03 marzo 2009

UN IMMINENTE TERREMOTO GEOPOLITICO?

 


 



L’agitazione finanziaria ed economica che il mondo sta attualmente attraversando avrà certamente molte serie conseguenze che vanno al di là di tali settori. Per certo, il suo effetto geopolitico potrebbe essere di gran lunga più serio di quanto sia comunemente riconosciuto ed è un elemento che non può essere trascurato né dai capi di stato né dagli analisti.



Alcuni studiosi sostengono di sovente che la politica e l’economia siano in qualche modo separate. Tale teoria è profondamente fallace perché politica ed economia sono strettamente interconnesse. In effetti il potere politico e la ricchezza economica si coltivano vicendevolmente. In modo simile i problemi economici molto spesso tendono a riportarci ai problemi politici ed è ugualmente vero anche il contrario.



Pertanto è abbastanza ragionevole asserire che questa crisi finanziaria avrà un enorme impatto sull’equilibrio di potere del sistema internazionale. Alcuni stati (compresi i grandi poteri) potrebbero ridefinire le proprie priorità. Altri stati in situazioni più gravi dovranno attuare dei cambiamenti drastici in riferimento alle proprie politiche.





Prendiamo il caso degli Stati Uniti. Alla fine della guerra fredda gli USA intendevano stabilire un’era unipolare in cui la loro posizione di egemonia sarebbe rimasta senza rivali (il cosiddetto “Progetto per un Nuovo Secolo Americano”). Tuttavia Washington ha dovuto far fronte a diversi ostacoli e sfide come la nascita di altri grandi poteri (la Cina e la Russia), la proliferazione di regimi anti-americani (Iran e Venezuela), come pure i pantani militari di Washington (l’Iraq e l’Afghanistan). Pertanto la posizione degli USA potrebbe essere indebolita per effetto della crisi finanziaria.



Non si sa a questo stadio se l’egemonia del dollaro prevarrà e se rimarrà indenne. Il dollaro può certamente sopravvivere, ma la sua posizione potrebbe essere criticamente corrosa. È estremamente importante tenerlo presente perché l’egemonia del dollaro è uno dei due pilastri del potere americano, insieme alla forza militare. La posizione del dollaro USA come maggiore riserva valutaria è ciò che ha consentito all’economia americana di finanziare un enorme deficit della bilancia commerciale. Una conseguenza di questo è l’accumulo del maggior debito estero del mondo, pari a quasi il 99.95% del PIL americano (?!). Ciò vuol dire che non può essere pagato, quindi cosa succederebbe se improvvisamente i creditori dell’America decidessero di riscuotere almeno una parte di tale debito? Se gli USA si rifiutassero di pagare, come reagirebbero i suoi creditori?



Per di più, la crisi economica e finanziaria potrebbe limitare enormemente le capacità operative della NATO oltre i propri confini. L’alleanza atlantica sta attualmente contemplando di aumentare la presenza militare in Afghanistan. Cerca inoltre di procedere verso est nello spazio post-sovietico. Tuttavia, tale programma potrebbe essere minacciato da altri problemi che la toccano più da vicino.

È emerso che diversi stati europei (alcuni sia membri dell’Unione Europea che della NATO) stanno già affrontando complicazioni socio-politiche causate dalle loro gravi difficoltà economiche e finanziarie (mancanza di credito, disoccupazione, svalutazione monetaria, debito estero, crescita del PIL negativa). Se la loro situazione dovesse deteriorarsi ulteriormente, non sarebbe affatto inconcepibile l’eventuale dispiegamento delle truppe della NATO nel territorio di uno o più stati membri. Lo scopo ufficiale sarebbe la preservazione della stabilità politica. L’obiettivo non ufficiale (e reale) sarebbe impedire il crollo dei governi alleati della NATO. L’Islanda, la Romania, l’Ungheria, la Grecia, la Polonia e persino l’Italia e la Francia sono in una situazione particolarmente grave. Secondo il quotidiano Der Spiegel la Gran Bretagna stessa (vera e propria culla della moderna finanza) è “sull’orlo della rovina finanziaria”.



Questo scenario potrà essere considerato inverosimile, ma persino il settore finanziario americano è in circostanze critiche. Come ha recentemente commentato il primo ministro russo Vladimir Putin “… le banche di investimento [un tempo] orgoglio di Wall Street hanno praticamente cessato di esistere. In soli dodici mesi hanno perso quello che hanno guadagnato negli ultimi 25 anni …”.



La Federazione Russa stessa non è immune. Ad esempio, i piani del Cremlino di far diventare Mosca un centro finanziario internazionale non sembrano molto verosimili adesso a causa della svalutazione del rublo. Ciononostante il governo russo sa di avere notevole capacità di manovra per attraversare la crisi. Il suo patrimonio principale è costituito dalle enormi riserve di valute estere (al terzo posto nel mondo) accumulate negli ultimi anni. Inoltre, l’esportazione russa di energia ed armi rappresenta una fonte affidabile di reddito.



