30 agosto 2008

Italiani:i soliti eroi... per coprire le Caste.



Nella primavera del 1941, l’Italia, in una serie di disfatte, aveva perduto la Cirenaica, e gli inglesi avanzavano verso Tripoli. Hitler, che fino ad allora aveva considerato la guerra d’Africa un settore da lasciare agli italiani, mandò in aiuto degli alleati l’AfrikaKorps, al comando di Rommel: «La decisione», scrisse il generale tedesco Eckart Christian, «non fu basata su un piano strategico, ma sulla necessità di sostenere la posizione italiana nel Mediterraneo». Insomma, lo scopo era di evitare una cocente umiliazione al duce.

Nel novembre del ‘41 il Fuehrer mandò a Roma il feldmaresciallo Albert Kesserling come comandante del settore Sud, ma in realtà perché, come scrisse lo stesso Kesserling, «il sistema di rifornimenti all’Afrika Korps - che spettava agli italiani - era collassato. Il dominio britannico del cielo e del mare sul Mediterraneo era sempre più evidente… La posizione di Rommel era critica… Egli era intralciato nelle operazioni dalla presenza di divisioni di fanteria, e specialmente dalle divisioni italiane di bassissima efficienza combattiva».

In una guerra del deserto, completamente motorizzata e combattuta con i carri armati, noi avevamo fanti appiedati, che non erano altro che una patetica palla al piede. Questo indusse Kesselring a indagare e riflette su questa incapacità militare dell’alleato. Ciò che descrisse nei suoi rapporti, con equanimità e anche generosità, ci restituisce un ritratto veritiero dell’Italia d’oggi, dell’Italia di sempre.

Ecco alcuni passi dei ricordi di Kesselring: «Le forze armate italiane in genere non erano preparate alla guerra. Ma anziché prendere coscienza ella realtà com’era, il Comando Italiano (…) si cullava in vane speranze. L’aiuto tedesco è stato richiesto nella quantità necessaria solo quando era troppo tardi, e quando l’aiuto non era più in proporzione con lo sforzo fatto. Ho l’impressione che questa riluttanza nascesse da vanità e una falsa idea del prestigio delle forze armate italiane. Ma poco prima delle defezione italiana, il generale Ambrosio, ultimo capo dello Stato Maggiore, cambiò tattica, aumentando le richieste di truppe e materiali a così insensati livelli, da far capire le disoneste intenzioni seguenti».

I generali italioti credevano di essere furbi; la classe dirigente si preparava a tradire l’alleato, a rubargli intanto materiali, e credeva che questo non se ne accorgesse.

Ancora: «Il soldato italiano non può essere paragonato al soldato tedesco. L’addestramento, di per sé insufficiente, viene condotto come in tempo di pace, nei cortili delle caserme; l’addestramento sul campo era tralasciato. Manca ogni contatto tra gli ufficiali e gli uomini. (…) Non ci sono abbastanza unità motorizzate. I carri armati non hanno sufficiente protezione anticarro. Il loro armamento è insoddisfacente. Le armi anticarro erano manchevoli in quantità e inefficaci. Le armi della fanteria erano inadeguate. L’artigliera era di qualità, ma non adatta alle azioni contro gli alleati perché di gittata insufficiente. Le comunicazioni radio non erano adeguatamenet sviluppate. Le forniture erano insufficienti, a cominciare delle razioni. (…) I problemi dell’accaparramento, del soccorso e delle razioni alimentari avevano un effetto distruttivo sul morale».

Poiché i gallonati italiani non risucivano a mandare le forniture necessarie nella vicina Libia,
Kesselring prese il comando della logistica. Ma le navi di cui doveva servirsi erano pur sempre italiane. «Flotta da tempo buono», la chiama.

E annota: «C’era una certa riluttanza italiana a rischiare la perdita i navi, forse nella speranza di preservare la flotta (mercantile) per la sospirata pace. Sicchè la flotta mercantile non fu mai attrezzata per lo stato i guerra. Di fatto, la nazione italiana non si è mai sentita obbligata a mobilitarsi totalmente per la guerra, né in forza-lavoro nè nell’industria… Non si può aspettarsi la vittoria quando l’azione è dominata dalla paura di perdite».

