01 maggio 2009

Commissione 11/9: "il governo decise di mentire"





Il consulente legale senior della Commissione sull’11/9, John Farmer, sostiene che il governo deliberò di non raccontare la verità sull’11/9, confermando con ciò le affermazioni dei colleghi membri della Commissione d’inchiesta, i quali erano giunti a concludere che il Pentagono si era impegnato in un inganno deliberato in merito alla sua risposta all’attacco.

Farmer ha ricoperto l’incarico di consulente senior della Commissione sull’11/9 (ufficialmente nota come la Commissione nazionale sugli attentati terroristici contro gli Stati Uniti), ed è anche un ex Attorney General del New Jersey.

Il libro di Farmer sulla sua esperienza di lavoro per la Commissione è intitolato The Ground Truth: The Story Behind America’s Defense on 9/11 (La verità sul terreno: il retroscena della Difesa americana dell’11/9, Ndt), ed è in uscita [a partire dal 15 aprile 2009].
Il libro rivela come «il pubblico sia stato seriamente fuorviato su quanto è avvenuto durante la mattina degli attentati,» e lo stesso Farmer dichiara che «a un qualche livello di governo, a un certo punto... c'è stato un accordo inteso a non dire la verità su ciò che è accaduto».

Solo i molto ingenui contesterebbero che un accordo per non dire la verità sia un accordo per mentire. La tesi di Farmer è che il governo ha accettato di creare una versione ufficiale spuria degli eventi, per coprire la vera storia che sta dietro l’11/9.
L'editore del libro, Houghton Mifflin Harcourt, afferma che «Farmer argomenta l’ipotesi necessariamente convincente che la versione ufficiale non solo è quasi del tutto falsa, ma serve a creare una falsa impressione di ordine e sicurezza.»

Nel mese di agosto 2006, il «Washington Post» riferiva: «Alcuni membri dello staff e dei commissari dell’organismo d’inchiesta sull’11 settembre hanno concluso che la versione iniziale del Pentagono su come ha reagito agli gli attacchi terroristici del 2001 potrebbe essere stata parte di un deliberato tentativo di indurre in errore la Commissione e il pubblico, anziché un’espressione della nebulosità degli eventi di quel giorno, secondo fonti coinvolte nella discussione.»

L’articolo ha evidenziato come la commissione, composta da 10 membri, ha fortemente sospettato un inganno al punto che ha considerato di sottoporre la questione al Dipartimento della giustizia per un’inchiesta penale.

«A tutt’oggi non sappiamo il motivo per cui il NORAD [il comando aerospaziale nordamericano] ci ha detto quello che ci ha detto,» ha detto Thomas H. Kean, ex governatore repubblicano nel New Jersey, che ha guidato la Commissione. «È stato così lontano dalla verità… È uno di quei casi in cui non si trova mai il bandolo della matassa».

Lo stesso Farmer è citato nell’articolo del «Washington Post», dove afferma: «mi ha sconvolto il modo in cui la verità era diversa dal modo in cui è stata descritta .... I nastri [della difesa aerea NORAD] raccontavano una storia radicalmente diversa da quella che era stata raccontata a noi e al pubblico per due anni .... Non era una storia manipolata . Era una storia non vera.»

Come abbiamo anche segnalato nell’agosto 2006, le parti pubblicate delle registrazioni NORAD dell’11/9, illustrate in un articolo di «Vanity Fair», facevano ben poco per rispondere ai quesiti degli scettici circa l'impotenza delle difese aeree USA durante l’11/9, e se non altro hanno aumentato l’attenzione sulla incompatibilità della versione ufficiale degli eventi, con quanto si sa realmente accaduto in quel giorno.

A scanso di equivoci, Farmer non sta dicendo che l’11/9 sia stata una trama orchestrata dall'interno, e tuttavia, la testimonianza di Farmer, insieme a quella dei suoi colleghi membri della Commissione sull’11/9, dimostra definitivamente che, qualunque cosa sia realmente accaduta l’11/9, la versione ufficiale, così come è stata raccontata al pubblico quel giorno, e ciò che rimane oggi delle versioni dei fatti fornite dalle autorità, sono una menzogna – stando alle stesse persone che erano incaricate dal governo di indagare. Questo è un dato di fatto che nessun debunker o apologeta governativo può legittimamente negare ancora.

