14 settembre 2008

È l’utopia della pace che genera violenza


La violenza è attuale più che mai: tafferugli, auto in fiamme, crescita della delinquenza, minacce terroristiche, ma anche di guerra, e uso della forza di Stato.
Max Weber ha dimostrato che la violenza - lungi dall’essere «fenomeno arcaico», anacronistico retaggio di barbarie - è la preminente manifestazione dell’antagonismo fra libertà e necessità. Georg Simmel l’ha definita elemento strutturale del fatto sociale. Georges Sorel non esita ad opporla alla forza dell’ordine costituito. Julien Freund la definisce il mezzo d’eccezione del politico. Michel Maffesoli scrive che «la sua stessa pluralità è indice privilegiato del politeismo dei valori», infatti è un’«espressione parossistica del desiderio di comunione». René Girard, secondo cui ogni società nasce da una violenza fondatrice, vede in essa parte di «una sacralità degradata». La violenza è insieme dissidenza, parossismo e duplicità; sul piano sociale s’inscrive in un doppio movimento di distruzione e fondazione.
OVUNQUE E DA NESSUNA PARTE
Al limite, si può estendere il campo della violenza fino a vederne ovunque, anche nell’obbligo imposto dalle leggi, dalle istituzioni e dalle strutture sociali, perché lo Stato nasce da un rapporto di forze. Ma se è ovunque, la violenza non è più in nessun posto. In senso stretto, è oggettivabile solo la violenza fisica, frutto dell’illecito uso materiale della forza. Molte dottrine chiamano violenza solo la forza illegittima. Sotto la copertura d’una formale neutralità, lo Stato stesso s’è arrogato il monopolio della violenza, ma senza riuscirci mai, infatti la legalità che esso incarna non sempre è legittima. Dove comincia allora la legittimità del ricorso alla forza, se la legittimità non si confonde con la semplice legalità? Principio organizzatore della società, la violenza può anche essere un modo per restaurare la città. Oggi l’aumentata settorializzazione della violenza («violenza sociale», «violenza scolastica», «donne picchiate», ecc.) s’unisce all’infantolatria (colpisce che l’infanticidio abbia sostituito il parricidio come il peggiore dei crimini), all’ideologia vittimista (le vittime hanno rimpiazzato gli eroi come modelli, dunque per farsi ammirare occorre prima farsi compatire) nel suggerire un’ubiquità della violenza.
PIÙ DI IERI, MENO DI DOMANI
Città incluse, la violenza propriamente criminale è in realtà minore di una volta, almeno in Francia, ma la violenza dei giovani è certo aumentata. Essa s’accompagna a una spettacolarizzazione sempre più invadente. Il film Rambo 4 offre 236 morti in 93 minuti. Cyberdipendenza e videogiochi amplificano il fenomeno. La morte è banalizzata, ma son sempre meno quelli che hanno visto un vero cadavere. Il paradosso è che l’onnipresenza della violenza procede di pari passo con la non meno evidente accentuazione della sensibilità: fra la gente comune la soglia di tolleranza per la violenza reale continua a calare. Il vero problema della violenza comincia quando essa perde lo statuto di ultima ratio, per proliferare con virulenza e costituire un modo d’esistere. In parte è quanto accade ora.
La violenza è l’eccezione del politico, ma l’organizzazione del politico della società esige che la violenza sia regolata. Ma anche qui torna l’ambivalenza. La violenza va contenuta perché destruttura la vita sociale, ma è sempre la violenza che permette, a chi si compiace di combatterla, di giustificare la soppressione delle dissidenze e il presidio generalizzato della socialità. Quotidianamente oggi l’ansia di sicurezza può esser invocata per imbrigliare le libertà. La violenza fa paura, giustamente, ma anche questa paura può esser strumentalizzata. Essa permette all’autorità di legittimarsi come istanza di «protezione» e quindi agevola il controllo sociale.
ATTACCO PREVENTIVO
Metafora delle tensioni sociali, la città è al centro delle paure contemporanee. La politicizzazione delle paure urbane spinge i poteri pubblici ad alimentare deliberatamente le inquietudini - non a rafforzare le solidarietà sociali - e a punire dissidenti e individui presunti «pericolosi» come dei colpevoli. La sacralizzazione della legge serve allora solo a premunirsi da una contestazione violenta del disordine costituito. L’anarchica proliferazione di violenze di ogni genere fa poi dimenticare che, su altri piani, il conflitto tende a sparire. I grandi conflitti sociali del secolo scorso si sono per lo più placati, a cominciare dalla lotta di classe, dimenticata a vantaggio di un chimerico «scontro di civiltà». Dal compromesso fordista, i sindacati si sono adeguati all’idea di una società senza un preminente antagonismo, proprio come i partiti contestatori di sinistra si sono adeguati alla logica consensuale del mercato. Anche lo Stato s’orienta alla ricerca sistematica di «compromessi negoziati». Desindacalizzazione, cedimento del pensiero critico, «dialogo sociale» e negoziato degli interessi: in molti campi il consenso ha sostituito il conflitto. Pierre Rosanvallon non ha torto quando dice che, socialmente parlando, viviamo in un mondo senza una forte conflittualità strutturante.
GUERRA ALLA GUERRA
A livello internazionale, è ancora un’altra cosa. L’idea dominante è d’eliminare la guerra e sopprimere il conflitto. Ma la guerra contro la guerra prevale, è sempre più violenta di tutte le altre, né la cultura del rifiuto del nemico impedisce al nemico di apparire. Ben diverso dal desiderio di pace (l’obiettivo naturale della guerra è la pace), il pacifismo è intrinsecamente polemogeno. Fondamentalmente la guerra non ha cambiato natura, ma i mezzi ai quali ricorrono i belligeranti son sempre più massicciamente distruttivi. Chi crede di liberarci dalla violenza è imbattibile nel giustificarla e nello scatenarla!
La violenza è stata spesso messa al servizio dell’utopismo, ma anche la volontà di eliminare la violenza deriva dall’utopia. La società non potrà circoscrivere o canalizzare la violenza, pretendendo d’imporre la «pace universale» e sopprimere i fattori conflittuali. Il conflitto nasce da aggressività naturale, diversità umana e impossibilità di conciliare sempre progetti originati da valori divergenti. Non tutti i conflitti implicano violenza, però ne celano la possibilità. L’intolleranza a priori nei suoi riguardi rimanda meno al gusto per i rapporti civili e più alla paura del rischio, alla rassegnazione e all’inerzia. È fin troppo certo che rimozione del conflitto e rifiuto dell’idea stessa di lotta conducano alla violenza generalizzata: voler rimpiazzare a ogni costo il conflitto col consenso è votarsi a far scatenare la violenza estrema. Se oggi c’è troppa violenza, forse è perché difetta il conflitto creatore.
(Traduzione di Maurizio Cabona)
di Alain de Benoist

