, a parte l'oligarchia di coloro che conoscono e gestiscono. In questo senso, il modello di sviluppo fondato sull'energia nucleare è davvero una revanche sul Sessantotto. La restaurazione dell'ordine che quel movimento ha combattuto, con qualche successo anche duraturo. L'idea che la società è rigidamente divisa in classi, quelle dominanti e quelle subalterne - e i diritti, quando e se ci sono, sono mere elargizioni, e il controllo sociale e di massa è obliterato. Foucault, in fondo, aveva già detto tutto. Sì, stiamo davvero andando verso un regime - per quanto "leggero" esso sia…

di Rina Gagliardi

17 giugno 2008

I primi ordini da bilderberg


Il presidente della Federal Reserve Bank di New York lunedì ha chiesto la creazione di una struttura bancaria globale, poche ore dopo aver lasciato l’incontro del Bilderberg Group a Chantilly, Virginia.

Secondo la lista dei partecipanti di quest’anno al Bilderberg, Timothy Geithner, il presidente della Fed a New York, era presente al meeting segreto.

Perciò non è stata una grande sorpresa vedere Geithner chiedere un sistema bancario globalizzato nell’edizione di questa mattina del Financial Times:

Scrivendo nell’edizione di lunedì del Financial Times, Geithner, uno degli uomini chiave della politica economica Usa attraverso tutta la crisi del credito, e uno dei maggiori architetti del salvataggio della Bear Stearns, afferma che la US Federal Reserve dovrebbe giocare un ruolo centrale in una nuova struttura regolamentatrice, lavorando strettamente con supervisori negli Usa e in tutto il mondo.


L’elite del Bilderberg è da tempo al centro dell’attività finanziaria internazionale come forza globalizzatrice che spinge per una sempre maggiore centralizzazione del sistema bancario mondiale.

Nel 2003 la BBC scoprì un archivio di incredibili documenti del Bilderberg che confermavano che l’Unione Europea, col suo mercato unico e la successiva unione monetaria, così come la stessa valuta unica euro, erano una creatura del Bilderberg.

Si ritiene anche che in cima all’agenda del Bilderberg, per un certo tempo, ci sia stata la creazione di una task force di azione finanziaria delle Nazioni Unite [“Financial Action Task Force”] per promuovere una tassa diretta mondiale su qualunque persona del globo.

L’incontro di questo weekend ha visto la riunione di rappresentanti di: Deutsche Bank, The Bank of Finland, The Royal Bank of Scotland, The Austrian Kontrollbank, The European Central Bank, The World Bank, Banca d’Italia, Canadian TD Bank, Chase Manhattan Bank e Merill Lynch in aggiunta ai ministri delle finanze di Grecia, Gran Bretagna e Francia, professori di economia e corrispondenti della rivista The Economist.

Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, presente anch’egli alla riunione Bilderberg 2008, merita una citazione speciale dal momento che è stato catturato in video [sotto] mentre usciva a grande velocità dal meeting sabato sera.
Per tutti coloro che negano ancora che il Bilderberg sia un attore di primo piano nella creazione della politica internazionale ciò fornisce un altro esempio dell’influenza e della autorevolezza del gruppo elitario sul resto del mondo politico e aziendale.

Nonostante la riunione di questo weekend di così tanti protagonisti della finanza globale, quali David Rockefeller, Henry Kissinger, il segretario generale della Nato, gli amministratori delegati delle più grandi aziende mondiali, politici Usa e membri di famiglie reali europee, i media aziendali sono rimasti completamente zitti, un fattore che non può non preoccupare persino i più accaniti scettici.

Ci aspettiamo di vedere molti più luminari del Bilderberg apparire tramite vari media ufficiali nelle prossime settimane, intenti a disseminare i punti di discussione della conferenza dello scorso weekend.

Titolo originale: " Bilderbergers Leave Confab To Initiate Fresh Orders -- NY Fed chief attends secret elites meeting at weekend, calls for global bank framework Monday"

Fonte: http://infowars.net

18 giugno 2008

Il monopolio invisibile


Non è solo l’autorevole TechCrunch, che nella tecnologia americana è un punto di riferimento, ad avere dubbi sulla “Yahoogle”. Cioè l’accordo con Google, che segue alla rottura con Microsoft da parte di Yahoo!, e che lega il “primo nome di internet” a un contratto pubblicitario da 800 milioni di dollari e a una partnership vincolante per il futuro. Dubbi che dovrebbero prendere anche chi è molto lontano dalla California, da internet e dal business. Dubbi che dovebbero prendere anche il singolo utente della rete.