Gli altri stati post-sovietici sono in una posizione più delicata. Ad esempio il Kyrgyzstan ha deciso di chiudere la base aerea di Manas (diretta dalla US Air Force) in cambio di concessioni economiche e finanziarie da parte della Russia, una vittoria geopolitica di cruciale importanza per Mosca. Questo ci insegna una lezione di vitale importanza: i mezzi finanziari sono molto utili per raggiungere gli obiettivi geopolitici. D’altro canto l’economia ucraina è piuttosto fragile e si dice che Kiev potrebbe persino riconsiderare la propria politica estera in cambio di aiuti finanziari.



Si deve tener conto del fatto che la Cina detiene le massime riserve di valuta estera del mondo e che quindi Pechino non è interamente non protetta. Tuttavia per effetto della crisi globale, i Cinesi devono evitare le conseguenze politiche potenzialmente destabilizzanti che derivano dalla disoccupazione e dal generale rallentamento dell’economia. Alcuni importanti membri dell’amministrazione di Obama hanno intenzione per lo meno di diminuire il deficit americano della bilancia commerciale facendo pressione su Pechino affinché rivaluti lo yuan cinese, ma la Cina non è ovviamente disposta ad imporre artificialmente restrizioni sulle proprie esportazioni. Tale disaccordo non deve essere sottovalutato perché potrebbe fomentare pericolose tensioni tra i due grandi poteri.



È ancora troppo presto per prevedere con precisione tutte le conseguenze della crisi finanziaria mondiale. Tuttavia, pare che ne scaturiranno dei riassestamenti geopolitici imprevisti. Il sistema finanziario, come pure l’equilibrio di potere internazionale, si sta avvicinando ad un punto di svolta estremamente critico.



DI JOSE’ MIGUEL TRABANCO

globalresearch.ca/


José Miguel Alonso Trabanco vive in Messico ed è uno scrittore indipendente specializzato in affari militari e geopolitici. Ha conseguito la laurea in Relazioni Internazionali dal Monterrey Institute of Technology and Higher Studies di Città del Messico. I suoi principali interessi sono la geopolitica contemporanea e storica, l’equilibrio di potere mondiale, l’architettura del sistema internazionale e i nuovi poteri emergenti.

02 marzo 2009

La lettera di intenti sul Nucleare


Ormai da molto tempo seguo una saggia regola che mi dice che non vale la pena guardare la televisione e leggere i giornali dato che tutte le notizie che vengono date sono o false, o esagerate, o irrilevanti (e spesso tutte e tre le cose insieme). Con questa regola, vivo tranquillo e mi risparmio le varie follie che periodicamente infestano gli schermi e le pagine dei giornali.





Tuttavia, ogni tanto mi capita di dovermi interessare per forza di qualcosa che appare sui giornali o in TV. Ultimamente mi è successo per la questione dell'accordo nucleare fra Italia e Francia. Avevo, in effetti, sentito parlare vagamente di questa faccenda e l'avevo automaticamente classificata fra le cose false, esagerate e irrilevanti. Ma mi è toccato approfondire un po' perché mi hanno intervistato alla TV su questo argomento. La regola è stata confermata in pieno, ma vediamo di discuterne un attimo.



Allora, prima di presentarmi per l'intervista allo studio televisivo, mi sono letto il comunicato ENEL sull'accordo. Poi, mentre me stavo seduto impalato e incravattato davanti alla telecamera ad aspettare, mi è toccato sorbirmi tutto il notiziario del giorno, nel quale mi sono accorto con stupore (ma neanche poi tanto) che si dicevano cose del tutto diverse da quelle scritte nel comunicato. Si diceva che Francia e Italia hanno "firmato un'accordo per la costruzione di quattro centrali nucleari in Italia entro il 2020". Ma è vero?



Bene, guardiamo un po' il testo del comunicato stampa emesso da ENEL. Ve lo riporto per intero in fondo, ma qui concentriamoci sulle frasi significative.



Risulta dal comunicato che ENEL e EDF (electricité de France) hanno "siglato due memorandum of understanding (MoU)". Cos'è questo oggetto che ha come nome un curioso mix di latino e inglese, e che viene abbreviato con la sigla di una caramella? In Italiano, si dovrebbe dire "protocollo d'intesa" oppure "lettera di intenti". Già il fatto che nel comunicato stampa abbiano usato il nome più pomposo di "memorandum of understanding" la dice lunga sulla volontà di offuscazione di questa gente. Ma andiamo avanti.



Allora, un memorandum of understanding (o protocollo di intesa, o lettera d'intenti che dir si voglia) rappresenta l'equivalente un po' più formale di una stretta di mano. Non che non possa avere valore legale; anche una stretta di mano lo può avere. Ma il fatto di usare questo termine e non quello di "contratto" indica che i partners dichiarano soltanto la loro buona volontà ma non prendono nessun impegno. Non abbiamo i testi dettagliati di queste due caramelle MoU, ma dal testo che abbiamo ci accorgiamo subito che, in effetti, non corrispondono a nessun impegno reale.



Ci sono due MoU fra Enel e EDF. Il primo "pone le premesse per un programma di sviluppo congiunto dell’energia nucleare in Italia da parte delle due aziende. " Notate che "pone le premesse", ovvero per ora non c'è nessun piano del genere.