06 settembre 2008

Tra le montagne del Caucaso, nella colonia degli Oscurati



Non amo occuparmi
di attualità, ma mi pare doveroso precisare alcune mie opinioni in
merito al recente conflitto tra la Georgia, sostenuta dall'asse Stati
Uniti-Israele, e l'Ossezia del Sud,
appoggiata dalla Russia di Putin-Medvedev. Mi auguro comunque che
queste parole siano apotropaiche. Non intendo persuadere quei lettori
che credono ciecamente ancora alle false contrapposizioni tra
superpotenze e che tendono a schierarsi con uno dei due contendenti.
Chi, però, seguirà gli eventi forse destinati ad accadere, non solo
comprenderà che la guerra citata è solo uno dei tanti stratagemmi
adoperati dal governo occulto per scatenare un conflitto su scala
globale, ma anche sarà in grado di discernere i siti di informazione
veramente libera dai numerosissimi portali infiltrati.


Non
intendo tessere l'elogio degli Stati Uniti, mentre altri magnificano la
Russia, ma evidenziare come siano gli Oscurati a controllare tutti i
principali paesi dello scacchiere internazionale. Bisogna capire che la
gravissima crisi in cui versano gli Stati Uniti non è la conseguenza
(non solo) di un modello economico dissennato, ma la fase di un
progetto risalente a secoli addietro, un progetto pianificato ed
attuato con mefistofelica astuzia e scientifica precisione. La
sinarchia, che non nutre alcun sentimento patriottico né apprezza i
valori nazionali, ha deciso di affossare gli U.S.A. e di portare in
auge la Federazione russa che in futuro sarà lo stato più ricco e
potente del pianeta, insieme con la Cina. Non basta, però, distruggere
l'economia e la società statunitensi: occorre, infatti, fomentare in
tutto il mondo un odio incoercibile, furioso contro Stati Uniti ed
Israele, protagonisti di genocidi, di episodi di sfruttamento, di
carneficine e di brutali aggressioni.

Gli esecutivi delle varie
nazioni sono esecrandi, ma illudersi che il governo russo sia migliore
di quello statunitense è un'ingenuità.

Non so se Medvedev e Bush
siano al corrente di essere manipolati affinché si azzuffino come due
galli da combattimento: lo scommettitore sa quale dei due galli
vincerà, perché il combattimento è truccato. Credo che Bush, nella sua
infinita stolidità, pensi di agire per gli Stati Uniti e non per il
governo segreto, mentre Medvev sembra uomo assai più scaltro, allevato
ed indottrinato per svolgere un preciso compito. Comunque sia, i popoli
ignorano che chi agisce dietro le quinte manovra i vari burattini della
scena internazionale. In tale ottica, poco conta anche il petrolio
(alcuni oleodotti passano per la Georgia, sottraendo così alla Russia
il controllo dell'oro nero centro-asiatico): infatti l'apparato
militare ed industriale da decenni impiega altre forme di energia e
potrebbe rinunciare ai combustibili fossili oggi stesso, se gli
idrocarburi non fossero uno strumento per dominare l'economia e
soggiogare le popolazioni.

