06 febbraio 2009
Sedotti e bidonati
E così hanno varato la nuova “grande riforma”. Anni e anni di lacrime, sudore e sangue - di stangate e di svendite del patrimonio pubblico - sono dunque serviti a qualcosa: finalmente, d’ora in poi, in Italia qualunque rappresentanza del popolo sarà frutto di grazia divina.
Il lavoro è stato ostico, è stato duro. Ma, passo dopo passo, grazie ad un tetragono sforzo congiunto, la destra-sinistra liberaldemocratica è riuscita a chiudere il cerchio.
Sono riusciti a ristrutturare anche le modalità d’ingresso nel “cimitero degli elefanti”. Anche il Parlamento europeo diventa una “riserva di caccia alle prebende ed agli stipendi d’oro” del tutto riservata al bipartito veltrusconiano.
A rappresentare il popolo italiano saranno dunque soltanto “gli eletti”, ma liberaldemocratici. Nessun neo-comunista, neofascista, liberale, repubblicano, monarchico, ecologista, radicale, sarà accettato nel convivio.
Una misura di “razionalizzazione”, dicono loro. Misura tirannica, di rapina delle idee e della volontà dei cittadini, diciamo noi.
L’Italia è tornata quella voluta dagli inglesi nell’Ottocento. Una fedele colonia governata da oligarchie destra-sinistra elette per il loro potere clientelare o di denaro.
E dire che, sconfitto il fascismo, al popolo italiano era rimasta comunque una cassaforte sicura, lo Stato.
Pieno di debiti, sì, ma anche capace di un’amministrazione che, a volte bene e altre male, cercava comunque di temperare l’utile economico dei partiti messi al governo della colonia-Italia dagli anglo-americani con iniziative di benessere diffuso.
Sono stati, quelli, i tempi del grande programma di edilizia pubblica diffusa, di direzione statale delle aziende strategiche, dai trasporti all’energia, alle telecomunicazioni, di incentivi alla prosperità economica delle famiglie e di tutela del lavoro.
Quello Stato non c’è proprio più. Ora c’è un’oligarchia che fa i propri interessi e, al massimo, elemosina una “card sociale” al popolo bue.
Chissà se, batti e ribatti, tolta un po’ di libertà qui e un po’ di libertà là, gli italiani, quelli sopravvissuti alla crisi sociale - immigrazione, precarietà del lavoro, sradicamento culturale - e a quella economica, coltivata dal modello di vita usuraio e consumistico imposto alla nostra colonia, la finiranno una buona volta di votare per una ristretta cerchia di signori il cui unico obiettivo è imbonire il popolo e arraffare le sinecure e le prebende connesse ai posti di sub-governo disponibili...
Chissà se, rialzando la testa dall’ennesima bastonata, gli italiani utilizzeranno mai quell’istituto democratico del non voto, dell’astensione di massa, provocando il crollo della pseudo-democrazia che ci governa...
Chissà.
di Ugo Crescenzi
Le mani del “potere” su tutto
Corte dei conti: Per il ddl dell’esecutivo, solo 4 eletti nel «Csm» dei giudici contabili: persa la maggioranza.
«Mi ricorderò dite alle prossime elezioni!» sibila il solito prepotente al bravo sceriffo in ogni film di cowboy.
Così era il Far West. Anche nella legge italiana, però, sta per essere infilato un tarlo simile. Che rischia di divorare l’autonomia della Corte dei conti fino al punto che il governo (il controllato) si sceglierà di fatto il controllore, cioè chi deve esaminare come sono spesi i soldi pubblici.
Il tarlo, come tutti gli insetti che si rispettino, non è facile da scovare.
Proprio come il dirottamento ad «amici» di un mucchio di soldi per lavori stradali marchigiani venne infilato anni fa in un decreto sulle «arance invendute in Sicilia», anche questo tarlo è stato nascosto dove poteva passare inosservato.
Nel disegno di legge 847 noto come «Brunetta»: «Delega al governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico».
