14 marzo 2009

Il caso Intersos

 




Sarebbe stato bello poter dire che Intersos aveva le mani pulite, e che ha sbagliato il Guardian a sollevare sospetti su di loro. Invece i responsabili di Intersos sembrano molto più interessati a far cadere il silenzio sulla vicenda (hanno fatto oscurare il nostro video da youtube), che a chiarire la situazione una volta per tutte. Nel frattempo continuano a fingersi “sdegnati” per l’accaduto, e accusano il Guardian di avere mentito nei loro confronti.


Ricordate la telefonata fra la responsabile di Intersos, Monica Matarazzo, e il giornalista del Guardian Clancy Chassy, che chiedeva lumi sulla presunta scomparsa di un milione di dollari (dal budget di 1,9 milioni), destinato all’ospedale di Kabul? Questo è lo scambio preciso, che trovate al minuto 5:20 del filmato:


M.M. - Posso dirle con certezza che il nostro contratto con UNOPS era di 900.000.


C.C. – Non era quindi di 1.900.000 dollari?


M.M. - No, in nessun modo, assolutamente no. I soldi sono scomparsi durante i passaggi precedenti, non nella costruzione dell’ospedale. E’ una vergogna per la comunità internazionale che esista un ospedale del genere.


A giudicare dalla conversazione, la Signora Matarazzo sembra sapere molto bene di cosa stesse parlando. Invece pare che si sia sbagliata, e che Intersos abbia regolarmente incassato il milione e 900.000 dollari destinato alla costruzione dell’ospedale.


Ricostruiamo brevemente la vicenda, per chi non l’avesse seguita dall’inizio.


Il 19 febbraio il Guardian pubblica il documentario che vedete più sopra, nel quale denuncia le condizioni disastrose di un ospedale di Kabul costruito con i soldi delle Nazioni Unite. Il budget iniziale di 1,9 milioni di dollari era stato affidato dalla UNOPS (braccio operativo dell’ONU) alla ONG italiana Intersos, …


… che a sua volta aveva sub-appaltato i lavori ai locali costruttori afghani. Le condizioni disastrose dell’ospedale sono state attribuite dal ministro afghano della salute ad una “corruzione sistematica” che parte dalle stesse Nazioni Unite, e arriva all’ultimo esecutore materiale dei lavori, scremando ad ogni passaggio il denaro destinato alle opere pubbliche.


Nel caso particolare, pare che l’ammanco fra la cifra stanziata e quella effettivamente utilizzata fosse di circa 1 milione di dollari. Nella telefonata con Chassy la signora Matarazzo sostiene che INTERSOS abbia ricevuto solo 900.000 dollari, e afferma che i soldi mancanti siano scomparsi prima di arrivare alle loro casse.


Poi però lo stesso Chassy racconta che la Signora Matarazzo lo ha richiamato, il giorno seguente, dicendo di essersi sbagliata. La cosa mi è stata confermata dalla seconda lettera dei legali di Intersos, che ho ricevuto ieri, e che così recita:


“Quest'ultima [Matarazzo], responsabile di INTERSOS a Kabul solo negli anni 2007 e 2008 (quindi quattro anni dopo la consegna dell'ospedale da parte di INTERSOS) dapprima conferma che l'importo ricevuto è di Euro 900.000 ma - non avendo alcuna informazione diretta dei fatti - si informa presso la sede di Roma e richiama il giornalista Chassay, affermando di avergli fornito un'informazione inesatta e chiarendo che l'importo ricevuto (ed impiegato) da INTERSOS è di Euro 1.930.000.”


Avremmo quindi una “responsabile di Intersos” che denuncia apertamente – e pure sdegnatamente – il furto di un milione di dollari da parte di entità sconosciute, quando a) non aveva alcuna informazione diretta sui fatti, e b) i dollari sarebbero arrivati tutti tranquillamente a destinazione.


Roba da "Malato Immaginario", insomma.


Se le cose stessero così, infatti, saremmo obbligati a dedurre che la Signora Matarazzo sia dotata, come minimo, di una fantasia eccezionale, poichè chiunque altro al suo posto sarebbe semplicemente caduto dalle nuvole, invece di mettersi ad accusare altri di furti mai avvenuti.


Provate a pensarci: se voi aveste la coscienza a posto con i soldi ricevuti e spesi, e vi arrivasse la telefonata di un giornalista sconosciuto che cerca le tracce di un milione di dollari scomparsi, voi cosa gli rispondete? “Non so nemmeno di cosa stia parlando”, oppure “li ha rubati qualcun altro, a noi hanno dato solo le briciole”?


Ma anche volendo concedere che si sia trattato di un errore in buona fede, restano comunque degli ostacoli notevoli da superare, per poter accettare la loro versione dei fatti.


Se è vero infatti che tutti i soldi sono stati utilizzati per lo scopo previsto, come è possibile spendere un milione e novecentomila dollari - con il potere d’aquisto del dollaro nel terzo mondo, oltretutto - per costruire (*) un ospedale che non ha nemmeno il riscaldamento? Perchè è facile accusare gli afghani di “non aver fatto bene la manutenzione”, un pò più difficile è accusarli di essersi mangiato un intero impianto di riscaldamento.


