08 marzo 2009

Bad Bank e riorganizzazione fallimentare

geithner_1244175c

A pochi giorni dalla discussione sulla Nuova Bretton Woods al Senato italiano, in cui, nonostante le revisioni imposte dal Governo, è emerso un chiaro appello per una riorganizzazione del sistema finanziario, urge un chiarimento sulla questione della bad bank.

Da tutte le parti ormai si riconosce la necessità di ripulire i libri delle banche dai titoli tossici, legati primariamente ai pacchetti di mutui oggetto di grandissime speculazioni al rialzo durante la bolla subprime, e ora crollati a livelli difficili da definire. Ogni giorno si scoprono ulteriori perdite legate a questi titoli, ed è sempre più evidente che i danni totali superano di gran lunga la possibilità di assorbimento del sistema creditizio.

Allora questi titoli vanno isolati, e soprattutto l'attività ordinaria delle banche va protetta dalle perdite da essi provocate. Ma come fare? Come si valutano i titoli tossici? Come verranno trasferiti? Quante bad bank serviranno? E soprattutto, bisogna pagare per rilevare questi titoli?

Finora sono emersi due schieramenti: chi vuole utilizzare la bad bank per ulteriori salvataggi alle banche, in linea con il Piano Paulson e le proposte di Gordon Brown ed altri oggi, e chi dice sì alla segregazione dei titoli tossici, ma no all'utilizzo di fondi pubblici per rilevarli.

Vista così, la situazione sembra abbastanza straightforward; alcuni vogliono salvare il sistema attuale, trovando una soluzione straordinaria che permetta agli istituti di riprendersi ma non altera fondamentalmente il loro ruolo, mentre altri sono più vicini alla soluzione proposta da LaRouche, una riorganizzazione del sistema in cui la parte tossica va eliminata del tutto, per poter riorientare l'attività delle banche verso l'economia reale.

Good bank?

Dato il continuo peggioramento del contesto economico e finanziario, i primi sono destinati a perdere, prima o poi. Si potrà anche adottare la soluzione temporanea da loro proposta, ma il problema si riproporrà, e dovrà essere risolto. La vera domanda è se nel frattempo piomberemo nella depressione peggiore dei tempi moderni oppure se ci muoveremo in tempo per iniziare la ripresa. Chi ha gestito la globalizzazione finanziaria per conto degli interessi privati è pronto a tollerare perfino la depressione, purché non si torni ad un sistema economico in cui decidono le repubbliche piuttosto che le oligarchie finanziarie.

Ed ecco che arriva il tentativo di seminare confusione. Lo vediamo oggi su Il Sole 24 Ore, dove l'articolo di Fabrizio Galimberti si intitola "I buoni propositi della bad bank". E l'abbiamo sentito martedì durante la discussione in Senato, quando il Senatore Morando ha esposto la sua idea di come trasformare la bad bank in good bank. Secondo questa linea i titoli tossici rappresentano sì delle perdite per le banche, ma soltanto perché il calo del loro valore rispetto al picco della bolla speculativa produce una forte minusvalenza. Così ogni banca che deve valutare i propri asset si trova con un buco tale da mettere in discussione la propria solvenza. Però, proseguono i nostri, non è vero che i titoli siano senza valore. Mentre per le banche producono una perdita, se creiamo un nuovo istituto, la bad bank appunto, allora potremo rivendere i titoli sul mercato nel tempo, realizzando così un valore che, pur lontano dai tempi del boom subprime, rappresenta sempre una cifra positiva. Voilà, la bad bank è diventata good; i titoli tossici sono diventati appetitosi.

In fondo questa è la stessa filosofia del Piano Paulson in origine: lo stato rileva i titoli dalle banche, dalle assicurazioni, e poi nel tempo li rivende, riducendo così il costo del salvataggio. Insomma, basta un po' di pazienza, poi tutto si riprenderà.

Tutto sistemato? Assolutamente no. Ci troviamo di fronte all'ennesimo tentativo di salvare il sistema attuale basato sulla speculazione. Infatti il problema vero non riguarda il valore attuale dei titoli tossici; riguarda la loro esistenza. Bisogna tenere ben presente che la bolla subprime non rappresenta un fenomeno di per sé, ma si colloca in una lunga serie di bolle, dalle tigri asiatiche, ai vari titoli di stato gonfiati a fine anni Novanta, alla New Economy. Si cercava sempre un nuovo sottostante per poter speculare. Vista la crescita gonfiata del settore immobiliare è stata identificata la nuova opportunità. Utilizziamo i mutui per alimentare la bolla, con l'effetto leva dei Mortgage-Backed Securities (MBS) e poi dei derivati.