L’ideale, nella scia della popolarità del ministro in guerra coi fannulloni, per collocare un boccone che, come tutti i bocconi avvelenati, è inodore e insapore.
E’ l’articolo 9, dedicato al Consiglio di Presidenza della Corte dei conti. Il Csm, diciamo così, dei giudici contabili.
Che costituzionalmente consente anche a questa magistratura, come a quella ordinaria e a quella amministrativa, di decidere da sé della propria vita, al riparo da interferenze politiche.
Un principio ovvio e sacrosanto: chi comanda non può volta per volta scegliersi il controllore.
Dice dunque quell’articolo, inserito da Carlo Vizzini (che come presidente della commissione Affari costituzionali del Senato ha di fatto agito per il governo), che quel Consiglio di Presidenza, composto oggi da 13 magistrati contabili (i vertici della Corte dei conti più dieci eletti dai circa 450 colleghi) più due esperti nominati dalla Camera e due dal Senato (totale: 17) non va più bene.
D’ora in avanti dovranno essere 11, con un taglio dei giudici eletti da 10 a 4 e le «new entry» del segretario generale della Corte e del capo di gabinetto, che in certi casi possono pure votare.
Somma finale: i rappresentanti scelti dei colleghi precipiterebbero da 10 su 17 (larga maggioranza) a 4 su 13 (netta minoranza).
Ma non basta. La perdita di potere del «Consiglio», sempre più esposto agli spifferi politici, sarebbe aggravata da una grandinata di poteri in più concessi al presidente.
Come quello di stabilire l’«indirizzo politico-istituzionale».
Vale a dire: puntiamo di più su questi o quegli altri reati, concentriamoci di più su questi o quegli altri sprechi. Quindi meno su questo e quello.
Peggio: il presidente «provvede» o «revoca» come gli pare «gli incarichi extraistituzionali, con o senza collocamento in posizione di fuori ruolo o aspettativa».
Traduzione: diventa il padrone assoluto della distribuzione ai suoi sottoposti («tu sì, tu no») dei soldi extra e delle carriere parallele.
Cosa vuol dire? Moltissimo: il capo di gabinetto di un ministro cumula insieme lo stipendio nuovo (senza più il tetto di 289 mila euro inserito da Prodi e abolito da Berlusconi) con quello vecchio di magistrato «parcheggiato» altrove.
E un solo «arbitrato» (quella specie di giustizia parallela, più veloce, su alcuni contratti pubblici) può regalare a un giudice guadagni di centinaia di migliaia di euro.
Il che significa che il nuovo presidente, dicendo solo «tu sì, tu no», può cambiare letteralmente la vita dei suoi «dipendenti». Diventando il Dominus assoluto. Senza più il minimo controllo, scusate il bisticcio, dell’organo di autocontrollo, ormai esonerato.
Poteri pieni. Totali.
Un progetto pericoloso, attacca l’opposizione.
Il controllo, denuncia Felice Casson, «verrebbe a essere asservito e subordinato ai governi centrali e locali».
Il coordinamento dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili, in una lettera mandata ieri a Napolitano, denuncia «un gravissimo vulnus ai quei fondamentali principi costituzionali che sono stati alla base della istituzione stessa degli organi di autogoverno».
E l’Associazione nazionale dei magistrati contabili è arrivata a ipotizzare all’unanimità l’espulsione dello stesso presidente, Tullio Lazzaro.
di Gian Antonio Stella
C’è chi dirà: allarmi esagerati. E giurerà che si tratta di «ritocchi» organizzativi che renderanno «efficiente» un organo che costa cinque volte più dello spagnolo Tribunal de cuentas.
Che non limiteranno affatto le denunce sulla malagestione dei pubblici denari come gli sprechi della sanità in Sicilia, le troppe consulenze «conferite intuitu personae» (cioè a capriccio), i soldi buttati dalle regioni, dalle municipalizzate, dai comuni o perfino dalla Croce Rossa.
