07 marzo 2009

Vita da parlamentare. Privilegi extra

Pensione in anticipo, l'auto blu, l'indennità che migliora la vita: radiografia del Palazzo.
Dove tutto costa meno ed è più facile

Sarà un anno orribile questo, l'ha garantito ieri Giulio Tremonti. La fila dei disoccupati agli angoli delle fabbriche misura oramai esattamente la distanza che separa la moltitudine, di ogni ceto, razza, lingua e religione, dagli eletti. Segno dei tempi è il ragù politico, il piatto di pasta servito alla buvette dei senatori il cui costo - collassato a un euro e cinquanta centesimi per deliberata e generosa scelta del gestore del catering - è stato fatto subito risalire dal presidente del Senato a un euro e ottanta, più in linea e rispettoso dei sentimenti dell'opinione pubblica.

C'è una parola, una sola, che pone alcuni lavori fuori dal comune, li innalza e li tonifica: il privilegio. L'extra che cambia il corso della busta paga, consola la vita anche quando è sul punto di finire. E produce quel miracolo che appunto si definisce privilegio, frutto del diritto che cambia natura.

Tutto ha un prezzo. Il silenzio, per esempio. Stare zitti è una fatica e ha il giusto costo. E morire, oltre al dolore inconsolabile, comporta una serie infinita di pratiche e di cerimonie che vanno obbligatoriamente fatturate. L'Iva, la maledetta Iva.

Il premio alla carriera. Una questione a parte, senza volere entrare nel merito del tema che qui lambisce la terra e il cielo, è il pacchetto dei premi fine vita. Apriamo parentesi. Prima della morte, ma forse più dolorosa di essa, c'è la fine della carriera politica, la fine dei sogni e della gloria. Il politico che lascia ottiene un vitalizio. Lo dice la parola stessa: il vitalizio non è la pensione e quindi lo si può raccogliere, a certe condizioni, anche da giovani. E' qualcosa di diverso e, stando all'etimo, sicuramente di vitale.

Antonio Martusciello a soli 46 anni ha lasciato Montecitorio. Per quattordici anni di fila ha servito le Istituzioni e Forza Italia. Se riscatta quattro anni di contributi può godere di un vitalizio formidabile: 7.958 euro (lordi) mensili. E il 49enne Alfonso Pecoraro Scanio, 16 anni trascorsi a Montecitorio, con un minimo riscatto raggiunge il traguardo degli 8.836 euro (lordi) in tasca, senza temere i nuovi ricalcoli pensionistici, il famigerato scalone, espressione che indica ancora lavoro e ancora per tanti anni per i sessantenni.

Oltre al vitalizio, conquistato calcando la scena, a fine carriera si aggiunge un affidamento in danaro a titolo di "solidarietà" o di "reinserimento sociale". L'assegno è pari all'80 per cento dell'indennità per il numero degli anni in cui ha frequentato il Potere. Ti hanno cacciato dal Parlamento e ora? L'anziano Armando Cossutta ha ottenuto 345.600 euro, per esempio. Il più giovane Clemente Mastella 307.328 euro. Proprio Mastella, causa licenziamento, ha raccolto il dovuto: vitalizio (9600 euro lordi mensili) e assegno di solidarietà. Ma il reinserimento sociale non è riuscito, Clemente ha vagato meno di un anno e sta per tornare nel punto esatto da dove era partito.

L'indennità funeraria. Trombato e premiato perciò. L'indennità, e qui entriamo in una speciale categoria, accompagna la vita del vivo e permette di dare sollievo ai familiari qualora il de cuius abbia davvero deciso di smettere e per sempre. In Veneto si chiamava indennità funeraria. In Sicilia, forse per non dare nell'occhio, la tipologia si è classificata più proletariamente come "sussidio di lutto". Così, il deputato palermitano Giovanni Ardizzone non ha fatto mistero di aver avuto una qualche perplessità anche di natura scaramantica allorché, nel corso del suo mandato di questore dell'Assemblea siciliana, si è trovato a firmare un paio di provvedimenti che erogavano "sussidi di lutto". E ha scoperto, dopo aver chiesto delucidazioni, che nella ricca e antica collezione di decreti del consiglio di presidenza dell'Ars c'è un atto che concede una somma fino a 5 mila euro per le spese relative a funerali di deputati in carica o cessati dal mandato. Soldi ovviamente destinati alle famiglie del caro onorevole estinto. Se l'è cavata magnificamente Ardizzone: "Cosa dire? Noi parlamentari siamo previdenti: pensiamo al nostro futuro. Anche dopo la morte".

Nel 2007 per i "sussidi di lutto" in Sicilia sono stati spesi 36.151 euro. In Veneto non si sa, ma il presidente del consiglio regionale, il leghista Marino Finozzi, interrogato sul triste tema del trapasso, ebbe come un sobbalzo e sinceramente rispose: "Io penso che un contributo pubblico alle spese di funerale per una persona che ha speso 10, 15 o più anni della vita per servire le istituzioni e i cittadini non sia un grande scandalo".

Tocchiamo ferro e badiamo al presente. È un'ora grave, la recessione economica sta travolgendo consuetudini quasi secolari: il Quirinale ha detto addio a 37 corazzieri (da 260 passeranno a 223) le senatrici hanno visto abolito il loro assegno per il parrucchiere, un bonus mensile di 150 euro. "Sono ancora piccole cose", hanno scritto i senatori questori. Piccole ma che danno il segno di un'era nuova, e dei sacrifici che attendono davvero tutti.

La corsia preferenziale. Le piccole cose si fanno poi grandi col crescere delle responsabilità. Conoscete un privilegio più tondo ed esibito di una guida contromano? Il comune di Palermo ha deliberato che i politici, di ogni risma e colore, debbano essere agevolati nel loro movimento. Viaggeranno in corsia preferenziale, ridurranno a una legittima concessione contromano l'attesa di far presto e bene. Ogni cosa al suo posto e ogni responsabilità al livello che merita. Il 22 agosto scorso una circolare di palazzo Chigi ha riclassificato le urgenze e le potestà mutando nel profondo le condizioni del passaggio aereo di Stato. Romano Prodi aveva incautamente ristretto il numero dei beneficiati obbligando persino fior fiore di ministri a giustificare la propria richiesta di volare alto e bene. Silvio Berlusconi ha ricondotto la spesa nei suoi limiti fisiologici: qualche milione di euro in più si spenderà, e però vuoi mettere la resa? Efficienza e velocità per tutti. Quindi tutti imbarcati: premier e consiglieri, ministri e viceministri, persino sottosegretari. Quando e come chiedono, facendo attenzione solo alle coincidenze.

Il costo del silenzio. Bisogna capirsi - e una volta per tutte - dove finisce il privilegio e dove inizia il dovere. L'obbligo per esempio di tenere la bocca cucita. Quando i capi dei servizi segreti Emilio Del Mese, Niccolò Pollari e Mario Mori hanno lasciato il comando, l'Espresso - curioso - fece due conti sulla liquidazione straordinaria che avrebbero ricevuto: la fissò in un milione e ottocentomila euro. Tra le tante voci che avrebbero prodotto una pensione da favola (circa 31 mila euro lordi al mese) per una carriera quarantennale davvero straordinaria bisognò tener conto anche del tributo a una vita pericolosa e soprattutto silenziosa. Allo stipendio si aggiunge infatti, per chi opera nei servizi, un'indennità particolare di funzione che, tra gli addetti, viene definita "indennità di silenzio" e quasi raddoppia l'emolumento base. Voce che poi, alla fine della carriera, viene conteggiata per la quiescenza. Silenzio d'oro, compenso perpetuo. Ma è un trattamento riservato unicamente ai capi. I sottoposti, al momento della pensione, non si portano dietro quella ricca indennità.

Questi tempi moderni hanno anche impresso un'autentica accelerazione allo scambio di idee e di proposte. Con internet tutto si è fatto non solo più semplice ma straordinariamente veloce. E sia il Senato che la Camera consegnano a ciascun eletto, ad ogni inizio di legislatura, hardware e software necessari. Il parlamentare riceve il suo computer (che a fine mandato conserverà) in modo che ovunque si trovi, ovunque, sia nella condizione di lavorare. Qualche mese fa la signora Anna, disperata, (tre figli minorenni e senza lavoro) ha scritto una mail a tutti i parlamentari e ha invocato aiuto. Anna non esisteva e la sua disperazione era finta. Era un modo per testare l'apparato tecnologico in dotazione. Dal momento dell'invio al momento della lettura della mail sono trascorse in media due settimane. Il 42 per cento dei senatori aveva però e purtroppo la casella di posta piena. Alla signora Anna hanno alla fine risposto in 26 che, su 994 destinatari, rappresenta il 2,7 per cento. Non male.