Si torna quindi alla domanda iniziale, posta dal Guardian, che rimane per ora irrisolta.


INTERSOS ha detto, nei suoi “sdegnati” comunicati stampa, che sul loro sito è disponibile tutta la documentazione che li scagiona, e che dimostra che a mentire sia stato il Guardian. Questa documentazione però non si trova.


Quando ho fatto notare il problema ai legali di Intersos, mi sono state indicate le stesse pagine del sito su cui non si trovava già nulla in partenza. In compenso questa volta i legali hanno pensato bene di aggiungere la seguente frase: “Ove Lei ritenesse di dover procedere ad un approfondimento ulteriore, non dovrà far altro che contattare INTERSOS e fissare un appuntamento presso la sede, ove potrà prendere diretta visione di tutta la documentazione attestante ogni singola spesa.”


Forse gli uffici legali di Intersos non hanno capito che non è a me che debbono quelle risposte, ma a tutti i cittadini italiani che hanno contribuito in qualche misura a finanziare l’ospedale di Kabul. Se quindi esiste questa “documentazione attestante ogni singola spesa”, è nel loro interesse metterla in rete al più presto, a disposizione di tutti.


Fino a quel giorno, noi continueremo a postare in homepage il video del Guardian, una volta al mese, sperando che prima o poi qualche giornalista dei quotidiani nazionali si accorga della vicenda, e voglia dare il suo contributo al nostro tentativo di fare chiarezza su un episodio che infanga in modo inaccettabile l’immagine dell’Italia nel mondo.


Anche perchè nel frattempo la stessa notizia ha già attraversato l’Atlantico.


di Massimo Mazzucco


 


Potenziate le basi dell’esercito USA in Europa


busag


Ham ha raccomandato che il numero dei militari in forza al comando USAREUR, venga congelato al suo livello odierno di 42,000 unità, bloccando il programma che prevede il ridimensionamento ad un massimo di 32,000 soldati entro il 2012-13. Nello specifico, il Pentagono ha programmato la riduzione della presenza in Europa da quattro a due brigate pesanti (la 2^ Stryker Brigade a Vilseck, Germania e la 173^ Brigata Aviotrasportata a Vicenza, Italia).


Il generale Ham ha spiegato che il commando USAREUR ha bisogno di una forza maggiore per “rispondere efficacemente alle richieste operative in Iraq, Afghanistan, nei Balcani e dove sarà necessario”, e per condurre simultaneamente “l’ambizioso programma di addestramento con gli alleati, particolarmente con le nuove nazioni appartenenti alla NATO e con quelle che hanno fatto richiesta di entrare nell’organizzazione”.


Negli ultimi anni, il Pentagono ha chiuso in Europa 43 tra basi e piccole installazioni dell’US Army, richiamando negli Stati Uniti 11.000 militari. Il piano di riduzione prevede adesso il ritiro della 172^ Brigata di fanteria (oggi di stanza nelle città tedesche di Schweinfurt e Grafenwöhr) e della 1^ Divisione Corazzata di Baumholder (ancora in Germania), destinata a Fort Bliss, Texas. La richiesta formalizzata dal generale Carter F. Ham potrebbe tuttavia condurre a una modificazione di questo scenario.


L’US Army punta intanto a centralizzare i suoi reparti di guerra in cinque grandi centri “hub”, quattro in Germania (Ansbach, Grafenwöhr, Kaiserslautern e Wiesbaden), ed uno in Italia, per l’appunto Vicenza. Nel budget previsto per il 2009 dall’amministrazione USA per il potenziamento delle basi militari all’estero, è prevista una spesa di 349 milioni di dollari per le infrastrutture e le postazioni ospitate in questi “hub” europei dell’esercito. Una fetta consistente (252 milioni di dollari) è stata destinata a Wiesbaden, dove sono partiti i lavori di ristrutturazione ed ampliamento dei vecchi quartier generali di USAREUR e del 5° Corpo d’Armata per ospitare il nuovo centro di comando, controllo e comunicazioni della 7th Army (anche detta “United States Army Europe”), da cui dipendono le brigate terrestri presenti nel vecchio continente. Quando il nuovo comando della 7th Army sarà completato, verranno chiuse alcune delle infrastrutture dell’esercito USA esistenti ad Heidelberg, Mannheim e Darmstadt. Sempre a Wisbaden è prevista la costruzione di 326 unità abitative destinate al personale dell’armata. Un grande Centro d’Intelligence e un “Network Warfare Center” saranno invece realizzati a partire dal 2010.