Traduzione a cura di Pino Cabras per Megachip

30 aprile 2009

L'inevitabile default impero USA





Mentre Tremonti e la Marcegaglia affermano che ormai la crisi è passata, sempre fedeli a rilanciare ogni flebile sussurro della troppo-grande-per-fallire Goldman Sachs (vedremo fino a quando), le Borse rispondono con una netta caduta come non se ne vedevano da un po’. Mentre scriviamo, infatti, Milano perde il 4%. Oltreoceano, Citigroup prosegue le montagne russe con una perdita del 15% ed un ritorno a 3 dollari per azione.

Ampio risalto viene anche dato dai media alle dichiarazioni iraniane su Israele stato razzista. Ci sarebbe davvero molto da approfondire a riguardo, ma un post non basterebbe.

Nessuna parola invece sul GEAB Report numero 34, che eppure parla di cose molto interessanti, a partire dal prossimo default degli USA sul loro debito.

Come promesso nel post precedente, eccovi la seconda parte di tre. Se vi siete persi la prima parte, leggetela prima di procedere: racconta quella che sarà la Grande Fuga della Cina dal Dollaro.

Inevitabile default degli USA - GEAB 34 parte II

Tutti coloro che hanno letto la nostra Lettera Aperta ai leader del G20 pubblicata sul Financial Times il 24 Marzo (qui la nostra traduzione della lettera, NDFC) hanno già un’idea della nostra analisi di questo Summit di Londra. Ma dobbiamo ammettere che i risultati sono ancora peggiori di quanto immaginato.

[...]

Secondo LEAP/Europe2020, durante l’attuale crisi gli USA stanno scivolando giorno dopo giorno in una depressione che non ha pari nella storia della nazione e che sta arrivando ora al suo punto di rottura politico e sociale.

[...]



L’ipotetico appuntamento (del prossimo G20, NDFC) che hanno scelto per il loro prossimo incontro: a New York il prossimo Settembre, con l’occasione della Assemblea Generale annuale dell’ONU, è decisamente rivelatore.

Non hanno nemmeno concordato su uno specifico (tema dell’) incontro, per paura di dover tenere conto di quanto dichiarato a Londra, e perchè sanno per certo che non possono aggiungere altro a quanto detto a Londra.

All’interno della cornice delle Nazioni Unite, il G20 passerà sotto silenzio.

Inconsciamente, i leader del G20 hanno deciso di radunarsi a New York, a Settembre, al centro della crisi attuale, a pochi isolati da Wall Street e da Ground Zero… molto simbolico!

Il nostro team anticipa che, anzichè imbrigliare il processo della dislocazione geopolitica globale, probabilmente vedreanno i primi caotici passi dell’era postdollaro.

A New York, nel Settembre 2009, i leader del G20, così come tutti i leader che prenderanno parte alla Assemblea generale dell’ONU, saranno solo in grado di riconoscere la gravità della crisi che sta sopraffacendo gli USA, alle prese con povertà sociale (non è una buona notizia quando un cittadino americano su 2 dichiara di essere a due stipendi di distanza dalla bancarotta), violenza urbana e omicidi in crescita, peggioramento della recessione economica (già visibile nelle vie di manhattan)

…senza dubbio si focalizzeranno sul fallimento del piano di Obama di stimolo all’economia, volontariamente preso in ostaggio dai finanzieri di Wall Street, e punteranno ai prestiti del governo fuori controllo sotto gli effetti combinati di aumento della spesa e diminuzione dei redditi da tasse, come descritto in questo report.


Senza dubbio, questa processo riguarderà loro direttamente attraverso la crisi monetaria internazionale indotta dal default americano e dalla crisi del dollaro.

Ci concentreremo ora su quale sarà la forma che prenderà questo default.

[...]