Auto blu e super autista. A ciascuno il suo e ad alcuni autisti, per esempio, una retribuzione maiuscola, calcolata sul giusto: il rischio, la velocità, la fatica di guidare anche di notte. Di pochi giorni fa la notizia che la Camera dei deputati ha riconosciuto, dopo una annosa vertenza, il secondo livello retributivo ai suoi autisti. Porterà a 10.164 euro la retribuzione mensile lorda (dopo 35 anni di lavoro) a chi conduce l'auto blu. Più di quattromila euro netti al mese. Tre autisti dell'Atac ci vogliono per farne uno della Camera. Ma il Parlamento è un mondo a parte, non fa testo. Un bravo barbiere, se riesce a imboccare il portone di Montecitorio, supera in progressione e di molto lo stipendio di un magistrato d'appello (fermo a 98mila euro l'anno), e un operaio specializzato (tubista, elettricista) se ha la ventura di lavorare alla Camera è sicuramente nella condizione di raggiungere e superare lo stipendio di un professore universitario, persino di un cattedratico barone. Alla Camera ogni cosa ha costi elevatissimi, e persino le spese minute diventano mostruose: l'anno scorso 650 mila euro sono volati via proprio per la minutaglia, le spese vagabonde. Ma lì anche gli appendiabiti e chissà quale altro accessorio dei guardaroba (giacché le guardarobiere sono pagate a parte) sono valsi nell'ultimo bilancio un accantonamento monstre: 205 mila euro. Disse Goffredo Bettini, al momento di metter piede a Montecitorio: "Mio padre mi ha lasciato ricco. Sono diventato assai meno ricco quando per anni, come segretario del Pci di Roma non ho preso lo stipendio. Tuttavia il mio partito mi ha restituito i privilegi eleggendomi prima alla Regione e poi in Parlamento". Privilegiato, esatto. Tra le cento carezze parlamentari anche una voce destinata alla lingua, a parlar bene e a farsi intendere meglio. Per la formazione linguistica ai deputati investiti nel 2008 900mila euro. In Parlamento si parla, nevvero?

di Antonello Caporale

UK: buonuscita generosa

Per tanto, troppo tempo, le banche inglesi sono state gestite da avventurieri che, complici la mancanza di controlli pubblici degni di questo nome e un’assurda fede nella sostenibilità di un sistema affidabile quanto una bicicletta in equilibrio su una corda a 50 metri da terra, sono quasi riusciti a mandare un intero Paese a gambe all’aria. Risultato? Il Governo britannico, nell’ambito del piano di salvataggio delle banche del valore di 37 miliardi di sterline, ha acquisito il controllo di Northern Rock, Bradford&Bingley e di Royal Bank of Scotland. Detiene inoltre il 58% di Hbos e il 30% di Lloyds Tsb, ovvero il 43,4% del Lloyds Banking Group, gruppo nato il 13 gennaio scorso dall’acquisizione di HBOS da parte della concorrente Lloyds TSB.

L’operazione, annunciata già a settembre dello scorso anno, si è svolta sotto la regia del Governo britannico, che ha dribblato qualsiasi obiezione antitrust invocando l’interesse nazionale: il collasso di un gigante come HBOS (20% dei conti correnti inglesi) avrebbe infatti avuto conseguenze devastanti sul Paese. La HSBO è stata una banca gestita in un modo talmente demenziale che il suo modello organizzativo potrebbe essere studiato nelle università come la “summa” di tutte le pratiche viziose nel mercato del credito: rilevante esposizione sull’immobiliare, prestiti rischiosi a costruttori edili, a fondi di private equity traballanti e, ciliegina sulla torta, assunzione di rischi importanti nel mercato azionario. Quest’ultimo elemento, rischio di perdite capitali a parte, ha finito per danneggiare gravemente la capacità della banca di valutare accuratamente il rischio di credito dei suoi clienti, “drogata” come era dalle irrazionali quanto irresponsabili attese di lauti e “certi” guadagni sul mercato azionario.

L’altro ieri HSBO ha pubblicato i suoi risultati per il 2008, da cui emerge il terrificante numero di 10,8 miliardi di sterline di perdite; perdite, è bene ricordarlo, registrate prima che la recessione cominciasse a colpire la capacità di ripagare i debiti di clienti privati ed imprese debitrici. Il 2009, è chiaro, sarà anche peggiore, mentre la debolezza della soluzione Lloyds TSB sta emergendo in tutta la sua drammaticità: il nuovo azionista, che già al momento dell’acquisizione aveva una stazza molto minore della banca acquistata (8% del mercato contro oltre il 20% di HSBO), semplicemente non ha le spalle robuste abbastanza per coprire il bagno di sangue atteso per quest’anno. Per avere un’idea della gravità del problema è sufficiente sapere che il gruppo nel suo complesso detiene un quarto dei conti bancari e poco meno di un terzo dei mutui in Gran Bretagna. Per questa ragione Lloyds TSB sta discutendo con il Governo britannico un piano di garanzia pubblica su ben 250 miliardi di sterline dell’attivo (si fa per dire) della banca.

Il governo sta inoltre studiando un simile schema di garanzia sulle attività di Royal Bank of Scotland, che dovrebbe coprire i 325 miliardi di sterline di attività “tossiche” sui suoi libri: secondo la BBC, l’assicurazione pubblica dovrebbe costare alla banca circa 6,5 miliardi di sterline di commissioni e prevedere una rilevante franchigia; infatti i primi 19,5 miliardi di sterline di perdite resteranno comunque sul conto economico della banca. Anche Royal Bank of Scotland ha pubblicato qualche giorno fa i suoi risultati economici: 24,1 miliardi di sterline di perdite, di cui 16,2 causati da rettifiche sul valore di attività “non performanti” effettuate anche sulle controllate estere ABN AMRO e Charter One; le perdite “vere”, attribuibili alla sola banca inglese, sono circa 7,9 miliardi. I numeri di Royal Bank of Scotland sono un record negativo in grado di surclassare Vodafone, che nel 2006 e nel 2002 presentò conti economici da brivido (rispettivamente -14,9 e -13,5 miliardi di sterline); in questo podio della vergogna, il quarto posto spetta a HBOS, con i suoi –10,8 miliardi del 2008.

Insomma, il comportamento irresponsabile dei direttori delle grandi banche inglesi non solo hanno finito per distruggere valore, ma è riuscito a produrre una situazione paradossale che sovverte qualsiasi ortodossia liberista: banche che presentano bilanci con rossi grandi quanto una manovra di governo, il governo costretto a scendere in campo mettendo sul piatto soldi contanti (33 miliardi di sterline pompate nella sola Royal Bank of Scotland in due tranche) e/o per garantire attività bancarie per centinaia di milioni di sterline (le sole fideiussioni prestate per Royal Bank of Scotland e HBOS valgono 600 miliardi di sterline).

Ci si aspetterebbe che i direttori delle banche nazionalizzate, ovviamente tutti silurati, mostrassero un atteggiamento dimesso e contrito. Gli esempi che seguono mostrano invece che la loro arroganza non è stata intaccata nemmeno dal manifesto disastro globale prodotto dalla loro disinvolta assunzione di rischi colossali. Ad esempio, Sir Fred Goodwin, ex CEO di Royal Bank of Scotland, quando è stato cortesemente accompagnato all’uscita, aveva in tasca un accordo che gli ha riconosciuto una somma di 16 milioni di sterline, fruibile nella forma di un vitalizio di 650.000 sterline all’anno. Stephen Hester, il nuovo capo della banca ha dichiarato che il trattamento del suo predecessore è stato regolato da un contratto di anche il Governo era parte.