Quel che importa veramente ai signori
della guerra è determinare una situazione indescrivibile di caos,
conflagrazioni belliche, atti efferati, epidemie, carestie, disastri
innaturali etc. Terminato questo periodo di immani tribolazioni, come
Lucifero nell'incanto del mattino, splenderà glorioso e magnifico
l'astro del Salvatore. Egli offrirà ad un'umanità (ai sopravvissuti del
genere umano) prostrata, immiserita e disperata, la risoluzione per
ogni problema: energia non inquinante per tutti, cibo in abbondanza,
sicurezza e pace. Naturalmente i suoi "miracoli" saranno trucchi da
baraccone ed i suoi doni non saranno disinteressati. L'energia
implicherà che ogni uomo diventi un terminale alimentato e controllato
da un megacomputer centrale; gli alimenti saranno geneticamente
modificati; la sicurezza e la pace saranno sinonimi di rinuncia ad ogni
residua forma di libertà. Un superstato totalitario diverrà un
invadente ed onnipresente Briareo dalle cento braccia, diventerà un
mostruoso Argo dai cento occhi (gli occhi delle telecamere-spia).
Infine il superstato pretenderà l’atto finale di sottomissione, come in
1984.

Tutto ciò potrebbe accadere per mezzo di Gog e Magog,
ossia i popoli che nella Bibbia, nel Corano ed in altre tradizioni
posteriori, raffigurano le nazioni orientali (Russia, Cina...).

Chiarito
ciò, è meglio diffidare di chi decanta le inesistenti virtù di Putin e
Medvedev, dipinti come due statisti buoni, solleciti del bene
collettivo, disinteressati, amanti della pace, fautori della
democrazia. Chi li dipinge così è un... ; chi sostiene che, tutto
sommato, la Russia è la nazione su cui fare assegnamento per un futuro
di libertà e di giustizia, è uno sprovveduto. Non esistono i buoni ed i
cattivi, ma solo i cattivi ed i cattivi mascherati da buoni, come
durante il Secondo conflitto mondiale, quando sia il Tripartito
(Italia, Germania, Giappone), i “cattivi”, sia gli Alleati, i “buoni”
erano finanziati dalla stessa élite di guerrafondai Ecco spiegato
dunque perché l’orso russo non è un mansueto agnellino.

La Russia è all'avanguardia nelle armi elettromagnetiche e psicotroniche; usa le scie chimiche
per manipolare il clima, per avvelenare e condizionare la popolazione,
esattamente come gli stati della N.A.T.O.; impiega sofisticati e
diabolici sistemi di sorveglianza (anche insetti-spia); si avvale della
psicopolizia; reprime in modo feroce dissidenti ed etnie che
rivendicano diritti civili; ha adottato un selvaggio modello economico
liberista; non rispetta l'ambiente; ha collaborato e coopera con gli
Stati Uniti in sperimentazioni di dispositivi elettrodinamici
(Caronia)...

Intendiamoci: gli U.S.A. sembrano avviati a
diventare il Quarto Reich, ma non sarà la Russia a salvarci dalla
dittatura planetaria.

A questo punto, la prossima volta in cui leggerete gli articoli di colui, sappiate che è un...

Ognuno
poi la pensi come vuole: chi vivrà vedrà. Si può solo consigliare di
allacciare molto bene le cinture, perché stiamo forse salendo per una
folle corsa sulle montagne... russe.

By zret

Confermato: Israele usava la Georgia come base di attacco all’Iran



«In base ad un accordo segreto fra Israele e Georgia, due campi d’aviazione militari nella Georgia meridionale erano stati assegnati ai bombardieri israeliani per un attacco preventivo contro le installazioni nucleari dell’Iran. Ciò riduce notevolmente la distanza che i caccia-bombardieri devono coprire per raggiungere i loro bersagli in Iran».

Stavolta a scriverlo nero su bianco non è un complottista marginale. E’ Arnaud De Borchgrave, storico direttore del Washington Times ed ora, in tarda età, «editor-at-large» (ossia direttore non esecutivo, ma libero commentatore) dell’agenzia internazionale UPI. Un personaggio (l’ho conosciuto di persona in anni lontani) con ottimi agganci con servizi segreti, in primo luogo francesi.

Ora egli conferma tutto ciò che abbiamo detto in questo sito: Israele ha addestrato ed armato i georgiani, e si è fatta pagare (in parte) facendosi concedere due basi militari avanzate contro Teheran (1). S’intende che i caccia-bombardieri israeliani, per raggiungere le loro basi in Georgia, avrebbero dovuto «sorvolare lo spazio aereo della Turchia».

«L’attacco ordinato da Saakashvili contro il Sud-Ossezia la notte del 7 agosto», aggiunge De Borchgrave, «ha dato ai russi il pretesto per ordinare alle sue forze speciali di fare incursione in queste basi isrealiane, dove si dice che sono stati catturati diversi droni israeliani. E’ dubbio che l’IAF (Israeli Air Force) possa ancora contare su queste basi», dice sardonico.
Al pubblico americano, De Borchgrave rivela diversi particolari, già noti ai lettori di EFFEDIEFFE.

Che il «ministro della Difesa georgiana Davit Kezerashvili è un ex-israeliano che si è trasferito per facilitare le vendite di armi israeliane con l’aiuto degli USA».

Che «il primo ministro Vladimir Gurgenidze», prima dell’attacco, «ha fatto una telefonata in Israele per chiedere una benedizione speciale al più importante rabbino degli haredim, rabbi Aaron Leib Steinman».

Che «da Israele arriva il maggiore Roni Milo, ex ministro e sindaco di Tel Aviv, con suo fratello Shlomo, in qualità di rappresentanti della Elbit Systems, e delle Israeli Military Industries». Sono i droni fabbricati dalla Elbit ad «aver condotto i voli di ricognizione nella Russia meridionale, e anche nel vicino Iran».