Ancora: «Il soldato semplice riceve, anche in battaglia, razioni completamente diverse da quelle che ricevono gli ufficiali intermedi e superiori. La misura delle razioni è moltiplicata secondo il grado, e la copiosità significa anche una scelta migliore di cibo di buona qualità. Secondo il loro grado, gli ufficiali mangiano tanto più abbondantemente e bene. Al soldato semplice va la razione più frugale; se fosse sufficiente, gli ufficiali non avrebbero ovviamente bisogno di una razione doppia o anche tripla di quella. Gli ufficiali mangiano in mense a parte, senza contatto coi loro uomini e spesso senza sapere cosa questi ricevono. Così il cameratismo di guerra, ciò che forma la comunità di vita e di morte così necessaria, era spezzata. Ho visto personalmente che le mense da campo tedesche erano praticamente assediate da soldati italiani, mentre io mangiavo straordinariamente bene con la razione normale dell’ufficiale italiano, alla mensa-ufficiali».

Non è la stessa cosa anche oggi? Non è sempre la stessa casta, vanitosa e incompetente, che si riempie il piattro tre volte mentre il soldato semplice della repubblica fa la fame? Anzi peggio: oggi l’italiano comune si ritiene fortunato se trova un lavoro a 1.100 euro, mentre per la casta politica è normale prenderne 22 mila.

Ma ridiamo la parola a Kesserling: «Non ho mai avuto l’impressione che la popolazione avesse coscienza dall’inizio che stava combattendo per la sua stessa esistenza; ne è diventata cosciente solo nel corso della guerra, quando ha dovuto subire i bombardamenti e ha perso le sue colonie… E tuttavia, non potrò mai dimenticare l’impressione di dolce vita che Roma fece su di me nei giorni delle battaglie per le teste di ponte di Anzio-Nettuno, che infuriavano nelle vicinanze».

Non si creda però che Kesselring abbia pregiudizi contro gli italiani in genere, e disprezzo totale verso i soldati italiani. Anzi scrive: «Ho visto troppi atti eroici compiuti da unità e individui italiani, come la Divisione Folgore a El Alamein, l’artiglieria nelle battaglie tunisine, le piccole armi della Marina (e cita la Decima Mas e i suoi sommozzatori a cavallo dei maiali, che distrussero da soli un quarto del naviglio britannico perso nel Medirettaneo), gli equipaggi dei barchini esplosivi, eccetera, per non esprimere la mia stima con convinzione. Ma in guerra, il risultato non è dato dagli atti eroici di pochi individui, ma dal grado di addestramento e di morale delle intere forze armate».

E’ così anche oggi. Una massa passiva e tendente all’imboscamento, una casta vanitosa incapace e insensibile al destino nazionale, e qualche eroe che fa più del proprio dovere: senza riuscire, naturalmente, a cambiare il destino generale del Paese.

di M. Blondet

Presto il crollo di una grande banca USA



L’ex economista capo del Fondo Monetario Internazionale Kenneth Rogoff ha detto martedì che la peggiore delle crisi finanziarie globali deve ancora arrivare e che una grande banca Usa fallirà nei prossimi mesi, mentre la maggiore economia mondiale incontrerà nuovi guai.

“Gli Usa non sono fuori dai guai. Penso che la crisi finanziaria sia a metà, forse. Mi spingerei persino a dire che ‘il peggio deve ancora arrivare’”, ha detto ad una conferenza finanziaria.

“Non vedremo solamente banche di medie dimensioni finire in rosso nei prossimi mesi, vedremo un gigante, una grande, una delle grandi banche o delle banche di investimento” ha detto Rogoff, che è professore di economia presso la Harvard University ed è stato capo economista del Fondo Monetario Internazionale dal 2001 al 2004.

“Dobbiamo assistere ad un maggiore consolidamento nel settore finanziario prima che sia finito tutto ciò” ha affermato quando gli è stata posta una domanda sui segni anticipatori di una fine della crisi.

“Probabilmente Fannie Mae e Freddie Mac –nonostante quanto ha affermato il segretario al Tesoro Usa Hank Paulson – queste giganti agenzie di assicurazione sui mutui, entro pochi anni non esisteranno nella loro attuale forma”.

I commenti di Rogoff sono arrivati mentre lunedì gli investitori stavano abbandonando le azioni delle più grandi agenzie di prestito immobiliare Usa Fannie Mae e Freddie Mac, dopo un articolo giornalistico che affermava che i funzionari del governo potrebbero non avere altra scelta che realmente nazionalizzare i titani del finanziamento immobiliare Usa.