Altra area dove sono in corso importanti opere di miglioramento delle infrastrutture militari è quella di Grafenwöhr-Vilseck-Hohenfels, in Baviera, dove esiste attualmente la maggior concentrazione di militari USA in Europa. A Vilseck è presente il 2° Reggimento di Cavalleria, Hoehenfels è sede del Centro di addestramento multinazionale dell’US Army (il “Joint Multinational Training Centre”), mentre Grafenwöhr ospita la 172^ Brigata di Fanteria, l’unità che il generale Carter F. Ham vuole assolutamente mantenere in Germania. Qualunque sarà la decisione finale del Pentagono, Grafenwöhr continuerà ad essere una località chiave nei piani di ammodernamento delle forze armate statunitensi. Il piano finanziario approvato dal Congresso ha destinato alla base bavarese 19 milioni di dollari per realizzare le facilities di supporto per le attività di addestramento dei velivoli senza pilota “Shadow 200” in dotazione all’esercito. Recentemente, il colonnello Tim Touzinsky, comandante del centro di addestramento di Grafenwöhr, ha annunciato l’attivazione di tre plotoni “Shadow”, il primo presso la 172^ Brigata di Fanteria di Grafenwöhr, il secondo presso il 2° Reggimento di Cavalleria di Vilseck e il terzo presso la 173^ Brigata Aviotrasportata di Vicenza.


Quarantotto milioni di dollari sono stati stanziati dalla Defense Logistics Agency per la costruzione di un megadeposito munizioni e di un complesso logistico a Germersheim, in Renania-Palatinato, per rispondere alle necessità operative future del Comando USA in Europa e del Comando Centrale strategico CENTCOM, la cui area d’intervento comprende l’Egitto, il Medio Oriente e l’Asia Centrale.


Una grande attenzione è stata riservata dagli strateghi dell’esercito statunitense per la “Main Operating Base – MOB” di Vicenza, dove grazie ad una spesa di 30 milioni di dollari (che si aggiungono ai 46 milioni stanziati con il bilancio 2008), s’intendono avviare i lavori per ospitare, nel vecchio aeroporto Dal Molin, la 173^ Brigata Aviotrasportata, reparto d’elite dell’US Army ripetutamente inviato nei teatri di guerra d’Iraq e Afghanistan. “Con questo programma – ha dichiarato il generale Ham – la comunità militare del nord Italia si espanderà per ospitare, alla fine, l’intera brigata di 3,800 uomini, le famiglie al seguito e gli impiegati civili presso la Caserma Ederle e il Dal Molin”. Il comandante supremo di USAREUR ha pure sottolineato il ruolo assunto dalle forze terrestri di Vicenza con la costituzione del nuovo comando per le operazioni USA nel continente africano, Africom. “Sino allo scorso dicembre, la Caserma Ederle era la sede della Southern European Task Force (SETAF), un’organizzazione che è stata trasformata in US Army Africa, il comando della componente terrestre di Africom”, ha spiegato Carter F. Ham. “Attualmente US Army Africa non ha a disposizione molti militari, ma sarà prontamente organizzato con militari provenienti da altri comandi, principalmente quelli dell’US Army Europe, in modo da poter rispondere alle richieste operative”.


“Oggi non è prudente assegnare truppe direttamente ad US Army Africa”, ha concluso Ham. “Se togliessimo le unità logistiche, d’intelligence e di comunicazione che supportano Africom dal Comando dell’US Army in Europa e le utilizzassimo come entità separate, avremmo bisogno di altri quartieri generali per assicurarne il comando e il controllo e ciò probabilmente non sarebbe possibile per motivi economici”.


Il comando di Africom, dunque, resta per ora a Stoccarda, mentre al nuovo US Army Africa di Vicenza sono stati trasferiti dalla Germania 300 militari.


di Antonio Mazzeo



08 marzo 2009

Bad Bank e riorganizzazione fallimentare

geithner_1244175c

A pochi giorni dalla discussione sulla Nuova Bretton Woods al Senato italiano, in cui, nonostante le revisioni imposte dal Governo, è emerso un chiaro appello per una riorganizzazione del sistema finanziario, urge un chiarimento sulla questione della bad bank.

Da tutte le parti ormai si riconosce la necessità di ripulire i libri delle banche dai titoli tossici, legati primariamente ai pacchetti di mutui oggetto di grandissime speculazioni al rialzo durante la bolla subprime, e ora crollati a livelli difficili da definire. Ogni giorno si scoprono ulteriori perdite legate a questi titoli, ed è sempre più evidente che i danni totali superano di gran lunga la possibilità di assorbimento del sistema creditizio.

Allora questi titoli vanno isolati, e soprattutto l'attività ordinaria delle banche va protetta dalle perdite da essi provocate. Ma come fare? Come si valutano i titoli tossici? Come verranno trasferiti? Quante bad bank serviranno? E soprattutto, bisogna pagare per rilevare questi titoli?

Finora sono emersi due schieramenti: chi vuole utilizzare la bad bank per ulteriori salvataggi alle banche, in linea con il Piano Paulson e le proposte di Gordon Brown ed altri oggi, e chi dice sì alla segregazione dei titoli tossici, ma no all'utilizzo di fondi pubblici per rilevarli.

Vista così, la situazione sembra abbastanza straightforward; alcuni vogliono salvare il sistema attuale, trovando una soluzione straordinaria che permetta agli istituti di riprendersi ma non altera fondamentalmente il loro ruolo, mentre altri sono più vicini alla soluzione proposta da LaRouche, una riorganizzazione del sistema in cui la parte tossica va eliminata del tutto, per poter riorientare l'attività delle banche verso l'economia reale.