Che il «ministro georgiano Temur Yakobashvili - un ebreo secondo Haaretz - si è fatto intervistare dalla radio dell’armata israeliana per vantarsi», alquanto improbabilmente, che «un piccolo gruppo dei nostri uomini sono stati capaci di spazzar via una intera divisione russa, grazie all’addestramento israeliano».

Il generale Anatoly Nogovitsyn, vice-capo di stato maggiore russo, ha infatti confermato in una conferenza-stampa a Mosca che l’aiuto israeliano alla Georgia comprendeva «otto tipi di veicoli militari, esplosivi, mine ed esplosivi speciali per pulire i campi minati», e in più «un numero di istruttori israeliani distaccati presso la milizia georgiana valutato tra i 100 e i mille. Oltre ai 110 militari Usa impegnati nell’addestramento in Georgia».

De Borchgrave ricorda che a luglio era avvenuta l’esercitazione Usa-georgiana «Immediate Response 2008», durante la quale «2000 soldati Usa erano stati trasportati in Georgia», lasciando capire che tale esercitazione serviva a preparare, e a mascherare, l’attacco a sorpresa al Sud Ossezia.

Invece la sorpresa l’hanno fatta i russi. Perchè - e qui De Borchgrave fornisce informazioni molto interessanti, di sue fonti - agenti doppi russi, «che in apparenza lavorano per i georgiani», hanno riferito a chi di dovere delle «fantasie militariste dell’impetuoso Saakashvili»; d’altra parte, gli Stati Uniti non avevano sufficiente «capacità di spionaggio satellitare, già stra-impegnato nelle guerre in Iraq e Afghanistan».

Sicchè nè gli uni nè gli altri «si sono accorti che le forze russe erano pronte ad una risposta immediata e massiccia all’attacco in Sud-Ossezia, che Mosca sapeva (in anticipo) imminente».

Quando poi la sorpresa si è trasformata in rotta, l’ambasciatore georgiano a Gerusalemme ha chiesto disperatamente di «far pressione su Mosca». Ottenendo la seguente risposta: «L’indirizzo per questo tipo di pressioni è Washington». Che, come sappiamo, esegue. Israele, a quel punto, era allarmatissima di non guastarsi del tutto con Mosca: la Russia può creargli molti guai, fornendo armamento all’Iran, alla Siria, a Hezbollah.

Il fatto è, conclude sarcastico De Borchgrave, che Saakashvili era convinto che gli USA l’avrebbero sostenuto totalmente nella sua guerricciola, correndo in suo aiuto contro la Russia, come «se la Georgia fosse l’Israele del Caucaso». Ovviamente gli USA non hanno potuto fare altro che qualche borborigmo minaccioso, e qualche provocazione inutile, come mandare aiuti «umanitari» ai georgiani su navi da guerra. Ottenendo anche qui una mezza umiliazione.

La Turchia, che controlla lo stretto del Bosforo, ha rifiutato il passaggio di navi da guerra americane di grande tonnellaggio nel Mar Nero, come ha il diritto di fare in base alla Convenzione di Montreux, un trattato internazionale del 1936 (2).
Il che conferma perchè la Turchia «non merita» di entrare nella UE: ha troppa dignità, troppo senso del proprio interesse nazionale, per entrare in questa conigliaia di servi spaventati di Usrael.

Un collega, ottima fonte, mi dice che anche la UE ha finanziato l’armamento della Georgia, attraverso denari etichettati come «fondi per lo sviluppo». Naturalmente è una notizia incontrollabile per principio, dati i labirinti del bilancio eurocratico, dove la pratica di nascondere le voci sotto altre voci è una forma d’arte. Ma è del tutto credibile.

Il che spiega perchè le truppe russe non hanno fretta di lasciare la Georgia. E perchè la UE ha alzato il ditino moralistico contro Mosca, ma per poi farle sapere (dopo consultazioni sottobanco) che non la isolerà nè eleverà sanzioni contro la Russia; annuncio che è stato accolto a Mosca con sardonica soddisfazione. Perchè tutti capiscono che le sanzioni, sono loro che le possono applicare a noi, tagliandoci il petrolio in inverno.

Così abbiamo fatto anche questa figura: dei deboli ridicoli e doppiogiochisti, per non aver avuto il coraggio di affermare che la ragione stava dalla parte di Putin, e che Israele e gli americani devono smettere di provocare e intrigare «out of area», mettendo in pericolo il mondo. Forse siamo noi che dovremmo chiedere l’entrata nella Turchia...


1) Arnaud De Borchgrave, «Commentary: Israel of the Caucasus», Middle East Times, 2 settembre 2002.
2) «Turkey refused to open the straits to two hospital ships of the U.S. Navy the tonnage of which exceeded the limits set by the Montreux Convention which governs international traffic through the Dardanelles and Bosphorus straits; but agreed to the passage of smaller U.S. ships in line with the convention. The U.S. ships delivered humanitarian supplies to the Georgian port of Batumi. Meanwhile warships that belong to NATO members Spain, Poland and Germany also passed through the straits heading to Constanta in Romania to participate in the long-planned NATO exercises. Russia responded harshly to the increased NATO military presence in the Black Sea, threatening that it would hold Turkey responsible if the ships did not leave in 21 days». (Hurriyet, 29 agosto 2008).