Una mossa del governo per ricapitalizzare le due aziende iniettando fondi potrebbe cancellare gli attuali azionisti, aveva affermato l’articolo di questo weekend di Barron. Soffriranno perdite anche gli azionisti e i proprietari dei $ 19 miliardi di debito subordinato delle due aziende appoggiate dal governo.

Rogoff ha affermato che investimenti multimiliardari da parte di fondi sovrani dell’Asia e del Medioriente in finanziarie occidentali potrebbero non necessariamente risultare in grandi profitti perché non sono state prese in considerazione le condizioni di mercato fronteggiate da tale industria.

“All’inizio della crisi vi era questa idea che i fondi sovrani potessero salvare qualunque banca di investimenti che avesse fatto qualcosa di stupido: hanno perso denaro nei mutui subprime, sono delle grandi occasioni, quindi i fondi sovrani arriveranno e faranno un sacco di soldi comprandole.”


“Questo modo di vedere non tiene in considerazione il fatto che il sistema finanziario si è gonfiato enormemente e deve restringersi”, ha affermato Rogoff alla conferenza di Singapore, i cui fondi sovrani GIC e Temasek hanno investito miliardi nella Merrill Lynch e nella Citigroup.

Come risposta al forte trinceramento nel mercato immobiliare e al subbuglio nel mercato dei crediti, la Federal Reserve Usa aveva ridotto i tassi di interesse per un totale di 3,25 punti percentuali, sino al valore del 2%, a metà settembre.

Rogoff ha affermato che la Federal Reserve Usa ha fatto male a tagliare così “drammaticamente” i tassi di interesse.

“Il taglio dei tassi d’interesse porterà una forte inflazione negli Stati Uniti nei prossimi anni.”

di Jan Dahinten

Le colpe di Washington nella questione georgiana



La vicenda Georgia - Ossezia del Sud - Russia porta al pettine se non tutti una buona parte dei nodi; delle contraddizioni, degli errori della politica estera americana di questi ultimi vent'anni seguita finora, o subita, quasi supinamente dall'Europa.

Bush ha minacciato la Russia di espulsione dal G8 e dal Wto (grottesco diktat poi sfumato in un più diplomatico rischio di compromettere "l'aspirazione di essere integrata nelle strutture diplomatiche, politiche ed economiche del Ventunesimo secolo") per essere intervenuta nell'Ossezia del Sud a sua volta aggredita dalla Georgia da cui formalmente dipende e dalla quale reclama, da vent'anni, l'indipendenza? Ma quale autorità ha Bush in materia dopo che gli Stati Uniti hanno voluto, e ottenuto con la violenza delle armi, l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia? Con differenze che rendono molto più giustificabile l'intervento russo in Ossezia di quanto non lo fosse l'aggressione americana alla Serbia. Il Kosovo infatti era da sempre territorio serbo (era anzi considerato "la culla della Nazione serba") e vi vivevano 380mila serbi (ora ridotti a 60mila nella più grande, e vera, pulizia etnica nei Balcani), l'Ossezia del Sud non è mai stata territorio georgiano e vi vivono solo osseti. Gli indipendentisti albanesi dell'Uck, foraggiati e armati dagli americani, facevano ampio uso del terrorismo, gli osseti no. Le truppe russe sono intervenute in Ossezia e hanno anche sconfinato in Georgia ma non ne hanno toccato la capitale, Tbilisi, gli americani bombardarono invece a tappeto, per 72 giorni, Belgrado. La Serbia di Milosevic non costituiva una minaccia per alcun Paese Nato (anzi non costituiva, ridotta ai minimi termini com'era dopo la guerra di Bosnia, una minaccia per nessun Paese). La Georgia in predicato per entrare nella Nato, e con una serie di "istruttori" americani sul suo territorio, sta ai confini della Russia. Ciò che ha fatto la Russia in Georgia e in Ossezia del Sud è quindi molto meno grave, e più giustificabile, di quanto hanno fatto gli Stati Uniti in Serbia e in Kossovo.