Una bella tegola in testa per l’esecutivo di Gordon Brown, che, come nota correttamente il ministro ombra delle finanze conservatore, “o sapeva e non ha reagito, oppure non sapeva e non è stato in grado di porre le domande giuste; comunque si guardi alla faccenda, questa pensione oscena è inaccettabile e il governo deve renderne conto”. Di fronte all’ennesima dimostrazione di insipienza, Gordon Brown ha tuonato: “Il comportamento di Royal Bank of Scotland mi fa arrabbiare e fa arrabbiare il paese: faremo pulizia nelle banche, in modo che non niente di simile accada in futuro”. Di fronte all’insistenza di Goodwin, che apertamente rifiuta di mollare l’osso, assistiamo anche all’imbarazzante boutade di Brown, che minaccia il banchiere di fargli revocare il titolo di baronetto…

Del resto, Goodwin non è il solo: sembra infatti che anche Peter Cummings, uno dei boss della HBOS, noto per concludere affari con una semplice stretta di mano e responsabile degli investimenti immobiliari che hanno affondato la banca, ha lasciato il suo impiego con una buonuscita di 600.000 sterline più un accordo pensionistico del valore attuale di 5,9 milioni di sterline. Tutto questo per dire che il governo inglese non riesce a tenere sotto controllo il demonio che si nasconde dietro le banche d’affari nemmeno una volta divenutone il padrone.
di Mario Braconi

Guerra contro “il terrore”

guerra del terrore
Il capo di al-Qaida, Usama bin Ladin, credeva che i Moudjahidin avessero battuto da soli l'impero sovietico e che un gruppo di Moudjahidin più compatto, al-Qaïda, sarebbe dunque all'avanguardia nel battere l'impero americano. Ma ciò non è mai stato così semplice.
Negli Stati Uniti, un mito afferma che la C.I.A. abbia dato ai Sovietici il loro “Vietnam” e che fu, dunque, fondamentalmente una vittoria degli Stati Uniti, con i “combattenti della libertà” (l'espressione appartiene al Presidente Ronald Reagan) in secondo piano. Ma ciò non è mai stato così semplice.
L’establishment delle informazioni militari pakistane crede che dalla fine degli anni 70 un Afganistan marionetta sia essenziale alla sua “profondità strategica”. Ma Ciò non è mai stato così semplice.
Oggi è anche utile ricordarsi che poco è cambiato in trent’anni, per quanto riguarda la tragedia afgana. E il futuro aumento in potenza (surge) della NATO, in Afganistan, porterà verso una rovina certa.

Dietro la cortina rossa
Negli Stati Uniti, è facile dimenticare che i servizi d’informazioni sovietici, alla fine del 1979, avevano perfettamente consapevolezza del patto antisovietico imminente tra la Cina e gli Stati Uniti - che cristallizzava ciò che l'URSS temeva di più: essere circondato da potenze ostili. Certamente, elementi politici afgani forzarono la mano ai sovietici. Mosca teneva a sostenere un governo comunista a Kabul ed aveva gravi timori che la rivoluzione islamica iraniana sarebbe stata esportata verso l'ovest dell'Afganistan. Ma c'era anche il fatto che circa 100 alti funzionari sovietici - tra cui tre colonnelli del KGB - erano stati assassinati da fondamentalisti tribali sotto lo sguardo governo di allora, quello di Hafizullah Amin. (Dopo l'invasione sovietica, Amin fu inviato alla Lubyanka, il quartiere generale del KGB a Mosca, e torturato: aveva messo un tale disordine a Kabul che si pensava che fosse un agente della CIA. Amin finì per essere giustiziato tramite un “processo amministrativo” – un proiettile nella nuca.)
L'ex consulente alla sicurezza nazionale di Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski - oggi eminenza grigia della politica estera di Barack Obama – strumentalizzò i Moudjahidin. Dopo tutto, ciò che Zbig voleva realmente - e che ha ottenuto - era “di istigare l’intervento sovietico”. Ma quando Carter ha ottenuto la sua invasione, l’ha interpretata come la volontà dell'URSS di invadere il Golfo Persico e tagliare gli approvvigionamenti di petrolio “del nostro” mondo occidentale. Poche voci giudiziose negli Stati Uniti fecero osservare che se l'URSS avesse mai tentato tale manovra, ciò avrebbe significato una guerra nucleare con gli Stati Uniti.
L’icona del establishment politico, degli storici, degli strateghi e degli affari esteri, George Kennan - l'autore della strategia dell'isolamento contro il comunismo - fu una di queste voci; ha descritto Carter come persona “acerba”.
Kennan ha fatto due osservazioni che restano particolarmente valide oggi: una, che se il Golfo Persico fosse così “vitale” per gli Stati Uniti, ciò era a causa dell'avidità per il petrolio; e secondo, che l'instabilità in Medio Oriente non era dovuta alle manovre dell'URSS ma al conflitto Israeliano-Palestinese, con gli Stati Uniti che sostenevano ciecamente un campo contro l'altro.

Nel dubbio, conduciamo un'azione preventiva
Su tutto, dal punto di vista sovietico, l'invasione dell'Afganistan era un'azione preventiva classica – una specie di ripetizione della crisi cubana dei missili. Nel 1962, Fidel Castro informò Mosca che gli Stati Uniti preparavano l'invasione di Cuba. L'alto comando sovietico si attivò allora con un'azione preventiva - dispiegò i missili, restando intesi che sarebbero stati fatti ritirare se il presidente John F. Kennedy avesse protestato, ottenendo così, nel processo, l'inviolabilità di Cuba.
Nell'invasione dell'Afganistan, che ha avuto governi pro-comunisti o pro-sovietici nel corso degli anni precedenti - benché il loro sostegno verso Mosca non fosse sinceramente entusiasta -, i sovietici anticipavano la possibilità che attraverso questo patto con gli Stati Uniti, la Cina non entrase in Afganistan tramite il suo alleato, il Pakistan ultra-conservatore, e probabilmente con denaro americano. Di conseguenza, l'azione sovietica era giustificata nei confronti della sua strategia di sopravvivenza.
Il Pakistan, in quel momento, era già implicato in un'operazione - in società con la Cina e gli Stati Uniti - contro settori politici e sociali in Afganistan. Con l'invasione dell'Afganistan e la vittoria elettorale di Indira Gandhi in India, l'URSS fece un passo. Nessuno poteva immaginare nel 1979 che l'onnipotente Armata rossa, sarebbe stata almeno paralizzata – invece che essere battuta - da una banda di montagnardi guerrieri forniti di fucili. Quanto al Pakistan, il suo piano globale è sempre stato di controllare l'Afganistan, anche indirettamente, in nome della sua teoria “della profondità strategica” (e che non è cambiata finora).
L'influenza dei movimenti di sinistra in Afganistan poteva già vedersi nell'elezione più o meno libera del 1954, quando la sinistra ottenne 50 dei 120 seggi del Parlamento. Una buona parte di queste persone di sinistra era nazionalista e radicale islamista. L'URSS aveva aiutato l'Afganistan dalla rivoluzione dell'ottobre 1917. Altrettanto quanto Mosca, Mohammed Daoud - che detronizzò suo cugino, il re Zahir Shah, nel 1973 - voleva modernizzare con la forza l'Afganistan. Il precedente non era molto incoraggiante, cioè il fallimento di re Amanullah nel 1919, anch’egli sostenuto anche dai Russi.
Anche se Washington, sotto Obama, fosse interessata oggi (ma non lo è), dell'ammodernamento forzato dell'Afganistan, non combinerebbe nulla. Ciò che sarebbe realmente necessario è una costruzione nazionale solidamente impegnata - molti investimenti nell'istruzione e in infrastrutture che genererebbero reali opportunità di occupazione, assicurandosi che il denaro non scompaia nel buco nero della burocrazia ministeriale di Kabul.
Incoraggiare il socialismo, il progresso o semplicemente la democrazia in Afganistan, solo distribuendo aiuti – e senza cambiare fondamentalmente una struttura vecchia di molti secoli - è impossibile. Era - e continuerà ad esserlo - la chiave dell’enigma afgani e la ragione principale per la quale il balzo di potenza di Obama/Pentagono/NATO, totale o parziale, fallirà.

