Come ai tempi di Cogne, di Calciopoli, di Garlasco, di qualsiasi dissestata vicenda che fra i suoi difetti abbia anche quello di non finire mai, l’Alitalia è rapidamente diventata un genere televisivo. Una compagnia di giro agli ordini di qualche regista invisibile attraversa con piglio sicuro i palinsesti, spostandosi di salotto in salotto per ripetere le stesse cose, con lo stesso tono e lo stesso stile, come i personaggi serializzati dei telefilm. C’è il pilota in divisa da pilota, bello e impossibile, amato dal pubblico femminile mentre scuote i capelli corvini e contestato da quasi tutti quando difende i privilegi di casta. C'è il sindacalista della Cgil con la camicia slacciata da sindacalista della Cgil e le occhiaie da maratoneta della trattativa, di quelli che non vogliono mettersi d’accordo ma nemmeno rompere, nei secoli dei secoli. E naturalmente ci sono le hostess, la bionda e la bruna. Rispetto a Cogne e agli altri classici delle stagioni scorse, le uniche novità sono l’assenza di psicanalisti (invece ce ne sarebbe un certo bisogno) e la presenza di un ministro, Maurizio Sacconi, che sa maneggiare i congiuntivi. Questo vezzo abbastanza inopinato potrebbe costargli la conferma nella prossima serie.
Osservando le evoluzioni del circo volante da un canale all’altro, ci si chiede dove i suoi acrobati trovino il tempo di studiare le carte, di parlarsi liberamente o anche solo di pensare. Forse fanno tutte queste cose durante i trasferimenti in taxi. O forse le lasciano ai potenti veri, quelli che lontano dalle telecamere decidono sul serio. di Massimo Gramellini
" Per anni ci hanno bombardati con il mito del capitalismo anglosassone. Il
capitalismo che era pulito perche' li' "fanno sul serio", il capitalismo dove i
bilanci dicono la verita' perche' li' "ti danno 25 anni se sgarri", il capitalismo
"serio" perche' puro, perche' competitivo, perche' trasparente.
Oggi ci troviamo di fronte al crollo del mito, e vediamo la verita'. Un sistema
corrotto ove il fisco non distingue 650 miliardi di dollari di merda da 650 miliardi di
dollari buoni, un sistema di truffatori che vendono un dollaro avendo in tasca solo un
centesimo, un sistema ove se sei una merchant bank non hai controlli, un sistema ove le
certificazioni sui bilanci si comprano al mercato e i bilanci sono favole allo stato
puro.
Ci siamo raccontati che lo stato non doveva aiutare le industrie perche' "veri nei
pasi capitalisti" questo non succede e sono meritocratici senza eccezioni, e la FIAT
aveva scroccato anche troppo, e se un'azienda va male deve fallire perche' il vero
capitalismo, (serio perche' pulito e pulito perche' serio) vuole cosi'. Ebbene,
negli USA lo stato spendera' in totale piu' del PIL italiano per sostenere le proprie
istituzioni finanziarie. E non si tratta di prestiti, ma di regali.
Facciamocene una ragione: il mondo anglosassone e' piu' che altro un mito. La
spietata correttezza che gli attribuiamo, la pulita meritocrazia del predatore che
muore di fame se non corre piu' della preda, la cruda durezza del mercato puro, sono
delle nostre invenzioni. In realta' abbiamo a che fare con un sistema piu' corrotto,
piu' politicizzato, piu' massonico di quello italiano, ove la meritocrazia finisce
se produci un disastro abbastanza grande, in campagna elettorale, da costringere i
partiti (ovvero i candidati) a coprire il buco che lasci.