M. Blondet

14 settembre 2008

È l’utopia della pace che genera violenza


La violenza è attuale più che mai: tafferugli, auto in fiamme, crescita della delinquenza, minacce terroristiche, ma anche di guerra, e uso della forza di Stato.
Max Weber ha dimostrato che la violenza - lungi dall’essere «fenomeno arcaico», anacronistico retaggio di barbarie - è la preminente manifestazione dell’antagonismo fra libertà e necessità. Georg Simmel l’ha definita elemento strutturale del fatto sociale. Georges Sorel non esita ad opporla alla forza dell’ordine costituito. Julien Freund la definisce il mezzo d’eccezione del politico. Michel Maffesoli scrive che «la sua stessa pluralità è indice privilegiato del politeismo dei valori», infatti è un’«espressione parossistica del desiderio di comunione». René Girard, secondo cui ogni società nasce da una violenza fondatrice, vede in essa parte di «una sacralità degradata». La violenza è insieme dissidenza, parossismo e duplicità; sul piano sociale s’inscrive in un doppio movimento di distruzione e fondazione.
OVUNQUE E DA NESSUNA PARTE
Al limite, si può estendere il campo della violenza fino a vederne ovunque, anche nell’obbligo imposto dalle leggi, dalle istituzioni e dalle strutture sociali, perché lo Stato nasce da un rapporto di forze. Ma se è ovunque, la violenza non è più in nessun posto. In senso stretto, è oggettivabile solo la violenza fisica, frutto dell’illecito uso materiale della forza. Molte dottrine chiamano violenza solo la forza illegittima. Sotto la copertura d’una formale neutralità, lo Stato stesso s’è arrogato il monopolio della violenza, ma senza riuscirci mai, infatti la legalità che esso incarna non sempre è legittima. Dove comincia allora la legittimità del ricorso alla forza, se la legittimità non si confonde con la semplice legalità? Principio organizzatore della società, la violenza può anche essere un modo per restaurare la città. Oggi l’aumentata settorializzazione della violenza («violenza sociale», «violenza scolastica», «donne picchiate», ecc.) s’unisce all’infantolatria (colpisce che l’infanticidio abbia sostituito il parricidio come il peggiore dei crimini), all’ideologia vittimista (le vittime hanno rimpiazzato gli eroi come modelli, dunque per farsi ammirare occorre prima farsi compatire) nel suggerire un’ubiquità della violenza.
PIÙ DI IERI, MENO DI DOMANI
Città incluse, la violenza propriamente criminale è in realtà minore di una volta, almeno in Francia, ma la violenza dei giovani è certo aumentata. Essa s’accompagna a una spettacolarizzazione sempre più invadente. Il film Rambo 4 offre 236 morti in 93 minuti. Cyberdipendenza e videogiochi amplificano il fenomeno. La morte è banalizzata, ma son sempre meno quelli che hanno visto un vero cadavere. Il paradosso è che l’onnipresenza della violenza procede di pari passo con la non meno evidente accentuazione della sensibilità: fra la gente comune la soglia di tolleranza per la violenza reale continua a calare. Il vero problema della violenza comincia quando essa perde lo statuto di ultima ratio, per proliferare con virulenza e costituire un modo d’esistere. In parte è quanto accade ora.
La violenza è l’eccezione del politico, ma l’organizzazione del politico della società esige che la violenza sia regolata. Ma anche qui torna l’ambivalenza. La violenza va contenuta perché destruttura la vita sociale, ma è sempre la violenza che permette, a chi si compiace di combatterla, di giustificare la soppressione delle dissidenze e il presidio generalizzato della socialità. Quotidianamente oggi l’ansia di sicurezza può esser invocata per imbrigliare le libertà. La violenza fa paura, giustamente, ma anche questa paura può esser strumentalizzata. Essa permette all’autorità di legittimarsi come istanza di «protezione» e quindi agevola il controllo sociale.
ATTACCO PREVENTIVO
Metafora delle tensioni sociali, la città è al centro delle paure contemporanee. La politicizzazione delle paure urbane spinge i poteri pubblici ad alimentare deliberatamente le inquietudini - non a rafforzare le solidarietà sociali - e a punire dissidenti e individui presunti «pericolosi» come dei colpevoli. La sacralizzazione della legge serve allora solo a premunirsi da una contestazione violenta del disordine costituito. L’anarchica proliferazione di violenze di ogni genere fa poi dimenticare che, su altri piani, il conflitto tende a sparire. I grandi conflitti sociali del secolo scorso si sono per lo più placati, a cominciare dalla lotta di classe, dimenticata a vantaggio di un chimerico «scontro di civiltà». Dal compromesso fordista, i sindacati si sono adeguati all’idea di una società senza un preminente antagonismo, proprio come i partiti contestatori di sinistra si sono adeguati alla logica consensuale del mercato. Anche lo Stato s’orienta alla ricerca sistematica di «compromessi negoziati». Desindacalizzazione, cedimento del pensiero critico, «dialogo sociale» e negoziato degli interessi: in molti campi il consenso ha sostituito il conflitto. Pierre Rosanvallon non ha torto quando dice che, socialmente parlando, viviamo in un mondo senza una forte conflittualità strutturante.
GUERRA ALLA GUERRA
A livello internazionale, è ancora un’altra cosa. L’idea dominante è d’eliminare la guerra e sopprimere il conflitto. Ma la guerra contro la guerra prevale, è sempre più violenta di tutte le altre, né la cultura del rifiuto del nemico impedisce al nemico di apparire. Ben diverso dal desiderio di pace (l’obiettivo naturale della guerra è la pace), il pacifismo è intrinsecamente polemogeno. Fondamentalmente la guerra non ha cambiato natura, ma i mezzi ai quali ricorrono i belligeranti son sempre più massicciamente distruttivi. Chi crede di liberarci dalla violenza è imbattibile nel giustificarla e nello scatenarla!
La violenza è stata spesso messa al servizio dell’utopismo, ma anche la volontà di eliminare la violenza deriva dall’utopia. La società non potrà circoscrivere o canalizzare la violenza, pretendendo d’imporre la «pace universale» e sopprimere i fattori conflittuali. Il conflitto nasce da aggressività naturale, diversità umana e impossibilità di conciliare sempre progetti originati da valori divergenti. Non tutti i conflitti implicano violenza, però ne celano la possibilità. L’intolleranza a priori nei suoi riguardi rimanda meno al gusto per i rapporti civili e più alla paura del rischio, alla rassegnazione e all’inerzia. È fin troppo certo che rimozione del conflitto e rifiuto dell’idea stessa di lotta conducano alla violenza generalizzata: voler rimpiazzare a ogni costo il conflitto col consenso è votarsi a far scatenare la violenza estrema. Se oggi c’è troppa violenza, forse è perché difetta il conflitto creatore.
(Traduzione di Maurizio Cabona)
di Alain de Benoist