Dice poi che "Enel ed EDF si impegnano a costituire una joint-venture paritetica (50/50) che sarà responsabile dello sviluppo degli studi di fattibilità per la realizzazione delle unità di generazione nucleare EPR". Ovvero, l'unico impegno di questo MoU e che EDF e ENEL faranno insieme uno studio di fattibilità. Ma notate che qualcuno dovrà finanziarlo, e qui non si accenna nemmeno a uno stanziamento.



centrales-nucleairesLeggiamo poi che "Successivamente, completate le attività di studio e prese le necessarie decisioni di investimento, è prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna unità di generazione nucleare EPR", Notate che "è prevista" la costituzione di una società ad hoc, ma questo è qualcosa che avverrà in un futuro non ben definito quando saranno prese "le necessarie decisioni di investimento", ovvero qualcuno avrà trovato i soldi, se ci riuscirà. Ovviamente, non c'è nessun impegno legale a fare questa cosa.



La seconda caramella MoU è altrettanto insipida della prima: dice che "Enel ha espresso la volontà di partecipare all’estensione del precedente accordo sul nucleare a suo tempo raggiunto con EdF per la realizzazione in Francia di altri 5 reattori EPR". Notate che Enel "ha espresso la volontà," tutto qui! E notate anche che soltanto ENEL ha espresso questa volontà; secondo il comunicato stampa, EDF non ha detto niente. Di solito, quando si fa un contratto, bisognerebbe essere d'accordo in due!



Diciamo che questi MoU sono equivalenti a una situazione in cui io potrei andare, per esempio, dall'agente immobiliare che vende una bella villa sulla Costa Smeralda e firmare con lui un "memorandum of understanding" nel quale io mi dichiaro interessato a comprare la villa e lui si dichiara interessato a vendermela, ma non si menziona a che prezzo. Una cosa del genere non vale niente; ovviamente. Infatti, quando fai un contratto serio per comprare una casa paghi una caparra e sul contratto c'è scritto il prezzo, i termini e le condizioni. Ma qui, fra Francia e Italia non c'è proprio niente del genere, niente di serio sul nucleare.



Questo non vuol dire che Francia e Italia non siano interessate a collaborare sull'energia nucleare. Anzi, con il proprio nucleare ormai in netto declino, la Francia ha bisogno di partners per rilanciare e rifinanziare nuove centrali e probabilmente questa è la ragione che ha spinto Sarkozy a Roma. Ma questo cosiddetto "accordo" fra Italia e Francia è puro fumo e rumore; aria fritta, propaganda fatta secondo un copione ormai collaudato e, curiosamente, la gente continua a cascarci.



Eppure, per tutta la giornata del 24 Febbraio, giornali e televisione ci hanno bombardato con la notizia che Italia e Francia si sono messe daccordo per la realizzazione di quattro centrali nucleari, dando la cosa come certa e assodata. Tutta la vicenda conferma in pieno la saggia regola che continuerò ad applicare: tutto quello che ti raccontano in TV o sui giornali va ignorato in quanto o è falso, o è esagerato, o è irrilevante, o tutte e tre le cose insieme.



Ah.... nell'intervista, le cose che ho scritto qui, ovviamente, non le ho potute dire!

________________________________________________



(comunicato stampa di Enel del 24 Febbraio 2009 - cortesia di Pierangela Magioncalda)



ACCORDO ENEL-EDF PER LO SVILUPPO DEL NUCLEARE IN ITALIA



Nel quadro del Protocollo di Intesa italo-francese per la cooperazione energetica, l’Ad di Enel Fulvio Conti e il Pdg di Edf Pierre Gadonneix hanno siglato due Memorandum of Understanding per studiare la fattibilità di almeno 4 unità di terza generazione avanzata del tipo EPR da costruire nel nostro Paese e per estendere la partecipazione di Enel al programma nucleare in Francia, a partire dal reattore di Penly recentemente autorizzato.



“Enel è onorata di avere al suo fianco nel progetto di rilancio del nucleare in Italia un partner industriale come Edf che ha in questo campo un’esperienza e una reputazione riconosciute a livello internazionale – ha commentato Conti –. Gli accordi siglati oggi contribuiscono a rafforzare i legami tra i sistemi industriali di Italia e Francia in un settore strategico come quello dell’energia e a sviluppare ulteriormente la reciprocità nei rispettivi mercati.”



Roma, 24 febbraio 2009 - Nel quadro del Protocollo di Intesa italo-francese per la cooperazione energetica, Fulvio Conti amministratore delegato e direttore generale di Enel e Pierre Gadonneix, presidente e direttore generale di Edf hanno firmato un primo Memorandum of Understanding (MoU) che pone le premesse per un programma di sviluppo congiunto dell’energia nucleare in Italia da parte delle due aziende. Quando sarà completato l’iter legislativo e tecnico in corso per il ritorno del nucleare in Italia, Enel ed EDF si impegnano a sviluppare, costruire e far entrare in esercizio almeno 4 unità di generazione, avendo come riferimento la tecnologia EPR (European Pressurized water Reactor), il cui primo impianto è in costruzione a Flamanville in Normandia e che vede la partecipazione di Enel con una quota del 12,5%.



L’obiettivo è di rendere la prima unità italiana operativa sul piano commerciale non oltre il 2020.