Good bank?

Dato il continuo peggioramento del contesto economico e finanziario, i primi sono destinati a perdere, prima o poi. Si potrà anche adottare la soluzione temporanea da loro proposta, ma il problema si riproporrà, e dovrà essere risolto. La vera domanda è se nel frattempo piomberemo nella depressione peggiore dei tempi moderni oppure se ci muoveremo in tempo per iniziare la ripresa. Chi ha gestito la globalizzazione finanziaria per conto degli interessi privati è pronto a tollerare perfino la depressione, purché non si torni ad un sistema economico in cui decidono le repubbliche piuttosto che le oligarchie finanziarie.

Ed ecco che arriva il tentativo di seminare confusione. Lo vediamo oggi su Il Sole 24 Ore, dove l'articolo di Fabrizio Galimberti si intitola "I buoni propositi della bad bank". E l'abbiamo sentito martedì durante la discussione in Senato, quando il Senatore Morando ha esposto la sua idea di come trasformare la bad bank in good bank. Secondo questa linea i titoli tossici rappresentano sì delle perdite per le banche, ma soltanto perché il calo del loro valore rispetto al picco della bolla speculativa produce una forte minusvalenza. Così ogni banca che deve valutare i propri asset si trova con un buco tale da mettere in discussione la propria solvenza. Però, proseguono i nostri, non è vero che i titoli siano senza valore. Mentre per le banche producono una perdita, se creiamo un nuovo istituto, la bad bank appunto, allora potremo rivendere i titoli sul mercato nel tempo, realizzando così un valore che, pur lontano dai tempi del boom subprime, rappresenta sempre una cifra positiva. Voilà, la bad bank è diventata good; i titoli tossici sono diventati appetitosi.

In fondo questa è la stessa filosofia del Piano Paulson in origine: lo stato rileva i titoli dalle banche, dalle assicurazioni, e poi nel tempo li rivende, riducendo così il costo del salvataggio. Insomma, basta un po' di pazienza, poi tutto si riprenderà.

Tutto sistemato? Assolutamente no. Ci troviamo di fronte all'ennesimo tentativo di salvare il sistema attuale basato sulla speculazione. Infatti il problema vero non riguarda il valore attuale dei titoli tossici; riguarda la loro esistenza. Bisogna tenere ben presente che la bolla subprime non rappresenta un fenomeno di per sé, ma si colloca in una lunga serie di bolle, dalle tigri asiatiche, ai vari titoli di stato gonfiati a fine anni Novanta, alla New Economy. Si cercava sempre un nuovo sottostante per poter speculare. Vista la crescita gonfiata del settore immobiliare è stata identificata la nuova opportunità. Utilizziamo i mutui per alimentare la bolla, con l'effetto leva dei Mortgage-Backed Securities (MBS) e poi dei derivati.

Il metodo è quello che gli oracoli caduti del liberismo ci hanno spacciato per la grande innovazione degli ultimi tempi, il modello originate-to-distribute. Non esiste più il rapporto di fiducia tra la banca e il cliente; ora si creano dei titoli di debito per poterli immettere sul mercato. Il rischio viene distribuito tra i tanti, e ora si può giocare – scusate innovare – tranquillamente, senza preoccuparsi della solidità dell'investimento nel mondo reale.

Secondo i sostenitori del salvataggio del sistema attuale, il problema è semplicemente che i mutui hanno smesso di rendere, le regole non erano sufficienti, insomma, il gioco è andato male per via di alcune sviste, pur importanti.

Per chi invece mira a porre rimedio al liberismo post-industriale degli ultimi decenni, il problema è il modello stesso. Il sistema finanziario e bancario in particolare non dev’essere protetto semplicemente dalle mele marce; dev'essere protetto dai metodi speculativi. I titoli tossici, i derivati sono il problema perché rappresentano una concezione di economia fallimentare. La ricchezza non viene dai soldi, viene dalla crescita dalla capacità produttiva dell'economia reale. Il sistema finanziario è al servizio del sistema produttivo e non viceversa.

Ora, che cosa fare con i titoli tossici diventa più chiaro: vanno neutralizzati, e i derivati vanno eliminati. Se gli MBS sono fatti di mutui bisogna riportare i mutui nel mondo delle banche commerciali, ed utilizzarli come base per l'attività bancaria ordinaria, come propone LaRouche nella sua Homeowners and Bank Protection Act. Vanno spacchettati, scartolarizzati, rimossi dal giro della speculazione. Altrimenti il ciclo non cambierebbe. Avremmo sempre un sistema finanziario basato sulla ricerca del profitto speculativo a breve termine, alla pari del sistema che ci ha portati al tracollo di oggi.