Sarà. Ma nel progetto c’è scritto proprio così: il presidente della Corte dei conti diventa «organo di governo dell’istituto» e il Consiglio di presidenza viene degradato a «organo di amministrazione del personale».
Nero su bianco.
E lo sapete quando è stato inserito, il «ritocco» che stravolgerebbe senza passaggi costituzionali l’autogoverno dei giudici contabili?
Poco dopo che il procuratore generale aveva denunciato il surreale tentativo di introdurre nell’accordo sulla nuova Alitalia un codicillo che prevedeva «l’esonero preventivo e generalizzato» per i nuovi soci «da responsabilità astrattamente esteso fino a coprire eventuali comportamenti dolosi, con effetti retroattivi».
Cioè l’assoluzione concordata prima ancora che fosse commesso l’eventuale peccato.
Pensa un po’ che coincidenza ...
Operazione “Piombo fuso” sul vescovo Williamson
Anche oggi la Fama mi porta notizie che devo spacchettare dalla carta interpretativa in cui sono avvolte. Infatti, le notizie allo stato puro senza nessuna interpretazione e opinione annessa semplicemente non esistono. Ognuno di noi dovrebbe saper reinterpretare ciò che ascolta e apprende. Quando la ricezione è passiva noi siamo alla mercé di chi ci informa. Lo sanno bene i potenti del regime. Ci può andar bene o male, a seconda dei casi. Ma resta a noi decidere se essere consapevoli o inconsapevoli fruitori di notizie portate dalla Fama. Queste mie righe non andranno certo a formare l’editoriale del Corriere, ma sono scritte per un lettore eccezionale: io stesso. Gli altri se vogliono, possono darvi un’occhiata. Ebbene, andiamo al punto odierno.
Ho ascoltato per la solita radio, appena accesa, parte di un ragionamento tortuoso. Ci si richiamava al Concordato fra stato e chiesa del 1929, quello per il quale Mussolini fu detto “uomo della Provvidenza”. A questi successe nel 1984 un altro “uomo” finito pure male: Bettino Craxi, che riformò quanto Mussolini aveva fatto prima di lui. La novità è l’8 per mille. Ma sembrerebbe che questo 8 per mille sia subordinato all’accettazione del Concilio Vaticano II come obbligo contrattuale da parte della stessa chiesa cattolica. Almeno questo lascia intendere la Voce radicale. Non so se le cose stiano davvero così, anzi ne dubito. Ma non mi era mai capitato di pensare una cosa del genere. Pur avendo sempre dato il mio 8 per mille alla Chiesa cattolica, mi sono sempre dichiarato contrario a questo balzello. Il principio era che ogni fedele di qualsiasi religione dovesse contribuire al finanziamento della sua chiesa senza oneri e senza mediazione dello stato. E ciò in ossequio ad altri due principi: “date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio” ed un altro ancora: “libera chiesa in libero stato”. Ma come ti trasforma tutto ciò la perfidia radicale e non solo radicale? Non avevo mai pensato alla possibilità del ricatto e della corruzione.
Nella foto: Mons. Richard Williamson
Se vuoi l’8 per mille – pensano i radicali –, devi applicare la clausola contrattuale del Concilio Vaticano II. E cosa dice secondo costui il Concilio Vaticano II? Banalizzo fino al grottesco volutamente: che l’ebraismo è entrato con prepotenza nel cattolicesimo e che ne debba condizionare lo statuto interno! Se si leggono le dichiarazioni dei vari rabbini sparsi per il mondo, non è difficile ricavarne la netta impressione di qualcuno che pretende, che avanza titolo, che impone. Un non cattolico o un cattolico non praticante ha qui di che temere grandemente. Non svolgo tutte le implicazioni, ma mi mantego sui principi generali, anche perché ho fretta di chiudere. Veniamo al vescovo Williamson, che ha creato un così grande scompiglio da indurre alcuni commentatori a parlare della necessità di un nuovo Concilio Ecumenico. Addirittura si legge che il vescovo di Regensburg vieterebbe a Williamson l’ingresso in cattedrale e in tutti gli edifici della chiesa cattolica. Cosa ne sia della carità cristiana sembra che lo zelante vescovo di Regensburg lo abbia dimenticato, troppo fedele alla nuova “religio” e dimentico della vecchia. Sempre da Regensburg ovvero Ratisbona parte un procedimento penale per il vescovo britannico residente in Argentina.