06 settembre 2008

Tra le montagne del Caucaso, nella colonia degli Oscurati



Non amo occuparmi
di attualità, ma mi pare doveroso precisare alcune mie opinioni in
merito al recente conflitto tra la Georgia, sostenuta dall'asse Stati
Uniti-Israele, e l'Ossezia del Sud,
appoggiata dalla Russia di Putin-Medvedev. Mi auguro comunque che
queste parole siano apotropaiche. Non intendo persuadere quei lettori
che credono ciecamente ancora alle false contrapposizioni tra
superpotenze e che tendono a schierarsi con uno dei due contendenti.
Chi, però, seguirà gli eventi forse destinati ad accadere, non solo
comprenderà che la guerra citata è solo uno dei tanti stratagemmi
adoperati dal governo occulto per scatenare un conflitto su scala
globale, ma anche sarà in grado di discernere i siti di informazione
veramente libera dai numerosissimi portali infiltrati.


Non
intendo tessere l'elogio degli Stati Uniti, mentre altri magnificano la
Russia, ma evidenziare come siano gli Oscurati a controllare tutti i
principali paesi dello scacchiere internazionale. Bisogna capire che la
gravissima crisi in cui versano gli Stati Uniti non è la conseguenza
(non solo) di un modello economico dissennato, ma la fase di un
progetto risalente a secoli addietro, un progetto pianificato ed
attuato con mefistofelica astuzia e scientifica precisione. La
sinarchia, che non nutre alcun sentimento patriottico né apprezza i
valori nazionali, ha deciso di affossare gli U.S.A. e di portare in
auge la Federazione russa che in futuro sarà lo stato più ricco e
potente del pianeta, insieme con la Cina. Non basta, però, distruggere
l'economia e la società statunitensi: occorre, infatti, fomentare in
tutto il mondo un odio incoercibile, furioso contro Stati Uniti ed
Israele, protagonisti di genocidi, di episodi di sfruttamento, di
carneficine e di brutali aggressioni.

Gli esecutivi delle varie
nazioni sono esecrandi, ma illudersi che il governo russo sia migliore
di quello statunitense è un'ingenuità.

Non so se Medvedev e Bush
siano al corrente di essere manipolati affinché si azzuffino come due
galli da combattimento: lo scommettitore sa quale dei due galli
vincerà, perché il combattimento è truccato. Credo che Bush, nella sua
infinita stolidità, pensi di agire per gli Stati Uniti e non per il
governo segreto, mentre Medvev sembra uomo assai più scaltro, allevato
ed indottrinato per svolgere un preciso compito. Comunque sia, i popoli
ignorano che chi agisce dietro le quinte manovra i vari burattini della
scena internazionale. In tale ottica, poco conta anche il petrolio
(alcuni oleodotti passano per la Georgia, sottraendo così alla Russia
il controllo dell'oro nero centro-asiatico): infatti l'apparato
militare ed industriale da decenni impiega altre forme di energia e
potrebbe rinunciare ai combustibili fossili oggi stesso, se gli
idrocarburi non fossero uno strumento per dominare l'economia e
soggiogare le popolazioni.