Per uscire dalla crisi serve la riorganizzazione fallimentare, l'amministrazione controllata come proposta nella mozione a prima firma Peterlini, in cui il Bene Comune ha la precedenza sugli obblighi speculativi. Non possiamo perdere questa occasione di fare pulizia, senza permettere che l'arma della speculazione rientri dalla finestra.

di Andrew Spannaus

14 marzo 2009

Il caso Intersos

 




Sarebbe stato bello poter dire che Intersos aveva le mani pulite, e che ha sbagliato il Guardian a sollevare sospetti su di loro. Invece i responsabili di Intersos sembrano molto più interessati a far cadere il silenzio sulla vicenda (hanno fatto oscurare il nostro video da youtube), che a chiarire la situazione una volta per tutte. Nel frattempo continuano a fingersi “sdegnati” per l’accaduto, e accusano il Guardian di avere mentito nei loro confronti.


Ricordate la telefonata fra la responsabile di Intersos, Monica Matarazzo, e il giornalista del Guardian Clancy Chassy, che chiedeva lumi sulla presunta scomparsa di un milione di dollari (dal budget di 1,9 milioni), destinato all’ospedale di Kabul? Questo è lo scambio preciso, che trovate al minuto 5:20 del filmato:


M.M. - Posso dirle con certezza che il nostro contratto con UNOPS era di 900.000.


C.C. – Non era quindi di 1.900.000 dollari?


M.M. - No, in nessun modo, assolutamente no. I soldi sono scomparsi durante i passaggi precedenti, non nella costruzione dell’ospedale. E’ una vergogna per la comunità internazionale che esista un ospedale del genere.


A giudicare dalla conversazione, la Signora Matarazzo sembra sapere molto bene di cosa stesse parlando. Invece pare che si sia sbagliata, e che Intersos abbia regolarmente incassato il milione e 900.000 dollari destinato alla costruzione dell’ospedale.


Ricostruiamo brevemente la vicenda, per chi non l’avesse seguita dall’inizio.


Il 19 febbraio il Guardian pubblica il documentario che vedete più sopra, nel quale denuncia le condizioni disastrose di un ospedale di Kabul costruito con i soldi delle Nazioni Unite. Il budget iniziale di 1,9 milioni di dollari era stato affidato dalla UNOPS (braccio operativo dell’ONU) alla ONG italiana Intersos, …


… che a sua volta aveva sub-appaltato i lavori ai locali costruttori afghani. Le condizioni disastrose dell’ospedale sono state attribuite dal ministro afghano della salute ad una “corruzione sistematica” che parte dalle stesse Nazioni Unite, e arriva all’ultimo esecutore materiale dei lavori, scremando ad ogni passaggio il denaro destinato alle opere pubbliche.


Nel caso particolare, pare che l’ammanco fra la cifra stanziata e quella effettivamente utilizzata fosse di circa 1 milione di dollari. Nella telefonata con Chassy la signora Matarazzo sostiene che INTERSOS abbia ricevuto solo 900.000 dollari, e afferma che i soldi mancanti siano scomparsi prima di arrivare alle loro casse.


Poi però lo stesso Chassy racconta che la Signora Matarazzo lo ha richiamato, il giorno seguente, dicendo di essersi sbagliata. La cosa mi è stata confermata dalla seconda lettera dei legali di Intersos, che ho ricevuto ieri, e che così recita:


“Quest'ultima [Matarazzo], responsabile di INTERSOS a Kabul solo negli anni 2007 e 2008 (quindi quattro anni dopo la consegna dell'ospedale da parte di INTERSOS) dapprima conferma che l'importo ricevuto è di Euro 900.000 ma - non avendo alcuna informazione diretta dei fatti - si informa presso la sede di Roma e richiama il giornalista Chassay, affermando di avergli fornito un'informazione inesatta e chiarendo che l'importo ricevuto (ed impiegato) da INTERSOS è di Euro 1.930.000.”


Avremmo quindi una “responsabile di Intersos” che denuncia apertamente – e pure sdegnatamente – il furto di un milione di dollari da parte di entità sconosciute, quando a) non aveva alcuna informazione diretta sui fatti, e b) i dollari sarebbero arrivati tutti tranquillamente a destinazione.


Roba da "Malato Immaginario", insomma.


Se le cose stessero così, infatti, saremmo obbligati a dedurre che la Signora Matarazzo sia dotata, come minimo, di una fantasia eccezionale, poichè chiunque altro al suo posto sarebbe semplicemente caduto dalle nuvole, invece di mettersi ad accusare altri di furti mai avvenuti.


Provate a pensarci: se voi aveste la coscienza a posto con i soldi ricevuti e spesi, e vi arrivasse la telefonata di un giornalista sconosciuto che cerca le tracce di un milione di dollari scomparsi, voi cosa gli rispondete? “Non so nemmeno di cosa stia parlando”, oppure “li ha rubati qualcun altro, a noi hanno dato solo le briciole”?


Ma anche volendo concedere che si sia trattato di un errore in buona fede, restano comunque degli ostacoli notevoli da superare, per poter accettare la loro versione dei fatti.


Se è vero infatti che tutti i soldi sono stati utilizzati per lo scopo previsto, come è possibile spendere un milione e novecentomila dollari - con il potere d’aquisto del dollaro nel terzo mondo, oltretutto - per costruire (*) un ospedale che non ha nemmeno il riscaldamento? Perchè è facile accusare gli afghani di “non aver fatto bene la manutenzione”, un pò più difficile è accusarli di essersi mangiato un intero impianto di riscaldamento.