Cosa dice Arrington?
Cosa dice Michael Arrington, fondatore di Techcrunch? Dice: “Abbiamo sostenuto che un mercato competitivo della ricerca è importante per la salute della rete internet”. Sì, è gergale, non si capisce cosa Arrington intenda se uno non sta proprio dentro tutti i discorsi sulla rete. Il guaio delle questioni internet è che si presentano avvolte dentro questo involucro di tecnicismo, che non si scioglie certo se poi uno usa termini come “grande fratello” e “controllo totale”. E però poi del controllo del mercato della conoscenza nel mondo si tratta. Della “tua” conoscenza, dei tuoi occhi e dei tuoi processi di apprendimento, informazione, espressione. Di cose molto poco tecniche.

La posta in gioco
Perché Bill Gates voleva Yahoo? Perché nel campo della pubblicità online, che cresce a ritmi sconosciuti per gli altri media, che risentono molto più duramente del ciclo economico, sta costituendosi un polo unico e predominante: quello di Google. Su cosa è fondato questo potere? Sul fatto che la ricerca è diventata per la mente delle persone ciò che la metropolitana è per i loro corpi. Il veicolo insostituibile per portare se stessi da una attività vitale all’altra. Leggere notizie, comprare viaggi o libri, comunicare con le persone e - scusate se è poco - lavorare. Tutto ciò si fa oggi con la ricerca che conferisce all’individuo il senso di un nuovo potere, proprio e personale, contrapposto alle tradizionali agenzie della conoscenza - dai giornali alla scuola.

Lo sposamento conoscitivo.
C’è chi ha parlato di uno spostamento dei paradigmi conoscitivi, di una nuova antropologia, e non è andato lontano da ciò che sta avvenendo. Tanti anni fa, agli albori di internet, gli scettici chiedevano agli entusiasti: ma chi paga Internet? Ora la domanda ha una risposta: paga l’umanità che vi è presente, che respira l’aria della conoscenza e spende il denaro della propria attenzione. Quel “denaro” si concretizza nella pubblicità. La linfa vitale che dai giornali, dalle radio e televisioni va spostandosi verso la rete. Lì ci sono gli occhi e le teste. Questo voleva Bill Gates: partecipare, come già fa, del grande business della conoscenza e della pubblicità mettendo le sue aziende e i suoi software che studiano il consumatore al posto degli altri. Ha fallito. E capire perché serve a capire di cosa preoccuparsi.

La sensazione di invincibilità
Aggiudicarsi parte di quella torta richiede potenza tecnologica e grandi disponibilità di denaro. Le ha Microsoft? Sì, le ha. E allora perché ha perso? Ci sono le ragioni contingenti del denaro, forse, ma Arrington spiega quale danno devastante abbiano subito gli azionisti di Yahoo! col salto dell’accordo. E allora bisogna considerare questa sensazione di invincibilità che oggi Google trasmette all’intero mondo internet. La sensazione di avere insieme gli algoritmi giusti e la filosofia migliore per il mondo di domani. Il management di Yahoo! aveva poche certezze, una però sopravviveva: nel caso di “merge” con Microsoft il gigante avrebbe cominciato subito a digerirli e annullarli. Con Google tutti pensano di essere saliti sul carro del vincitore mantenendo intatta, anzi potenziata, la propria libertà.

Come la vede il signor X, l’ideologia-Google
Dal punto di vista delle persone che usano internet, il fatto che Google “attacchi” i diversi business della conoscenza è una buona notizia. Molti in internet pensano di sapere di più perché con la ricerca possono verificare che un giornalista ha scritto un’inesattezza oppure possono costruirsi il proprio menù di informazione, saltando la gerarchia conoscitiva data dai giornali. Nel senso di onnipotenza che viene sentito come proprio dagli utenti del web, c’è molta ideologia-Google.

Ed è un fatto che l’entità creata da Brin e Page non venga avvertita con quel senso di oppressione autoritaria che si riservava alla Ibm o alla Microsoft (ve lo ricordate lo spot di Apple del 1984 con il Grande Fratello che viene distrutto dal martello della ragazza liberatrice?). Ora il Grande Fratello è arrivato, è invisibile e funziona bene. Soprattutto ti dà in cambio molto, non l’illusione ma l’esercizio reale di un potere. Il Grande Fratello non solo ti ama, ma ti vuole indipendente perchè ti conosce. Che dietro di questa conoscenza ci siano alcune pratiche assai dubbie, al “cittadino della rete” non interessa nulla. E’ affare di chi il danno lo subisce. Ma si sbaglia.