Il metodo è quello che gli oracoli caduti del liberismo ci hanno spacciato per la grande innovazione degli ultimi tempi, il modello originate-to-distribute. Non esiste più il rapporto di fiducia tra la banca e il cliente; ora si creano dei titoli di debito per poterli immettere sul mercato. Il rischio viene distribuito tra i tanti, e ora si può giocare – scusate innovare – tranquillamente, senza preoccuparsi della solidità dell'investimento nel mondo reale.

Secondo i sostenitori del salvataggio del sistema attuale, il problema è semplicemente che i mutui hanno smesso di rendere, le regole non erano sufficienti, insomma, il gioco è andato male per via di alcune sviste, pur importanti.

Per chi invece mira a porre rimedio al liberismo post-industriale degli ultimi decenni, il problema è il modello stesso. Il sistema finanziario e bancario in particolare non dev’essere protetto semplicemente dalle mele marce; dev'essere protetto dai metodi speculativi. I titoli tossici, i derivati sono il problema perché rappresentano una concezione di economia fallimentare. La ricchezza non viene dai soldi, viene dalla crescita dalla capacità produttiva dell'economia reale. Il sistema finanziario è al servizio del sistema produttivo e non viceversa.

Ora, che cosa fare con i titoli tossici diventa più chiaro: vanno neutralizzati, e i derivati vanno eliminati. Se gli MBS sono fatti di mutui bisogna riportare i mutui nel mondo delle banche commerciali, ed utilizzarli come base per l'attività bancaria ordinaria, come propone LaRouche nella sua Homeowners and Bank Protection Act. Vanno spacchettati, scartolarizzati, rimossi dal giro della speculazione. Altrimenti il ciclo non cambierebbe. Avremmo sempre un sistema finanziario basato sulla ricerca del profitto speculativo a breve termine, alla pari del sistema che ci ha portati al tracollo di oggi.

Per uscire dalla crisi serve la riorganizzazione fallimentare, l'amministrazione controllata come proposta nella mozione a prima firma Peterlini, in cui il Bene Comune ha la precedenza sugli obblighi speculativi. Non possiamo perdere questa occasione di fare pulizia, senza permettere che l'arma della speculazione rientri dalla finestra.

di Andrew Spannaus

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08 marzo 2009

Bad Bank e riorganizzazione fallimentare

geithner_1244175c

A pochi giorni dalla discussione sulla Nuova Bretton Woods al Senato italiano, in cui, nonostante le revisioni imposte dal Governo, è emerso un chiaro appello per una riorganizzazione del sistema finanziario, urge un chiarimento sulla questione della bad bank.

Da tutte le parti ormai si riconosce la necessità di ripulire i libri delle banche dai titoli tossici, legati primariamente ai pacchetti di mutui oggetto di grandissime speculazioni al rialzo durante la bolla subprime, e ora crollati a livelli difficili da definire. Ogni giorno si scoprono ulteriori perdite legate a questi titoli, ed è sempre più evidente che i danni totali superano di gran lunga la possibilità di assorbimento del sistema creditizio.

Allora questi titoli vanno isolati, e soprattutto l'attività ordinaria delle banche va protetta dalle perdite da essi provocate. Ma come fare? Come si valutano i titoli tossici? Come verranno trasferiti? Quante bad bank serviranno? E soprattutto, bisogna pagare per rilevare questi titoli?

Finora sono emersi due schieramenti: chi vuole utilizzare la bad bank per ulteriori salvataggi alle banche, in linea con il Piano Paulson e le proposte di Gordon Brown ed altri oggi, e chi dice sì alla segregazione dei titoli tossici, ma no all'utilizzo di fondi pubblici per rilevarli.

Vista così, la situazione sembra abbastanza straightforward; alcuni vogliono salvare il sistema attuale, trovando una soluzione straordinaria che permetta agli istituti di riprendersi ma non altera fondamentalmente il loro ruolo, mentre altri sono più vicini alla soluzione proposta da LaRouche, una riorganizzazione del sistema in cui la parte tossica va eliminata del tutto, per poter riorientare l'attività delle banche verso l'economia reale.

Good bank?

Dato il continuo peggioramento del contesto economico e finanziario, i primi sono destinati a perdere, prima o poi. Si potrà anche adottare la soluzione temporanea da loro proposta, ma il problema si riproporrà, e dovrà essere risolto. La vera domanda è se nel frattempo piomberemo nella depressione peggiore dei tempi moderni oppure se ci muoveremo in tempo per iniziare la ripresa. Chi ha gestito la globalizzazione finanziaria per conto degli interessi privati è pronto a tollerare perfino la depressione, purché non si torni ad un sistema economico in cui decidono le repubbliche piuttosto che le oligarchie finanziarie.