Con il MoU di oggi, Enel ed EDF si impegnano a costituire una joint-venture paritetica (50/50) che sarà responsabile dello sviluppo degli studi di fattibilità per la realizzazione delle unità di generazione nucleare EPR. Successivamente, completate le attività di studio e prese le necessarie decisioni di investimento, è prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna unità di generazione nucleare EPR, caratterizzate da:



· partecipazione di maggioranza per Enel nella proprietà degli impianti e nel ritiro di energia;



· leadership di Enel nell’esercizio degli impianti;



· apertura della proprietà anche a terzi, con il mantenimento per Enel e EDF della maggioranza dei veicoli societari.



L’accordo Enel-EDF entra in vigore il 24 febbraio 2009 e ha una durata di 5 anni dalla data della sua firma, con possibilità di estensione.



In un secondo MoU, Enel ha espresso la volontà di partecipare all’estensione del precedente accordo sul nucleare a suo tempo raggiunto con EdF per la realizzazione in Francia di altri 5 reattori EPR, a partire da quello che recentemente il Governo francese ha autorizzato nella località di Penly.



“Enel è onorata di avere al suo fianco nel progetto di rilancio del nucleare in Italia un partner industriale come Edf che ha in questo campo un’esperienza e una reputazione riconosciute a livello internazionale – ha commentato Conti –. Gli accordi siglati oggi contribuiscono a rafforzare i legami tra i sistemi industriali di Italia e Francia in un settore strategico come quello dell’energia e a sviluppare ulteriormente la reciprocità nei rispettivi mercati.”



Enel è oggi presente in Francia nel nucleare, con una partecipazione del 12,5% nell’impianto di terza generazione EPR a Flamanville (1.660 MW); nelle rinnovabili, tramite la controllata Erelis, con 8 MW eolici operativi a fine 2008 e una pipeline di circa 500 MW; nella commercializzazione di elettricità con oltre 1.000 GWh venduti nel 2008.



Ulteriori possibilità di sviluppo di Enel in Francia, riguardano la costruzione di un impianto a carbone pulito da 800 MW, la partecipazione in due unità a ciclo combinato alimentate a gas (CCGT) di Edf da 930 MW e la partecipazione al processo di gara per il rinnovo di concessioni per 25 centrali idroelettriche.

Ebrei Americani contrari alla politica di Israele a Gaza



In qualità di esseri umani, siamo sorpresi e sconvolti  dalle distruzioni di massa che lo Stato di Israele ha scatenato, con le sue operazioni militari, contro le genti di Gaza, dopo anni di occupazione israeliana, di assedio e di deprivazioni.



Quali Americani, protestiamo contro la carta bianca data dal Governo USA ad Israele nel perseguire una guerra di "onore nazionale", volta a"restaurare la deterrenza," ed a "distruggere Hamas", ed a "inculcare la potenza militare di Israele nella coscienza degli abitanti di Gaza."



Quali progressisti, noi rifiutiamo quelle stesse giustificazioni, della carneficina, che abbiamo ascoltato fino alla nausea dai sostenitori della Seconda Guerra d'Iraq : la cosiddetta "guerra al terrore", lo "scontro di civiltà", il "bisogno di ripristinare la deterrenza" - tutte cose servite a giustificare una guerra inutile e mal condotta, una guerra con conseguenze disastrose per l'America e l'Iraq.



Ma quali giudei di diversi orientamenti religiosi, dagli Ortodossi agli atei secolari, siamo specialmente orripilati che uno stato che pretenda di parlare in nostro nome conduca una campagna militare che ha ucciso più di 1400 persone, una larga percentuale delle quali costituita da civili, bambini, e non-combattenti, e la conduca con poca o nulla considerazione verso i diritti umani o le leggi di guerra.



Mentre si può discutere di temi morali e legali relativi al diritto di Israele di rispondere militarmente in queste circostanze, c'è un accordo quasi universale sul fatto che il suo comportamento nelle operazioni militari sia stato ingiusto ed anche criminale - con il disaccordo dei soli difensori d'ufficio dello stato di Israele.



Quali Ebrei, noi ci battiamo uniti per un'altra Israele, per il patriarca Jacob, che perseguì i suoi figli Simeone e Levi per aver massacrato le genti di Shechem per vendicare lo stupro della loro sorella Dinah. Come Jacob, "noi non saremo parte del consiglio degli zeloti, non saremo parte della loro assemblea. ( Genesi 34. 49:5-7 ).



Quali Ebrei, noi ci battiamo uniti con i saggi Ebrei che rifiutano il fanatismo degli Ebrei "terroristi" a Masada, quelli che camuffano la rivalità tribale etnica sotto il manto dell' "autodifesa" e dell' "onore nazionale."



Quali Ebrei, non diamo retta al saggio Hillel solo quando dice : " Se  non mi occupo io di me, chi lo farà per me ?" ma anche quando dice : " Se mi occupo solo di me, cosa sono io ?" Le parole finali di Hillel suonano vere anche in questa ora di decisioni nella quale da ambo le parti si chiede una piena risoluzione:" Se non ora, quando?"



Infine, quali Ebrei Americani progressisti, ed esseri umani, noi condanniamo Hamas ed Israele per la violazione dei diritti umani dei civili di ambo i lati, benchè noi non necessariamente sosteniamo che tali violazioni siano moralmente o legalmente equivalenti. Affermiamo i diritti, sia delle genti di Israele che dei Palestinesi, alla vita, alla libertà ed al conseguimento della felicità.