Quel che importa veramente ai signori
della guerra è determinare una situazione indescrivibile di caos,
conflagrazioni belliche, atti efferati, epidemie, carestie, disastri
innaturali etc. Terminato questo periodo di immani tribolazioni, come
Lucifero nell'incanto del mattino, splenderà glorioso e magnifico
l'astro del Salvatore. Egli offrirà ad un'umanità (ai sopravvissuti del
genere umano) prostrata, immiserita e disperata, la risoluzione per
ogni problema: energia non inquinante per tutti, cibo in abbondanza,
sicurezza e pace. Naturalmente i suoi "miracoli" saranno trucchi da
baraccone ed i suoi doni non saranno disinteressati. L'energia
implicherà che ogni uomo diventi un terminale alimentato e controllato
da un megacomputer centrale; gli alimenti saranno geneticamente
modificati; la sicurezza e la pace saranno sinonimi di rinuncia ad ogni
residua forma di libertà. Un superstato totalitario diverrà un
invadente ed onnipresente Briareo dalle cento braccia, diventerà un
mostruoso Argo dai cento occhi (gli occhi delle telecamere-spia).
Infine il superstato pretenderà l’atto finale di sottomissione, come in
1984.

Tutto ciò potrebbe accadere per mezzo di Gog e Magog,
ossia i popoli che nella Bibbia, nel Corano ed in altre tradizioni
posteriori, raffigurano le nazioni orientali (Russia, Cina...).

Chiarito
ciò, è meglio diffidare di chi decanta le inesistenti virtù di Putin e
Medvedev, dipinti come due statisti buoni, solleciti del bene
collettivo, disinteressati, amanti della pace, fautori della
democrazia. Chi li dipinge così è un... ; chi sostiene che, tutto
sommato, la Russia è la nazione su cui fare assegnamento per un futuro
di libertà e di giustizia, è uno sprovveduto. Non esistono i buoni ed i
cattivi, ma solo i cattivi ed i cattivi mascherati da buoni, come
durante il Secondo conflitto mondiale, quando sia il Tripartito
(Italia, Germania, Giappone), i “cattivi”, sia gli Alleati, i “buoni”
erano finanziati dalla stessa élite di guerrafondai Ecco spiegato
dunque perché l’orso russo non è un mansueto agnellino.

La Russia è all'avanguardia nelle armi elettromagnetiche e psicotroniche; usa le scie chimiche
per manipolare il clima, per avvelenare e condizionare la popolazione,
esattamente come gli stati della N.A.T.O.; impiega sofisticati e
diabolici sistemi di sorveglianza (anche insetti-spia); si avvale della
psicopolizia; reprime in modo feroce dissidenti ed etnie che
rivendicano diritti civili; ha adottato un selvaggio modello economico
liberista; non rispetta l'ambiente; ha collaborato e coopera con gli
Stati Uniti in sperimentazioni di dispositivi elettrodinamici
(Caronia)...

Intendiamoci: gli U.S.A. sembrano avviati a
diventare il Quarto Reich, ma non sarà la Russia a salvarci dalla
dittatura planetaria.

A questo punto, la prossima volta in cui leggerete gli articoli di colui, sappiate che è un...

Ognuno
poi la pensi come vuole: chi vivrà vedrà. Si può solo consigliare di
allacciare molto bene le cinture, perché stiamo forse salendo per una
folle corsa sulle montagne... russe.

By zret

Confermato: Israele usava la Georgia come base di attacco all’Iran



«In base ad un accordo segreto fra Israele e Georgia, due campi d’aviazione militari nella Georgia meridionale erano stati assegnati ai bombardieri israeliani per un attacco preventivo contro le installazioni nucleari dell’Iran. Ciò riduce notevolmente la distanza che i caccia-bombardieri devono coprire per raggiungere i loro bersagli in Iran».

Stavolta a scriverlo nero su bianco non è un complottista marginale. E’ Arnaud De Borchgrave, storico direttore del Washington Times ed ora, in tarda età, «editor-at-large» (ossia direttore non esecutivo, ma libero commentatore) dell’agenzia internazionale UPI. Un personaggio (l’ho conosciuto di persona in anni lontani) con ottimi agganci con servizi segreti, in primo luogo francesi.

Ora egli conferma tutto ciò che abbiamo detto in questo sito: Israele ha addestrato ed armato i georgiani, e si è fatta pagare (in parte) facendosi concedere due basi militari avanzate contro Teheran (1). S’intende che i caccia-bombardieri israeliani, per raggiungere le loro basi in Georgia, avrebbero dovuto «sorvolare lo spazio aereo della Turchia».

«L’attacco ordinato da Saakashvili contro il Sud-Ossezia la notte del 7 agosto», aggiunge De Borchgrave, «ha dato ai russi il pretesto per ordinare alle sue forze speciali di fare incursione in queste basi isrealiane, dove si dice che sono stati catturati diversi droni israeliani. E’ dubbio che l’IAF (Israeli Air Force) possa ancora contare su queste basi», dice sardonico.
Al pubblico americano, De Borchgrave rivela diversi particolari, già noti ai lettori di EFFEDIEFFE.

Che il «ministro della Difesa georgiana Davit Kezerashvili è un ex-israeliano che si è trasferito per facilitare le vendite di armi israeliane con l’aiuto degli USA».

Che «il primo ministro Vladimir Gurgenidze», prima dell’attacco, «ha fatto una telefonata in Israele per chiedere una benedizione speciale al più importante rabbino degli haredim, rabbi Aaron Leib Steinman».

Che «da Israele arriva il maggiore Roni Milo, ex ministro e sindaco di Tel Aviv, con suo fratello Shlomo, in qualità di rappresentanti della Elbit Systems, e delle Israeli Military Industries». Sono i droni fabbricati dalla Elbit ad «aver condotto i voli di ricognizione nella Russia meridionale, e anche nel vicino Iran».

