20 giugno 2008

Scodinzolini


C’era una volta Licio Gelli, venerabile maestro del minimalismo. E, soprattutto, dell’ingenuità. Nel Piano di rinascita democratica della P2 scrisse che, per controllare i giornali, bisogna corrompere i giornalisti, «almeno due a testata». Poveretto. Non aveva capito che molti giornalisti obbediscono anche gratis, e prima di ricevere ordini. Lasciamo stare gli house organ tipo Il Giornale che, mentre il padrone abolisce i suoi processi e ricusa il suo giudice, titola: «Ci risiamo: guerra a Berlusconi». Lasciamo stare il semprelucido Paolo Guzzanti che, con l’esercito per le strade e i poteri legislativo ed esecutivo che soffocano il giudiziario e l’informazione, denuncia «la tentazione autoritaria della sinistra». Lasciamo stare la voce bianca Mario Giordano che, poveretto, attribuisce il lodo Schifani agli «altri paesi civili, come la Francia o gli Usa» (così civili che in Francia l’immunità provvisoria è solo per il capo dello Stato, non per il premier; e negli Usa s’è processato un certo Clinton, il presidente, l’uomo più potente del pianeta terra).

Ecco, lasciamo stare Tiramolla e passiamo al Corriere. Nella staffetta dei vedovi inconsolabili del Dialogo, ieri era il turno di Piero Ostellino. Il quale, come già Franchi, Franco e Panebianco, stigmatizzava la svolta del Pd, a suo dire ridotto a «forza di pura agitazione» (magari). Non una riga su quel che sta facendo il governo Berlusconi, che poi è la causa della svolta del Pd. Interessa solo l’effetto. Sul berlusconismo eversivo che calpesta la Costituzione, la divisione dei poteri, il principio di eguaglianza e, pur di liberarsi del processo Mills, sospende sine die tutti quelli per rapine, furti, scippi, violenze al G8 (ma solo quelle degli agenti), crac Cirio, affare Oil For Food, non una parola. Anzi, Ostellino prende per buone tutte le balle di regime, ribaltando totalmente la realtà: «L’emendamento rinvia i processi minori» (la corruzione giudiziaria è «minore»?!) e il Lodo «mette al riparo le cariche istituzionali dalle incursioni della magistratura» (regolari processi avviati da anni sarebbero «incursioni»!?). Per lui il vero pericolo è un Pd che «rischia di (ri)precipitare nel rivoluzionarismo verbale» (magari) anzichè far il suo dovere di opposizione: cioè digerire pure il Lodo, invitando però «Berlusconi ad assumersi la responsabilità delle misure» e - questa è strepitosa - «a impegnarsi a non sottrarsi» ai processi «una volta assolto il mandato». Se no il Pd dimostrerebbe di «voler sconfiggere il centrodestra per via giudiziaria». Ecco: affermare l’art. 3 della Costituzione e lasciar celebrare i processi secondo le leggi vigenti è la prova che si vuol abbattere il Cainano. Dunque, per dissipare il sospetto, bisogna dargliele tutte vinte, invitandolo però a «prendersi le sue responsabilità» (cosa che peraltro lui ha già fatto con la sfrontata lettera al fido e scodinzolante Schifani). È il solito ritornello della «guerra tra politica e magistratura», come la chiamano i giornali paraculi, anche se qui a fare la guerra è uno solo, il solito.

Esemplare la «cronaca» su La Stampa di Augusto Minzolini, valoroso inviato embedded nelle fioriere di Palazzo Grazioli e sotto le scrivanie di Palazzo Chigi. Origliando origliando, non riesce più a distinguere quel che accade nella realtà da quel che gli soffiano le sue fonti. E allora «i magistrati di Milano sono in rivolta, assecondati da Csm e Anm» e soprattutto «sobillati da Di Pietro» (gliel’ha confidato un MochoVileda abbandonato dalla colf del Cainano). Per cui «Berlusconi, fiutata la trappola, tira dritto come un carrarmato», incurante delle bavose «lagnanze del Capo dello Stato». Ed ecco la prova che la giudice Gandus ce l’ha con lui: «Ho un testimone - dice il premier secondo Minzo - che ha ascoltato una conversazione tra la Gandus e un altro magistrato. Gandus ha detto: “A questo str. di Berlusconi gli facciamo un c. così. Gli diamo 6 anni e poi lo voglio vedere a fare il presidente del Consiglio”». È la pistola fumante: un cronista dice di aver saputo da un altro che il premier ha detto a non si sa chi di aver saputo da un Mister X che aveva sentito una giudice dire una cosa. E tanto basta per provare che la giudice è prevenuta. Il tutto mentre si vorrebbero cestinare le intercettazioni in cui il Cainano, con la sua voce, mercanteggia con Saccà: ecco, quelle non provano nulla, non valgono. Resta da capire chi sia Mister X. Igor Marini? Scaramella? O magari David Mills, che come supertestimone ha sempre dato ottima prova, specie dopo aver incassato 600 mila dollari da Milano2.

M. Travaglio

19 giugno 2008

Il piano segreto per eliminare la Rete. Nel 2010?





Alcuni si chiedono se l’articolo su una futura introduzione di un sistema pay-per-view sia una bufala, ma è documentata una più ampia iniziativa per regolamentare il web

Secondo un articolo diffuso clandestinamente, gli Internet Service Providers [fornitori di accesso ad Internet, n.d.t.] hanno deciso di limitare l’abbonamento ad Internet ad uno simile a quello televisivo, dove gli utenti saranno obbligati a pagare per visitare siti Internet selezionati di proprietà delle corporation entro il 2012, mentre gli altri saranno bloccati. Benché alcuni abbiano smentito la notizia definendola una bufala, esistono prove evidenti dell’esistenza di un più ampio piano avente lo scopo di distruggere la versione tradizionale di Internet e di rimpiazzarla con un Internet 2 regolamentato e controllato.