Nella vicenda kosovara l'Europa, compresa l'Italia di D'Alema, seguì supinamente e stupidamente gli Stati Uniti. Mentre infatti gli americani avevano almeno un loro piano, costituire un corridoio - Albania più Bosnia più Kosovo - di islamismo "moderato" nei Balcani a favore della Turchia, il loro grande alleato nella regione (calcolo poi rivelatosi sbagliato perché in quel corridoio si sono installate cellule di Al Quaeda che stanno contaminando proprio la Turchia), l'Europa non aveva alcun interesse a favorire la componente islamica dei Balcani a danno della Serbia ortodossa e da sempre parte integrante del Vecchio Continente (e infatti quando a Ballarò dissi a D'Alema che quella per il Kosovo era stata una guerra "cogliona", l'ex presidente del Consiglio non replicò).

Ma ora l'Europa sembra rialzare la testa. Sembra aver capito che non è suo interesse appiattirsi come una sogliola davanti all'aggressiva politica americana. La mediazione di Sarkozy va tutta in questo senso (e infatti un documento di Washington di condanna esplicita della Russia inviato ai membri del G7 non è passato). Sarkozy non ha ottenuto solo l'immediato "cessate il fuoco" ma anche la posizione giuridica dell'Ossezia del Sud e dell'Akbazia) sia discussa in una Conferenza internazionale da cui uscirà, con tutta probabilità, l'indipendenza dei due Paesi. Senza spargimenti di sangue. Che è la soluzione ottimale per i russi, ma anche per noi. L'Europa ha infatti molti motivi, di vicinanza ed economici, per tenersi buona la pur ambigua Russia di Putin. Così come ha molto motivi per avere buoni rapporti con i Paesi musulmani che circondano le sue coste (mentre l'America li ha a 10mila chilometri di distanza). Per questo sempre Sarkozy sta favorendo l'"Unione mediterranea", cioè di tutti i popoli del Mediterraneo.

E l'Italia in tutto questo cosa fa? Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, non ha nemmeno partecipato alla riunione che i suoi colleghi della Ue hanno tenuto a Bruxelles per discutere della crisi georgiana. Sta alle Maldive. Forse ci è restato apposta, per non compromettersi. Una dimostrazione ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, che con la politica delle pacche sulle spalle "all'amico Bush" e all'"amico Putin" non si combina nulla e si finisce per non contar nulla.


Massimo Fini

30 agosto 2008

Italiani:i soliti eroi... per coprire le Caste.



Nella primavera del 1941, l’Italia, in una serie di disfatte, aveva perduto la Cirenaica, e gli inglesi avanzavano verso Tripoli. Hitler, che fino ad allora aveva considerato la guerra d’Africa un settore da lasciare agli italiani, mandò in aiuto degli alleati l’AfrikaKorps, al comando di Rommel: «La decisione», scrisse il generale tedesco Eckart Christian, «non fu basata su un piano strategico, ma sulla necessità di sostenere la posizione italiana nel Mediterraneo». Insomma, lo scopo era di evitare una cocente umiliazione al duce.

Nel novembre del ‘41 il Fuehrer mandò a Roma il feldmaresciallo Albert Kesserling come comandante del settore Sud, ma in realtà perché, come scrisse lo stesso Kesserling, «il sistema di rifornimenti all’Afrika Korps - che spettava agli italiani - era collassato. Il dominio britannico del cielo e del mare sul Mediterraneo era sempre più evidente… La posizione di Rommel era critica… Egli era intralciato nelle operazioni dalla presenza di divisioni di fanteria, e specialmente dalle divisioni italiane di bassissima efficienza combattiva».

In una guerra del deserto, completamente motorizzata e combattuta con i carri armati, noi avevamo fanti appiedati, che non erano altro che una patetica palla al piede. Questo indusse Kesselring a indagare e riflette su questa incapacità militare dell’alleato. Ciò che descrisse nei suoi rapporti, con equanimità e anche generosità, ci restituisce un ritratto veritiero dell’Italia d’oggi, dell’Italia di sempre.

Ecco alcuni passi dei ricordi di Kesselring: «Le forze armate italiane in genere non erano preparate alla guerra. Ma anziché prendere coscienza ella realtà com’era, il Comando Italiano (…) si cullava in vane speranze. L’aiuto tedesco è stato richiesto nella quantità necessaria solo quando era troppo tardi, e quando l’aiuto non era più in proporzione con lo sforzo fatto. Ho l’impressione che questa riluttanza nascesse da vanità e una falsa idea del prestigio delle forze armate italiane. Ma poco prima delle defezione italiana, il generale Ambrosio, ultimo capo dello Stato Maggiore, cambiò tattica, aumentando le richieste di truppe e materiali a così insensati livelli, da far capire le disoneste intenzioni seguenti».