L' America non esiste. E forse non e' mai esistita, se non nella nostra mente. La
differenza tra noi e loro non risiede nel "come" gestiscono le risorse, ma nella mera
quantita' di risorse che hanno a disposizione per ragioni storiche e
circostanziali. " di Uriel
La storia si ripete con analogie impressionanti. Quel che cambia nei crolli più recenti è l´ordine di grandezza delle ricchezze distrutte, quindi la platea delle vittime
A registrare le reazioni attonite della maggioranza, sembra che ogni crac finanziario colpisca all´improvviso. I sinonimi per descriverlo attingono al vocabolario delle calamità naturali. Terremoto, tempesta perfetta, tsunami. L´affinità è reale: per la dimensione tragica ma anche per la normalità di questi eventi. Proprio come le catastrofi naturali, i crac finanziari sono ricorrenti, quindi terribilmente scontati. Fanno parte del funzionamento fisiologico del capitalismo. Anzi, le loro origini risalgono al proto-capitalismo, visto che uno dei crac più celebri della storia fu il grande panico del febbraio 1637 alla Borsa di Amsterdam, quando dopo due anni di speculazioni forsennate crollarono di colpo le quotazioni dei futures sui bulbi di tulipani. La storia si ripete con analogie impressionanti. Quel che cambia nei crac più recenti è l´ordine di grandezza delle ricchezze distrutte, quindi la platea delle vittime. Si infittisce l´interconnessione tra tutti i settori dell´economia, e tra nazioni molto lontane. Cresce il risparmio popolare investito in strumenti finanziari, nonché la previdenza privatizzata che affida i suoi capitali alle Borse, alle banche, alle assicurazioni. Potenzialmente l´impatto sociale dei crac si fa quindi sempre più profondo: ma per la stessa ragione si è irrobustito l´armamentario delle politiche economiche per attutirne le conseguenze. Infine, grazie alle tecnologie, i crac di oggi hanno ritmi sempre più rapidi. Le crisi di una volta sviluppavano i loro sussulti nell´arco di molti mesi; oggi possono conoscere capovolgimenti straordinari in poche ore. Un annuncio fatto a New York si ripercuote in millesimi di secondo sugli indici di Shanghai e Tokyo, Londra e Mosca.
Visto che oggi l´epicentro di una drammatica crisi finanziaria è in America, va ricordato che la nascita stessa degli Stati Uniti fu tenuta a battesimo da un crac. Il primo presidente, George Washington, era al suo primo mandato quando dovette fronteggiare il primo panico finanziario. All´origine vi fu la spregiudicata speculazione sui titoli pubblici emessi durante la guerra d´indipendenza dagli Stati del Massachusetts e della South Carolina. Nel marzo del 1792 la "bolla" scoppiava, costringendo la neonata nazione a misure di emergenza. Il segretario al Tesoro Alexander Hamilton diede disposizione alle banche di accettare anche titoli scadenti come garanzie per far prestiti e sostenere l´attività economica: qualcosa di molto simile ai vari sportelli d´emergenza creati dalla Federal Reserve di Ben Bernanke in questi mesi per provvedere liquidità al sistema.
Se da oltre due secoli i crac in America colpiscono puntuali come gli uragani, anche la loro dimensione internazionale non è del tutto nuova. Centouno anni fa il grande panico del 1907 fu la prima crisi "globale" del Novecento. Nel solo mese di ottobre l´indice azionario di Wall Street perse il 37% del suo valore, in tutta l´America folle di risparmiatori diedero l´assalto agli sportelli delle banche fra scene di violenza e di disperazione, il sistema del credito rimase paralizzato per settimane. La "tempesta perfetta" di quell´anno ebbe per protagonisti dei giganti della storia, dal presidente Theodore Roosevelt al banchiere J.Pierpont Morgan. Le ripercussioni furono immediate e profonde anche in Europa, e l´Inghilterra dovette accorrere in aiuto agli ex sudditi americani con una spedizione navale di lingotti d´oro. L´eco di quegli avvenimenti non si è mai spenta. La proverbiale superstizione degli investitori chiamò in causa la "maledizione del 1907" quando Wall Street subì un´altro dei peggiori crolli della sua storia, il 19 ottobre 1987, con una caduta del 23% dell´indice Standard & Poor´s 500. Già nel 1908 il finanziere Henry Clews nelle sue memorie indicava tre cause principali del disastro dell´anno precedente che suonano familiari: «L´eccesso di investimenti nel mercato immobiliare; il credito facile; le manipolazioni dell´alta finanza».