"Dipendenti di Bell Canada e TELUS (un tempo di proprietà di Verizon) confermano ufficialmente che entro il 2012 gli ISP di tutto il mondo ridurranno l’accesso ad Internet ad una tipologia di abbonamento simile a quella televisiva, consentendo l’accesso ad un numero standard e limitato di siti commerciali e richiedendo una spesa aggiuntiva per ogni altro sito che l’utente visiterà. Questi “altri” siti perderebbero quindi tutta la loro pubblicità e probabilmente chiuderebbero, provocando quella che potrebbe essere vista come la fine di Internet”, mette in guardia un articolo che si è diffuso in un lampo sul web negli ultimi giorni.

L’articolo, a cui è allegato un filmato pubblicato su You Tube [vedi sotto n.d.r.], afferma che il giornalista “Dylan Pattyn” del settimanale Time ha confermato la notizia e sta per pubblicare un articolo in merito – e che le manovre per far chiudere di fatto il web potrebbero avvenire già nel 2010.

Qualcuno ha espresso le proprie perplessità sull’accuratezza dell’articolo, poiché quanto vi si afferma non è documentato da nessun’altra fonte, solo la “promessa” di un articolo del settimanale Time è portata a sostegno della voce di corridoio. Nell’attesa che questo articolo venga pubblicato, in molti hanno sospeso il giudizio o hanno subito archiviato la notizia definendola una bufala.

Ciò che è documentato, come sottolineato dall’articolo, è il fatto che il il wireless web package della TELUS consente solo un accesso di tipo pay-per-view ad una selezione di siti aziendali e di informazione. Questo è il modello su cui si baserebbe Internet dopo il 2012.

Qualcuno ha constatato che gli autori del video sembrano maggiormente interessati a far iscrivere la gente al loro canale di You Tube piuttosto che a combattere a favore della neutralità della rete, dal momento che il contenuto del video è costituito in gran parte da una donna attraente che non ha nessuna paura a mettere in mostra il proprio décolleté. Un’ampia maggioranza degli altri video presenti sullo stesso canale di You Tube consiste in scenette stravaganti di satira d’avanguardia nell’interesse delle stesse persone che compaiono nel filmato sulla libertà di Internet.

Ciò ha spinto molti a sospettare che la notizia sul futuro di Internet sia semplicemente una scusa per attirare l’attenzione sul gruppo.

Indipendentemente dal fatto che l’articolo sia accurato o che si tratti semplicemente di una grossolana bufala, vi è un piano concreto volto a restringere, regolamentare e soffocare il libero utilizzo di Internet, del quale noi stiamo documentando da anni l’evoluzione.

I primi provvedimenti per far pagare ogni e-mail inviata sono già stati intrapresi. Con il pretesto di eliminare lo spam, Bill Gates e altri capitani d'industria hanno proposto agli utenti di Internet di acquistare francobolli - credito [credit stamps] che indicano quante e-mail saranno in grado di inviare. Questa è indubbiamente la campana a morto per le newsletter politiche e le mailing list.

Il New York Times ha reso noto che "America Online e Yahoo, due dei più grandi fornitori di servizi di posta elettronica, stanno per iniziare ad utilizzare un sistema che garantisce una corsia preferenziale ai messaggi provenienti dalle aziende che pagano una cifra compresa tra ¼ di cent ed un penny l’uno affinché giungano al destinatario. I mittenti devono promettere di contattare solo le persone che hanno dato il loro assenso a ricevere i loro messaggi, o rischiano di trovarsi [l’account] completamente bloccato".

La prima fase si limiterà semplicemente a scoraggiare le persone, attraverso il costo dei servizi, dall’utilizzare l’Internet convenzionale e ad obbligarli a passare ad Internet 2, un hub regolato dallo Stato dove sarà necessario ottenere un permesso direttamente dalla FCC [Commissione Federale per le Comunicazioni, n.d.t.] o da un ufficio governativo per poter aprire un sito Internet.

La versione originaria di Internet verrà quindi trasformata in un database per una sorveglianza di massa e in uno strumento di marketing. Il settimanale The Nation rivelò nel 2006 che: "Verizon, Comcast, Bell South e altri giganti della comunicazione stanno sviluppando strategie per registrare e conservare, all’interno di un ampio sistema di raccolta dati e di marketing, informazioni su ogni nostro movimento nel cyberspazio, la cui portata potrebbe competere con [quello del]la National Security Agency [1]. Secondo [quanto scritto nei] libri bianchi che stanno attualmente circolando all’interno delle aziende che si occupano di servizi via cavo, telefonici e delle telecomunicazioni, quelli con i portafogli più gonfi – le corporation, i gruppi d’interesse e i principali inserzionisti – otterebbero un trattamento preferenziale. I contenuti provenienti da questi fornitori avrebbero la priorità sugli schermi dei nostri computer e dei nostri televisori, mentre le informazioni viste come indesiderate, ad esempio [quelle relative alle] comunicazioni peer-to-peer, potrebbero avere meno visibilità o semplicemente essere bandite”.