Di cosa è incolpato quest’uomo? Cosa si vuole da lui? Dove lo si vuol crofiggere? In Germania, la cui legislazione include un monte Golgota per i negatori della Shoa, la nuova “religio” è imposta a chiunque con il carcere duro. Ed è stato subito avviato un procedimento contro il vescovo cattolico. Da un prete ci aspettiamo tutti che parli di cose di fede e di religione. Non andiamo da lui per farci risolvere un’equazione matematica o per avere aiuto nella compilazione del cruciverba. Ma per il resto un prete è come ogni altro uomo: può fare le stesse ed avere comuni interessi in fatto di storia, scienza, letteratura, arte, musica. La Shoa cosa è? Un evento storico assoggettabile ai normali e comuni criteri della ricerca e del metodo storico o è il fatto mitico-fondativo di una nuova religio planetaria? Le parole del papa non lasciano dubbi sul fatto che per il suo Magistero la Shoa sia un evento storico e non una nuova “religio”. Resta tuttavia il nodo del Concilio Vaticano II, ma non sembra che il Vaticano voglia ritirare la sua revoca della scomunica e sarebbe certamente controproducente se ciò avvenisse o anche soltanto lo sembrasse a seguito di pressioni e richieste provenienti dal mondo ebraico. Il monito contro il “negazionismo” e il “riduzionismo” ci sembra poi abbastanza generale tanto da indurre a pensare che possa applicarsi a tutti i casi simili e comparabili, e quindi anche alla Nakba o meglio alla “pulizia etnica” della Palestina che Israele ha sempre negato e continua a negare.
Si fa passare come un’umiliante sconfessione da parte dei confratelli del vescovo Williamson una dichiarazione del tutto pacifica: noi non siamo un’associazione di storici. Ci interessiamo di fede e di religione. Ci dispiace che una semplice affermazione in materia profana da parte di un nostro confratello abbia sollevato tanto clamore, che non è chi non veda quanto sia strumentale. Per questo sconquasso da noi non voluto, ma chiaramente orchestrato dai nostri nemici, noi chiediamo perdono al santo padre. Al nostro confratello abbiamo ordinato di non pronunciarsi più su materie profane, quale la ricerca storica contemporanea, sia essa la Shoa o le origini della prima guerra mondiale, fatto non meno tragico se non altro perché produttivo della seconda guerra mondiale e della stessa Shoa.
Vi sarebbero qui altre considerazioni da fare e altri fatti da interpretare e commentare, ma ci siamo già attardati oltre tempo e rinviamo ad altro momento e occasioni che certamente non mancheranno. Notiamo come lo schieramento mediatico che si è scagliato sul povero vescovo è lo stesso che ha fornito copertura mediatica al genocidio di Gaza. I soggetti gli stessi. Il presidente Gianfranco Fini conferma la sua collocazione pro Israele e pro ebraismo contro la chiesa cattolica ed il cattolicesimo, o meglio pretende che la gerarchia cattolica si adegui secondo le sue autorevoli indicazioni. In pratica si chiede non già una “sconfessione” del vescovo, ma che venga costretto ad un “ritrattazione”, quasi che non si trattasse di una semplice opinione storica, ma di qualcosa di ben più importante del dogma trinitario. Si è tacciati di “antisemitismo” (= reato penale) se si dice che l’ebraismo mira al dominio del mondo, ma qui si pretende di piegare la Chiesa cattolica che sulla carta conta oltre un miliardo di fedeli. Se ai cattolici ci si aggiungono gli islamici – tutti terroristi e alieni da noi occidentali – che sono un altro miliardo e passa, il quadro diventa allarmante.
di Antonio Caracciolo
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06 febbraio 2009
Sedotti e bidonati
E così hanno varato la nuova “grande riforma”. Anni e anni di lacrime, sudore e sangue - di stangate e di svendite del patrimonio pubblico - sono dunque serviti a qualcosa: finalmente, d’ora in poi, in Italia qualunque rappresentanza del popolo sarà frutto di grazia divina.