Richard Silverstein

03 marzo 2009

UN IMMINENTE TERREMOTO GEOPOLITICO?

 


 



L’agitazione finanziaria ed economica che il mondo sta attualmente attraversando avrà certamente molte serie conseguenze che vanno al di là di tali settori. Per certo, il suo effetto geopolitico potrebbe essere di gran lunga più serio di quanto sia comunemente riconosciuto ed è un elemento che non può essere trascurato né dai capi di stato né dagli analisti.



Alcuni studiosi sostengono di sovente che la politica e l’economia siano in qualche modo separate. Tale teoria è profondamente fallace perché politica ed economia sono strettamente interconnesse. In effetti il potere politico e la ricchezza economica si coltivano vicendevolmente. In modo simile i problemi economici molto spesso tendono a riportarci ai problemi politici ed è ugualmente vero anche il contrario.



Pertanto è abbastanza ragionevole asserire che questa crisi finanziaria avrà un enorme impatto sull’equilibrio di potere del sistema internazionale. Alcuni stati (compresi i grandi poteri) potrebbero ridefinire le proprie priorità. Altri stati in situazioni più gravi dovranno attuare dei cambiamenti drastici in riferimento alle proprie politiche.





Prendiamo il caso degli Stati Uniti. Alla fine della guerra fredda gli USA intendevano stabilire un’era unipolare in cui la loro posizione di egemonia sarebbe rimasta senza rivali (il cosiddetto “Progetto per un Nuovo Secolo Americano”). Tuttavia Washington ha dovuto far fronte a diversi ostacoli e sfide come la nascita di altri grandi poteri (la Cina e la Russia), la proliferazione di regimi anti-americani (Iran e Venezuela), come pure i pantani militari di Washington (l’Iraq e l’Afghanistan). Pertanto la posizione degli USA potrebbe essere indebolita per effetto della crisi finanziaria.



Non si sa a questo stadio se l’egemonia del dollaro prevarrà e se rimarrà indenne. Il dollaro può certamente sopravvivere, ma la sua posizione potrebbe essere criticamente corrosa. È estremamente importante tenerlo presente perché l’egemonia del dollaro è uno dei due pilastri del potere americano, insieme alla forza militare. La posizione del dollaro USA come maggiore riserva valutaria è ciò che ha consentito all’economia americana di finanziare un enorme deficit della bilancia commerciale. Una conseguenza di questo è l’accumulo del maggior debito estero del mondo, pari a quasi il 99.95% del PIL americano (?!). Ciò vuol dire che non può essere pagato, quindi cosa succederebbe se improvvisamente i creditori dell’America decidessero di riscuotere almeno una parte di tale debito? Se gli USA si rifiutassero di pagare, come reagirebbero i suoi creditori?



Per di più, la crisi economica e finanziaria potrebbe limitare enormemente le capacità operative della NATO oltre i propri confini. L’alleanza atlantica sta attualmente contemplando di aumentare la presenza militare in Afghanistan. Cerca inoltre di procedere verso est nello spazio post-sovietico. Tuttavia, tale programma potrebbe essere minacciato da altri problemi che la toccano più da vicino.

È emerso che diversi stati europei (alcuni sia membri dell’Unione Europea che della NATO) stanno già affrontando complicazioni socio-politiche causate dalle loro gravi difficoltà economiche e finanziarie (mancanza di credito, disoccupazione, svalutazione monetaria, debito estero, crescita del PIL negativa). Se la loro situazione dovesse deteriorarsi ulteriormente, non sarebbe affatto inconcepibile l’eventuale dispiegamento delle truppe della NATO nel territorio di uno o più stati membri. Lo scopo ufficiale sarebbe la preservazione della stabilità politica. L’obiettivo non ufficiale (e reale) sarebbe impedire il crollo dei governi alleati della NATO. L’Islanda, la Romania, l’Ungheria, la Grecia, la Polonia e persino l’Italia e la Francia sono in una situazione particolarmente grave. Secondo il quotidiano Der Spiegel la Gran Bretagna stessa (vera e propria culla della moderna finanza) è “sull’orlo della rovina finanziaria”.



Questo scenario potrà essere considerato inverosimile, ma persino il settore finanziario americano è in circostanze critiche. Come ha recentemente commentato il primo ministro russo Vladimir Putin “… le banche di investimento [un tempo] orgoglio di Wall Street hanno praticamente cessato di esistere. In soli dodici mesi hanno perso quello che hanno guadagnato negli ultimi 25 anni …”.



La Federazione Russa stessa non è immune. Ad esempio, i piani del Cremlino di far diventare Mosca un centro finanziario internazionale non sembrano molto verosimili adesso a causa della svalutazione del rublo. Ciononostante il governo russo sa di avere notevole capacità di manovra per attraversare la crisi. Il suo patrimonio principale è costituito dalle enormi riserve di valute estere (al terzo posto nel mondo) accumulate negli ultimi anni. Inoltre, l’esportazione russa di energia ed armi rappresenta una fonte affidabile di reddito.