Negli ultimi anni, è stata portata avanti da numerosi organismi dell’establishment una campagna propagandistica avente lo scopo di demonizzare Internet e successivamente condurlo sulla via di uno stretto controllo:

· Time magazine riferì lo scorso anno che dei ricercatori finanziati dal governo federale vogliono far chiudere Internet e ripartire da zero, citando il fatto che al momento vi sono delle falle nel sistema, dove gli utenti non possono essere costantemente pedinati e rintracciati.

Le voci sulle iniziative del progetto di cui abbiamo parlato in passato prevedono che vengano prese misure rigorose contro la neutralità della rete e che addirittura venga concepita una nuova forma di Internet conosciuta come Internet 2.

· In un clima bipartisan, è stato recentemente richiesto a tutti i fornitori di accesso ad Internet, sia da parte dei democratici che dei repubblicani, di spiare tutti i cittadini statunitensi.

· Una recente strategia della Casa Bianca non sottoposta a segreto di Stato per “vincere la guerra al terrorismo” individua le teorie complottiste [presenti su] Internet come un terreno fertile per l’arruolamento da parte dei terroristi e minaccia di “diminuire” la loro influenza.

· Il Pentagono ha recentemente annunciato il suo impegno per infiltrarsi su Internet e fare propaganda a favore della guerra al terrorismo.

· In un discorso tenuto lo scorso ottobre, il direttore del [Dipartimento] di Sicurezza Interna Michael Chertoff ha identificato il web come il "campo di addestramento del terrorismo" attraverso il quale “persone ostili e insoddisfatte che vivono negli Stati Uniti” stanno sviluppando “ideologie radicali e attività potenzialmente violente”. Egli propone come soluzione degli “intelligence fusion centers”, costituiti da personale della Sicurezza Interna che entrerà in funzione il prossimo anno.

· Il Governo degli Stati Uniti intende obbligare i blogger e gli attivisti di movimenti di base presenti online a registrare le loro attività e a riferirne con regolarità al Congresso. Per la mancata osservanza potrebbe essere previsto fino ad un anno di carcere come pena.

· Una storica causa legale a favore della Recording Industry Association of America [Associazione americana dei produttori discografici, n.d.t.] e altre organizzazioni del commercio globale cerca di criminalizzare ogni forma di scambio di file su Internet facendola passare per violazione dei diritti d’autore, condannando di fatto il world wide web a chiudere – e la loro tesi trova il sostegno del governo statunitense.

· Una sentenza storica emessa a Sydney costituisce l’atto più significativo nella costruzione del tranello per la distruzione di Internet come lo conosciamo e la fine dei siti e dei blog di informazione, stabilendo il precedente secondo cui la semplice pubblicazione di un link ad un altro sito è una violazione dei diritti d'autore e un atto di pirateria.

· L’Unione Europea, guidata dall’ex-stalinista e possibile futuro Primo Ministro britannico John Reid, ha anch'essa auspicato di imbavagliare i "terroristi" che utilizzano Internet per fare propaganda.

· La normativa UE sulla conservazione dei dati, passata lo scorso anno dopo un lungo dibattito e divenuta operativa alla fine del 2007, obbliga gli operatori telefonici e i fornitori di accesso ad Internet a conservare le informazioni su chi ha telefonato a chi e su chi ha inviato un’e-mail a chi per almeno sei mesi. In base a questa legge, gli inquirenti in qualsiasi Stato dell’Unione Europea, e, cosa assai curiosa, anche negli Stati Uniti, possono accedere ai dati su telefonate, SMS, e-mail e servizi di instant messaging riguardanti i cittadini europei.

· L’UE ha inoltre recentemente proposto una legge che impedirebbe agli utenti di caricare qualsiasi tipo di video senza autorizzazione.

· Secondo la rivista New Scientist il Governo degli Stati Uniti sta inoltre finanziando una ricerca all’interno dei siti di social networking nonché su come raccogliere e archiviare i dati pubblicati in questi. "Allo stesso tempo, i legislatori statunitensi stanno cercando di spingere gli stessi siti di social networking a controllare la quantità e la tipologia di informazioni che le persone, in particolare i bambini, possono pubblicare sui siti”.

Lo sviluppo di una nuova forma di Internet dotata di nuove regole è inoltre concepita per creare un sistema castale online per mezzo del quale sarebbe consentito agli hub della precedente versione di Internet di fermarsi e spegnersi definitivamente, costringendo le persone ad utilizzare il nuovo world wide web, tassabile, censurato e regolamentato.

Non fatevi ingannare, Internet, uno dei più grandi baluardi della libertà di espressione mai creati è sotto attacco costante da parte di persone potenti che non possono operare in una società dove l’informazione circola libera e indisturbata. Sia le iniziative americane che quelle europee richiamano alla mente le notizie di cui veniamo a sapere ogni settimana sulla Cina comunista sottoposta al controllo dello Stato, dove Internet è fortemente regolamentato ed esiste virtualmente come una entità a sé, distaccato dal resto della rete.

Internet è il migliore alleato della libertà e il fatto che possa essere sottoposto a controlli è un incubo che lascia sconvolti. La sua eliminazione è uno degli obiettivi a breve termine di coloro che cercano di centralizzare il potere e soggiogare le loro popolazioni sotto una tirannia eliminando il diritto di protestare e di informare gli altri attraverso uno spazio aperto di discussione in un world wide web libero.