Il crac più nefasto resta quello del 1929. Non solo per la violenza della caduta subìta dall´indice Dow Jones, che perse il 13% nella sola seduta del 28 ottobre, seguito dal botto finale nel successivo Black Tuesday, il 29. In realtà a fissare nella storia la gravità di quel crollo furono gli eventi successivi. Per gli errori commessi nella politica monetaria e nella manovra economica del presidente Herbert Hoover, il collasso di Wall Street contribuì a innescare una spirale di protezionismi, la caduta del commercio internazionale, infine la Grande Depressione. Nel 1931 la Borsa americana aveva perso l´89% del suo valore dai massimi del 1929 ma ben più gravi furono le conseguenze sociali. Il mondo intero fu prostrato dalla deflazione: i prezzi agricoli scesero del 40-60%, salari e produzione industriale precipitarono, il tasso di disoccupazione in America arrivò al 25% nel 1933. Quattro anni dopo il crac di Wall Street, nel 1933 in media mille americani al giorno subivano il sequestro giudiziario della loro casa per insolvenza. La miseria di massa e le tensioni sociali contribuirono all´avvento del nazismo in Germania. La gravità di quella crisi ispirò innovazioni di portata storica: il New Deal di Franklin Delano Roosevelt pose le fondamenta del Welfare State, delle politiche keynesiane di sostegno dell´occupazione, dei grandi programmi di investimento statale nelle infrastrutture. Ma fu solo l´incremento di produzione bellica legato alla seconda guerra mondiale a "curare" definitivamente la più lunga recessione del XX secolo.
Nel dopoguerra in America il crac più celebre fu quello delle Savings and Loans. Una crisi bancaria prolungata per anni. Fra il 1986 e il 1995 quasi la metà delle 3.234 casse di risparmio dovette chiudere per bancarotta. Nel 1989 il Congresso creò un´apposita agenzia federale, la Resolution Trust Corporation, per accollarsi le perdite, rimborsare i depositanti, assorbire i portafogli-titoli degli istituti falliti, e indagare sulle responsabilità del disastro. In quanto liquidatore fallimentare il governo federale si ritrovò temporaneamente proprietario dei più disparati oggetti che i clienti avevano fornito come garanzia alle banche per ottenere fidi: nella Resolution Trust Corp. finirono tra l´altro quadri di Picasso e Andy Warhol, una distelleria di whisky dell´epoca coloniale, e 800 boccette refrigerate di sperma di un toro Brahma da riproduzione.
I crac più recenti sono ancora freschi nella memoria: gli scossoni provocati da choc internazionali come l´insolvenza del Messico (il crac dei Tequila Bonds nel 1995), la crisi finanziaria dei dragoni asiatici nel 1997, la bancarotta della Russia nel 1998. Tutto endogeno invece fu il crollo del Nasdaq nel marzo 2000, la fine della febbre speculativa sulle dot.com, le società di Internet nate all´apice della New Economy. Le lezioni che ci insegna la storia dei crac sono straordinariamente semplici. Tre costanti si ripetono da secoli. Ogni disastro finanziario è preceduto immancabilmente da una "bolla", un periodo di eccessi speculativi. Ogni bolla è alimentata da condizioni di lassismo monetario, credito facile, e la convinzione di masse di investitori che una certa categoria di investimenti è destinata al rialzo infinito. Che si tratti di immobili, di azioni o di petrolio, ci sarà sempre una "teoria" per dimostrare l´assoluta razionalità di quotazioni assurde ed eternamente crescenti. La seconda costante storica: ad ogni crac che si rispetti segue un periodo di riforme, elaborazione di nuove regole, maggiori divieti e controlli. La terza costante: appena varate le nuove leggi si scatena la gara per aggirarle e preparare l´avvento della bolla successiva. F. Rampini