Le 4 più probabili modalità di default USA

Il default americano puo’ prendere diverse forme in funzione di come sarà anticipato dalle autorità americane e dai loro principali creditori.

Abbiamo deciso di concentrarci su 4 di queste modalità, che probabilmente si combineranno tra loro. Le prime due si riferiscono a processi organizzati, mentre le ultime due sono processi caotici.

1) il FMI porta il budget federale sotto la sua ala (come fa sempre) e impone severi tagli di budget (probabilmente sulla spesa militare e sui programmi sociali) - questa è una opzione altamente improbabile a questo livello per ragioni politiche, con un significativo rischio di colpo di stato durante il processo.

2) il dipartimento del Tesoro decide di emettere buoni del Tesoro denominati in Euro, Yuan o Yen anzichè denominati in dollari. Questo è già accaduto (emissioni in Marchi e Yen) su scala minore alla fine degli anni 70, durante una precendente crisi del dollaro (incomparabile con quella attuale) - questa è l’opzione più soft, ma probabilmente insufficiente, perchè la quantità di bond da emettere provocherebbe seri problemi alle nazioni interessate. [...]

3) il valore del dollaro viene improvvisamente dimezzato nei confronti delle altre monete così che il governo americano puo’ finanziare il budget federale ed i suoi titoli in mani straniere con dollari deprezzati - questa opzione creerebbe un parallelo tra Obama e Nixon, anzichè Kennedy. Comunque, questa opzione ha certamente dei sostenitori a Washington perchè potrebbe essere la meno dolorosa in politica interna USA nel breve periodo.

4) a causa delle crescenti difficoltà nel vendere buoni del tesoro all’estero, la Fed deve aumentare il programma TARP, automaticamente avviando la svalutazione del dollaro, in cambio riducendo l’appetito degli investitori per i beni denominati in dollari - questa opzione è già avviata. La domanda è: finirà nel modo qui descritto o una o più delle altre opzioni si materializzeranno prima?

Le prime due opzioni necessitano una comunità internazionale coinvolta e ferma nel suo impegno.

Il G20 non mostra ottimismo a riguardo. Le ultime due, in pratica, consistono nel lasciare che gli eventi seguano il percorso della minore resistenza.

Questo tipo di approccio finisce sempre in disastro, ma è il più facile per tutti in fase iniziale.

di Felice Capretta

29 aprile 2009

Ecco come l'impero tesse la sua ragnatela

eva-gollinger

Intervista a Eva Gollinger
«L'ingerenza Usa in Venezuela assumerà forme più insidiose: la nuova amministrazione ha già aumentato del 35% il finanziamento alla Usaid e alla Ned». Al centro sociale milanese Vittoria, l'avvocata statunitense-venezuelana Eva Golinger parla senza illusioni del nuovo governo Obama. Da anni, indaga il lato occulto di organizzazioni e fondazioni come l'United States Agency for International Development (Usaid), o la National Endowment for Democracy (il fondo nazionale per la democrazia, la Ned). L'ultimo suo libro in tema, scritto con il giornalista Romani Migus, s'intitola La teleraña imperial (La ragnatela dell'impero). Dopo Il codice Chavez «un'enciclopedia dell'ingerenza e della sovversione». Non si tratta però di un libro «di complotti - spiega l'autrice al manifesto -, ma di una mappa interattiva della complessa rete di fondazioni, imprese, forze armate, mezzi di comunicazione, organizzazioni non governative che difendono le classi dominanti: il lato oscuro del capitale. Stiamo organizzando - aggiunge - un centro di studi strategici, si accettano suggerimenti (fundacioncese@gmail.com)»

Come si evidenzia la ragnatela?

Nel direttivo di grandi multinazionali come Chevron o Carlyle Group figurano membri di organismi che si dicono indipendenti come Human Rights watch, Ford foundation, Freedom house, National endowment for democracy. Vi si ritrovano alti funzionari della Cia, del Dipartimento di stato, del Pentagono, che utilizzano ong come Sumate in Venezuela o altri partiti politici per i loro piani destabilizzanti, e li finanziano attraverso i loro alleati: l'Istituto repubblicano internazionale (Iri), la Fondazione Konrad Adenauer in Germania, la Fondacion Faes in Spagna... Istituti e agenzie come Usaid e Ned filtrano denaro a diversi gruppi in Venezuela, Bolivia, Ecuador e in oltre 70 paesi del mondo. In Venezuela oltre 350 organizzazioni, partiti politici, ong ricevono finanziamenti.