Ed ecco che arriva il tentativo di seminare confusione. Lo vediamo oggi su Il Sole 24 Ore, dove l'articolo di Fabrizio Galimberti si intitola "I buoni propositi della bad bank". E l'abbiamo sentito martedì durante la discussione in Senato, quando il Senatore Morando ha esposto la sua idea di come trasformare la bad bank in good bank. Secondo questa linea i titoli tossici rappresentano sì delle perdite per le banche, ma soltanto perché il calo del loro valore rispetto al picco della bolla speculativa produce una forte minusvalenza. Così ogni banca che deve valutare i propri asset si trova con un buco tale da mettere in discussione la propria solvenza. Però, proseguono i nostri, non è vero che i titoli siano senza valore. Mentre per le banche producono una perdita, se creiamo un nuovo istituto, la bad bank appunto, allora potremo rivendere i titoli sul mercato nel tempo, realizzando così un valore che, pur lontano dai tempi del boom subprime, rappresenta sempre una cifra positiva. Voilà, la bad bank è diventata good; i titoli tossici sono diventati appetitosi.

In fondo questa è la stessa filosofia del Piano Paulson in origine: lo stato rileva i titoli dalle banche, dalle assicurazioni, e poi nel tempo li rivende, riducendo così il costo del salvataggio. Insomma, basta un po' di pazienza, poi tutto si riprenderà.

Tutto sistemato? Assolutamente no. Ci troviamo di fronte all'ennesimo tentativo di salvare il sistema attuale basato sulla speculazione. Infatti il problema vero non riguarda il valore attuale dei titoli tossici; riguarda la loro esistenza. Bisogna tenere ben presente che la bolla subprime non rappresenta un fenomeno di per sé, ma si colloca in una lunga serie di bolle, dalle tigri asiatiche, ai vari titoli di stato gonfiati a fine anni Novanta, alla New Economy. Si cercava sempre un nuovo sottostante per poter speculare. Vista la crescita gonfiata del settore immobiliare è stata identificata la nuova opportunità. Utilizziamo i mutui per alimentare la bolla, con l'effetto leva dei Mortgage-Backed Securities (MBS) e poi dei derivati.

Il metodo è quello che gli oracoli caduti del liberismo ci hanno spacciato per la grande innovazione degli ultimi tempi, il modello originate-to-distribute. Non esiste più il rapporto di fiducia tra la banca e il cliente; ora si creano dei titoli di debito per poterli immettere sul mercato. Il rischio viene distribuito tra i tanti, e ora si può giocare – scusate innovare – tranquillamente, senza preoccuparsi della solidità dell'investimento nel mondo reale.

Secondo i sostenitori del salvataggio del sistema attuale, il problema è semplicemente che i mutui hanno smesso di rendere, le regole non erano sufficienti, insomma, il gioco è andato male per via di alcune sviste, pur importanti.

Per chi invece mira a porre rimedio al liberismo post-industriale degli ultimi decenni, il problema è il modello stesso. Il sistema finanziario e bancario in particolare non dev’essere protetto semplicemente dalle mele marce; dev'essere protetto dai metodi speculativi. I titoli tossici, i derivati sono il problema perché rappresentano una concezione di economia fallimentare. La ricchezza non viene dai soldi, viene dalla crescita dalla capacità produttiva dell'economia reale. Il sistema finanziario è al servizio del sistema produttivo e non viceversa.

Ora, che cosa fare con i titoli tossici diventa più chiaro: vanno neutralizzati, e i derivati vanno eliminati. Se gli MBS sono fatti di mutui bisogna riportare i mutui nel mondo delle banche commerciali, ed utilizzarli come base per l'attività bancaria ordinaria, come propone LaRouche nella sua Homeowners and Bank Protection Act. Vanno spacchettati, scartolarizzati, rimossi dal giro della speculazione. Altrimenti il ciclo non cambierebbe. Avremmo sempre un sistema finanziario basato sulla ricerca del profitto speculativo a breve termine, alla pari del sistema che ci ha portati al tracollo di oggi.

Per uscire dalla crisi serve la riorganizzazione fallimentare, l'amministrazione controllata come proposta nella mozione a prima firma Peterlini, in cui il Bene Comune ha la precedenza sugli obblighi speculativi. Non possiamo perdere questa occasione di fare pulizia, senza permettere che l'arma della speculazione rientri dalla finestra.

di Andrew Spannaus

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