Perdere una guerra civile rivoluzionaria
Quanto alla fine dell'invasione/occupazione sovietica, che ha un po' meno di 20 anni, la dinamica è cambiata rispetto alla fine degli anni 70. Un rilassamento si era avuto allo stesso tempo con gli Stati Uniti e con la Cina. Un mito americano afferma che i sovietici hanno abbandonato l'Afganistan perché gli Stati Uniti (ed il Pakistan, più il denaro saudita) costruirono la più tenace guerra di guerriglia del 20.mo secolo, e il colpo di grazia fu costituito dai preziosi missili Stinger che la CIA, infine, inviò ai Moudjahidin. Fu soltanto una sola ragione, fra le miriadi tutte legate al multiplo disastro finanziario sovietico: la caduta del prezzo del petrolio e del gas, le ripercussioni di Chernobyl, il tremendo terremoto in Armenia, una pessima prestazione dell'agricoltura e la paralisi della perestroika. All'inizio del 1989, la maggioranza dei Russi considerava l'invasione dell'Afganistan del dicembre 1979 come un grave errore e. Inoltre, dovevano contare i loro morti. Nella prima ondata, i morti erano Uzbeki, Tadjiki, Turkmeni e Kirghizi. In seguito, fu il giro dei Bielorussi, degli ucraini, degli Estoni e, sì, dei Russi.
Dalla pace di Brest-Litovsk nel 1918, i sovietici non avevano mai subito sconfitte politico-militari. Per gli ideologi ufficiali vicini all'ex presidente sovietico Mikhaïl Gorbatchev, non era una guerra di conquista, ma una guerra civile rivoluzionaria con l'aiuto “internazionalista” dell'URSS. Ma questa “guerra civile rivoluzionaria” fu alla fine vinta da una banda di musulmani tribali - Rabbani, Khalis, Abdul Haq, Gulbuddin Hekmatyar, Ahmed Shah Massoud, Ismail Khan - e dei loro comandanti. (È interessante ricordarsi che Abdul Haq fu ucciso più tardi dai taliban, che Massud fu ucciso da al-Qaïda due giorni prima dell’11/9, che Ismail Khan dirige sempre l'ovest afgano e che Hekmatyar è sempre la bestia nera di Washington.) Dal punto di vista di Mosca, pacificata la frontiera meridionale dell'URSS. Le unità speciali del generale Boris Gromov hanno lasciato dietro di sé milioni di mine antiuomo. Ma, su tutto, l'URSS - e gli Stati Uniti - ha lasciato suppurare un esercito guerrigliero a livelli multipli, diviso tra sette partiti sunniti, basati in Pakistan, ed otto partiti sciiti, sostenuti dall'Iran.
Le prospettive per Kabul erano uno scenario stile Saigon o Beyrouth. Alla fine fu lo scenario “Beyrouth” che prevalse, di questa situazione libanese in grande, è emerso il Frankenstein dei pakistani: i taliban. Non si sottolinea mai abbastanza: quasi tutti i taliban sono Pastun, ma non tutti i Pastun sono taliban. La strategia attuale degli Stati Uniti e della NATO - una guerra contro i contadini pastun - è così assurda come la guerra fallita contro i Baasisti in Iraq. (Quasi tutti i Baasisti erano Arabi sunniti, ma non tutti gli Arabi sanniti erano baasisti.)
Il generale Gromov, il vecchio comandante della 40.ma armata sovietica in Afganistan - ed oggi governatore della regione di Mosca - non ha risparmiato le parole “celebrando”, il 15 febbraio, il 20.mo anniversario del ritiro sovietico: “Penso che questa guerra sia un errore enorme politico e, in molti aspetti, irreparabile, da parte dei dirigenti dell'Unione sovietica dell'epoca.“ Ormai, Gromov sottolinea: “La regione di Mosca invia regolarmente aiuti umanitari in Afganistan”. Se Obama facesse una telefonata a Gromov, sentirebbe parole che fanno riflettere: persistete nella vostra “strategia” e la NATO sarà battuta “nel cimitero degli imperi”.

Il ritorno dei combattenti della libertà
Contrariamente al discorso di Obama, l'Afganistan non è “il fronte centrale della guerra contro il terrore”. La chiave dell'enigma risiede nei servizi segreti pakistani (intelligence interservizi - ISI) e l'esercito pakistano. La ISI “ha inventato” i taliban - e la sua gerarchia, come pure alcuni ufficiali militari pastun continuano a sostenere totalmente, non soltanto i taliban “storici” del gruppo del Mollah Omar, ma i neo-taliban delle varietà Baitullah Mehsud e Maulana Sufi Mohammed.
Il problema è che Washington non ha alcuna leva, nessuna credibilità e nessuna infiltrazione nei servizi segreti per condurre una purga di grande ampiezza nella ISI e nell'esercito pakistano. Inoltre, c'è il problema della corruzione endemica in Afganistan. Se fornisce il 93% dell'oppio mondiale, si è definitivamente un narco-stato. I taliban non possono controllare la rete complessa della coltura del papavero - ma traggono vantaggio dal suo trasporto e del suo contrabbando.
L'alleanza del Nord, egemonico nel gioco di potere a Kabul, è direttamente implicata, tanto quanto la famiglia pastun del Presidente Hamid Karzaï.
Una misura supplementare della perplessità di Washington sull'Afganistan è che una nuova “soluzione” che è stata lanciata, implica la liquidazione di Karzaï e l’installazione di un nuovo dittatore-fantoccio.
Obama - anche non essendogli familiare il teatro Afgano-pakistano - deve essere sufficientemente smaliziato nel vedere questo balzo in potenza, in sé, come una tattica suicida. Il problema è che sembra sempre credere che la guerra è “vincibile”. La sua ultima definizione “di vittoria”, durante la sua breve visita in Canada, è “di battere al-Qaida” ed assicurarsi che il teatro Afgano-pakistano non sia “una piazza per lanciare attacchi contro l'America settentrionale”. Dunque, se questa è la missione, deve riconoscere che il nodo principale è il Pakistan, non l'Afganistan.
Da parte sua la “cronistoria” di al-Qaida d'oggi non ha nulla a vedere con una multinazionale del terrore; è composta solo da alcune dozzine di personaggi misteriosi - tra cui Ayman al-Zawahiri - che si nascondono molto probabilmente nel Waziristân e negli spazi immensi e vuoti del Baluchistan.
I problemi di Obama sono peggiorati dal fatto che è circondato da gente, come il capo del pentagono Robert Gates, che resta sul metodo della “guerra contro il terrore”/Guerre a lungo termine. Il vicepresidente Joe Biden e l'inviato speciale nel teatro Afgano-Pakistano, Richard Holbrooke - senza parlare del generale David “mi piazzo per il 2012” Petreaus - sono falchi certificati. Faranno tutto ciò che è in loro potere per orientare le conclusioni della relazione sulla strategia politica in Afganistan, che Obama attende, in direzione del concetto di guerra a lungo termine.
Per Andrew Bacevich, professore di relazioni internazionali e di storia all'università di Boston, il senatore John Kerry (il presidente della commissione degli affari esteri del senato americano) rappresenta l'ultima speranza. Non si sottolinea mai abbastanza che la struttura bushita “di guerra contro il terrore” resta interamente operativa. Léon Panetta il candidato di Obama designato al posto di direttore della CIA, ha detto che la CIA proseguirà, in realtà, le estradizioni straordinarie. Elena Kagan, la candidata di Obama designata al posto di consulente presso il ministro della giustizia, ha dichiarato che la detenzione infinita senza processo è sempre in vigore - indipendentemente dal luogo ove il prigioniero è stato catturato. Ed il ministro della giustizia, provvisorio, il generale Michael Hertz, ha dichiarato che i prigionieri della base aerea di Bagram in Afganistan restano sprovvisti di diritti legali.
Se Obama è serio sulla chiusura di Guantanamo, deve essere serio sulla chiusura di Bagram. La doppia strategia dell’“alleanza occidentale” nel teatro Afgano-pakistano, così come è, consiste nel fatto che gli Stati Uniti e la NATO occupano parti dell'Afganistan che non sono occupate da i taliban, mentre Washington corrompe Islamabad per lasciarle attaccare i contadini pastun all'interno delle zone tribali dirette a livello federale dal Pakistan.
Non occorre stupirsi solo dopo avere perso, di fatto, la guerra in Iraq a vantaggio di una banda “di irregolari” armati di kalashnikov, il Pentagono è terrorizzato all'idea che la NATO è sul punto di perdere la guerra in Afganistan, provando così al mondo intero la sua inutilità assoluta - e che fa volare in pezzi, una volta per tutte, il pilastro sgretolato dell'egemonia statunitense sull'Europa.
La NATO è anche incompetente nelle menzogne. Una relazione della NATO, uscita in gennaio, sosteneva che “soltanto” 973 civili erano stati uccisi in Afganistan nel 2008, e che “soltanto 97” di questi civili lo erano stati da parte della NATO. Questo mese, una relazione dell'ONU ha confermato che la NATO mentiva. Secondo l'ONU, almeno 2.118 civili afgani sono stati uccisi nel 2008 - di cui 828 da parte degli Stati Uniti o della NATO. Tutti parlano degli aerei di combattimento americani e dei drones Predator che conducono un inferno da tre basi aeree segrete pakistane - con il silenzio complice d’Islamabad. Ma nessuno parla “del ROHUM” (le informazioni d'origine umana), un componente della guerra segreta degli Stati Uniti in Afganistan, condotto da ciò che New York Times definisce, con un'ipocrisia straordinaria, come “unità militari che operano fuori della catena di comando normale”. Le forze speciali statunitensi fanno parte di questo miscuglio mortale.
Una relazione recente dell'ONU, identifica questi commando americani come i principali colpevoli dei massacri di civili afgani. Il fatto è che Washington identifica come “terroristi” simili gruppi - quando operano sotto un'insegna o una religione diversa. Nel caso di questo varietà americano è giusto attendersi che, presto o tardi, il Pentagono e l’establishment a Washington li chiamino, in un sinistro eco del recente passato afgano, “combattenti della libertà”.

*Mondialisation.ca, 28 febbraio 2009 Asia Time (Copyright 2009 - Asia Times Online Ltd. All rights reserved.)