Come ai tempi di Cogne, di Calciopoli, di Garlasco, di qualsiasi dissestata vicenda che fra i suoi difetti abbia anche quello di non finire mai, l’Alitalia è rapidamente diventata un genere televisivo. Una compagnia di giro agli ordini di qualche regista invisibile attraversa con piglio sicuro i palinsesti, spostandosi di salotto in salotto per ripetere le stesse cose, con lo stesso tono e lo stesso stile, come i personaggi serializzati dei telefilm. C’è il pilota in divisa da pilota, bello e impossibile, amato dal pubblico femminile mentre scuote i capelli corvini e contestato da quasi tutti quando difende i privilegi di casta. C'è il sindacalista della Cgil con la camicia slacciata da sindacalista della Cgil e le occhiaie da maratoneta della trattativa, di quelli che non vogliono mettersi d’accordo ma nemmeno rompere, nei secoli dei secoli. E naturalmente ci sono le hostess, la bionda e la bruna. Rispetto a Cogne e agli altri classici delle stagioni scorse, le uniche novità sono l’assenza di psicanalisti (invece ce ne sarebbe un certo bisogno) e la presenza di un ministro, Maurizio Sacconi, che sa maneggiare i congiuntivi. Questo vezzo abbastanza inopinato potrebbe costargli la conferma nella prossima serie.
Osservando le evoluzioni del circo volante da un canale all’altro, ci si chiede dove i suoi acrobati trovino il tempo di studiare le carte, di parlarsi liberamente o anche solo di pensare. Forse fanno tutte queste cose durante i trasferimenti in taxi. O forse le lasciano ai potenti veri, quelli che lontano dalle telecamere decidono sul serio. di Massimo Gramellini
" Per anni ci hanno bombardati con il mito del capitalismo anglosassone. Il
capitalismo che era pulito perche' li' "fanno sul serio", il capitalismo dove i
bilanci dicono la verita' perche' li' "ti danno 25 anni se sgarri", il capitalismo
"serio" perche' puro, perche' competitivo, perche' trasparente.
Oggi ci troviamo di fronte al crollo del mito, e vediamo la verita'. Un sistema
corrotto ove il fisco non distingue 650 miliardi di dollari di merda da 650 miliardi di
dollari buoni, un sistema di truffatori che vendono un dollaro avendo in tasca solo un
centesimo, un sistema ove se sei una merchant bank non hai controlli, un sistema ove le
certificazioni sui bilanci si comprano al mercato e i bilanci sono favole allo stato
puro.
Ci siamo raccontati che lo stato non doveva aiutare le industrie perche' "veri nei
pasi capitalisti" questo non succede e sono meritocratici senza eccezioni, e la FIAT
aveva scroccato anche troppo, e se un'azienda va male deve fallire perche' il vero
capitalismo, (serio perche' pulito e pulito perche' serio) vuole cosi'. Ebbene,
negli USA lo stato spendera' in totale piu' del PIL italiano per sostenere le proprie
istituzioni finanziarie. E non si tratta di prestiti, ma di regali.
Facciamocene una ragione: il mondo anglosassone e' piu' che altro un mito. La
spietata correttezza che gli attribuiamo, la pulita meritocrazia del predatore che
muore di fame se non corre piu' della preda, la cruda durezza del mercato puro, sono
delle nostre invenzioni. In realta' abbiamo a che fare con un sistema piu' corrotto,
piu' politicizzato, piu' massonico di quello italiano, ove la meritocrazia finisce
se produci un disastro abbastanza grande, in campagna elettorale, da costringere i
partiti (ovvero i candidati) a coprire il buco che lasci.