Nota del traduttore

[1] La National Security Agency, o NSA, è l'organismo governativo degli Stati Uniti d'America che, insieme alla CIA e all’FBI, si occupa della sicurezza nazionale. In particolare è l'ente incaricato di proteggere i dati e i messaggi che giornalmente passano attraverso uffici governativi, Casa Bianca, ambasciate, ecc. Oltre a questo l'NSA controlla tutto il traffico telefonico e di posta elettronica americano, e ha a disposizione un numero imprecisato di satelliti sempre puntati sull'America. (fonte: Wikipedia)

DI PAUL JOSEPH WATSON

Fonte: http://prisonplanet.com/

Robin Tax? Per essere efficace deve puntare sulle royalties



C'era una volta Enrico Mattei che conquistò la fiducia dei paesi produttori denunciando lo sfruttamento delle Sette sorelle. Quel 15% di royalties (i diritti che si pagano sulle licenze di estrazione) che vi danno i giganti del petrolio - disse ai produttori - è un insulto. E per dimostrare che i suoi strali contro le «reminescenze imperialistiche e colonialistiche» della politica energetica, come scrisse nel '58, non erano soltanto parole, mise sul piatto ben altre percentuali e, soprattutto, un modo diverso di fare affari tanto che oggi le compagnie non riescono a imporre contratti di quel genere nemmeno in Iraq. In Venezuela, Equador e Bolivia si ridiscutono i contratti per portarli oltre la vetta del 50%: le compagnie - anche l'Eni di Mattei - piangono, minacciano ma alla fine firmano perché i margini di guadagno restano altissimi e tali resteranno, visto il progressivo esaurimento di una risorsa non rinnovabile per definizione. La cosa strana è che per sfruttare i giacimenti italiani, poca cosa se paragonati a quelli venezuelani o iracheni ma fra i primi in Europa, alle compagnie sia consentito quello che non possono pretendere nemmeno a Baghdad, di pagare cioè un miserissimo 7% allo Stato, fra altro azionista di una delle compagnie in questione, l'Eni del succitato Mattei.

L'inganno della Robin Hood tax sta tutto qui, e chi non propone di mettere mano alle royalties sulle licenze d'estrazione, sta semplicemente facendo un po' di scena. A sostenere la necessità di questa misura è Luigi De Paoli, esperto di politica energetica della Bocconi intervistato da Elena Comelli su CorriereEconomia : «E' su questo punto che il nuovo governo potrebbe andare a incidere, se volesse introdurre un sistema di profit sharing sulle rendite petrolifere. Una Robin Hood Tax, intesa come tassa sui profitti dei petrolieri, invece, mi sembra difficilmente praticabile, se non altro dal punto di vista tecnico-fiscale». Del resto un progetto di questo genere era già stato formulato alla fine del 2005 da una commissione di esperti convocata dai ministeri dell'Industria e del Tesoro, quando il primo governo Berlusconi si era trovato di fronte a una prima impennata delle quotazioni del greggio, passate in poco tempo da 40 a 70 dollari al barile. Il suggerimento di De Paoli, fatto proprio dalla commissione, fu infatti proprio quello di aumentare le royalties sui giacimenti italiani dal 7 al 25%. Poi cambiò il governo e non se ne fece niente.

Oggi, con i nuovi aumenti da record, l'applicazione di quel progetto potrebbe portare nelle casse dello Stato un gettito superiore al miliardo di euro l'anno sull'estrazione di petrolio e di quasi due miliardi per il gas. «Tre miliardi di euro non risolverebbero tutti i problemi delle fasce di popolazione meno abbienti - ammette De Paoli - ma almeno avrebbero il vantaggio di equiparare il sistema italiano a quello di altri paesi produttori, coinvolgendo tutte le compagnie petrolifere che operano sul nostro territorio, dall'Eni alla Shell o alla Total, senza urtare troppo la suscettibilità di nessuno». Insomma, una maggiorazione straordinaria dell'imposta sugli utili delle imprese andrebbe a colpire praticamente solo l'Eni, con il rischio di far crollare il titolo, e finirebbe per ridurre i dividendi anche al Tesoro che si porta a casa il 30% dei profitti come principale azionista.

Del resto è risaputo che la maggior parte dei profitti le compagnie petrolifere li ricavano su quello che si chiama l'upstream - ovvero l'esplorazione e la produzione - e molto meno dal downstream - ovvero la raffinazione e la distribuzione. Nel primo caso, con il petrolio estratto a 5-10 dollari al barile e poi rivenduto a 140 sui mercati internazionali, il profitto è enorme. Nel secondo caso invece stiamo parlando di un'attività industriale come un'altra, con margini piuttosto risicati. Colpire la raffinazione equivale ad aumentare le tasse sui carburanti, già molto alte, e certo non darebbe alcun sollievo ai consumatori. Solo aumentando le royalties sulle licenze d'estrazione - e ovviamente non consentendo alle compagnie di rifarsi sui consumatori - si può davvero cominciare a ridistribuire gli enormi introiti del settore petrolifero come stanno facendo in America Latina. Ma per imboccare questa strada c'è una condizione obbligata: risolvere il paradosso del controllore-controllato, cioè di uno Stato che è anche azionista, attraverso appunto il ministero del Tesoro. Come azionista di maggioranza lo Stato guadagna dall'impennata del greggio esattamente come, per esempio, guadagna quando la sua compagnia risparmia sull'efficienza energetica e tarda a rammodernare le proprie decrepite raffinerie. Come gestore dei soldi dei contribuenti, però, lo Stato sarà poi costretto a pagare le salatissime multe comminate da Bruxelles per non avere rispettato gli impegni di Kyoto, visto che le vecchie raffinerie inquinano parecchio. Insomma, che la (mano) destra cominci a interessarsi a cosa fa la sinistra, altrimenti è solo teatro populista.
di S. Morandi