Che il «ministro georgiano Temur Yakobashvili - un ebreo secondo Haaretz - si è fatto intervistare dalla radio dell’armata israeliana per vantarsi», alquanto improbabilmente, che «un piccolo gruppo dei nostri uomini sono stati capaci di spazzar via una intera divisione russa, grazie all’addestramento israeliano».

Il generale Anatoly Nogovitsyn, vice-capo di stato maggiore russo, ha infatti confermato in una conferenza-stampa a Mosca che l’aiuto israeliano alla Georgia comprendeva «otto tipi di veicoli militari, esplosivi, mine ed esplosivi speciali per pulire i campi minati», e in più «un numero di istruttori israeliani distaccati presso la milizia georgiana valutato tra i 100 e i mille. Oltre ai 110 militari Usa impegnati nell’addestramento in Georgia».

De Borchgrave ricorda che a luglio era avvenuta l’esercitazione Usa-georgiana «Immediate Response 2008», durante la quale «2000 soldati Usa erano stati trasportati in Georgia», lasciando capire che tale esercitazione serviva a preparare, e a mascherare, l’attacco a sorpresa al Sud Ossezia.

Invece la sorpresa l’hanno fatta i russi. Perchè - e qui De Borchgrave fornisce informazioni molto interessanti, di sue fonti - agenti doppi russi, «che in apparenza lavorano per i georgiani», hanno riferito a chi di dovere delle «fantasie militariste dell’impetuoso Saakashvili»; d’altra parte, gli Stati Uniti non avevano sufficiente «capacità di spionaggio satellitare, già stra-impegnato nelle guerre in Iraq e Afghanistan».

Sicchè nè gli uni nè gli altri «si sono accorti che le forze russe erano pronte ad una risposta immediata e massiccia all’attacco in Sud-Ossezia, che Mosca sapeva (in anticipo) imminente».

Quando poi la sorpresa si è trasformata in rotta, l’ambasciatore georgiano a Gerusalemme ha chiesto disperatamente di «far pressione su Mosca». Ottenendo la seguente risposta: «L’indirizzo per questo tipo di pressioni è Washington». Che, come sappiamo, esegue. Israele, a quel punto, era allarmatissima di non guastarsi del tutto con Mosca: la Russia può creargli molti guai, fornendo armamento all’Iran, alla Siria, a Hezbollah.

Il fatto è, conclude sarcastico De Borchgrave, che Saakashvili era convinto che gli USA l’avrebbero sostenuto totalmente nella sua guerricciola, correndo in suo aiuto contro la Russia, come «se la Georgia fosse l’Israele del Caucaso». Ovviamente gli USA non hanno potuto fare altro che qualche borborigmo minaccioso, e qualche provocazione inutile, come mandare aiuti «umanitari» ai georgiani su navi da guerra. Ottenendo anche qui una mezza umiliazione.

La Turchia, che controlla lo stretto del Bosforo, ha rifiutato il passaggio di navi da guerra americane di grande tonnellaggio nel Mar Nero, come ha il diritto di fare in base alla Convenzione di Montreux, un trattato internazionale del 1936 (2).
Il che conferma perchè la Turchia «non merita» di entrare nella UE: ha troppa dignità, troppo senso del proprio interesse nazionale, per entrare in questa conigliaia di servi spaventati di Usrael.

Un collega, ottima fonte, mi dice che anche la UE ha finanziato l’armamento della Georgia, attraverso denari etichettati come «fondi per lo sviluppo». Naturalmente è una notizia incontrollabile per principio, dati i labirinti del bilancio eurocratico, dove la pratica di nascondere le voci sotto altre voci è una forma d’arte. Ma è del tutto credibile.

Il che spiega perchè le truppe russe non hanno fretta di lasciare la Georgia. E perchè la UE ha alzato il ditino moralistico contro Mosca, ma per poi farle sapere (dopo consultazioni sottobanco) che non la isolerà nè eleverà sanzioni contro la Russia; annuncio che è stato accolto a Mosca con sardonica soddisfazione. Perchè tutti capiscono che le sanzioni, sono loro che le possono applicare a noi, tagliandoci il petrolio in inverno.

Così abbiamo fatto anche questa figura: dei deboli ridicoli e doppiogiochisti, per non aver avuto il coraggio di affermare che la ragione stava dalla parte di Putin, e che Israele e gli americani devono smettere di provocare e intrigare «out of area», mettendo in pericolo il mondo. Forse siamo noi che dovremmo chiedere l’entrata nella Turchia...


1) Arnaud De Borchgrave, «Commentary: Israel of the Caucasus», Middle East Times, 2 settembre 2002.
2) «Turkey refused to open the straits to two hospital ships of the U.S. Navy the tonnage of which exceeded the limits set by the Montreux Convention which governs international traffic through the Dardanelles and Bosphorus straits; but agreed to the passage of smaller U.S. ships in line with the convention. The U.S. ships delivered humanitarian supplies to the Georgian port of Batumi. Meanwhile warships that belong to NATO members Spain, Poland and Germany also passed through the straits heading to Constanta in Romania to participate in the long-planned NATO exercises. Russia responded harshly to the increased NATO military presence in the Black Sea, threatening that it would hold Turkey responsible if the ships did not leave in 21 days». (Hurriyet, 29 agosto 2008).

M. Blondet