Traduzione di Alessandro Lattanzi

07 marzo 2009

Vita da parlamentare. Privilegi extra

Pensione in anticipo, l'auto blu, l'indennità che migliora la vita: radiografia del Palazzo.
Dove tutto costa meno ed è più facile

Sarà un anno orribile questo, l'ha garantito ieri Giulio Tremonti. La fila dei disoccupati agli angoli delle fabbriche misura oramai esattamente la distanza che separa la moltitudine, di ogni ceto, razza, lingua e religione, dagli eletti. Segno dei tempi è il ragù politico, il piatto di pasta servito alla buvette dei senatori il cui costo - collassato a un euro e cinquanta centesimi per deliberata e generosa scelta del gestore del catering - è stato fatto subito risalire dal presidente del Senato a un euro e ottanta, più in linea e rispettoso dei sentimenti dell'opinione pubblica.

C'è una parola, una sola, che pone alcuni lavori fuori dal comune, li innalza e li tonifica: il privilegio. L'extra che cambia il corso della busta paga, consola la vita anche quando è sul punto di finire. E produce quel miracolo che appunto si definisce privilegio, frutto del diritto che cambia natura.

Tutto ha un prezzo. Il silenzio, per esempio. Stare zitti è una fatica e ha il giusto costo. E morire, oltre al dolore inconsolabile, comporta una serie infinita di pratiche e di cerimonie che vanno obbligatoriamente fatturate. L'Iva, la maledetta Iva.

Il premio alla carriera. Una questione a parte, senza volere entrare nel merito del tema che qui lambisce la terra e il cielo, è il pacchetto dei premi fine vita. Apriamo parentesi. Prima della morte, ma forse più dolorosa di essa, c'è la fine della carriera politica, la fine dei sogni e della gloria. Il politico che lascia ottiene un vitalizio. Lo dice la parola stessa: il vitalizio non è la pensione e quindi lo si può raccogliere, a certe condizioni, anche da giovani. E' qualcosa di diverso e, stando all'etimo, sicuramente di vitale.

Antonio Martusciello a soli 46 anni ha lasciato Montecitorio. Per quattordici anni di fila ha servito le Istituzioni e Forza Italia. Se riscatta quattro anni di contributi può godere di un vitalizio formidabile: 7.958 euro (lordi) mensili. E il 49enne Alfonso Pecoraro Scanio, 16 anni trascorsi a Montecitorio, con un minimo riscatto raggiunge il traguardo degli 8.836 euro (lordi) in tasca, senza temere i nuovi ricalcoli pensionistici, il famigerato scalone, espressione che indica ancora lavoro e ancora per tanti anni per i sessantenni.

Oltre al vitalizio, conquistato calcando la scena, a fine carriera si aggiunge un affidamento in danaro a titolo di "solidarietà" o di "reinserimento sociale". L'assegno è pari all'80 per cento dell'indennità per il numero degli anni in cui ha frequentato il Potere. Ti hanno cacciato dal Parlamento e ora? L'anziano Armando Cossutta ha ottenuto 345.600 euro, per esempio. Il più giovane Clemente Mastella 307.328 euro. Proprio Mastella, causa licenziamento, ha raccolto il dovuto: vitalizio (9600 euro lordi mensili) e assegno di solidarietà. Ma il reinserimento sociale non è riuscito, Clemente ha vagato meno di un anno e sta per tornare nel punto esatto da dove era partito.

L'indennità funeraria. Trombato e premiato perciò. L'indennità, e qui entriamo in una speciale categoria, accompagna la vita del vivo e permette di dare sollievo ai familiari qualora il de cuius abbia davvero deciso di smettere e per sempre. In Veneto si chiamava indennità funeraria. In Sicilia, forse per non dare nell'occhio, la tipologia si è classificata più proletariamente come "sussidio di lutto". Così, il deputato palermitano Giovanni Ardizzone non ha fatto mistero di aver avuto una qualche perplessità anche di natura scaramantica allorché, nel corso del suo mandato di questore dell'Assemblea siciliana, si è trovato a firmare un paio di provvedimenti che erogavano "sussidi di lutto". E ha scoperto, dopo aver chiesto delucidazioni, che nella ricca e antica collezione di decreti del consiglio di presidenza dell'Ars c'è un atto che concede una somma fino a 5 mila euro per le spese relative a funerali di deputati in carica o cessati dal mandato. Soldi ovviamente destinati alle famiglie del caro onorevole estinto. Se l'è cavata magnificamente Ardizzone: "Cosa dire? Noi parlamentari siamo previdenti: pensiamo al nostro futuro. Anche dopo la morte".

Nel 2007 per i "sussidi di lutto" in Sicilia sono stati spesi 36.151 euro. In Veneto non si sa, ma il presidente del consiglio regionale, il leghista Marino Finozzi, interrogato sul triste tema del trapasso, ebbe come un sobbalzo e sinceramente rispose: "Io penso che un contributo pubblico alle spese di funerale per una persona che ha speso 10, 15 o più anni della vita per servire le istituzioni e i cittadini non sia un grande scandalo".

Tocchiamo ferro e badiamo al presente. È un'ora grave, la recessione economica sta travolgendo consuetudini quasi secolari: il Quirinale ha detto addio a 37 corazzieri (da 260 passeranno a 223) le senatrici hanno visto abolito il loro assegno per il parrucchiere, un bonus mensile di 150 euro. "Sono ancora piccole cose", hanno scritto i senatori questori. Piccole ma che danno il segno di un'era nuova, e dei sacrifici che attendono davvero tutti.

La corsia preferenziale. Le piccole cose si fanno poi grandi col crescere delle responsabilità. Conoscete un privilegio più tondo ed esibito di una guida contromano? Il comune di Palermo ha deliberato che i politici, di ogni risma e colore, debbano essere agevolati nel loro movimento. Viaggeranno in corsia preferenziale, ridurranno a una legittima concessione contromano l'attesa di far presto e bene. Ogni cosa al suo posto e ogni responsabilità al livello che merita. Il 22 agosto scorso una circolare di palazzo Chigi ha riclassificato le urgenze e le potestà mutando nel profondo le condizioni del passaggio aereo di Stato. Romano Prodi aveva incautamente ristretto il numero dei beneficiati obbligando persino fior fiore di ministri a giustificare la propria richiesta di volare alto e bene. Silvio Berlusconi ha ricondotto la spesa nei suoi limiti fisiologici: qualche milione di euro in più si spenderà, e però vuoi mettere la resa? Efficienza e velocità per tutti. Quindi tutti imbarcati: premier e consiglieri, ministri e viceministri, persino sottosegretari. Quando e come chiedono, facendo attenzione solo alle coincidenze.

Il costo del silenzio. Bisogna capirsi - e una volta per tutte - dove finisce il privilegio e dove inizia il dovere. L'obbligo per esempio di tenere la bocca cucita. Quando i capi dei servizi segreti Emilio Del Mese, Niccolò Pollari e Mario Mori hanno lasciato il comando, l'Espresso - curioso - fece due conti sulla liquidazione straordinaria che avrebbero ricevuto: la fissò in un milione e ottocentomila euro. Tra le tante voci che avrebbero prodotto una pensione da favola (circa 31 mila euro lordi al mese) per una carriera quarantennale davvero straordinaria bisognò tener conto anche del tributo a una vita pericolosa e soprattutto silenziosa. Allo stipendio si aggiunge infatti, per chi opera nei servizi, un'indennità particolare di funzione che, tra gli addetti, viene definita "indennità di silenzio" e quasi raddoppia l'emolumento base. Voce che poi, alla fine della carriera, viene conteggiata per la quiescenza. Silenzio d'oro, compenso perpetuo. Ma è un trattamento riservato unicamente ai capi. I sottoposti, al momento della pensione, non si portano dietro quella ricca indennità.

Questi tempi moderni hanno anche impresso un'autentica accelerazione allo scambio di idee e di proposte. Con internet tutto si è fatto non solo più semplice ma straordinariamente veloce. E sia il Senato che la Camera consegnano a ciascun eletto, ad ogni inizio di legislatura, hardware e software necessari. Il parlamentare riceve il suo computer (che a fine mandato conserverà) in modo che ovunque si trovi, ovunque, sia nella condizione di lavorare. Qualche mese fa la signora Anna, disperata, (tre figli minorenni e senza lavoro) ha scritto una mail a tutti i parlamentari e ha invocato aiuto. Anna non esisteva e la sua disperazione era finta. Era un modo per testare l'apparato tecnologico in dotazione. Dal momento dell'invio al momento della lettura della mail sono trascorse in media due settimane. Il 42 per cento dei senatori aveva però e purtroppo la casella di posta piena. Alla signora Anna hanno alla fine risposto in 26 che, su 994 destinatari, rappresenta il 2,7 per cento. Non male.