I generali italioti credevano di essere furbi; la classe dirigente si preparava a tradire l’alleato, a rubargli intanto materiali, e credeva che questo non se ne accorgesse.

Ancora: «Il soldato italiano non può essere paragonato al soldato tedesco. L’addestramento, di per sé insufficiente, viene condotto come in tempo di pace, nei cortili delle caserme; l’addestramento sul campo era tralasciato. Manca ogni contatto tra gli ufficiali e gli uomini. (…) Non ci sono abbastanza unità motorizzate. I carri armati non hanno sufficiente protezione anticarro. Il loro armamento è insoddisfacente. Le armi anticarro erano manchevoli in quantità e inefficaci. Le armi della fanteria erano inadeguate. L’artigliera era di qualità, ma non adatta alle azioni contro gli alleati perché di gittata insufficiente. Le comunicazioni radio non erano adeguatamenet sviluppate. Le forniture erano insufficienti, a cominciare delle razioni. (…) I problemi dell’accaparramento, del soccorso e delle razioni alimentari avevano un effetto distruttivo sul morale».

Poiché i gallonati italiani non risucivano a mandare le forniture necessarie nella vicina Libia,
Kesselring prese il comando della logistica. Ma le navi di cui doveva servirsi erano pur sempre italiane. «Flotta da tempo buono», la chiama.

E annota: «C’era una certa riluttanza italiana a rischiare la perdita i navi, forse nella speranza di preservare la flotta (mercantile) per la sospirata pace. Sicchè la flotta mercantile non fu mai attrezzata per lo stato i guerra. Di fatto, la nazione italiana non si è mai sentita obbligata a mobilitarsi totalmente per la guerra, né in forza-lavoro nè nell’industria… Non si può aspettarsi la vittoria quando l’azione è dominata dalla paura di perdite».

Ancora: «Il soldato semplice riceve, anche in battaglia, razioni completamente diverse da quelle che ricevono gli ufficiali intermedi e superiori. La misura delle razioni è moltiplicata secondo il grado, e la copiosità significa anche una scelta migliore di cibo di buona qualità. Secondo il loro grado, gli ufficiali mangiano tanto più abbondantemente e bene. Al soldato semplice va la razione più frugale; se fosse sufficiente, gli ufficiali non avrebbero ovviamente bisogno di una razione doppia o anche tripla di quella. Gli ufficiali mangiano in mense a parte, senza contatto coi loro uomini e spesso senza sapere cosa questi ricevono. Così il cameratismo di guerra, ciò che forma la comunità di vita e di morte così necessaria, era spezzata. Ho visto personalmente che le mense da campo tedesche erano praticamente assediate da soldati italiani, mentre io mangiavo straordinariamente bene con la razione normale dell’ufficiale italiano, alla mensa-ufficiali».

Non è la stessa cosa anche oggi? Non è sempre la stessa casta, vanitosa e incompetente, che si riempie il piattro tre volte mentre il soldato semplice della repubblica fa la fame? Anzi peggio: oggi l’italiano comune si ritiene fortunato se trova un lavoro a 1.100 euro, mentre per la casta politica è normale prenderne 22 mila.

Ma ridiamo la parola a Kesserling: «Non ho mai avuto l’impressione che la popolazione avesse coscienza dall’inizio che stava combattendo per la sua stessa esistenza; ne è diventata cosciente solo nel corso della guerra, quando ha dovuto subire i bombardamenti e ha perso le sue colonie… E tuttavia, non potrò mai dimenticare l’impressione di dolce vita che Roma fece su di me nei giorni delle battaglie per le teste di ponte di Anzio-Nettuno, che infuriavano nelle vicinanze».

Non si creda però che Kesselring abbia pregiudizi contro gli italiani in genere, e disprezzo totale verso i soldati italiani. Anzi scrive: «Ho visto troppi atti eroici compiuti da unità e individui italiani, come la Divisione Folgore a El Alamein, l’artiglieria nelle battaglie tunisine, le piccole armi della Marina (e cita la Decima Mas e i suoi sommozzatori a cavallo dei maiali, che distrussero da soli un quarto del naviglio britannico perso nel Medirettaneo), gli equipaggi dei barchini esplosivi, eccetera, per non esprimere la mia stima con convinzione. Ma in guerra, il risultato non è dato dagli atti eroici di pochi individui, ma dal grado di addestramento e di morale delle intere forze armate».