Il lavoro è stato ostico, è stato duro. Ma, passo dopo passo, grazie ad un tetragono sforzo congiunto, la destra-sinistra liberaldemocratica è riuscita a chiudere il cerchio.
Sono riusciti a ristrutturare anche le modalità d’ingresso nel “cimitero degli elefanti”. Anche il Parlamento europeo diventa una “riserva di caccia alle prebende ed agli stipendi d’oro” del tutto riservata al bipartito veltrusconiano.
A rappresentare il popolo italiano saranno dunque soltanto “gli eletti”, ma liberaldemocratici. Nessun neo-comunista, neofascista, liberale, repubblicano, monarchico, ecologista, radicale, sarà accettato nel convivio.
Una misura di “razionalizzazione”, dicono loro. Misura tirannica, di rapina delle idee e della volontà dei cittadini, diciamo noi.
L’Italia è tornata quella voluta dagli inglesi nell’Ottocento. Una fedele colonia governata da oligarchie destra-sinistra elette per il loro potere clientelare o di denaro.
E dire che, sconfitto il fascismo, al popolo italiano era rimasta comunque una cassaforte sicura, lo Stato.
Pieno di debiti, sì, ma anche capace di un’amministrazione che, a volte bene e altre male, cercava comunque di temperare l’utile economico dei partiti messi al governo della colonia-Italia dagli anglo-americani con iniziative di benessere diffuso.
Sono stati, quelli, i tempi del grande programma di edilizia pubblica diffusa, di direzione statale delle aziende strategiche, dai trasporti all’energia, alle telecomunicazioni, di incentivi alla prosperità economica delle famiglie e di tutela del lavoro.
Quello Stato non c’è proprio più. Ora c’è un’oligarchia che fa i propri interessi e, al massimo, elemosina una “card sociale” al popolo bue.
Chissà se, batti e ribatti, tolta un po’ di libertà qui e un po’ di libertà là, gli italiani, quelli sopravvissuti alla crisi sociale - immigrazione, precarietà del lavoro, sradicamento culturale - e a quella economica, coltivata dal modello di vita usuraio e consumistico imposto alla nostra colonia, la finiranno una buona volta di votare per una ristretta cerchia di signori il cui unico obiettivo è imbonire il popolo e arraffare le sinecure e le prebende connesse ai posti di sub-governo disponibili...
Chissà se, rialzando la testa dall’ennesima bastonata, gli italiani utilizzeranno mai quell’istituto democratico del non voto, dell’astensione di massa, provocando il crollo della pseudo-democrazia che ci governa...
Chissà.
di Ugo Crescenzi
Le mani del “potere” su tutto
Corte dei conti: Per il ddl dell’esecutivo, solo 4 eletti nel «Csm» dei giudici contabili: persa la maggioranza.
«Mi ricorderò dite alle prossime elezioni!» sibila il solito prepotente al bravo sceriffo in ogni film di cowboy.
Così era il Far West. Anche nella legge italiana, però, sta per essere infilato un tarlo simile. Che rischia di divorare l’autonomia della Corte dei conti fino al punto che il governo (il controllato) si sceglierà di fatto il controllore, cioè chi deve esaminare come sono spesi i soldi pubblici.
Il tarlo, come tutti gli insetti che si rispettino, non è facile da scovare.
Proprio come il dirottamento ad «amici» di un mucchio di soldi per lavori stradali marchigiani venne infilato anni fa in un decreto sulle «arance invendute in Sicilia», anche questo tarlo è stato nascosto dove poteva passare inosservato.
Nel disegno di legge 847 noto come «Brunetta»: «Delega al governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico».