Auto blu e super autista. A ciascuno il suo e ad alcuni autisti, per esempio, una retribuzione maiuscola, calcolata sul giusto: il rischio, la velocità, la fatica di guidare anche di notte. Di pochi giorni fa la notizia che la Camera dei deputati ha riconosciuto, dopo una annosa vertenza, il secondo livello retributivo ai suoi autisti. Porterà a 10.164 euro la retribuzione mensile lorda (dopo 35 anni di lavoro) a chi conduce l'auto blu. Più di quattromila euro netti al mese. Tre autisti dell'Atac ci vogliono per farne uno della Camera. Ma il Parlamento è un mondo a parte, non fa testo. Un bravo barbiere, se riesce a imboccare il portone di Montecitorio, supera in progressione e di molto lo stipendio di un magistrato d'appello (fermo a 98mila euro l'anno), e un operaio specializzato (tubista, elettricista) se ha la ventura di lavorare alla Camera è sicuramente nella condizione di raggiungere e superare lo stipendio di un professore universitario, persino di un cattedratico barone. Alla Camera ogni cosa ha costi elevatissimi, e persino le spese minute diventano mostruose: l'anno scorso 650 mila euro sono volati via proprio per la minutaglia, le spese vagabonde. Ma lì anche gli appendiabiti e chissà quale altro accessorio dei guardaroba (giacché le guardarobiere sono pagate a parte) sono valsi nell'ultimo bilancio un accantonamento monstre: 205 mila euro. Disse Goffredo Bettini, al momento di metter piede a Montecitorio: "Mio padre mi ha lasciato ricco. Sono diventato assai meno ricco quando per anni, come segretario del Pci di Roma non ho preso lo stipendio. Tuttavia il mio partito mi ha restituito i privilegi eleggendomi prima alla Regione e poi in Parlamento". Privilegiato, esatto. Tra le cento carezze parlamentari anche una voce destinata alla lingua, a parlar bene e a farsi intendere meglio. Per la formazione linguistica ai deputati investiti nel 2008 900mila euro. In Parlamento si parla, nevvero?

di Antonello Caporale

UK: buonuscita generosa

Per tanto, troppo tempo, le banche inglesi sono state gestite da avventurieri che, complici la mancanza di controlli pubblici degni di questo nome e un’assurda fede nella sostenibilità di un sistema affidabile quanto una bicicletta in equilibrio su una corda a 50 metri da terra, sono quasi riusciti a mandare un intero Paese a gambe all’aria. Risultato? Il Governo britannico, nell’ambito del piano di salvataggio delle banche del valore di 37 miliardi di sterline, ha acquisito il controllo di Northern Rock, Bradford&Bingley e di Royal Bank of Scotland. Detiene inoltre il 58% di Hbos e il 30% di Lloyds Tsb, ovvero il 43,4% del Lloyds Banking Group, gruppo nato il 13 gennaio scorso dall’acquisizione di HBOS da parte della concorrente Lloyds TSB.

L’operazione, annunciata già a settembre dello scorso anno, si è svolta sotto la regia del Governo britannico, che ha dribblato qualsiasi obiezione antitrust invocando l’interesse nazionale: il collasso di un gigante come HBOS (20% dei conti correnti inglesi) avrebbe infatti avuto conseguenze devastanti sul Paese. La HSBO è stata una banca gestita in un modo talmente demenziale che il suo modello organizzativo potrebbe essere studiato nelle università come la “summa” di tutte le pratiche viziose nel mercato del credito: rilevante esposizione sull’immobiliare, prestiti rischiosi a costruttori edili, a fondi di private equity traballanti e, ciliegina sulla torta, assunzione di rischi importanti nel mercato azionario. Quest’ultimo elemento, rischio di perdite capitali a parte, ha finito per danneggiare gravemente la capacità della banca di valutare accuratamente il rischio di credito dei suoi clienti, “drogata” come era dalle irrazionali quanto irresponsabili attese di lauti e “certi” guadagni sul mercato azionario.

L’altro ieri HSBO ha pubblicato i suoi risultati per il 2008, da cui emerge il terrificante numero di 10,8 miliardi di sterline di perdite; perdite, è bene ricordarlo, registrate prima che la recessione cominciasse a colpire la capacità di ripagare i debiti di clienti privati ed imprese debitrici. Il 2009, è chiaro, sarà anche peggiore, mentre la debolezza della soluzione Lloyds TSB sta emergendo in tutta la sua drammaticità: il nuovo azionista, che già al momento dell’acquisizione aveva una stazza molto minore della banca acquistata (8% del mercato contro oltre il 20% di HSBO), semplicemente non ha le spalle robuste abbastanza per coprire il bagno di sangue atteso per quest’anno. Per avere un’idea della gravità del problema è sufficiente sapere che il gruppo nel suo complesso detiene un quarto dei conti bancari e poco meno di un terzo dei mutui in Gran Bretagna. Per questa ragione Lloyds TSB sta discutendo con il Governo britannico un piano di garanzia pubblica su ben 250 miliardi di sterline dell’attivo (si fa per dire) della banca.

Il governo sta inoltre studiando un simile schema di garanzia sulle attività di Royal Bank of Scotland, che dovrebbe coprire i 325 miliardi di sterline di attività “tossiche” sui suoi libri: secondo la BBC, l’assicurazione pubblica dovrebbe costare alla banca circa 6,5 miliardi di sterline di commissioni e prevedere una rilevante franchigia; infatti i primi 19,5 miliardi di sterline di perdite resteranno comunque sul conto economico della banca. Anche Royal Bank of Scotland ha pubblicato qualche giorno fa i suoi risultati economici: 24,1 miliardi di sterline di perdite, di cui 16,2 causati da rettifiche sul valore di attività “non performanti” effettuate anche sulle controllate estere ABN AMRO e Charter One; le perdite “vere”, attribuibili alla sola banca inglese, sono circa 7,9 miliardi. I numeri di Royal Bank of Scotland sono un record negativo in grado di surclassare Vodafone, che nel 2006 e nel 2002 presentò conti economici da brivido (rispettivamente -14,9 e -13,5 miliardi di sterline); in questo podio della vergogna, il quarto posto spetta a HBOS, con i suoi –10,8 miliardi del 2008.

Insomma, il comportamento irresponsabile dei direttori delle grandi banche inglesi non solo hanno finito per distruggere valore, ma è riuscito a produrre una situazione paradossale che sovverte qualsiasi ortodossia liberista: banche che presentano bilanci con rossi grandi quanto una manovra di governo, il governo costretto a scendere in campo mettendo sul piatto soldi contanti (33 miliardi di sterline pompate nella sola Royal Bank of Scotland in due tranche) e/o per garantire attività bancarie per centinaia di milioni di sterline (le sole fideiussioni prestate per Royal Bank of Scotland e HBOS valgono 600 miliardi di sterline).

Ci si aspetterebbe che i direttori delle banche nazionalizzate, ovviamente tutti silurati, mostrassero un atteggiamento dimesso e contrito. Gli esempi che seguono mostrano invece che la loro arroganza non è stata intaccata nemmeno dal manifesto disastro globale prodotto dalla loro disinvolta assunzione di rischi colossali. Ad esempio, Sir Fred Goodwin, ex CEO di Royal Bank of Scotland, quando è stato cortesemente accompagnato all’uscita, aveva in tasca un accordo che gli ha riconosciuto una somma di 16 milioni di sterline, fruibile nella forma di un vitalizio di 650.000 sterline all’anno. Stephen Hester, il nuovo capo della banca ha dichiarato che il trattamento del suo predecessore è stato regolato da un contratto di anche il Governo era parte.