20 giugno 2008

Scodinzolini


C’era una volta Licio Gelli, venerabile maestro del minimalismo. E, soprattutto, dell’ingenuità. Nel Piano di rinascita democratica della P2 scrisse che, per controllare i giornali, bisogna corrompere i giornalisti, «almeno due a testata». Poveretto. Non aveva capito che molti giornalisti obbediscono anche gratis, e prima di ricevere ordini. Lasciamo stare gli house organ tipo Il Giornale che, mentre il padrone abolisce i suoi processi e ricusa il suo giudice, titola: «Ci risiamo: guerra a Berlusconi». Lasciamo stare il semprelucido Paolo Guzzanti che, con l’esercito per le strade e i poteri legislativo ed esecutivo che soffocano il giudiziario e l’informazione, denuncia «la tentazione autoritaria della sinistra». Lasciamo stare la voce bianca Mario Giordano che, poveretto, attribuisce il lodo Schifani agli «altri paesi civili, come la Francia o gli Usa» (così civili che in Francia l’immunità provvisoria è solo per il capo dello Stato, non per il premier; e negli Usa s’è processato un certo Clinton, il presidente, l’uomo più potente del pianeta terra).

Ecco, lasciamo stare Tiramolla e passiamo al Corriere. Nella staffetta dei vedovi inconsolabili del Dialogo, ieri era il turno di Piero Ostellino. Il quale, come già Franchi, Franco e Panebianco, stigmatizzava la svolta del Pd, a suo dire ridotto a «forza di pura agitazione» (magari). Non una riga su quel che sta facendo il governo Berlusconi, che poi è la causa della svolta del Pd. Interessa solo l’effetto. Sul berlusconismo eversivo che calpesta la Costituzione, la divisione dei poteri, il principio di eguaglianza e, pur di liberarsi del processo Mills, sospende sine die tutti quelli per rapine, furti, scippi, violenze al G8 (ma solo quelle degli agenti), crac Cirio, affare Oil For Food, non una parola. Anzi, Ostellino prende per buone tutte le balle di regime, ribaltando totalmente la realtà: «L’emendamento rinvia i processi minori» (la corruzione giudiziaria è «minore»?!) e il Lodo «mette al riparo le cariche istituzionali dalle incursioni della magistratura» (regolari processi avviati da anni sarebbero «incursioni»!?). Per lui il vero pericolo è un Pd che «rischia di (ri)precipitare nel rivoluzionarismo verbale» (magari) anzichè far il suo dovere di opposizione: cioè digerire pure il Lodo, invitando però «Berlusconi ad assumersi la responsabilità delle misure» e - questa è strepitosa - «a impegnarsi a non sottrarsi» ai processi «una volta assolto il mandato». Se no il Pd dimostrerebbe di «voler sconfiggere il centrodestra per via giudiziaria». Ecco: affermare l’art. 3 della Costituzione e lasciar celebrare i processi secondo le leggi vigenti è la prova che si vuol abbattere il Cainano. Dunque, per dissipare il sospetto, bisogna dargliele tutte vinte, invitandolo però a «prendersi le sue responsabilità» (cosa che peraltro lui ha già fatto con la sfrontata lettera al fido e scodinzolante Schifani). È il solito ritornello della «guerra tra politica e magistratura», come la chiamano i giornali paraculi, anche se qui a fare la guerra è uno solo, il solito.

Esemplare la «cronaca» su La Stampa di Augusto Minzolini, valoroso inviato embedded nelle fioriere di Palazzo Grazioli e sotto le scrivanie di Palazzo Chigi. Origliando origliando, non riesce più a distinguere quel che accade nella realtà da quel che gli soffiano le sue fonti. E allora «i magistrati di Milano sono in rivolta, assecondati da Csm e Anm» e soprattutto «sobillati da Di Pietro» (gliel’ha confidato un MochoVileda abbandonato dalla colf del Cainano). Per cui «Berlusconi, fiutata la trappola, tira dritto come un carrarmato», incurante delle bavose «lagnanze del Capo dello Stato». Ed ecco la prova che la giudice Gandus ce l’ha con lui: «Ho un testimone - dice il premier secondo Minzo - che ha ascoltato una conversazione tra la Gandus e un altro magistrato. Gandus ha detto: “A questo str. di Berlusconi gli facciamo un c. così. Gli diamo 6 anni e poi lo voglio vedere a fare il presidente del Consiglio”». È la pistola fumante: un cronista dice di aver saputo da un altro che il premier ha detto a non si sa chi di aver saputo da un Mister X che aveva sentito una giudice dire una cosa. E tanto basta per provare che la giudice è prevenuta. Il tutto mentre si vorrebbero cestinare le intercettazioni in cui il Cainano, con la sua voce, mercanteggia con Saccà: ecco, quelle non provano nulla, non valgono. Resta da capire chi sia Mister X. Igor Marini? Scaramella? O magari David Mills, che come supertestimone ha sempre dato ottima prova, specie dopo aver incassato 600 mila dollari da Milano2.

M. Travaglio

19 giugno 2008

Il piano segreto per eliminare la Rete. Nel 2010?





Alcuni si chiedono se l’articolo su una futura introduzione di un sistema pay-per-view sia una bufala, ma è documentata una più ampia iniziativa per regolamentare il web

Secondo un articolo diffuso clandestinamente, gli Internet Service Providers [fornitori di accesso ad Internet, n.d.t.] hanno deciso di limitare l’abbonamento ad Internet ad uno simile a quello televisivo, dove gli utenti saranno obbligati a pagare per visitare siti Internet selezionati di proprietà delle corporation entro il 2012, mentre gli altri saranno bloccati. Benché alcuni abbiano smentito la notizia definendola una bufala, esistono prove evidenti dell’esistenza di un più ampio piano avente lo scopo di distruggere la versione tradizionale di Internet e di rimpiazzarla con un Internet 2 regolamentato e controllato.