L’ideale, nella scia della popolarità del ministro in guerra coi fannulloni, per collocare un boccone che, come tutti i bocconi avvelenati, è inodore e insapore.
E’ l’articolo 9, dedicato al Consiglio di Presidenza della Corte dei conti. Il Csm, diciamo così, dei giudici contabili.
Che costituzionalmente consente anche a questa magistratura, come a quella ordinaria e a quella amministrativa, di decidere da sé della propria vita, al riparo da interferenze politiche.
Un principio ovvio e sacrosanto: chi comanda non può volta per volta scegliersi il controllore.
Dice dunque quell’articolo, inserito da Carlo Vizzini (che come presidente della commissione Affari costituzionali del Senato ha di fatto agito per il governo), che quel Consiglio di Presidenza, composto oggi da 13 magistrati contabili (i vertici della Corte dei conti più dieci eletti dai circa 450 colleghi) più due esperti nominati dalla Camera e due dal Senato (totale: 17) non va più bene.
D’ora in avanti dovranno essere 11, con un taglio dei giudici eletti da 10 a 4 e le «new entry» del segretario generale della Corte e del capo di gabinetto, che in certi casi possono pure votare.
Somma finale: i rappresentanti scelti dei colleghi precipiterebbero da 10 su 17 (larga maggioranza) a 4 su 13 (netta minoranza).
Ma non basta. La perdita di potere del «Consiglio», sempre più esposto agli spifferi politici, sarebbe aggravata da una grandinata di poteri in più concessi al presidente.
Come quello di stabilire l’«indirizzo politico-istituzionale».
Vale a dire: puntiamo di più su questi o quegli altri reati, concentriamoci di più su questi o quegli altri sprechi. Quindi meno su questo e quello.
Peggio: il presidente «provvede» o «revoca» come gli pare «gli incarichi extraistituzionali, con o senza collocamento in posizione di fuori ruolo o aspettativa».
Traduzione: diventa il padrone assoluto della distribuzione ai suoi sottoposti («tu sì, tu no») dei soldi extra e delle carriere parallele.
Cosa vuol dire? Moltissimo: il capo di gabinetto di un ministro cumula insieme lo stipendio nuovo (senza più il tetto di 289 mila euro inserito da Prodi e abolito da Berlusconi) con quello vecchio di magistrato «parcheggiato» altrove.
E un solo «arbitrato» (quella specie di giustizia parallela, più veloce, su alcuni contratti pubblici) può regalare a un giudice guadagni di centinaia di migliaia di euro.
Il che significa che il nuovo presidente, dicendo solo «tu sì, tu no», può cambiare letteralmente la vita dei suoi «dipendenti». Diventando il Dominus assoluto. Senza più il minimo controllo, scusate il bisticcio, dell’organo di autocontrollo, ormai esonerato.
Poteri pieni. Totali.
Un progetto pericoloso, attacca l’opposizione.
Il controllo, denuncia Felice Casson, «verrebbe a essere asservito e subordinato ai governi centrali e locali».
Il coordinamento dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili, in una lettera mandata ieri a Napolitano, denuncia «un gravissimo vulnus ai quei fondamentali principi costituzionali che sono stati alla base della istituzione stessa degli organi di autogoverno».
E l’Associazione nazionale dei magistrati contabili è arrivata a ipotizzare all’unanimità l’espulsione dello stesso presidente, Tullio Lazzaro.
di Gian Antonio Stella
C’è chi dirà: allarmi esagerati. E giurerà che si tratta di «ritocchi» organizzativi che renderanno «efficiente» un organo che costa cinque volte più dello spagnolo Tribunal de cuentas.
Che non limiteranno affatto le denunce sulla malagestione dei pubblici denari come gli sprechi della sanità in Sicilia, le troppe consulenze «conferite intuitu personae» (cioè a capriccio), i soldi buttati dalle regioni, dalle municipalizzate, dai comuni o perfino dalla Croce Rossa.