Dieci anni di governo Chavez e un nuovo corso per l'America latina. Cosa farà Obama?

Nel libro precedente ho mostrato le responsabilità di Washington nel colpo di stato dell'11 aprile 2002 in Venezuela. Nel 2004, gli Usa finanziarono con 10 milioni di dollari il referendum contro il presidente Chavez, che però vinse con un ampio margine. Perciò, nel 2005 Washington modificò la propria strategia, che oggi si basa su tre assi principali: politico, psicologico e militare. L'asse politico dell'ingerenza poggia sul cosiddetto sviluppo della democrazia: la Ned crea il movimento mondiale per la democrazia, e dentro una gran quantità di organizzazioni spagnole, tedesche, norvegesi portano avanti il loro lavoro di sovversione. Il secondo aspetto poggia sulla guerra mediatica: demonizzare Chavez serve a preparare l'opinione pubblica a un'eventuale aggressione militare. Contro il Venezuela in soli 4 anni di questa strategia, a forza di titoloni sui giornali, Chavez risulta un «dittatore», dagli Usa all'Europa. Nel 2008, Bush voleva inserire il Venezuela fra i paesi canaglia, ma c'era un problema serio: il petrolio. Il terzo aspetto è quello militare: l'anno scorso gli Usa hanno riattivato la Quarta flotta, un comando regionale che non era più presente dal 1950. Nel rapporto del nuovo capo della Cia, nominato da Obama, il Venezuela resta una minaccia.

Contro il Venezuela - lei scrive - gli Usa stanno organizzando un «golpe suave», un golpe morbido. In che modo?

Il modello è quello della rivoluzione arancione, inaugurata in Serbia, ripetuta in Georgia, in Ucraina, in Libano, tentata senza successo in Bielorussia nel 2007. Un processo di più lunga durata in cui attori e scopi non si identificano subito. In Serbia è comparso a un certo punto un simpatico movimento di giovani che lottava per la libertà e la democrazia, il gruppo si chiamava Otpor, Resistenza, ed era finanziato dalla Ned, la Usaid, l'Iri, l'Ndi, la Cia. C'era anche la Albert Einstein Institution (Aei), fondata da Gene Sharp, autore di libri sulla non-violenza. Solo che il direttore della fondazione è un colonnello dell'esercito Usa. Alcuni giovani venezuelani della classe medio-alta nel 2008 sono andati in Bolivia a sostenere il referendum separatista contro Morales a Santa Cruz. Poi comparve un gruppo simile alla Otpor anche in Venezuela: dietro, sempre Usaid, Ned e altre istituzioni europee come la Faes, vicina ad Aznar, a finanziare una massiccia strategia di marketing «giovane».

Anche Obama vuole balcanizzare l'America latina?

Il golpe morbido viene portato avanti sempre in paesi che hanno importanti risorse naturali, soffiando sul fuoco di conflitti regionali preesistenti, fomentando i separatismi, come nella ex-Yugoslavia. Nel caso del Venezuela, questa strategia si è concentrata nello stato petrolifero dello Zulia, il bastione dell'opposizione, e lì c'è un movimento indipendentista. In Bolivia nella zona della mezzaluna dove si trova Santa Cruz e sono concentrate tutte le risorse di gas e di acqua. In Ecuador il movimento separatista è a Guayaquil, sede del potere economico.



Perché il Venezuela resta una minaccia per gli Usa?

Perché possiede la maggior riserva petrolifera al mondo. Perché la politica estera del Venezuela è basata su integrazione, cooperazione e solidarietà e non sullo sfruttamento modello Fmi. Perché, come dice Chomsky, è la minaccia del buon esempio: in Venezuela milioni di invisibili oggi si fanno sentire.