Gli altri stati post-sovietici sono in una posizione più delicata. Ad esempio il Kyrgyzstan ha deciso di chiudere la base aerea di Manas (diretta dalla US Air Force) in cambio di concessioni economiche e finanziarie da parte della Russia, una vittoria geopolitica di cruciale importanza per Mosca. Questo ci insegna una lezione di vitale importanza: i mezzi finanziari sono molto utili per raggiungere gli obiettivi geopolitici. D’altro canto l’economia ucraina è piuttosto fragile e si dice che Kiev potrebbe persino riconsiderare la propria politica estera in cambio di aiuti finanziari.



Si deve tener conto del fatto che la Cina detiene le massime riserve di valuta estera del mondo e che quindi Pechino non è interamente non protetta. Tuttavia per effetto della crisi globale, i Cinesi devono evitare le conseguenze politiche potenzialmente destabilizzanti che derivano dalla disoccupazione e dal generale rallentamento dell’economia. Alcuni importanti membri dell’amministrazione di Obama hanno intenzione per lo meno di diminuire il deficit americano della bilancia commerciale facendo pressione su Pechino affinché rivaluti lo yuan cinese, ma la Cina non è ovviamente disposta ad imporre artificialmente restrizioni sulle proprie esportazioni. Tale disaccordo non deve essere sottovalutato perché potrebbe fomentare pericolose tensioni tra i due grandi poteri.



È ancora troppo presto per prevedere con precisione tutte le conseguenze della crisi finanziaria mondiale. Tuttavia, pare che ne scaturiranno dei riassestamenti geopolitici imprevisti. Il sistema finanziario, come pure l’equilibrio di potere internazionale, si sta avvicinando ad un punto di svolta estremamente critico.



DI JOSE’ MIGUEL TRABANCO

globalresearch.ca/


José Miguel Alonso Trabanco vive in Messico ed è uno scrittore indipendente specializzato in affari militari e geopolitici. Ha conseguito la laurea in Relazioni Internazionali dal Monterrey Institute of Technology and Higher Studies di Città del Messico. I suoi principali interessi sono la geopolitica contemporanea e storica, l’equilibrio di potere mondiale, l’architettura del sistema internazionale e i nuovi poteri emergenti.

02 marzo 2009

La lettera di intenti sul Nucleare


Ormai da molto tempo seguo una saggia regola che mi dice che non vale la pena guardare la televisione e leggere i giornali dato che tutte le notizie che vengono date sono o false, o esagerate, o irrilevanti (e spesso tutte e tre le cose insieme). Con questa regola, vivo tranquillo e mi risparmio le varie follie che periodicamente infestano gli schermi e le pagine dei giornali.





Tuttavia, ogni tanto mi capita di dovermi interessare per forza di qualcosa che appare sui giornali o in TV. Ultimamente mi è successo per la questione dell'accordo nucleare fra Italia e Francia. Avevo, in effetti, sentito parlare vagamente di questa faccenda e l'avevo automaticamente classificata fra le cose false, esagerate e irrilevanti. Ma mi è toccato approfondire un po' perché mi hanno intervistato alla TV su questo argomento. La regola è stata confermata in pieno, ma vediamo di discuterne un attimo.



Allora, prima di presentarmi per l'intervista allo studio televisivo, mi sono letto il comunicato ENEL sull'accordo. Poi, mentre me stavo seduto impalato e incravattato davanti alla telecamera ad aspettare, mi è toccato sorbirmi tutto il notiziario del giorno, nel quale mi sono accorto con stupore (ma neanche poi tanto) che si dicevano cose del tutto diverse da quelle scritte nel comunicato. Si diceva che Francia e Italia hanno "firmato un'accordo per la costruzione di quattro centrali nucleari in Italia entro il 2020". Ma è vero?



Bene, guardiamo un po' il testo del comunicato stampa emesso da ENEL. Ve lo riporto per intero in fondo, ma qui concentriamoci sulle frasi significative.



Risulta dal comunicato che ENEL e EDF (electricité de France) hanno "siglato due memorandum of understanding (MoU)". Cos'è questo oggetto che ha come nome un curioso mix di latino e inglese, e che viene abbreviato con la sigla di una caramella? In Italiano, si dovrebbe dire "protocollo d'intesa" oppure "lettera di intenti". Già il fatto che nel comunicato stampa abbiano usato il nome più pomposo di "memorandum of understanding" la dice lunga sulla volontà di offuscazione di questa gente. Ma andiamo avanti.



Allora, un memorandum of understanding (o protocollo di intesa, o lettera d'intenti che dir si voglia) rappresenta l'equivalente un po' più formale di una stretta di mano. Non che non possa avere valore legale; anche una stretta di mano lo può avere. Ma il fatto di usare questo termine e non quello di "contratto" indica che i partners dichiarano soltanto la loro buona volontà ma non prendono nessun impegno. Non abbiamo i testi dettagliati di queste due caramelle MoU, ma dal testo che abbiamo ci accorgiamo subito che, in effetti, non corrispondono a nessun impegno reale.



Ci sono due MoU fra Enel e EDF. Il primo "pone le premesse per un programma di sviluppo congiunto dell’energia nucleare in Italia da parte delle due aziende. " Notate che "pone le premesse", ovvero per ora non c'è nessun piano del genere.