Sarà. Ma nel progetto c’è scritto proprio così: il presidente della Corte dei conti diventa «organo di governo dell’istituto» e il Consiglio di presidenza viene degradato a «organo di amministrazione del personale».
Nero su bianco.
E lo sapete quando è stato inserito, il «ritocco» che stravolgerebbe senza passaggi costituzionali l’autogoverno dei giudici contabili?
Poco dopo che il procuratore generale aveva denunciato il surreale tentativo di introdurre nell’accordo sulla nuova Alitalia un codicillo che prevedeva «l’esonero preventivo e generalizzato» per i nuovi soci «da responsabilità astrattamente esteso fino a coprire eventuali comportamenti dolosi, con effetti retroattivi».
Cioè l’assoluzione concordata prima ancora che fosse commesso l’eventuale peccato.
Pensa un po’ che coincidenza ...
Operazione “Piombo fuso” sul vescovo Williamson
Anche oggi la Fama mi porta notizie che devo spacchettare dalla carta interpretativa in cui sono avvolte. Infatti, le notizie allo stato puro senza nessuna interpretazione e opinione annessa semplicemente non esistono. Ognuno di noi dovrebbe saper reinterpretare ciò che ascolta e apprende. Quando la ricezione è passiva noi siamo alla mercé di chi ci informa. Lo sanno bene i potenti del regime. Ci può andar bene o male, a seconda dei casi. Ma resta a noi decidere se essere consapevoli o inconsapevoli fruitori di notizie portate dalla Fama. Queste mie righe non andranno certo a formare l’editoriale del Corriere, ma sono scritte per un lettore eccezionale: io stesso. Gli altri se vogliono, possono darvi un’occhiata. Ebbene, andiamo al punto odierno.
Ho ascoltato per la solita radio, appena accesa, parte di un ragionamento tortuoso. Ci si richiamava al Concordato fra stato e chiesa del 1929, quello per il quale Mussolini fu detto “uomo della Provvidenza”. A questi successe nel 1984 un altro “uomo” finito pure male: Bettino Craxi, che riformò quanto Mussolini aveva fatto prima di lui. La novità è l’8 per mille. Ma sembrerebbe che questo 8 per mille sia subordinato all’accettazione del Concilio Vaticano II come obbligo contrattuale da parte della stessa chiesa cattolica. Almeno questo lascia intendere la Voce radicale. Non so se le cose stiano davvero così, anzi ne dubito. Ma non mi era mai capitato di pensare una cosa del genere. Pur avendo sempre dato il mio 8 per mille alla Chiesa cattolica, mi sono sempre dichiarato contrario a questo balzello. Il principio era che ogni fedele di qualsiasi religione dovesse contribuire al finanziamento della sua chiesa senza oneri e senza mediazione dello stato. E ciò in ossequio ad altri due principi: “date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio” ed un altro ancora: “libera chiesa in libero stato”. Ma come ti trasforma tutto ciò la perfidia radicale e non solo radicale? Non avevo mai pensato alla possibilità del ricatto e della corruzione.
Nella foto: Mons. Richard Williamson
Se vuoi l’8 per mille – pensano i radicali –, devi applicare la clausola contrattuale del Concilio Vaticano II. E cosa dice secondo costui il Concilio Vaticano II? Banalizzo fino al grottesco volutamente: che l’ebraismo è entrato con prepotenza nel cattolicesimo e che ne debba condizionare lo statuto interno! Se si leggono le dichiarazioni dei vari rabbini sparsi per il mondo, non è difficile ricavarne la netta impressione di qualcuno che pretende, che avanza titolo, che impone. Un non cattolico o un cattolico non praticante ha qui di che temere grandemente. Non svolgo tutte le implicazioni, ma mi mantego sui principi generali, anche perché ho fretta di chiudere. Veniamo al vescovo Williamson, che ha creato un così grande scompiglio da indurre alcuni commentatori a parlare della necessità di un nuovo Concilio Ecumenico. Addirittura si legge che il vescovo di Regensburg vieterebbe a Williamson l’ingresso in cattedrale e in tutti gli edifici della chiesa cattolica. Cosa ne sia della carità cristiana sembra che lo zelante vescovo di Regensburg lo abbia dimenticato, troppo fedele alla nuova “religio” e dimentico della vecchia. Sempre da Regensburg ovvero Ratisbona parte un procedimento penale per il vescovo britannico residente in Argentina.