"Dipendenti di Bell Canada e TELUS (un tempo di proprietà di Verizon) confermano ufficialmente che entro il 2012 gli ISP di tutto il mondo ridurranno l’accesso ad Internet ad una tipologia di abbonamento simile a quella televisiva, consentendo l’accesso ad un numero standard e limitato di siti commerciali e richiedendo una spesa aggiuntiva per ogni altro sito che l’utente visiterà. Questi “altri” siti perderebbero quindi tutta la loro pubblicità e probabilmente chiuderebbero, provocando quella che potrebbe essere vista come la fine di Internet”, mette in guardia un articolo che si è diffuso in un lampo sul web negli ultimi giorni.

L’articolo, a cui è allegato un filmato pubblicato su You Tube [vedi sotto n.d.r.], afferma che il giornalista “Dylan Pattyn” del settimanale Time ha confermato la notizia e sta per pubblicare un articolo in merito – e che le manovre per far chiudere di fatto il web potrebbero avvenire già nel 2010.

Qualcuno ha espresso le proprie perplessità sull’accuratezza dell’articolo, poiché quanto vi si afferma non è documentato da nessun’altra fonte, solo la “promessa” di un articolo del settimanale Time è portata a sostegno della voce di corridoio. Nell’attesa che questo articolo venga pubblicato, in molti hanno sospeso il giudizio o hanno subito archiviato la notizia definendola una bufala.

Ciò che è documentato, come sottolineato dall’articolo, è il fatto che il il wireless web package della TELUS consente solo un accesso di tipo pay-per-view ad una selezione di siti aziendali e di informazione. Questo è il modello su cui si baserebbe Internet dopo il 2012.

Qualcuno ha constatato che gli autori del video sembrano maggiormente interessati a far iscrivere la gente al loro canale di You Tube piuttosto che a combattere a favore della neutralità della rete, dal momento che il contenuto del video è costituito in gran parte da una donna attraente che non ha nessuna paura a mettere in mostra il proprio décolleté. Un’ampia maggioranza degli altri video presenti sullo stesso canale di You Tube consiste in scenette stravaganti di satira d’avanguardia nell’interesse delle stesse persone che compaiono nel filmato sulla libertà di Internet.

Ciò ha spinto molti a sospettare che la notizia sul futuro di Internet sia semplicemente una scusa per attirare l’attenzione sul gruppo.

Indipendentemente dal fatto che l’articolo sia accurato o che si tratti semplicemente di una grossolana bufala, vi è un piano concreto volto a restringere, regolamentare e soffocare il libero utilizzo di Internet, del quale noi stiamo documentando da anni l’evoluzione.

I primi provvedimenti per far pagare ogni e-mail inviata sono già stati intrapresi. Con il pretesto di eliminare lo spam, Bill Gates e altri capitani d'industria hanno proposto agli utenti di Internet di acquistare francobolli - credito [credit stamps] che indicano quante e-mail saranno in grado di inviare. Questa è indubbiamente la campana a morto per le newsletter politiche e le mailing list.

Il New York Times ha reso noto che "America Online e Yahoo, due dei più grandi fornitori di servizi di posta elettronica, stanno per iniziare ad utilizzare un sistema che garantisce una corsia preferenziale ai messaggi provenienti dalle aziende che pagano una cifra compresa tra ¼ di cent ed un penny l’uno affinché giungano al destinatario. I mittenti devono promettere di contattare solo le persone che hanno dato il loro assenso a ricevere i loro messaggi, o rischiano di trovarsi [l’account] completamente bloccato".

La prima fase si limiterà semplicemente a scoraggiare le persone, attraverso il costo dei servizi, dall’utilizzare l’Internet convenzionale e ad obbligarli a passare ad Internet 2, un hub regolato dallo Stato dove sarà necessario ottenere un permesso direttamente dalla FCC [Commissione Federale per le Comunicazioni, n.d.t.] o da un ufficio governativo per poter aprire un sito Internet.

La versione originaria di Internet verrà quindi trasformata in un database per una sorveglianza di massa e in uno strumento di marketing. Il settimanale The Nation rivelò nel 2006 che: "Verizon, Comcast, Bell South e altri giganti della comunicazione stanno sviluppando strategie per registrare e conservare, all’interno di un ampio sistema di raccolta dati e di marketing, informazioni su ogni nostro movimento nel cyberspazio, la cui portata potrebbe competere con [quello del]la National Security Agency [1]. Secondo [quanto scritto nei] libri bianchi che stanno attualmente circolando all’interno delle aziende che si occupano di servizi via cavo, telefonici e delle telecomunicazioni, quelli con i portafogli più gonfi – le corporation, i gruppi d’interesse e i principali inserzionisti – otterebbero un trattamento preferenziale. I contenuti provenienti da questi fornitori avrebbero la priorità sugli schermi dei nostri computer e dei nostri televisori, mentre le informazioni viste come indesiderate, ad esempio [quelle relative alle] comunicazioni peer-to-peer, potrebbero avere meno visibilità o semplicemente essere bandite”.