01 maggio 2009

Commissione 11/9: "il governo decise di mentire"





Il consulente legale senior della Commissione sull’11/9, John Farmer, sostiene che il governo deliberò di non raccontare la verità sull’11/9, confermando con ciò le affermazioni dei colleghi membri della Commissione d’inchiesta, i quali erano giunti a concludere che il Pentagono si era impegnato in un inganno deliberato in merito alla sua risposta all’attacco.

Farmer ha ricoperto l’incarico di consulente senior della Commissione sull’11/9 (ufficialmente nota come la Commissione nazionale sugli attentati terroristici contro gli Stati Uniti), ed è anche un ex Attorney General del New Jersey.

Il libro di Farmer sulla sua esperienza di lavoro per la Commissione è intitolato The Ground Truth: The Story Behind America’s Defense on 9/11 (La verità sul terreno: il retroscena della Difesa americana dell’11/9, Ndt), ed è in uscita [a partire dal 15 aprile 2009].
Il libro rivela come «il pubblico sia stato seriamente fuorviato su quanto è avvenuto durante la mattina degli attentati,» e lo stesso Farmer dichiara che «a un qualche livello di governo, a un certo punto... c'è stato un accordo inteso a non dire la verità su ciò che è accaduto».

Solo i molto ingenui contesterebbero che un accordo per non dire la verità sia un accordo per mentire. La tesi di Farmer è che il governo ha accettato di creare una versione ufficiale spuria degli eventi, per coprire la vera storia che sta dietro l’11/9.
L'editore del libro, Houghton Mifflin Harcourt, afferma che «Farmer argomenta l’ipotesi necessariamente convincente che la versione ufficiale non solo è quasi del tutto falsa, ma serve a creare una falsa impressione di ordine e sicurezza.»

Nel mese di agosto 2006, il «Washington Post» riferiva: «Alcuni membri dello staff e dei commissari dell’organismo d’inchiesta sull’11 settembre hanno concluso che la versione iniziale del Pentagono su come ha reagito agli gli attacchi terroristici del 2001 potrebbe essere stata parte di un deliberato tentativo di indurre in errore la Commissione e il pubblico, anziché un’espressione della nebulosità degli eventi di quel giorno, secondo fonti coinvolte nella discussione.»

L’articolo ha evidenziato come la commissione, composta da 10 membri, ha fortemente sospettato un inganno al punto che ha considerato di sottoporre la questione al Dipartimento della giustizia per un’inchiesta penale.

«A tutt’oggi non sappiamo il motivo per cui il NORAD [il comando aerospaziale nordamericano] ci ha detto quello che ci ha detto,» ha detto Thomas H. Kean, ex governatore repubblicano nel New Jersey, che ha guidato la Commissione. «È stato così lontano dalla verità… È uno di quei casi in cui non si trova mai il bandolo della matassa».

Lo stesso Farmer è citato nell’articolo del «Washington Post», dove afferma: «mi ha sconvolto il modo in cui la verità era diversa dal modo in cui è stata descritta .... I nastri [della difesa aerea NORAD] raccontavano una storia radicalmente diversa da quella che era stata raccontata a noi e al pubblico per due anni .... Non era una storia manipolata . Era una storia non vera.»

Come abbiamo anche segnalato nell’agosto 2006, le parti pubblicate delle registrazioni NORAD dell’11/9, illustrate in un articolo di «Vanity Fair», facevano ben poco per rispondere ai quesiti degli scettici circa l'impotenza delle difese aeree USA durante l’11/9, e se non altro hanno aumentato l’attenzione sulla incompatibilità della versione ufficiale degli eventi, con quanto si sa realmente accaduto in quel giorno.

A scanso di equivoci, Farmer non sta dicendo che l’11/9 sia stata una trama orchestrata dall'interno, e tuttavia, la testimonianza di Farmer, insieme a quella dei suoi colleghi membri della Commissione sull’11/9, dimostra definitivamente che, qualunque cosa sia realmente accaduta l’11/9, la versione ufficiale, così come è stata raccontata al pubblico quel giorno, e ciò che rimane oggi delle versioni dei fatti fornite dalle autorità, sono una menzogna – stando alle stesse persone che erano incaricate dal governo di indagare. Questo è un dato di fatto che nessun debunker o apologeta governativo può legittimamente negare ancora.