Di cosa è incolpato quest’uomo? Cosa si vuole da lui? Dove lo si vuol crofiggere? In Germania, la cui legislazione include un monte Golgota per i negatori della Shoa, la nuova “religio” è imposta a chiunque con il carcere duro. Ed è stato subito avviato un procedimento contro il vescovo cattolico. Da un prete ci aspettiamo tutti che parli di cose di fede e di religione. Non andiamo da lui per farci risolvere un’equazione matematica o per avere aiuto nella compilazione del cruciverba. Ma per il resto un prete è come ogni altro uomo: può fare le stesse ed avere comuni interessi in fatto di storia, scienza, letteratura, arte, musica. La Shoa cosa è? Un evento storico assoggettabile ai normali e comuni criteri della ricerca e del metodo storico o è il fatto mitico-fondativo di una nuova religio planetaria? Le parole del papa non lasciano dubbi sul fatto che per il suo Magistero la Shoa sia un evento storico e non una nuova “religio”. Resta tuttavia il nodo del Concilio Vaticano II, ma non sembra che il Vaticano voglia ritirare la sua revoca della scomunica e sarebbe certamente controproducente se ciò avvenisse o anche soltanto lo sembrasse a seguito di pressioni e richieste provenienti dal mondo ebraico. Il monito contro il “negazionismo” e il “riduzionismo” ci sembra poi abbastanza generale tanto da indurre a pensare che possa applicarsi a tutti i casi simili e comparabili, e quindi anche alla Nakba o meglio alla “pulizia etnica” della Palestina che Israele ha sempre negato e continua a negare.
Si fa passare come un’umiliante sconfessione da parte dei confratelli del vescovo Williamson una dichiarazione del tutto pacifica: noi non siamo un’associazione di storici. Ci interessiamo di fede e di religione. Ci dispiace che una semplice affermazione in materia profana da parte di un nostro confratello abbia sollevato tanto clamore, che non è chi non veda quanto sia strumentale. Per questo sconquasso da noi non voluto, ma chiaramente orchestrato dai nostri nemici, noi chiediamo perdono al santo padre. Al nostro confratello abbiamo ordinato di non pronunciarsi più su materie profane, quale la ricerca storica contemporanea, sia essa la Shoa o le origini della prima guerra mondiale, fatto non meno tragico se non altro perché produttivo della seconda guerra mondiale e della stessa Shoa.
Vi sarebbero qui altre considerazioni da fare e altri fatti da interpretare e commentare, ma ci siamo già attardati oltre tempo e rinviamo ad altro momento e occasioni che certamente non mancheranno. Notiamo come lo schieramento mediatico che si è scagliato sul povero vescovo è lo stesso che ha fornito copertura mediatica al genocidio di Gaza. I soggetti gli stessi. Il presidente Gianfranco Fini conferma la sua collocazione pro Israele e pro ebraismo contro la chiesa cattolica ed il cattolicesimo, o meglio pretende che la gerarchia cattolica si adegui secondo le sue autorevoli indicazioni. In pratica si chiede non già una “sconfessione” del vescovo, ma che venga costretto ad un “ritrattazione”, quasi che non si trattasse di una semplice opinione storica, ma di qualcosa di ben più importante del dogma trinitario. Si è tacciati di “antisemitismo” (= reato penale) se si dice che l’ebraismo mira al dominio del mondo, ma qui si pretende di piegare la Chiesa cattolica che sulla carta conta oltre un miliardo di fedeli. Se ai cattolici ci si aggiungono gli islamici – tutti terroristi e alieni da noi occidentali – che sono un altro miliardo e passa, il quadro diventa allarmante.
di Antonio Caracciolo
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