L' America non esiste. E forse non e' mai esistita, se non nella nostra mente. La
differenza tra noi e loro non risiede nel "come" gestiscono le risorse, ma nella mera
quantita' di risorse che hanno a disposizione per ragioni storiche e
circostanziali. " di Uriel
La storia si ripete con analogie impressionanti. Quel che cambia nei crolli più recenti è l´ordine di grandezza delle ricchezze distrutte, quindi la platea delle vittime
A registrare le reazioni attonite della maggioranza, sembra che ogni crac finanziario colpisca all´improvviso. I sinonimi per descriverlo attingono al vocabolario delle calamità naturali. Terremoto, tempesta perfetta, tsunami. L´affinità è reale: per la dimensione tragica ma anche per la normalità di questi eventi. Proprio come le catastrofi naturali, i crac finanziari sono ricorrenti, quindi terribilmente scontati. Fanno parte del funzionamento fisiologico del capitalismo. Anzi, le loro origini risalgono al proto-capitalismo, visto che uno dei crac più celebri della storia fu il grande panico del febbraio 1637 alla Borsa di Amsterdam, quando dopo due anni di speculazioni forsennate crollarono di colpo le quotazioni dei futures sui bulbi di tulipani. La storia si ripete con analogie impressionanti. Quel che cambia nei crac più recenti è l´ordine di grandezza delle ricchezze distrutte, quindi la platea delle vittime. Si infittisce l´interconnessione tra tutti i settori dell´economia, e tra nazioni molto lontane. Cresce il risparmio popolare investito in strumenti finanziari, nonché la previdenza privatizzata che affida i suoi capitali alle Borse, alle banche, alle assicurazioni. Potenzialmente l´impatto sociale dei crac si fa quindi sempre più profondo: ma per la stessa ragione si è irrobustito l´armamentario delle politiche economiche per attutirne le conseguenze. Infine, grazie alle tecnologie, i crac di oggi hanno ritmi sempre più rapidi. Le crisi di una volta sviluppavano i loro sussulti nell´arco di molti mesi; oggi possono conoscere capovolgimenti straordinari in poche ore. Un annuncio fatto a New York si ripercuote in millesimi di secondo sugli indici di Shanghai e Tokyo, Londra e Mosca.
Visto che oggi l´epicentro di una drammatica crisi finanziaria è in America, va ricordato che la nascita stessa degli Stati Uniti fu tenuta a battesimo da un crac. Il primo presidente, George Washington, era al suo primo mandato quando dovette fronteggiare il primo panico finanziario. All´origine vi fu la spregiudicata speculazione sui titoli pubblici emessi durante la guerra d´indipendenza dagli Stati del Massachusetts e della South Carolina. Nel marzo del 1792 la "bolla" scoppiava, costringendo la neonata nazione a misure di emergenza. Il segretario al Tesoro Alexander Hamilton diede disposizione alle banche di accettare anche titoli scadenti come garanzie per far prestiti e sostenere l´attività economica: qualcosa di molto simile ai vari sportelli d´emergenza creati dalla Federal Reserve di Ben Bernanke in questi mesi per provvedere liquidità al sistema.
Se da oltre due secoli i crac in America colpiscono puntuali come gli uragani, anche la loro dimensione internazionale non è del tutto nuova. Centouno anni fa il grande panico del 1907 fu la prima crisi "globale" del Novecento. Nel solo mese di ottobre l´indice azionario di Wall Street perse il 37% del suo valore, in tutta l´America folle di risparmiatori diedero l´assalto agli sportelli delle banche fra scene di violenza e di disperazione, il sistema del credito rimase paralizzato per settimane. La "tempesta perfetta" di quell´anno ebbe per protagonisti dei giganti della storia, dal presidente Theodore Roosevelt al banchiere J.Pierpont Morgan. Le ripercussioni furono immediate e profonde anche in Europa, e l´Inghilterra dovette accorrere in aiuto agli ex sudditi americani con una spedizione navale di lingotti d´oro. L´eco di quegli avvenimenti non si è mai spenta. La proverbiale superstizione degli investitori chiamò in causa la "maledizione del 1907" quando Wall Street subì un´altro dei peggiori crolli della sua storia, il 19 ottobre 1987, con una caduta del 23% dell´indice Standard & Poor´s 500. Già nel 1908 il finanziere Henry Clews nelle sue memorie indicava tre cause principali del disastro dell´anno precedente che suonano familiari: «L´eccesso di investimenti nel mercato immobiliare; il credito facile; le manipolazioni dell´alta finanza».