Negli ultimi anni, è stata portata avanti da numerosi organismi dell’establishment una campagna propagandistica avente lo scopo di demonizzare Internet e successivamente condurlo sulla via di uno stretto controllo:

· Time magazine riferì lo scorso anno che dei ricercatori finanziati dal governo federale vogliono far chiudere Internet e ripartire da zero, citando il fatto che al momento vi sono delle falle nel sistema, dove gli utenti non possono essere costantemente pedinati e rintracciati.

Le voci sulle iniziative del progetto di cui abbiamo parlato in passato prevedono che vengano prese misure rigorose contro la neutralità della rete e che addirittura venga concepita una nuova forma di Internet conosciuta come Internet 2.

· In un clima bipartisan, è stato recentemente richiesto a tutti i fornitori di accesso ad Internet, sia da parte dei democratici che dei repubblicani, di spiare tutti i cittadini statunitensi.

· Una recente strategia della Casa Bianca non sottoposta a segreto di Stato per “vincere la guerra al terrorismo” individua le teorie complottiste [presenti su] Internet come un terreno fertile per l’arruolamento da parte dei terroristi e minaccia di “diminuire” la loro influenza.

· Il Pentagono ha recentemente annunciato il suo impegno per infiltrarsi su Internet e fare propaganda a favore della guerra al terrorismo.

· In un discorso tenuto lo scorso ottobre, il direttore del [Dipartimento] di Sicurezza Interna Michael Chertoff ha identificato il web come il "campo di addestramento del terrorismo" attraverso il quale “persone ostili e insoddisfatte che vivono negli Stati Uniti” stanno sviluppando “ideologie radicali e attività potenzialmente violente”. Egli propone come soluzione degli “intelligence fusion centers”, costituiti da personale della Sicurezza Interna che entrerà in funzione il prossimo anno.

· Il Governo degli Stati Uniti intende obbligare i blogger e gli attivisti di movimenti di base presenti online a registrare le loro attività e a riferirne con regolarità al Congresso. Per la mancata osservanza potrebbe essere previsto fino ad un anno di carcere come pena.

· Una storica causa legale a favore della Recording Industry Association of America [Associazione americana dei produttori discografici, n.d.t.] e altre organizzazioni del commercio globale cerca di criminalizzare ogni forma di scambio di file su Internet facendola passare per violazione dei diritti d’autore, condannando di fatto il world wide web a chiudere – e la loro tesi trova il sostegno del governo statunitense.

· Una sentenza storica emessa a Sydney costituisce l’atto più significativo nella costruzione del tranello per la distruzione di Internet come lo conosciamo e la fine dei siti e dei blog di informazione, stabilendo il precedente secondo cui la semplice pubblicazione di un link ad un altro sito è una violazione dei diritti d'autore e un atto di pirateria.

· L’Unione Europea, guidata dall’ex-stalinista e possibile futuro Primo Ministro britannico John Reid, ha anch'essa auspicato di imbavagliare i "terroristi" che utilizzano Internet per fare propaganda.

· La normativa UE sulla conservazione dei dati, passata lo scorso anno dopo un lungo dibattito e divenuta operativa alla fine del 2007, obbliga gli operatori telefonici e i fornitori di accesso ad Internet a conservare le informazioni su chi ha telefonato a chi e su chi ha inviato un’e-mail a chi per almeno sei mesi. In base a questa legge, gli inquirenti in qualsiasi Stato dell’Unione Europea, e, cosa assai curiosa, anche negli Stati Uniti, possono accedere ai dati su telefonate, SMS, e-mail e servizi di instant messaging riguardanti i cittadini europei.

· L’UE ha inoltre recentemente proposto una legge che impedirebbe agli utenti di caricare qualsiasi tipo di video senza autorizzazione.

· Secondo la rivista New Scientist il Governo degli Stati Uniti sta inoltre finanziando una ricerca all’interno dei siti di social networking nonché su come raccogliere e archiviare i dati pubblicati in questi. "Allo stesso tempo, i legislatori statunitensi stanno cercando di spingere gli stessi siti di social networking a controllare la quantità e la tipologia di informazioni che le persone, in particolare i bambini, possono pubblicare sui siti”.

Lo sviluppo di una nuova forma di Internet dotata di nuove regole è inoltre concepita per creare un sistema castale online per mezzo del quale sarebbe consentito agli hub della precedente versione di Internet di fermarsi e spegnersi definitivamente, costringendo le persone ad utilizzare il nuovo world wide web, tassabile, censurato e regolamentato.

Non fatevi ingannare, Internet, uno dei più grandi baluardi della libertà di espressione mai creati è sotto attacco costante da parte di persone potenti che non possono operare in una società dove l’informazione circola libera e indisturbata. Sia le iniziative americane che quelle europee richiamano alla mente le notizie di cui veniamo a sapere ogni settimana sulla Cina comunista sottoposta al controllo dello Stato, dove Internet è fortemente regolamentato ed esiste virtualmente come una entità a sé, distaccato dal resto della rete.

Internet è il migliore alleato della libertà e il fatto che possa essere sottoposto a controlli è un incubo che lascia sconvolti. La sua eliminazione è uno degli obiettivi a breve termine di coloro che cercano di centralizzare il potere e soggiogare le loro popolazioni sotto una tirannia eliminando il diritto di protestare e di informare gli altri attraverso uno spazio aperto di discussione in un world wide web libero.