Qualche esempio in forma di domanda al cittadino elettronico:
1) Il meccanismo con il quale Google vende la propria pubblicità, quella in forma di risultati di ricerca, è opaco. Nessuno sa quanti altri concorrenti ci siano in quel momento, come tutti pensano e pochi dicono: questo danneggia solo chi la pubblicità la paga o anche chi la riceve?

2) La pubblicità “profilata” (una indubitabile comodità) arriva perfino nelle mail private: è un argomento che dovrebbe turbare prima il cittadino elettronico che i dinosauri dei media. O no?

3) Se Google arriverà - e l’accordo di ieri è un passo in questo senso - a dettare regole, condizioni e prezzi della pubblicità online, questo sarà un vantaggio o uno svantaggio per il cittadino elettronico? In altre parole: ci guadagni da un monopolio?

Si potrebbe andare avanti a lungo, per esempio sulla correttezza delle pratiche di Google verso chi produce e veicola contenuto editoriale, ma non aiuterebbe e permetterebbe a chi non è d’accordo di dire che questo è solo il lamento di chi si sente minacciato. Di certo c’è che queste pratiche godono oggi di un consenso generalizzato nel popolo della rete. Contro questo nuovo conformismo c’è chi ha scelto la strada dell’apocalisse, come Andrew Keen, nel suo “The cult of amateur“, ovvero “come internet sta distruggendo la nostra industria e la cultura”. Altri, gli editori del Belgio, hanno pensato di far causa a Google per il servizio di Google News: si sentivano derubati. E’ come far causa all’energia elettrica. Non c’è un tribunale o un’autorità che possa decidere contro il Monopolio Invisibile. C’è la coscienza della gente. Che al momento manca, anzi va dalla parte sbagliata.

by Repubblica.it

Nucleare ? Scelta antieconomica e pericolosa


Il "ritorno del nucleare", con tanto di ambientalisti pentiti (pardon, con tanto di ambientalisti che hanno cambiato idea), è una sciagura quasi unicamente italiana - le maggiori potenze dell'occidente sviluppato, e non solo, hanno smesso da un pezzo di progettare e costruire nuove centrali ad uranio, e investono in altre risorse energetiche. Ecco un dato quasi del tutto trascurato dalla discussione, chiamiamola così, di queste settimane. Che anche per questo ha un taglio e un valore fortemente simbolico - culturale, nel senso lato del termine. Di questo, e delle ragioni di merito per le quali, a più di vent'anni di distanza da Chernobyl, non c'è nessuna ragione valida (scusate il voluto bisticcio linguistico), per rilanciare l'uso del nucleare, abbiamo parlato con Marcello Cini. Un intellettuale che sa di scienza, di non neutralità della scienza e di politica. Un antinuclearista non pentito, oltre che un difensore attivo della laicità.


Il No al nucleare, per quasi vent'anni, è stato largamente egemone nel Paese e nella cultura di sinistra - quantomeno nella sua componente meno "sviluppista" e meno scientista. Oggi non è più così. Come mai, secondo te, la proposta del nuovo governo di centrodestra, ottiene in fondo un consenso così largo, e molto "trasversale"?
Perché questa proposta è parte integrante dell'egemonia attuale, profonda, della destra. E' frutto del clima politico e culturale che stiamo vivendo - che stiamo cioè subendo, come ha ampiamente analizzato Bertinotti nella "giornata di studio" che la rivista "Alternative per il socialismo" ha dedicato, venerdì scorso, alle ragioni della sconfitta. La destra, questa volta,ha vinto anche perché ha "convinto": i suoi valori, i suoi paradigmi, il suo linguaggio, la sua idea di società non hanno trovato - specificamente nell'ultima campagna elettorale - una opposizione (o un'alternativa) davvero reali e convincenti. Così, il nucleare ritorna in campo, insieme al Ponte di Messina, alle Grandi Opere, a tutto ciò che allude ad un modello di sviluppo falsamente "moderno" ed efficiente, per ragioni altamente simboliche.