Il crac più nefasto resta quello del 1929. Non solo per la violenza della caduta subìta dall´indice Dow Jones, che perse il 13% nella sola seduta del 28 ottobre, seguito dal botto finale nel successivo Black Tuesday, il 29. In realtà a fissare nella storia la gravità di quel crollo furono gli eventi successivi. Per gli errori commessi nella politica monetaria e nella manovra economica del presidente Herbert Hoover, il collasso di Wall Street contribuì a innescare una spirale di protezionismi, la caduta del commercio internazionale, infine la Grande Depressione. Nel 1931 la Borsa americana aveva perso l´89% del suo valore dai massimi del 1929 ma ben più gravi furono le conseguenze sociali. Il mondo intero fu prostrato dalla deflazione: i prezzi agricoli scesero del 40-60%, salari e produzione industriale precipitarono, il tasso di disoccupazione in America arrivò al 25% nel 1933. Quattro anni dopo il crac di Wall Street, nel 1933 in media mille americani al giorno subivano il sequestro giudiziario della loro casa per insolvenza. La miseria di massa e le tensioni sociali contribuirono all´avvento del nazismo in Germania. La gravità di quella crisi ispirò innovazioni di portata storica: il New Deal di Franklin Delano Roosevelt pose le fondamenta del Welfare State, delle politiche keynesiane di sostegno dell´occupazione, dei grandi programmi di investimento statale nelle infrastrutture. Ma fu solo l´incremento di produzione bellica legato alla seconda guerra mondiale a "curare" definitivamente la più lunga recessione del XX secolo.
Nel dopoguerra in America il crac più celebre fu quello delle Savings and Loans. Una crisi bancaria prolungata per anni. Fra il 1986 e il 1995 quasi la metà delle 3.234 casse di risparmio dovette chiudere per bancarotta. Nel 1989 il Congresso creò un´apposita agenzia federale, la Resolution Trust Corporation, per accollarsi le perdite, rimborsare i depositanti, assorbire i portafogli-titoli degli istituti falliti, e indagare sulle responsabilità del disastro. In quanto liquidatore fallimentare il governo federale si ritrovò temporaneamente proprietario dei più disparati oggetti che i clienti avevano fornito come garanzia alle banche per ottenere fidi: nella Resolution Trust Corp. finirono tra l´altro quadri di Picasso e Andy Warhol, una distelleria di whisky dell´epoca coloniale, e 800 boccette refrigerate di sperma di un toro Brahma da riproduzione.
I crac più recenti sono ancora freschi nella memoria: gli scossoni provocati da choc internazionali come l´insolvenza del Messico (il crac dei Tequila Bonds nel 1995), la crisi finanziaria dei dragoni asiatici nel 1997, la bancarotta della Russia nel 1998. Tutto endogeno invece fu il crollo del Nasdaq nel marzo 2000, la fine della febbre speculativa sulle dot.com, le società di Internet nate all´apice della New Economy. Le lezioni che ci insegna la storia dei crac sono straordinariamente semplici. Tre costanti si ripetono da secoli. Ogni disastro finanziario è preceduto immancabilmente da una "bolla", un periodo di eccessi speculativi. Ogni bolla è alimentata da condizioni di lassismo monetario, credito facile, e la convinzione di masse di investitori che una certa categoria di investimenti è destinata al rialzo infinito. Che si tratti di immobili, di azioni o di petrolio, ci sarà sempre una "teoria" per dimostrare l´assoluta razionalità di quotazioni assurde ed eternamente crescenti. La seconda costante storica: ad ogni crac che si rispetti segue un periodo di riforme, elaborazione di nuove regole, maggiori divieti e controlli. La terza costante: appena varate le nuove leggi si scatena la gara per aggirarle e preparare l´avvento della bolla successiva. F. Rampini