Traduzione a cura di Pino Cabras per Megachip

30 aprile 2009

L'inevitabile default impero USA





Mentre Tremonti e la Marcegaglia affermano che ormai la crisi è passata, sempre fedeli a rilanciare ogni flebile sussurro della troppo-grande-per-fallire Goldman Sachs (vedremo fino a quando), le Borse rispondono con una netta caduta come non se ne vedevano da un po’. Mentre scriviamo, infatti, Milano perde il 4%. Oltreoceano, Citigroup prosegue le montagne russe con una perdita del 15% ed un ritorno a 3 dollari per azione.

Ampio risalto viene anche dato dai media alle dichiarazioni iraniane su Israele stato razzista. Ci sarebbe davvero molto da approfondire a riguardo, ma un post non basterebbe.

Nessuna parola invece sul GEAB Report numero 34, che eppure parla di cose molto interessanti, a partire dal prossimo default degli USA sul loro debito.

Come promesso nel post precedente, eccovi la seconda parte di tre. Se vi siete persi la prima parte, leggetela prima di procedere: racconta quella che sarà la Grande Fuga della Cina dal Dollaro.

Inevitabile default degli USA - GEAB 34 parte II

Tutti coloro che hanno letto la nostra Lettera Aperta ai leader del G20 pubblicata sul Financial Times il 24 Marzo (qui la nostra traduzione della lettera, NDFC) hanno già un’idea della nostra analisi di questo Summit di Londra. Ma dobbiamo ammettere che i risultati sono ancora peggiori di quanto immaginato.

[...]

Secondo LEAP/Europe2020, durante l’attuale crisi gli USA stanno scivolando giorno dopo giorno in una depressione che non ha pari nella storia della nazione e che sta arrivando ora al suo punto di rottura politico e sociale.

[...]



L’ipotetico appuntamento (del prossimo G20, NDFC) che hanno scelto per il loro prossimo incontro: a New York il prossimo Settembre, con l’occasione della Assemblea Generale annuale dell’ONU, è decisamente rivelatore.

Non hanno nemmeno concordato su uno specifico (tema dell’) incontro, per paura di dover tenere conto di quanto dichiarato a Londra, e perchè sanno per certo che non possono aggiungere altro a quanto detto a Londra.

All’interno della cornice delle Nazioni Unite, il G20 passerà sotto silenzio.

Inconsciamente, i leader del G20 hanno deciso di radunarsi a New York, a Settembre, al centro della crisi attuale, a pochi isolati da Wall Street e da Ground Zero… molto simbolico!

Il nostro team anticipa che, anzichè imbrigliare il processo della dislocazione geopolitica globale, probabilmente vedreanno i primi caotici passi dell’era postdollaro.

A New York, nel Settembre 2009, i leader del G20, così come tutti i leader che prenderanno parte alla Assemblea generale dell’ONU, saranno solo in grado di riconoscere la gravità della crisi che sta sopraffacendo gli USA, alle prese con povertà sociale (non è una buona notizia quando un cittadino americano su 2 dichiara di essere a due stipendi di distanza dalla bancarotta), violenza urbana e omicidi in crescita, peggioramento della recessione economica (già visibile nelle vie di manhattan)

…senza dubbio si focalizzeranno sul fallimento del piano di Obama di stimolo all’economia, volontariamente preso in ostaggio dai finanzieri di Wall Street, e punteranno ai prestiti del governo fuori controllo sotto gli effetti combinati di aumento della spesa e diminuzione dei redditi da tasse, come descritto in questo report.


Senza dubbio, questa processo riguarderà loro direttamente attraverso la crisi monetaria internazionale indotta dal default americano e dalla crisi del dollaro.

Ci concentreremo ora su quale sarà la forma che prenderà questo default.

[...]