E’ così anche oggi. Una massa passiva e tendente all’imboscamento, una casta vanitosa incapace e insensibile al destino nazionale, e qualche eroe che fa più del proprio dovere: senza riuscire, naturalmente, a cambiare il destino generale del Paese.

di M. Blondet

Presto il crollo di una grande banca USA



L’ex economista capo del Fondo Monetario Internazionale Kenneth Rogoff ha detto martedì che la peggiore delle crisi finanziarie globali deve ancora arrivare e che una grande banca Usa fallirà nei prossimi mesi, mentre la maggiore economia mondiale incontrerà nuovi guai.

“Gli Usa non sono fuori dai guai. Penso che la crisi finanziaria sia a metà, forse. Mi spingerei persino a dire che ‘il peggio deve ancora arrivare’”, ha detto ad una conferenza finanziaria.

“Non vedremo solamente banche di medie dimensioni finire in rosso nei prossimi mesi, vedremo un gigante, una grande, una delle grandi banche o delle banche di investimento” ha detto Rogoff, che è professore di economia presso la Harvard University ed è stato capo economista del Fondo Monetario Internazionale dal 2001 al 2004.

“Dobbiamo assistere ad un maggiore consolidamento nel settore finanziario prima che sia finito tutto ciò” ha affermato quando gli è stata posta una domanda sui segni anticipatori di una fine della crisi.

“Probabilmente Fannie Mae e Freddie Mac –nonostante quanto ha affermato il segretario al Tesoro Usa Hank Paulson – queste giganti agenzie di assicurazione sui mutui, entro pochi anni non esisteranno nella loro attuale forma”.

I commenti di Rogoff sono arrivati mentre lunedì gli investitori stavano abbandonando le azioni delle più grandi agenzie di prestito immobiliare Usa Fannie Mae e Freddie Mac, dopo un articolo giornalistico che affermava che i funzionari del governo potrebbero non avere altra scelta che realmente nazionalizzare i titani del finanziamento immobiliare Usa.

Una mossa del governo per ricapitalizzare le due aziende iniettando fondi potrebbe cancellare gli attuali azionisti, aveva affermato l’articolo di questo weekend di Barron. Soffriranno perdite anche gli azionisti e i proprietari dei $ 19 miliardi di debito subordinato delle due aziende appoggiate dal governo.

Rogoff ha affermato che investimenti multimiliardari da parte di fondi sovrani dell’Asia e del Medioriente in finanziarie occidentali potrebbero non necessariamente risultare in grandi profitti perché non sono state prese in considerazione le condizioni di mercato fronteggiate da tale industria.

“All’inizio della crisi vi era questa idea che i fondi sovrani potessero salvare qualunque banca di investimenti che avesse fatto qualcosa di stupido: hanno perso denaro nei mutui subprime, sono delle grandi occasioni, quindi i fondi sovrani arriveranno e faranno un sacco di soldi comprandole.”


“Questo modo di vedere non tiene in considerazione il fatto che il sistema finanziario si è gonfiato enormemente e deve restringersi”, ha affermato Rogoff alla conferenza di Singapore, i cui fondi sovrani GIC e Temasek hanno investito miliardi nella Merrill Lynch e nella Citigroup.

Come risposta al forte trinceramento nel mercato immobiliare e al subbuglio nel mercato dei crediti, la Federal Reserve Usa aveva ridotto i tassi di interesse per un totale di 3,25 punti percentuali, sino al valore del 2%, a metà settembre.

Rogoff ha affermato che la Federal Reserve Usa ha fatto male a tagliare così “drammaticamente” i tassi di interesse.

“Il taglio dei tassi d’interesse porterà una forte inflazione negli Stati Uniti nei prossimi anni.”

di Jan Dahinten

Le colpe di Washington nella questione georgiana



La vicenda Georgia - Ossezia del Sud - Russia porta al pettine se non tutti una buona parte dei nodi; delle contraddizioni, degli errori della politica estera americana di questi ultimi vent'anni seguita finora, o subita, quasi supinamente dall'Europa.