Dice poi che "Enel ed EDF si impegnano a costituire una joint-venture paritetica (50/50) che sarà responsabile dello sviluppo degli studi di fattibilità per la realizzazione delle unità di generazione nucleare EPR". Ovvero, l'unico impegno di questo MoU e che EDF e ENEL faranno insieme uno studio di fattibilità. Ma notate che qualcuno dovrà finanziarlo, e qui non si accenna nemmeno a uno stanziamento.



centrales-nucleairesLeggiamo poi che "Successivamente, completate le attività di studio e prese le necessarie decisioni di investimento, è prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna unità di generazione nucleare EPR", Notate che "è prevista" la costituzione di una società ad hoc, ma questo è qualcosa che avverrà in un futuro non ben definito quando saranno prese "le necessarie decisioni di investimento", ovvero qualcuno avrà trovato i soldi, se ci riuscirà. Ovviamente, non c'è nessun impegno legale a fare questa cosa.



La seconda caramella MoU è altrettanto insipida della prima: dice che "Enel ha espresso la volontà di partecipare all’estensione del precedente accordo sul nucleare a suo tempo raggiunto con EdF per la realizzazione in Francia di altri 5 reattori EPR". Notate che Enel "ha espresso la volontà," tutto qui! E notate anche che soltanto ENEL ha espresso questa volontà; secondo il comunicato stampa, EDF non ha detto niente. Di solito, quando si fa un contratto, bisognerebbe essere d'accordo in due!



Diciamo che questi MoU sono equivalenti a una situazione in cui io potrei andare, per esempio, dall'agente immobiliare che vende una bella villa sulla Costa Smeralda e firmare con lui un "memorandum of understanding" nel quale io mi dichiaro interessato a comprare la villa e lui si dichiara interessato a vendermela, ma non si menziona a che prezzo. Una cosa del genere non vale niente; ovviamente. Infatti, quando fai un contratto serio per comprare una casa paghi una caparra e sul contratto c'è scritto il prezzo, i termini e le condizioni. Ma qui, fra Francia e Italia non c'è proprio niente del genere, niente di serio sul nucleare.



Questo non vuol dire che Francia e Italia non siano interessate a collaborare sull'energia nucleare. Anzi, con il proprio nucleare ormai in netto declino, la Francia ha bisogno di partners per rilanciare e rifinanziare nuove centrali e probabilmente questa è la ragione che ha spinto Sarkozy a Roma. Ma questo cosiddetto "accordo" fra Italia e Francia è puro fumo e rumore; aria fritta, propaganda fatta secondo un copione ormai collaudato e, curiosamente, la gente continua a cascarci.



Eppure, per tutta la giornata del 24 Febbraio, giornali e televisione ci hanno bombardato con la notizia che Italia e Francia si sono messe daccordo per la realizzazione di quattro centrali nucleari, dando la cosa come certa e assodata. Tutta la vicenda conferma in pieno la saggia regola che continuerò ad applicare: tutto quello che ti raccontano in TV o sui giornali va ignorato in quanto o è falso, o è esagerato, o è irrilevante, o tutte e tre le cose insieme.



Ah.... nell'intervista, le cose che ho scritto qui, ovviamente, non le ho potute dire!

________________________________________________



(comunicato stampa di Enel del 24 Febbraio 2009 - cortesia di Pierangela Magioncalda)



ACCORDO ENEL-EDF PER LO SVILUPPO DEL NUCLEARE IN ITALIA



Nel quadro del Protocollo di Intesa italo-francese per la cooperazione energetica, l’Ad di Enel Fulvio Conti e il Pdg di Edf Pierre Gadonneix hanno siglato due Memorandum of Understanding per studiare la fattibilità di almeno 4 unità di terza generazione avanzata del tipo EPR da costruire nel nostro Paese e per estendere la partecipazione di Enel al programma nucleare in Francia, a partire dal reattore di Penly recentemente autorizzato.



“Enel è onorata di avere al suo fianco nel progetto di rilancio del nucleare in Italia un partner industriale come Edf che ha in questo campo un’esperienza e una reputazione riconosciute a livello internazionale – ha commentato Conti –. Gli accordi siglati oggi contribuiscono a rafforzare i legami tra i sistemi industriali di Italia e Francia in un settore strategico come quello dell’energia e a sviluppare ulteriormente la reciprocità nei rispettivi mercati.”



Roma, 24 febbraio 2009 - Nel quadro del Protocollo di Intesa italo-francese per la cooperazione energetica, Fulvio Conti amministratore delegato e direttore generale di Enel e Pierre Gadonneix, presidente e direttore generale di Edf hanno firmato un primo Memorandum of Understanding (MoU) che pone le premesse per un programma di sviluppo congiunto dell’energia nucleare in Italia da parte delle due aziende. Quando sarà completato l’iter legislativo e tecnico in corso per il ritorno del nucleare in Italia, Enel ed EDF si impegnano a sviluppare, costruire e far entrare in esercizio almeno 4 unità di generazione, avendo come riferimento la tecnologia EPR (European Pressurized water Reactor), il cui primo impianto è in costruzione a Flamanville in Normandia e che vede la partecipazione di Enel con una quota del 12,5%.



L’obiettivo è di rendere la prima unità italiana operativa sul piano commerciale non oltre il 2020.