Le 4 più probabili modalità di default USA

Il default americano puo’ prendere diverse forme in funzione di come sarà anticipato dalle autorità americane e dai loro principali creditori.

Abbiamo deciso di concentrarci su 4 di queste modalità, che probabilmente si combineranno tra loro. Le prime due si riferiscono a processi organizzati, mentre le ultime due sono processi caotici.

1) il FMI porta il budget federale sotto la sua ala (come fa sempre) e impone severi tagli di budget (probabilmente sulla spesa militare e sui programmi sociali) - questa è una opzione altamente improbabile a questo livello per ragioni politiche, con un significativo rischio di colpo di stato durante il processo.

2) il dipartimento del Tesoro decide di emettere buoni del Tesoro denominati in Euro, Yuan o Yen anzichè denominati in dollari. Questo è già accaduto (emissioni in Marchi e Yen) su scala minore alla fine degli anni 70, durante una precendente crisi del dollaro (incomparabile con quella attuale) - questa è l’opzione più soft, ma probabilmente insufficiente, perchè la quantità di bond da emettere provocherebbe seri problemi alle nazioni interessate. [...]

3) il valore del dollaro viene improvvisamente dimezzato nei confronti delle altre monete così che il governo americano puo’ finanziare il budget federale ed i suoi titoli in mani straniere con dollari deprezzati - questa opzione creerebbe un parallelo tra Obama e Nixon, anzichè Kennedy. Comunque, questa opzione ha certamente dei sostenitori a Washington perchè potrebbe essere la meno dolorosa in politica interna USA nel breve periodo.

4) a causa delle crescenti difficoltà nel vendere buoni del tesoro all’estero, la Fed deve aumentare il programma TARP, automaticamente avviando la svalutazione del dollaro, in cambio riducendo l’appetito degli investitori per i beni denominati in dollari - questa opzione è già avviata. La domanda è: finirà nel modo qui descritto o una o più delle altre opzioni si materializzeranno prima?

Le prime due opzioni necessitano una comunità internazionale coinvolta e ferma nel suo impegno.

Il G20 non mostra ottimismo a riguardo. Le ultime due, in pratica, consistono nel lasciare che gli eventi seguano il percorso della minore resistenza.

Questo tipo di approccio finisce sempre in disastro, ma è il più facile per tutti in fase iniziale.

di Felice Capretta

29 aprile 2009

Ecco come l'impero tesse la sua ragnatela

eva-gollinger

Intervista a Eva Gollinger
«L'ingerenza Usa in Venezuela assumerà forme più insidiose: la nuova amministrazione ha già aumentato del 35% il finanziamento alla Usaid e alla Ned». Al centro sociale milanese Vittoria, l'avvocata statunitense-venezuelana Eva Golinger parla senza illusioni del nuovo governo Obama. Da anni, indaga il lato occulto di organizzazioni e fondazioni come l'United States Agency for International Development (Usaid), o la National Endowment for Democracy (il fondo nazionale per la democrazia, la Ned). L'ultimo suo libro in tema, scritto con il giornalista Romani Migus, s'intitola La teleraña imperial (La ragnatela dell'impero). Dopo Il codice Chavez «un'enciclopedia dell'ingerenza e della sovversione». Non si tratta però di un libro «di complotti - spiega l'autrice al manifesto -, ma di una mappa interattiva della complessa rete di fondazioni, imprese, forze armate, mezzi di comunicazione, organizzazioni non governative che difendono le classi dominanti: il lato oscuro del capitale. Stiamo organizzando - aggiunge - un centro di studi strategici, si accettano suggerimenti (fundacioncese@gmail.com)»

Come si evidenzia la ragnatela?

Nel direttivo di grandi multinazionali come Chevron o Carlyle Group figurano membri di organismi che si dicono indipendenti come Human Rights watch, Ford foundation, Freedom house, National endowment for democracy. Vi si ritrovano alti funzionari della Cia, del Dipartimento di stato, del Pentagono, che utilizzano ong come Sumate in Venezuela o altri partiti politici per i loro piani destabilizzanti, e li finanziano attraverso i loro alleati: l'Istituto repubblicano internazionale (Iri), la Fondazione Konrad Adenauer in Germania, la Fondacion Faes in Spagna... Istituti e agenzie come Usaid e Ned filtrano denaro a diversi gruppi in Venezuela, Bolivia, Ecuador e in oltre 70 paesi del mondo. In Venezuela oltre 350 organizzazioni, partiti politici, ong ricevono finanziamenti.