Bush ha minacciato la Russia di espulsione dal G8 e dal Wto (grottesco diktat poi sfumato in un più diplomatico rischio di compromettere "l'aspirazione di essere integrata nelle strutture diplomatiche, politiche ed economiche del Ventunesimo secolo") per essere intervenuta nell'Ossezia del Sud a sua volta aggredita dalla Georgia da cui formalmente dipende e dalla quale reclama, da vent'anni, l'indipendenza? Ma quale autorità ha Bush in materia dopo che gli Stati Uniti hanno voluto, e ottenuto con la violenza delle armi, l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia? Con differenze che rendono molto più giustificabile l'intervento russo in Ossezia di quanto non lo fosse l'aggressione americana alla Serbia. Il Kosovo infatti era da sempre territorio serbo (era anzi considerato "la culla della Nazione serba") e vi vivevano 380mila serbi (ora ridotti a 60mila nella più grande, e vera, pulizia etnica nei Balcani), l'Ossezia del Sud non è mai stata territorio georgiano e vi vivono solo osseti. Gli indipendentisti albanesi dell'Uck, foraggiati e armati dagli americani, facevano ampio uso del terrorismo, gli osseti no. Le truppe russe sono intervenute in Ossezia e hanno anche sconfinato in Georgia ma non ne hanno toccato la capitale, Tbilisi, gli americani bombardarono invece a tappeto, per 72 giorni, Belgrado. La Serbia di Milosevic non costituiva una minaccia per alcun Paese Nato (anzi non costituiva, ridotta ai minimi termini com'era dopo la guerra di Bosnia, una minaccia per nessun Paese). La Georgia in predicato per entrare nella Nato, e con una serie di "istruttori" americani sul suo territorio, sta ai confini della Russia. Ciò che ha fatto la Russia in Georgia e in Ossezia del Sud è quindi molto meno grave, e più giustificabile, di quanto hanno fatto gli Stati Uniti in Serbia e in Kossovo.

Nella vicenda kosovara l'Europa, compresa l'Italia di D'Alema, seguì supinamente e stupidamente gli Stati Uniti. Mentre infatti gli americani avevano almeno un loro piano, costituire un corridoio - Albania più Bosnia più Kosovo - di islamismo "moderato" nei Balcani a favore della Turchia, il loro grande alleato nella regione (calcolo poi rivelatosi sbagliato perché in quel corridoio si sono installate cellule di Al Quaeda che stanno contaminando proprio la Turchia), l'Europa non aveva alcun interesse a favorire la componente islamica dei Balcani a danno della Serbia ortodossa e da sempre parte integrante del Vecchio Continente (e infatti quando a Ballarò dissi a D'Alema che quella per il Kosovo era stata una guerra "cogliona", l'ex presidente del Consiglio non replicò).

Ma ora l'Europa sembra rialzare la testa. Sembra aver capito che non è suo interesse appiattirsi come una sogliola davanti all'aggressiva politica americana. La mediazione di Sarkozy va tutta in questo senso (e infatti un documento di Washington di condanna esplicita della Russia inviato ai membri del G7 non è passato). Sarkozy non ha ottenuto solo l'immediato "cessate il fuoco" ma anche la posizione giuridica dell'Ossezia del Sud e dell'Akbazia) sia discussa in una Conferenza internazionale da cui uscirà, con tutta probabilità, l'indipendenza dei due Paesi. Senza spargimenti di sangue. Che è la soluzione ottimale per i russi, ma anche per noi. L'Europa ha infatti molti motivi, di vicinanza ed economici, per tenersi buona la pur ambigua Russia di Putin. Così come ha molto motivi per avere buoni rapporti con i Paesi musulmani che circondano le sue coste (mentre l'America li ha a 10mila chilometri di distanza). Per questo sempre Sarkozy sta favorendo l'"Unione mediterranea", cioè di tutti i popoli del Mediterraneo.

E l'Italia in tutto questo cosa fa? Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, non ha nemmeno partecipato alla riunione che i suoi colleghi della Ue hanno tenuto a Bruxelles per discutere della crisi georgiana. Sta alle Maldive. Forse ci è restato apposta, per non compromettersi. Una dimostrazione ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, che con la politica delle pacche sulle spalle "all'amico Bush" e all'"amico Putin" non si combina nulla e si finisce per non contar nulla.


Massimo Fini