Più simboliche che economiche? Non c'è dunque, dietro il piano Scajola, un interesse diretto dei "poteri forti"a investire nell'energia nucleare?
Mah, a parte il fatto che il piano Scajola ancora non è davvero noto, il nucleare non è certo un settore che garantisce alti livelli di redditività o di profitto: ha costi enormi, sia di progettazione che di costruzione, oltre che di mantenimento (e di smantellamento), ha bisogno di misure di sicurezza straordinarie, ha una fonte di approvigiomento, l'uranio, che è "finita" quasi quanto il petrolio. Voglio dire che questa scelta del governo (e di parte dell'opposizione) non si spiega attraverso un "classico" paradigma di tipo economicistico (anche se poi, naturalmente, se si procederà alla costruzione di nuove centrali, i soldi, tanti soldi, circoleranno). Il fatto è che questa destra non è riducibile ad un'opzione puramente neo-liberista, "capitalistica", all'equazione libero mercatointeressi diretti di classe della borghesia: essa, quasi al contrario, tende ad attingere a piene mani nelle casse dello Stato, ovvero nelle tasche dei cittadini, inseguendo mega-progetti sostanzialmente irrazionali e improduttivi, colludendo con la componente più speculativa - mafiosa - della borghesia italiana. Da questo punto di vista, il caso del nucleare è esemplare. Ancora non è detto che esso si farà davvero - le centrali così dette di "quarta generazione", quelle che dovrebbero aver risolto tutti i problemi della sicurezza, ci saranno, se ci saranno, tra venti, venticinque anni, non prima. Ma sicuramente nel frattempo l'Enel metterà le mani sulle centrali dell'Est (a proposito, le più vecchie, le meno sicure…). Nel frattempo, verranno investite risorse pubbliche molto ingenti nella "preparazione" e negli studi, a favore di comitati, corti di tecnici, consulenti, e via dicendo. Una pioggia di laute prebende a gruppi ben determinati, che non farà fare a questo Paese alcun vero passo in avanti. Ma anche il simbolo di una scienza e di una tecnologia elitarie: nelle mani dei "pochi che sanno", contro la moltitudine che è tagliata fuori, non sa, non può controllare nulla.

Si dice che le energie alternative, le fonti rinnovabili, non sarebbero comunque in grado di risolvere il problema del fabbisogno energetico. E che dunque serve, come minimo, un mix - nucleare e solare, nucleare ed eolico. E' vero?
No che non è vero. Implicitamente o esplicitamente, il riferimento è sempre quello del modello di sviluppo che si vuole perseguire - che cosa produrre, quanto e come produrlo, quanto e come consumare. L'argomento che citavi, e che viene citato molto spesso, non è solo di tipo "contabile": in realtà, è l'indizio più chiaro della pigrizia della borghesia italiana, della sua inesistenza imprenditoriale. Non c'è oggi, in questo paese, nessun imprenditore che abbia il coraggio di investire sul serio nel campo delle energie alternative, cioè rinnovabili. Così come non c'è un politico che abbia capito la portata del problema - a differenza di quello che accade nei principali paesi d'Europa, come la Germania. E' chiaro come il sole che il solare, l'eolico e il fotovoltaico costituiscono una soluzione di valore crescente man mano che diventano l'investimento privilegiato, man mano che che nella società si afferma la centralità economico-politica e culturale delle energie rinnovabili. E che, viceversa, se si opta per una tecnologia costosissima, e di retroguardia, come il nucleare, il gatto non fa che mordersi la coda.

Riassumendo: il nucleare è, prima di tutto, una scelta miope. Succhia risorse colossali, blocca l'obiettivo vero, le energie rinnovabili, non risolve i problemi, né a lungo né a medio termine. E la sicurezza? La ragione per la quale forse ancora molte persone non si fidano di una centrale atomica?
Guarda che, secondo me, quello della "non sicurezza" è un argomento relativo (a parte il fatto che, siccome viviamo in Italia, mi sembra lecito mettere nel conto non l'"insicurezza" in sé e per sé delle centrali di Scajola, ma l'inaffidabilità dei nostri sistemi di controllo, a differenza di quelli tedeschi o francesi). E' dimostrato, cioè che le centrali nucleari possono essere ben protette e relativamente "sicure", ancorché non sia stato risolta, a tutt'oggi, la questione dello smaltimento delle scorie. La domanda è: a quale prezzo? Con quali costi? E parlo sia dal punto di vista economico che da quello della democrazia. Se una delle ragioni più frequentemente addotte a favore del nucleare, almeno qui da noi, è la necessità di risparmiare sui costi attuali, non è difficile capire che, fatti tutti i conti, sono proprio i conti a non tornare. Insomma, l'energia nucleare "sicura" è costosissima - basti vedere quanto costa chiudere una centrale, quando ha finito il suo percorso di vita. Ma la sicurezza richiesta ha anche un costo politico: militarizzata o no che sia, una centrale nucleare configura una struttura autoritaria. Diventa il simbolo di una società in cui, come già dicevo, nessuno può mettere bocca sulle grandi scelte - nessuno può prender parola, discutere, partecipare, a parte l'oligarchia di coloro che conoscono e gestiscono. In questo senso, il modello di sviluppo fondato sull'energia nucleare è davvero una revanche sul Sessantotto. La restaurazione dell'ordine che quel movimento ha combattuto, con qualche successo anche duraturo. L'idea che la società è rigidamente divisa in classi, quelle dominanti e quelle subalterne - e i diritti, quando e se ci sono, sono mere elargizioni, e il controllo sociale e di massa è obliterato. Foucault, in fondo, aveva già detto tutto. Sì, stiamo davvero andando verso un regime - per quanto "leggero" esso sia…