Dieci anni di governo Chavez e un nuovo corso per l'America latina. Cosa farà Obama?

Nel libro precedente ho mostrato le responsabilità di Washington nel colpo di stato dell'11 aprile 2002 in Venezuela. Nel 2004, gli Usa finanziarono con 10 milioni di dollari il referendum contro il presidente Chavez, che però vinse con un ampio margine. Perciò, nel 2005 Washington modificò la propria strategia, che oggi si basa su tre assi principali: politico, psicologico e militare. L'asse politico dell'ingerenza poggia sul cosiddetto sviluppo della democrazia: la Ned crea il movimento mondiale per la democrazia, e dentro una gran quantità di organizzazioni spagnole, tedesche, norvegesi portano avanti il loro lavoro di sovversione. Il secondo aspetto poggia sulla guerra mediatica: demonizzare Chavez serve a preparare l'opinione pubblica a un'eventuale aggressione militare. Contro il Venezuela in soli 4 anni di questa strategia, a forza di titoloni sui giornali, Chavez risulta un «dittatore», dagli Usa all'Europa. Nel 2008, Bush voleva inserire il Venezuela fra i paesi canaglia, ma c'era un problema serio: il petrolio. Il terzo aspetto è quello militare: l'anno scorso gli Usa hanno riattivato la Quarta flotta, un comando regionale che non era più presente dal 1950. Nel rapporto del nuovo capo della Cia, nominato da Obama, il Venezuela resta una minaccia.

Contro il Venezuela - lei scrive - gli Usa stanno organizzando un «golpe suave», un golpe morbido. In che modo?

Il modello è quello della rivoluzione arancione, inaugurata in Serbia, ripetuta in Georgia, in Ucraina, in Libano, tentata senza successo in Bielorussia nel 2007. Un processo di più lunga durata in cui attori e scopi non si identificano subito. In Serbia è comparso a un certo punto un simpatico movimento di giovani che lottava per la libertà e la democrazia, il gruppo si chiamava Otpor, Resistenza, ed era finanziato dalla Ned, la Usaid, l'Iri, l'Ndi, la Cia. C'era anche la Albert Einstein Institution (Aei), fondata da Gene Sharp, autore di libri sulla non-violenza. Solo che il direttore della fondazione è un colonnello dell'esercito Usa. Alcuni giovani venezuelani della classe medio-alta nel 2008 sono andati in Bolivia a sostenere il referendum separatista contro Morales a Santa Cruz. Poi comparve un gruppo simile alla Otpor anche in Venezuela: dietro, sempre Usaid, Ned e altre istituzioni europee come la Faes, vicina ad Aznar, a finanziare una massiccia strategia di marketing «giovane».

Anche Obama vuole balcanizzare l'America latina?

Il golpe morbido viene portato avanti sempre in paesi che hanno importanti risorse naturali, soffiando sul fuoco di conflitti regionali preesistenti, fomentando i separatismi, come nella ex-Yugoslavia. Nel caso del Venezuela, questa strategia si è concentrata nello stato petrolifero dello Zulia, il bastione dell'opposizione, e lì c'è un movimento indipendentista. In Bolivia nella zona della mezzaluna dove si trova Santa Cruz e sono concentrate tutte le risorse di gas e di acqua. In Ecuador il movimento separatista è a Guayaquil, sede del potere economico.



Perché il Venezuela resta una minaccia per gli Usa?

Perché possiede la maggior riserva petrolifera al mondo. Perché la politica estera del Venezuela è basata su integrazione, cooperazione e solidarietà e non sullo sfruttamento modello Fmi. Perché, come dice Chomsky, è la minaccia del buon esempio: in Venezuela milioni di invisibili oggi si fanno sentire.