Con il MoU di oggi, Enel ed EDF si impegnano a costituire una joint-venture paritetica (50/50) che sarà responsabile dello sviluppo degli studi di fattibilità per la realizzazione delle unità di generazione nucleare EPR. Successivamente, completate le attività di studio e prese le necessarie decisioni di investimento, è prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna unità di generazione nucleare EPR, caratterizzate da:



· partecipazione di maggioranza per Enel nella proprietà degli impianti e nel ritiro di energia;



· leadership di Enel nell’esercizio degli impianti;



· apertura della proprietà anche a terzi, con il mantenimento per Enel e EDF della maggioranza dei veicoli societari.



L’accordo Enel-EDF entra in vigore il 24 febbraio 2009 e ha una durata di 5 anni dalla data della sua firma, con possibilità di estensione.



In un secondo MoU, Enel ha espresso la volontà di partecipare all’estensione del precedente accordo sul nucleare a suo tempo raggiunto con EdF per la realizzazione in Francia di altri 5 reattori EPR, a partire da quello che recentemente il Governo francese ha autorizzato nella località di Penly.



“Enel è onorata di avere al suo fianco nel progetto di rilancio del nucleare in Italia un partner industriale come Edf che ha in questo campo un’esperienza e una reputazione riconosciute a livello internazionale – ha commentato Conti –. Gli accordi siglati oggi contribuiscono a rafforzare i legami tra i sistemi industriali di Italia e Francia in un settore strategico come quello dell’energia e a sviluppare ulteriormente la reciprocità nei rispettivi mercati.”



Enel è oggi presente in Francia nel nucleare, con una partecipazione del 12,5% nell’impianto di terza generazione EPR a Flamanville (1.660 MW); nelle rinnovabili, tramite la controllata Erelis, con 8 MW eolici operativi a fine 2008 e una pipeline di circa 500 MW; nella commercializzazione di elettricità con oltre 1.000 GWh venduti nel 2008.



Ulteriori possibilità di sviluppo di Enel in Francia, riguardano la costruzione di un impianto a carbone pulito da 800 MW, la partecipazione in due unità a ciclo combinato alimentate a gas (CCGT) di Edf da 930 MW e la partecipazione al processo di gara per il rinnovo di concessioni per 25 centrali idroelettriche.

Ebrei Americani contrari alla politica di Israele a Gaza



In qualità di esseri umani, siamo sorpresi e sconvolti  dalle distruzioni di massa che lo Stato di Israele ha scatenato, con le sue operazioni militari, contro le genti di Gaza, dopo anni di occupazione israeliana, di assedio e di deprivazioni.



Quali Americani, protestiamo contro la carta bianca data dal Governo USA ad Israele nel perseguire una guerra di "onore nazionale", volta a"restaurare la deterrenza," ed a "distruggere Hamas", ed a "inculcare la potenza militare di Israele nella coscienza degli abitanti di Gaza."



Quali progressisti, noi rifiutiamo quelle stesse giustificazioni, della carneficina, che abbiamo ascoltato fino alla nausea dai sostenitori della Seconda Guerra d'Iraq : la cosiddetta "guerra al terrore", lo "scontro di civiltà", il "bisogno di ripristinare la deterrenza" - tutte cose servite a giustificare una guerra inutile e mal condotta, una guerra con conseguenze disastrose per l'America e l'Iraq.



Ma quali giudei di diversi orientamenti religiosi, dagli Ortodossi agli atei secolari, siamo specialmente orripilati che uno stato che pretenda di parlare in nostro nome conduca una campagna militare che ha ucciso più di 1400 persone, una larga percentuale delle quali costituita da civili, bambini, e non-combattenti, e la conduca con poca o nulla considerazione verso i diritti umani o le leggi di guerra.



Mentre si può discutere di temi morali e legali relativi al diritto di Israele di rispondere militarmente in queste circostanze, c'è un accordo quasi universale sul fatto che il suo comportamento nelle operazioni militari sia stato ingiusto ed anche criminale - con il disaccordo dei soli difensori d'ufficio dello stato di Israele.



Quali Ebrei, noi ci battiamo uniti per un'altra Israele, per il patriarca Jacob, che perseguì i suoi figli Simeone e Levi per aver massacrato le genti di Shechem per vendicare lo stupro della loro sorella Dinah. Come Jacob, "noi non saremo parte del consiglio degli zeloti, non saremo parte della loro assemblea. ( Genesi 34. 49:5-7 ).



Quali Ebrei, noi ci battiamo uniti con i saggi Ebrei che rifiutano il fanatismo degli Ebrei "terroristi" a Masada, quelli che camuffano la rivalità tribale etnica sotto il manto dell' "autodifesa" e dell' "onore nazionale."



Quali Ebrei, non diamo retta al saggio Hillel solo quando dice : " Se  non mi occupo io di me, chi lo farà per me ?" ma anche quando dice : " Se mi occupo solo di me, cosa sono io ?" Le parole finali di Hillel suonano vere anche in questa ora di decisioni nella quale da ambo le parti si chiede una piena risoluzione:" Se non ora, quando?"



Infine, quali Ebrei Americani progressisti, ed esseri umani, noi condanniamo Hamas ed Israele per la violazione dei diritti umani dei civili di ambo i lati, benchè noi non necessariamente sosteniamo che tali violazioni siano moralmente o legalmente equivalenti. Affermiamo i diritti, sia delle genti di Israele che dei Palestinesi, alla vita, alla libertà ed al conseguimento della felicità.


Richard Silverstein