Una bella tegola in testa per l’esecutivo di Gordon Brown, che, come nota correttamente il ministro ombra delle finanze conservatore, “o sapeva e non ha reagito, oppure non sapeva e non è stato in grado di porre le domande giuste; comunque si guardi alla faccenda, questa pensione oscena è inaccettabile e il governo deve renderne conto”. Di fronte all’ennesima dimostrazione di insipienza, Gordon Brown ha tuonato: “Il comportamento di Royal Bank of Scotland mi fa arrabbiare e fa arrabbiare il paese: faremo pulizia nelle banche, in modo che non niente di simile accada in futuro”. Di fronte all’insistenza di Goodwin, che apertamente rifiuta di mollare l’osso, assistiamo anche all’imbarazzante boutade di Brown, che minaccia il banchiere di fargli revocare il titolo di baronetto…

Del resto, Goodwin non è il solo: sembra infatti che anche Peter Cummings, uno dei boss della HBOS, noto per concludere affari con una semplice stretta di mano e responsabile degli investimenti immobiliari che hanno affondato la banca, ha lasciato il suo impiego con una buonuscita di 600.000 sterline più un accordo pensionistico del valore attuale di 5,9 milioni di sterline. Tutto questo per dire che il governo inglese non riesce a tenere sotto controllo il demonio che si nasconde dietro le banche d’affari nemmeno una volta divenutone il padrone.
di Mario Braconi

Guerra contro “il terrore”

guerra del terrore
Il capo di al-Qaida, Usama bin Ladin, credeva che i Moudjahidin avessero battuto da soli l'impero sovietico e che un gruppo di Moudjahidin più compatto, al-Qaïda, sarebbe dunque all'avanguardia nel battere l'impero americano. Ma ciò non è mai stato così semplice.
Negli Stati Uniti, un mito afferma che la C.I.A. abbia dato ai Sovietici il loro “Vietnam” e che fu, dunque, fondamentalmente una vittoria degli Stati Uniti, con i “combattenti della libertà” (l'espressione appartiene al Presidente Ronald Reagan) in secondo piano. Ma ciò non è mai stato così semplice.
L’establishment delle informazioni militari pakistane crede che dalla fine degli anni 70 un Afganistan marionetta sia essenziale alla sua “profondità strategica”. Ma Ciò non è mai stato così semplice.
Oggi è anche utile ricordarsi che poco è cambiato in trent’anni, per quanto riguarda la tragedia afgana. E il futuro aumento in potenza (surge) della NATO, in Afganistan, porterà verso una rovina certa.

Dietro la cortina rossa
Negli Stati Uniti, è facile dimenticare che i servizi d’informazioni sovietici, alla fine del 1979, avevano perfettamente consapevolezza del patto antisovietico imminente tra la Cina e gli Stati Uniti - che cristallizzava ciò che l'URSS temeva di più: essere circondato da potenze ostili. Certamente, elementi politici afgani forzarono la mano ai sovietici. Mosca teneva a sostenere un governo comunista a Kabul ed aveva gravi timori che la rivoluzione islamica iraniana sarebbe stata esportata verso l'ovest dell'Afganistan. Ma c'era anche il fatto che circa 100 alti funzionari sovietici - tra cui tre colonnelli del KGB - erano stati assassinati da fondamentalisti tribali sotto lo sguardo governo di allora, quello di Hafizullah Amin. (Dopo l'invasione sovietica, Amin fu inviato alla Lubyanka, il quartiere generale del KGB a Mosca, e torturato: aveva messo un tale disordine a Kabul che si pensava che fosse un agente della CIA. Amin finì per essere giustiziato tramite un “processo amministrativo” – un proiettile nella nuca.)
L'ex consulente alla sicurezza nazionale di Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski - oggi eminenza grigia della politica estera di Barack Obama – strumentalizzò i Moudjahidin. Dopo tutto, ciò che Zbig voleva realmente - e che ha ottenuto - era “di istigare l’intervento sovietico”. Ma quando Carter ha ottenuto la sua invasione, l’ha interpretata come la volontà dell'URSS di invadere il Golfo Persico e tagliare gli approvvigionamenti di petrolio “del nostro” mondo occidentale. Poche voci giudiziose negli Stati Uniti fecero osservare che se l'URSS avesse mai tentato tale manovra, ciò avrebbe significato una guerra nucleare con gli Stati Uniti.
L’icona del establishment politico, degli storici, degli strateghi e degli affari esteri, George Kennan - l'autore della strategia dell'isolamento contro il comunismo - fu una di queste voci; ha descritto Carter come persona “acerba”.
Kennan ha fatto due osservazioni che restano particolarmente valide oggi: una, che se il Golfo Persico fosse così “vitale” per gli Stati Uniti, ciò era a causa dell'avidità per il petrolio; e secondo, che l'instabilità in Medio Oriente non era dovuta alle manovre dell'URSS ma al conflitto Israeliano-Palestinese, con gli Stati Uniti che sostenevano ciecamente un campo contro l'altro.

Nel dubbio, conduciamo un'azione preventiva
Su tutto, dal punto di vista sovietico, l'invasione dell'Afganistan era un'azione preventiva classica – una specie di ripetizione della crisi cubana dei missili. Nel 1962, Fidel Castro informò Mosca che gli Stati Uniti preparavano l'invasione di Cuba. L'alto comando sovietico si attivò allora con un'azione preventiva - dispiegò i missili, restando intesi che sarebbero stati fatti ritirare se il presidente John F. Kennedy avesse protestato, ottenendo così, nel processo, l'inviolabilità di Cuba.
Nell'invasione dell'Afganistan, che ha avuto governi pro-comunisti o pro-sovietici nel corso degli anni precedenti - benché il loro sostegno verso Mosca non fosse sinceramente entusiasta -, i sovietici anticipavano la possibilità che attraverso questo patto con gli Stati Uniti, la Cina non entrase in Afganistan tramite il suo alleato, il Pakistan ultra-conservatore, e probabilmente con denaro americano. Di conseguenza, l'azione sovietica era giustificata nei confronti della sua strategia di sopravvivenza.
Il Pakistan, in quel momento, era già implicato in un'operazione - in società con la Cina e gli Stati Uniti - contro settori politici e sociali in Afganistan. Con l'invasione dell'Afganistan e la vittoria elettorale di Indira Gandhi in India, l'URSS fece un passo. Nessuno poteva immaginare nel 1979 che l'onnipotente Armata rossa, sarebbe stata almeno paralizzata – invece che essere battuta - da una banda di montagnardi guerrieri forniti di fucili. Quanto al Pakistan, il suo piano globale è sempre stato di controllare l'Afganistan, anche indirettamente, in nome della sua teoria “della profondità strategica” (e che non è cambiata finora).
L'influenza dei movimenti di sinistra in Afganistan poteva già vedersi nell'elezione più o meno libera del 1954, quando la sinistra ottenne 50 dei 120 seggi del Parlamento. Una buona parte di queste persone di sinistra era nazionalista e radicale islamista. L'URSS aveva aiutato l'Afganistan dalla rivoluzione dell'ottobre 1917. Altrettanto quanto Mosca, Mohammed Daoud - che detronizzò suo cugino, il re Zahir Shah, nel 1973 - voleva modernizzare con la forza l'Afganistan. Il precedente non era molto incoraggiante, cioè il fallimento di re Amanullah nel 1919, anch’egli sostenuto anche dai Russi.
Anche se Washington, sotto Obama, fosse interessata oggi (ma non lo è), dell'ammodernamento forzato dell'Afganistan, non combinerebbe nulla. Ciò che sarebbe realmente necessario è una costruzione nazionale solidamente impegnata - molti investimenti nell'istruzione e in infrastrutture che genererebbero reali opportunità di occupazione, assicurandosi che il denaro non scompaia nel buco nero della burocrazia ministeriale di Kabul.
Incoraggiare il socialismo, il progresso o semplicemente la democrazia in Afganistan, solo distribuendo aiuti – e senza cambiare fondamentalmente una struttura vecchia di molti secoli - è impossibile. Era - e continuerà ad esserlo - la chiave dell’enigma afgani e la ragione principale per la quale il balzo di potenza di Obama/Pentagono/NATO, totale o parziale, fallirà.