di Rina Gagliardi

17 giugno 2008

I primi ordini da bilderberg


Il presidente della Federal Reserve Bank di New York lunedì ha chiesto la creazione di una struttura bancaria globale, poche ore dopo aver lasciato l’incontro del Bilderberg Group a Chantilly, Virginia.

Secondo la lista dei partecipanti di quest’anno al Bilderberg, Timothy Geithner, il presidente della Fed a New York, era presente al meeting segreto.

Perciò non è stata una grande sorpresa vedere Geithner chiedere un sistema bancario globalizzato nell’edizione di questa mattina del Financial Times:

Scrivendo nell’edizione di lunedì del Financial Times, Geithner, uno degli uomini chiave della politica economica Usa attraverso tutta la crisi del credito, e uno dei maggiori architetti del salvataggio della Bear Stearns, afferma che la US Federal Reserve dovrebbe giocare un ruolo centrale in una nuova struttura regolamentatrice, lavorando strettamente con supervisori negli Usa e in tutto il mondo.


L’elite del Bilderberg è da tempo al centro dell’attività finanziaria internazionale come forza globalizzatrice che spinge per una sempre maggiore centralizzazione del sistema bancario mondiale.

Nel 2003 la BBC scoprì un archivio di incredibili documenti del Bilderberg che confermavano che l’Unione Europea, col suo mercato unico e la successiva unione monetaria, così come la stessa valuta unica euro, erano una creatura del Bilderberg.

Si ritiene anche che in cima all’agenda del Bilderberg, per un certo tempo, ci sia stata la creazione di una task force di azione finanziaria delle Nazioni Unite [“Financial Action Task Force”] per promuovere una tassa diretta mondiale su qualunque persona del globo.

L’incontro di questo weekend ha visto la riunione di rappresentanti di: Deutsche Bank, The Bank of Finland, The Royal Bank of Scotland, The Austrian Kontrollbank, The European Central Bank, The World Bank, Banca d’Italia, Canadian TD Bank, Chase Manhattan Bank e Merill Lynch in aggiunta ai ministri delle finanze di Grecia, Gran Bretagna e Francia, professori di economia e corrispondenti della rivista The Economist.

Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, presente anch’egli alla riunione Bilderberg 2008, merita una citazione speciale dal momento che è stato catturato in video [sotto] mentre usciva a grande velocità dal meeting sabato sera.
Per tutti coloro che negano ancora che il Bilderberg sia un attore di primo piano nella creazione della politica internazionale ciò fornisce un altro esempio dell’influenza e della autorevolezza del gruppo elitario sul resto del mondo politico e aziendale.

Nonostante la riunione di questo weekend di così tanti protagonisti della finanza globale, quali David Rockefeller, Henry Kissinger, il segretario generale della Nato, gli amministratori delegati delle più grandi aziende mondiali, politici Usa e membri di famiglie reali europee, i media aziendali sono rimasti completamente zitti, un fattore che non può non preoccupare persino i più accaniti scettici.

Ci aspettiamo di vedere molti più luminari del Bilderberg apparire tramite vari media ufficiali nelle prossime settimane, intenti a disseminare i punti di discussione della conferenza dello scorso weekend.

Titolo originale: " Bilderbergers Leave Confab To Initiate Fresh Orders -- NY Fed chief attends secret elites meeting at weekend, calls for global bank framework Monday"

Fonte: http://infowars.net