Si torna quindi alla domanda iniziale, posta dal Guardian, che rimane per ora irrisolta.


INTERSOS ha detto, nei suoi “sdegnati” comunicati stampa, che sul loro sito è disponibile tutta la documentazione che li scagiona, e che dimostra che a mentire sia stato il Guardian. Questa documentazione però non si trova.


Quando ho fatto notare il problema ai legali di Intersos, mi sono state indicate le stesse pagine del sito su cui non si trovava già nulla in partenza. In compenso questa volta i legali hanno pensato bene di aggiungere la seguente frase: “Ove Lei ritenesse di dover procedere ad un approfondimento ulteriore, non dovrà far altro che contattare INTERSOS e fissare un appuntamento presso la sede, ove potrà prendere diretta visione di tutta la documentazione attestante ogni singola spesa.”


Forse gli uffici legali di Intersos non hanno capito che non è a me che debbono quelle risposte, ma a tutti i cittadini italiani che hanno contribuito in qualche misura a finanziare l’ospedale di Kabul. Se quindi esiste questa “documentazione attestante ogni singola spesa”, è nel loro interesse metterla in rete al più presto, a disposizione di tutti.


Fino a quel giorno, noi continueremo a postare in homepage il video del Guardian, una volta al mese, sperando che prima o poi qualche giornalista dei quotidiani nazionali si accorga della vicenda, e voglia dare il suo contributo al nostro tentativo di fare chiarezza su un episodio che infanga in modo inaccettabile l’immagine dell’Italia nel mondo.


Anche perchè nel frattempo la stessa notizia ha già attraversato l’Atlantico.


di Massimo Mazzucco


 


Potenziate le basi dell’esercito USA in Europa


busag


Ham ha raccomandato che il numero dei militari in forza al comando USAREUR, venga congelato al suo livello odierno di 42,000 unità, bloccando il programma che prevede il ridimensionamento ad un massimo di 32,000 soldati entro il 2012-13. Nello specifico, il Pentagono ha programmato la riduzione della presenza in Europa da quattro a due brigate pesanti (la 2^ Stryker Brigade a Vilseck, Germania e la 173^ Brigata Aviotrasportata a Vicenza, Italia).


Il generale Ham ha spiegato che il commando USAREUR ha bisogno di una forza maggiore per “rispondere efficacemente alle richieste operative in Iraq, Afghanistan, nei Balcani e dove sarà necessario”, e per condurre simultaneamente “l’ambizioso programma di addestramento con gli alleati, particolarmente con le nuove nazioni appartenenti alla NATO e con quelle che hanno fatto richiesta di entrare nell’organizzazione”.


Negli ultimi anni, il Pentagono ha chiuso in Europa 43 tra basi e piccole installazioni dell’US Army, richiamando negli Stati Uniti 11.000 militari. Il piano di riduzione prevede adesso il ritiro della 172^ Brigata di fanteria (oggi di stanza nelle città tedesche di Schweinfurt e Grafenwöhr) e della 1^ Divisione Corazzata di Baumholder (ancora in Germania), destinata a Fort Bliss, Texas. La richiesta formalizzata dal generale Carter F. Ham potrebbe tuttavia condurre a una modificazione di questo scenario.


L’US Army punta intanto a centralizzare i suoi reparti di guerra in cinque grandi centri “hub”, quattro in Germania (Ansbach, Grafenwöhr, Kaiserslautern e Wiesbaden), ed uno in Italia, per l’appunto Vicenza. Nel budget previsto per il 2009 dall’amministrazione USA per il potenziamento delle basi militari all’estero, è prevista una spesa di 349 milioni di dollari per le infrastrutture e le postazioni ospitate in questi “hub” europei dell’esercito. Una fetta consistente (252 milioni di dollari) è stata destinata a Wiesbaden, dove sono partiti i lavori di ristrutturazione ed ampliamento dei vecchi quartier generali di USAREUR e del 5° Corpo d’Armata per ospitare il nuovo centro di comando, controllo e comunicazioni della 7th Army (anche detta “United States Army Europe”), da cui dipendono le brigate terrestri presenti nel vecchio continente. Quando il nuovo comando della 7th Army sarà completato, verranno chiuse alcune delle infrastrutture dell’esercito USA esistenti ad Heidelberg, Mannheim e Darmstadt. Sempre a Wisbaden è prevista la costruzione di 326 unità abitative destinate al personale dell’armata. Un grande Centro d’Intelligence e un “Network Warfare Center” saranno invece realizzati a partire dal 2010.