Perdere una guerra civile rivoluzionaria
Quanto alla fine dell'invasione/occupazione sovietica, che ha un po' meno di 20 anni, la dinamica è cambiata rispetto alla fine degli anni 70. Un rilassamento si era avuto allo stesso tempo con gli Stati Uniti e con la Cina. Un mito americano afferma che i sovietici hanno abbandonato l'Afganistan perché gli Stati Uniti (ed il Pakistan, più il denaro saudita) costruirono la più tenace guerra di guerriglia del 20.mo secolo, e il colpo di grazia fu costituito dai preziosi missili Stinger che la CIA, infine, inviò ai Moudjahidin. Fu soltanto una sola ragione, fra le miriadi tutte legate al multiplo disastro finanziario sovietico: la caduta del prezzo del petrolio e del gas, le ripercussioni di Chernobyl, il tremendo terremoto in Armenia, una pessima prestazione dell'agricoltura e la paralisi della perestroika. All'inizio del 1989, la maggioranza dei Russi considerava l'invasione dell'Afganistan del dicembre 1979 come un grave errore e. Inoltre, dovevano contare i loro morti. Nella prima ondata, i morti erano Uzbeki, Tadjiki, Turkmeni e Kirghizi. In seguito, fu il giro dei Bielorussi, degli ucraini, degli Estoni e, sì, dei Russi.
Dalla pace di Brest-Litovsk nel 1918, i sovietici non avevano mai subito sconfitte politico-militari. Per gli ideologi ufficiali vicini all'ex presidente sovietico Mikhaïl Gorbatchev, non era una guerra di conquista, ma una guerra civile rivoluzionaria con l'aiuto “internazionalista” dell'URSS. Ma questa “guerra civile rivoluzionaria” fu alla fine vinta da una banda di musulmani tribali - Rabbani, Khalis, Abdul Haq, Gulbuddin Hekmatyar, Ahmed Shah Massoud, Ismail Khan - e dei loro comandanti. (È interessante ricordarsi che Abdul Haq fu ucciso più tardi dai taliban, che Massud fu ucciso da al-Qaïda due giorni prima dell’11/9, che Ismail Khan dirige sempre l'ovest afgano e che Hekmatyar è sempre la bestia nera di Washington.) Dal punto di vista di Mosca, pacificata la frontiera meridionale dell'URSS. Le unità speciali del generale Boris Gromov hanno lasciato dietro di sé milioni di mine antiuomo. Ma, su tutto, l'URSS - e gli Stati Uniti - ha lasciato suppurare un esercito guerrigliero a livelli multipli, diviso tra sette partiti sunniti, basati in Pakistan, ed otto partiti sciiti, sostenuti dall'Iran.
Le prospettive per Kabul erano uno scenario stile Saigon o Beyrouth. Alla fine fu lo scenario “Beyrouth” che prevalse, di questa situazione libanese in grande, è emerso il Frankenstein dei pakistani: i taliban. Non si sottolinea mai abbastanza: quasi tutti i taliban sono Pastun, ma non tutti i Pastun sono taliban. La strategia attuale degli Stati Uniti e della NATO - una guerra contro i contadini pastun - è così assurda come la guerra fallita contro i Baasisti in Iraq. (Quasi tutti i Baasisti erano Arabi sunniti, ma non tutti gli Arabi sanniti erano baasisti.)
Il generale Gromov, il vecchio comandante della 40.ma armata sovietica in Afganistan - ed oggi governatore della regione di Mosca - non ha risparmiato le parole “celebrando”, il 15 febbraio, il 20.mo anniversario del ritiro sovietico: “Penso che questa guerra sia un errore enorme politico e, in molti aspetti, irreparabile, da parte dei dirigenti dell'Unione sovietica dell'epoca.“ Ormai, Gromov sottolinea: “La regione di Mosca invia regolarmente aiuti umanitari in Afganistan”. Se Obama facesse una telefonata a Gromov, sentirebbe parole che fanno riflettere: persistete nella vostra “strategia” e la NATO sarà battuta “nel cimitero degli imperi”.

Il ritorno dei combattenti della libertà
Contrariamente al discorso di Obama, l'Afganistan non è “il fronte centrale della guerra contro il terrore”. La chiave dell'enigma risiede nei servizi segreti pakistani (intelligence interservizi - ISI) e l'esercito pakistano. La ISI “ha inventato” i taliban - e la sua gerarchia, come pure alcuni ufficiali militari pastun continuano a sostenere totalmente, non soltanto i taliban “storici” del gruppo del Mollah Omar, ma i neo-taliban delle varietà Baitullah Mehsud e Maulana Sufi Mohammed.
Il problema è che Washington non ha alcuna leva, nessuna credibilità e nessuna infiltrazione nei servizi segreti per condurre una purga di grande ampiezza nella ISI e nell'esercito pakistano. Inoltre, c'è il problema della corruzione endemica in Afganistan. Se fornisce il 93% dell'oppio mondiale, si è definitivamente un narco-stato. I taliban non possono controllare la rete complessa della coltura del papavero - ma traggono vantaggio dal suo trasporto e del suo contrabbando.
L'alleanza del Nord, egemonico nel gioco di potere a Kabul, è direttamente implicata, tanto quanto la famiglia pastun del Presidente Hamid Karzaï.
Una misura supplementare della perplessità di Washington sull'Afganistan è che una nuova “soluzione” che è stata lanciata, implica la liquidazione di Karzaï e l’installazione di un nuovo dittatore-fantoccio.
Obama - anche non essendogli familiare il teatro Afgano-pakistano - deve essere sufficientemente smaliziato nel vedere questo balzo in potenza, in sé, come una tattica suicida. Il problema è che sembra sempre credere che la guerra è “vincibile”. La sua ultima definizione “di vittoria”, durante la sua breve visita in Canada, è “di battere al-Qaida” ed assicurarsi che il teatro Afgano-pakistano non sia “una piazza per lanciare attacchi contro l'America settentrionale”. Dunque, se questa è la missione, deve riconoscere che il nodo principale è il Pakistan, non l'Afganistan.
Da parte sua la “cronistoria” di al-Qaida d'oggi non ha nulla a vedere con una multinazionale del terrore; è composta solo da alcune dozzine di personaggi misteriosi - tra cui Ayman al-Zawahiri - che si nascondono molto probabilmente nel Waziristân e negli spazi immensi e vuoti del Baluchistan.
I problemi di Obama sono peggiorati dal fatto che è circondato da gente, come il capo del pentagono Robert Gates, che resta sul metodo della “guerra contro il terrore”/Guerre a lungo termine. Il vicepresidente Joe Biden e l'inviato speciale nel teatro Afgano-Pakistano, Richard Holbrooke - senza parlare del generale David “mi piazzo per il 2012” Petreaus - sono falchi certificati. Faranno tutto ciò che è in loro potere per orientare le conclusioni della relazione sulla strategia politica in Afganistan, che Obama attende, in direzione del concetto di guerra a lungo termine.
Per Andrew Bacevich, professore di relazioni internazionali e di storia all'università di Boston, il senatore John Kerry (il presidente della commissione degli affari esteri del senato americano) rappresenta l'ultima speranza. Non si sottolinea mai abbastanza che la struttura bushita “di guerra contro il terrore” resta interamente operativa. Léon Panetta il candidato di Obama designato al posto di direttore della CIA, ha detto che la CIA proseguirà, in realtà, le estradizioni straordinarie. Elena Kagan, la candidata di Obama designata al posto di consulente presso il ministro della giustizia, ha dichiarato che la detenzione infinita senza processo è sempre in vigore - indipendentemente dal luogo ove il prigioniero è stato catturato. Ed il ministro della giustizia, provvisorio, il generale Michael Hertz, ha dichiarato che i prigionieri della base aerea di Bagram in Afganistan restano sprovvisti di diritti legali.
Se Obama è serio sulla chiusura di Guantanamo, deve essere serio sulla chiusura di Bagram. La doppia strategia dell’“alleanza occidentale” nel teatro Afgano-pakistano, così come è, consiste nel fatto che gli Stati Uniti e la NATO occupano parti dell'Afganistan che non sono occupate da i taliban, mentre Washington corrompe Islamabad per lasciarle attaccare i contadini pastun all'interno delle zone tribali dirette a livello federale dal Pakistan.
Non occorre stupirsi solo dopo avere perso, di fatto, la guerra in Iraq a vantaggio di una banda “di irregolari” armati di kalashnikov, il Pentagono è terrorizzato all'idea che la NATO è sul punto di perdere la guerra in Afganistan, provando così al mondo intero la sua inutilità assoluta - e che fa volare in pezzi, una volta per tutte, il pilastro sgretolato dell'egemonia statunitense sull'Europa.
La NATO è anche incompetente nelle menzogne. Una relazione della NATO, uscita in gennaio, sosteneva che “soltanto” 973 civili erano stati uccisi in Afganistan nel 2008, e che “soltanto 97” di questi civili lo erano stati da parte della NATO. Questo mese, una relazione dell'ONU ha confermato che la NATO mentiva. Secondo l'ONU, almeno 2.118 civili afgani sono stati uccisi nel 2008 - di cui 828 da parte degli Stati Uniti o della NATO. Tutti parlano degli aerei di combattimento americani e dei drones Predator che conducono un inferno da tre basi aeree segrete pakistane - con il silenzio complice d’Islamabad. Ma nessuno parla “del ROHUM” (le informazioni d'origine umana), un componente della guerra segreta degli Stati Uniti in Afganistan, condotto da ciò che New York Times definisce, con un'ipocrisia straordinaria, come “unità militari che operano fuori della catena di comando normale”. Le forze speciali statunitensi fanno parte di questo miscuglio mortale.
Una relazione recente dell'ONU, identifica questi commando americani come i principali colpevoli dei massacri di civili afgani. Il fatto è che Washington identifica come “terroristi” simili gruppi - quando operano sotto un'insegna o una religione diversa. Nel caso di questo varietà americano è giusto attendersi che, presto o tardi, il Pentagono e l’establishment a Washington li chiamino, in un sinistro eco del recente passato afgano, “combattenti della libertà”.

*Mondialisation.ca, 28 febbraio 2009 Asia Time (Copyright 2009 - Asia Times Online Ltd. All rights reserved.)

Traduzione di Alessandro Lattanzi