Nota del traduttore

[1] La National Security Agency, o NSA, è l'organismo governativo degli Stati Uniti d'America che, insieme alla CIA e all’FBI, si occupa della sicurezza nazionale. In particolare è l'ente incaricato di proteggere i dati e i messaggi che giornalmente passano attraverso uffici governativi, Casa Bianca, ambasciate, ecc. Oltre a questo l'NSA controlla tutto il traffico telefonico e di posta elettronica americano, e ha a disposizione un numero imprecisato di satelliti sempre puntati sull'America. (fonte: Wikipedia)

DI PAUL JOSEPH WATSON

Fonte: http://prisonplanet.com/

Robin Tax? Per essere efficace deve puntare sulle royalties



C'era una volta Enrico Mattei che conquistò la fiducia dei paesi produttori denunciando lo sfruttamento delle Sette sorelle. Quel 15% di royalties (i diritti che si pagano sulle licenze di estrazione) che vi danno i giganti del petrolio - disse ai produttori - è un insulto. E per dimostrare che i suoi strali contro le «reminescenze imperialistiche e colonialistiche» della politica energetica, come scrisse nel '58, non erano soltanto parole, mise sul piatto ben altre percentuali e, soprattutto, un modo diverso di fare affari tanto che oggi le compagnie non riescono a imporre contratti di quel genere nemmeno in Iraq. In Venezuela, Equador e Bolivia si ridiscutono i contratti per portarli oltre la vetta del 50%: le compagnie - anche l'Eni di Mattei - piangono, minacciano ma alla fine firmano perché i margini di guadagno restano altissimi e tali resteranno, visto il progressivo esaurimento di una risorsa non rinnovabile per definizione. La cosa strana è che per sfruttare i giacimenti italiani, poca cosa se paragonati a quelli venezuelani o iracheni ma fra i primi in Europa, alle compagnie sia consentito quello che non possono pretendere nemmeno a Baghdad, di pagare cioè un miserissimo 7% allo Stato, fra altro azionista di una delle compagnie in questione, l'Eni del succitato Mattei.

L'inganno della Robin Hood tax sta tutto qui, e chi non propone di mettere mano alle royalties sulle licenze d'estrazione, sta semplicemente facendo un po' di scena. A sostenere la necessità di questa misura è Luigi De Paoli, esperto di politica energetica della Bocconi intervistato da Elena Comelli su CorriereEconomia : «E' su questo punto che il nuovo governo potrebbe andare a incidere, se volesse introdurre un sistema di profit sharing sulle rendite petrolifere. Una Robin Hood Tax, intesa come tassa sui profitti dei petrolieri, invece, mi sembra difficilmente praticabile, se non altro dal punto di vista tecnico-fiscale». Del resto un progetto di questo genere era già stato formulato alla fine del 2005 da una commissione di esperti convocata dai ministeri dell'Industria e del Tesoro, quando il primo governo Berlusconi si era trovato di fronte a una prima impennata delle quotazioni del greggio, passate in poco tempo da 40 a 70 dollari al barile. Il suggerimento di De Paoli, fatto proprio dalla commissione, fu infatti proprio quello di aumentare le royalties sui giacimenti italiani dal 7 al 25%. Poi cambiò il governo e non se ne fece niente.

Oggi, con i nuovi aumenti da record, l'applicazione di quel progetto potrebbe portare nelle casse dello Stato un gettito superiore al miliardo di euro l'anno sull'estrazione di petrolio e di quasi due miliardi per il gas. «Tre miliardi di euro non risolverebbero tutti i problemi delle fasce di popolazione meno abbienti - ammette De Paoli - ma almeno avrebbero il vantaggio di equiparare il sistema italiano a quello di altri paesi produttori, coinvolgendo tutte le compagnie petrolifere che operano sul nostro territorio, dall'Eni alla Shell o alla Total, senza urtare troppo la suscettibilità di nessuno». Insomma, una maggiorazione straordinaria dell'imposta sugli utili delle imprese andrebbe a colpire praticamente solo l'Eni, con il rischio di far crollare il titolo, e finirebbe per ridurre i dividendi anche al Tesoro che si porta a casa il 30% dei profitti come principale azionista.

Del resto è risaputo che la maggior parte dei profitti le compagnie petrolifere li ricavano su quello che si chiama l'upstream - ovvero l'esplorazione e la produzione - e molto meno dal downstream - ovvero la raffinazione e la distribuzione. Nel primo caso, con il petrolio estratto a 5-10 dollari al barile e poi rivenduto a 140 sui mercati internazionali, il profitto è enorme. Nel secondo caso invece stiamo parlando di un'attività industriale come un'altra, con margini piuttosto risicati. Colpire la raffinazione equivale ad aumentare le tasse sui carburanti, già molto alte, e certo non darebbe alcun sollievo ai consumatori. Solo aumentando le royalties sulle licenze d'estrazione - e ovviamente non consentendo alle compagnie di rifarsi sui consumatori - si può davvero cominciare a ridistribuire gli enormi introiti del settore petrolifero come stanno facendo in America Latina. Ma per imboccare questa strada c'è una condizione obbligata: risolvere il paradosso del controllore-controllato, cioè di uno Stato che è anche azionista, attraverso appunto il ministero del Tesoro. Come azionista di maggioranza lo Stato guadagna dall'impennata del greggio esattamente come, per esempio, guadagna quando la sua compagnia risparmia sull'efficienza energetica e tarda a rammodernare le proprie decrepite raffinerie. Come gestore dei soldi dei contribuenti, però, lo Stato sarà poi costretto a pagare le salatissime multe comminate da Bruxelles per non avere rispettato gli impegni di Kyoto, visto che le vecchie raffinerie inquinano parecchio. Insomma, che la (mano) destra cominci a interessarsi a cosa fa la sinistra, altrimenti è solo teatro populista.
di S. Morandi