Altra area dove sono in corso importanti opere di miglioramento delle infrastrutture militari è quella di Grafenwöhr-Vilseck-Hohenfels, in Baviera, dove esiste attualmente la maggior concentrazione di militari USA in Europa. A Vilseck è presente il 2° Reggimento di Cavalleria, Hoehenfels è sede del Centro di addestramento multinazionale dell’US Army (il “Joint Multinational Training Centre”), mentre Grafenwöhr ospita la 172^ Brigata di Fanteria, l’unità che il generale Carter F. Ham vuole assolutamente mantenere in Germania. Qualunque sarà la decisione finale del Pentagono, Grafenwöhr continuerà ad essere una località chiave nei piani di ammodernamento delle forze armate statunitensi. Il piano finanziario approvato dal Congresso ha destinato alla base bavarese 19 milioni di dollari per realizzare le facilities di supporto per le attività di addestramento dei velivoli senza pilota “Shadow 200” in dotazione all’esercito. Recentemente, il colonnello Tim Touzinsky, comandante del centro di addestramento di Grafenwöhr, ha annunciato l’attivazione di tre plotoni “Shadow”, il primo presso la 172^ Brigata di Fanteria di Grafenwöhr, il secondo presso il 2° Reggimento di Cavalleria di Vilseck e il terzo presso la 173^ Brigata Aviotrasportata di Vicenza.


Quarantotto milioni di dollari sono stati stanziati dalla Defense Logistics Agency per la costruzione di un megadeposito munizioni e di un complesso logistico a Germersheim, in Renania-Palatinato, per rispondere alle necessità operative future del Comando USA in Europa e del Comando Centrale strategico CENTCOM, la cui area d’intervento comprende l’Egitto, il Medio Oriente e l’Asia Centrale.


Una grande attenzione è stata riservata dagli strateghi dell’esercito statunitense per la “Main Operating Base – MOB” di Vicenza, dove grazie ad una spesa di 30 milioni di dollari (che si aggiungono ai 46 milioni stanziati con il bilancio 2008), s’intendono avviare i lavori per ospitare, nel vecchio aeroporto Dal Molin, la 173^ Brigata Aviotrasportata, reparto d’elite dell’US Army ripetutamente inviato nei teatri di guerra d’Iraq e Afghanistan. “Con questo programma – ha dichiarato il generale Ham – la comunità militare del nord Italia si espanderà per ospitare, alla fine, l’intera brigata di 3,800 uomini, le famiglie al seguito e gli impiegati civili presso la Caserma Ederle e il Dal Molin”. Il comandante supremo di USAREUR ha pure sottolineato il ruolo assunto dalle forze terrestri di Vicenza con la costituzione del nuovo comando per le operazioni USA nel continente africano, Africom. “Sino allo scorso dicembre, la Caserma Ederle era la sede della Southern European Task Force (SETAF), un’organizzazione che è stata trasformata in US Army Africa, il comando della componente terrestre di Africom”, ha spiegato Carter F. Ham. “Attualmente US Army Africa non ha a disposizione molti militari, ma sarà prontamente organizzato con militari provenienti da altri comandi, principalmente quelli dell’US Army Europe, in modo da poter rispondere alle richieste operative”.


“Oggi non è prudente assegnare truppe direttamente ad US Army Africa”, ha concluso Ham. “Se togliessimo le unità logistiche, d’intelligence e di comunicazione che supportano Africom dal Comando dell’US Army in Europa e le utilizzassimo come entità separate, avremmo bisogno di altri quartieri generali per assicurarne il comando e il controllo e ciò probabilmente non sarebbe possibile per motivi economici”.


Il comando di Africom, dunque, resta per ora a Stoccarda, mentre al nuovo US Army Africa di Vicenza sono stati trasferiti dalla Germania 300 militari.


di Antonio Mazzeo



08 marzo 2009

Bad Bank e riorganizzazione fallimentare

geithner_1244175c

A pochi giorni dalla discussione sulla Nuova Bretton Woods al Senato italiano, in cui, nonostante le revisioni imposte dal Governo, è emerso un chiaro appello per una riorganizzazione del sistema finanziario, urge un chiarimento sulla questione della bad bank.

Da tutte le parti ormai si riconosce la necessità di ripulire i libri delle banche dai titoli tossici, legati primariamente ai pacchetti di mutui oggetto di grandissime speculazioni al rialzo durante la bolla subprime, e ora crollati a livelli difficili da definire. Ogni giorno si scoprono ulteriori perdite legate a questi titoli, ed è sempre più evidente che i danni totali superano di gran lunga la possibilità di assorbimento del sistema creditizio.

Allora questi titoli vanno isolati, e soprattutto l'attività ordinaria delle banche va protetta dalle perdite da essi provocate. Ma come fare? Come si valutano i titoli tossici? Come verranno trasferiti? Quante bad bank serviranno? E soprattutto, bisogna pagare per rilevare questi titoli?

Finora sono emersi due schieramenti: chi vuole utilizzare la bad bank per ulteriori salvataggi alle banche, in linea con il Piano Paulson e le proposte di Gordon Brown ed altri oggi, e chi dice sì alla segregazione dei titoli tossici, ma no all'utilizzo di fondi pubblici per rilevarli.

Vista così, la situazione sembra abbastanza straightforward; alcuni vogliono salvare il sistema attuale, trovando una soluzione straordinaria che permetta agli istituti di riprendersi ma non altera fondamentalmente il loro ruolo, mentre altri sono più vicini alla soluzione proposta da LaRouche, una riorganizzazione del sistema in cui la parte tossica va eliminata del tutto, per poter riorientare l'attività delle banche verso l'economia reale.

Good bank?

Dato il continuo peggioramento del contesto economico e finanziario, i primi sono destinati a perdere, prima o poi. Si potrà anche adottare la soluzione temporanea da loro proposta, ma il problema si riproporrà, e dovrà essere risolto. La vera domanda è se nel frattempo piomberemo nella depressione peggiore dei tempi moderni oppure se ci muoveremo in tempo per iniziare la ripresa. Chi ha gestito la globalizzazione finanziaria per conto degli interessi privati è pronto a tollerare perfino la depressione, purché non si torni ad un sistema economico in cui decidono le repubbliche piuttosto che le oligarchie finanziarie.

Ed ecco che arriva il tentativo di seminare confusione. Lo vediamo oggi su Il Sole 24 Ore, dove l'articolo di Fabrizio Galimberti si intitola "I buoni propositi della bad bank". E l'abbiamo sentito martedì durante la discussione in Senato, quando il Senatore Morando ha esposto la sua idea di come trasformare la bad bank in good bank. Secondo questa linea i titoli tossici rappresentano sì delle perdite per le banche, ma soltanto perché il calo del loro valore rispetto al picco della bolla speculativa produce una forte minusvalenza. Così ogni banca che deve valutare i propri asset si trova con un buco tale da mettere in discussione la propria solvenza. Però, proseguono i nostri, non è vero che i titoli siano senza valore. Mentre per le banche producono una perdita, se creiamo un nuovo istituto, la bad bank appunto, allora potremo rivendere i titoli sul mercato nel tempo, realizzando così un valore che, pur lontano dai tempi del boom subprime, rappresenta sempre una cifra positiva. Voilà, la bad bank è diventata good; i titoli tossici sono diventati appetitosi.

In fondo questa è la stessa filosofia del Piano Paulson in origine: lo stato rileva i titoli dalle banche, dalle assicurazioni, e poi nel tempo li rivende, riducendo così il costo del salvataggio. Insomma, basta un po' di pazienza, poi tutto si riprenderà.

Tutto sistemato? Assolutamente no. Ci troviamo di fronte all'ennesimo tentativo di salvare il sistema attuale basato sulla speculazione. Infatti il problema vero non riguarda il valore attuale dei titoli tossici; riguarda la loro esistenza. Bisogna tenere ben presente che la bolla subprime non rappresenta un fenomeno di per sé, ma si colloca in una lunga serie di bolle, dalle tigri asiatiche, ai vari titoli di stato gonfiati a fine anni Novanta, alla New Economy. Si cercava sempre un nuovo sottostante per poter speculare. Vista la crescita gonfiata del settore immobiliare è stata identificata la nuova opportunità. Utilizziamo i mutui per alimentare la bolla, con l'effetto leva dei Mortgage-Backed Securities (MBS) e poi dei derivati.

Il metodo è quello che gli oracoli caduti del liberismo ci hanno spacciato per la grande innovazione degli ultimi tempi, il modello originate-to-distribute. Non esiste più il rapporto di fiducia tra la banca e il cliente; ora si creano dei titoli di debito per poterli immettere sul mercato. Il rischio viene distribuito tra i tanti, e ora si può giocare – scusate innovare – tranquillamente, senza preoccuparsi della solidità dell'investimento nel mondo reale.

Secondo i sostenitori del salvataggio del sistema attuale, il problema è semplicemente che i mutui hanno smesso di rendere, le regole non erano sufficienti, insomma, il gioco è andato male per via di alcune sviste, pur importanti.

Per chi invece mira a porre rimedio al liberismo post-industriale degli ultimi decenni, il problema è il modello stesso. Il sistema finanziario e bancario in particolare non dev’essere protetto semplicemente dalle mele marce; dev'essere protetto dai metodi speculativi. I titoli tossici, i derivati sono il problema perché rappresentano una concezione di economia fallimentare. La ricchezza non viene dai soldi, viene dalla crescita dalla capacità produttiva dell'economia reale. Il sistema finanziario è al servizio del sistema produttivo e non viceversa.

Ora, che cosa fare con i titoli tossici diventa più chiaro: vanno neutralizzati, e i derivati vanno eliminati. Se gli MBS sono fatti di mutui bisogna riportare i mutui nel mondo delle banche commerciali, ed utilizzarli come base per l'attività bancaria ordinaria, come propone LaRouche nella sua Homeowners and Bank Protection Act. Vanno spacchettati, scartolarizzati, rimossi dal giro della speculazione. Altrimenti il ciclo non cambierebbe. Avremmo sempre un sistema finanziario basato sulla ricerca del profitto speculativo a breve termine, alla pari del sistema che ci ha portati al tracollo di oggi.

Per uscire dalla crisi serve la riorganizzazione fallimentare, l'amministrazione controllata come proposta nella mozione a prima firma Peterlini, in cui il Bene Comune ha la precedenza sugli obblighi speculativi. Non possiamo perdere questa occasione di fare pulizia, senza permettere che l'arma della speculazione rientri dalla finestra.

di Andrew Spannaus