09 maggio 2009

La Cina vuole smarcarsi dalla dipendenza dal dollaro


La Cina sta accumulando il più prezioso dei metalli. Perché vuole smarcarsi dalla dipendenza dal dollaro, un'arma a doppio taglio che ha contribuito lei stessa a creare mille e cinquantaquattro tonnellate di oro possono essere un sogno per i comuni mortali, oppure ordinaria amministrazione per le riserve di uno Stato come gli Usa, che ne possiedono una quantità otto volte superiore; persino l'Italia ne ha di più. Per la Cina, però, sono improvvisamente tante. Nei giorni scorsi Pechino ha annunciato di aver portato a tale ammontare le sue riserve auree, quasi raddoppiandole negli ultimi anni. Confermando di voler gradualmente smarcarsi dalla dipendenza dall'economia americana, che lei stessa ha contribuito a creare finanziando per anni l'indebitamento di Washington.




Acquistando in particolare metallo prezioso prodotto in patria, la Cina ha così messo da parte oro come una formichina. La quantità attualmente nei suoi forzieri rimane trascurabile: rappresenta l'1,6 percento delle sue enormi riserve in valuta straniera, che ammontano a 2.000 miliardi di dollari di cui circa due terzi proprio in biglietti verdi, grazie all'acquisto massiccio di Bot americani. Ma, messo insieme a dichiarazioni e altri fatti degli ultimi mesi, il quasi raddoppio delle riserve auree del gigante asiatico contribuisce a rendere evidente la volontà politica di raggiungere una serie di obiettivi a lungo termine: accrescere l'autonomia della Cina sulla scena economica globale, stimolare la domanda interna e ridurre la propria dipendenza dalle esportazioni, fare dello yuan una valuta di riferimento per il sistema monetario mondiale. Il problema è che Pechino ha le mani legate, perché nel perseguire questi scopi rischia di veder svalutare il suo investimento multimiliardario in dollari.

Per anni, la Cina ha accumulato dollari mantenendo basso - secondo Washington troppo basso - il valore dello yuan, e favorendo così la crescita delle sue esportazioni. I risparmi dei cinesi finanziavano i consumi oltre le proprie possibilità degli americani, dando vita allo squilibrio reso evidente dall'attuale crisi. Negli ultimi tre anni, da quando Pechino ha abbandonato il cambio fisso tra la sua moneta e il biglietto verde, lo yuan si è leggermente rivalutato. E se prima erano gli Usa a fare pressioni sulla Cina, ora è Pechino a mostrarsi baldanzosa: a marzo il direttore della Banca centrale cinese ha buttato lì l'idea che il dollaro non debba più essere la valuta mondiale di riferimento, e successivamente il premier Wen Jiabao ha auspicato una maggiore supervisione internazionale delle scelte economiche degli Stati Uniti. Proprio perché da esse dipende anche il benessere della Cina.

Tali preoccupazioni, alimentate dal fervore nazionalistico che accompagna l'ascesa del gigante asiatico, in Cina sono sentite non solo dagli economisti: nell'ultimo anno, un libro complottistico dal titolo "Currency Wars" (Guerre valutarie) ha venduto oltre un milione di copie. La tesi principale è che l'Occidente trama per frenare lo sviluppo cinese; da questo punto di vista, gli Usa avrebbero interesse a svalutare il dollaro non solo per rilanciare la propria economia travolta dalla crisi, ma anche per far perdere valore alle riserve di Pechino.

In realtà, gli Stati Uniti e il mondo hanno un tremendo bisogno della Cina, come si è visto anche dai sempre più frequenti auspici di vedere i cittadini cinesi aumentare i propri consumi, per rimpiazzare quelli degli americani. Sono movimenti tettonici che prenderanno decenni, ma è vero che Pechino sembra avere intenzione di percorrere questa strada: i suoi piani di stimolo all'economia premono proprio su questo tasto, sul progressivo potenziamento della domanda interna, e sulla diversificazione della sua politica monetaria. Far calare bruscamente le sue riserve in dollari sarebbe controproducente: se ne mettesse sul mercato una quantità consistente, il biglietto verde diventerebbe carta straccia, le esportazioni cinesi crollerebbero e le riserve cinesi in dollari brucerebbero gran parte del loro valore. Ma a lungo termine, l'obiettivo è comunque di farle lentamente scendere. E cominciare ad accumulare oro contribuisce allo scopo.


by di Alessandro Ursic

08 maggio 2009

Il caso Giuliani e L'Aquila



Giorno 6 aprile, l'AGI (Agenzia Giornalistica Italia) pubblicava una dichiarazione di Michelangelo Ambrosio circa il 'metodo Giuliani' per il rilevamento preventivo dei terremoti. Ieri quella dichiarazione è stata censurata. Non la troviamo più, se non in english version, al suo posto c'è una pagina con altre notizie. Fortunatamente la rete non è la tv e la notizia l'abbiamo ritrovata su altri siti.
Ma procediamo con ordine.

Giampaolo Giuliani non è un imbecille, come sostiene ignobilmente Bertolaso, ma un tecnico di ricerca presso uno dei laboratori nazionali del Gran Sasso che ha messo a punto una metodologia nuova (in Italia) per il rilevamento dei sismi, basato sulla registrazione del 'precursore sismico' presente nel gas radon che si sprigiona dalle faglie. Tale metodologia viene regolarmente seguita anche in Giappone.
Michelangelo Ambrosio è Dirigente Ricerca Infn (Istituto Fisica Nucleare) che ha lavorato quattro anni con Giuliani. Ambrosio ha dichiarato in una lettera all'associazione 'Giuseppe Dossetti':

'Conosco bene Giuliani perche' ho lavorato quattro anni con lui. Negli ultimi tempi ci siamo scambiati dati sulla possibile correlazione terremoti-emissioni di gas Radon. Nei laboratori del Gran Sasso c'e' un interferometro laser che registra gli spostamenti della roccia perche' il laboratorio e' attraversato da una faglia sismica: questa e' una cosa nota. Trascurare con superficialita' le applicazioni di nuove tecnologie solo perche' proposte da ricercatori non appartenenti allo establishment preposto a tale funzione e' una negligenza criminale di cui oggi paghiamo le conseguenze. Le tragiche sequenze di queste ore del terremoto in Abruzzo rendono piu' che mai attuali le indicazioni degli scienziati che compiono studi di vulcanologia come il Dott. Giuliani tecnico e ricercatore del laboratorio di fisica del Gran Sasso'.

A supporto della tecnologia di Giuliani vi è anche la dichiarazione del responsabile dell'Osservatorio per la Tutela e lo Sviluppo dei Diritti dell'Associazione, 'Giuseppe Dossetti', Corrado Stillo, il quale afferma:

'Chiediamo che quanto prima si apra un serio dibattito sul perche' studi di previsione dei ricercatori italiani sulla possibile previsione di terremoti non sono presi in considerazione. Non e' l'ora delle polemiche ma e' opportuno che in un Paese sismico come il nostro gli studi sulle previsioni basate sull'emissione di gas radon siano valutate come avviene in altri Paesi, tra cui il Giappone, dove da tempo i dati sul radon vengono presi ed analizzati dagli esperti'.

07 maggio 2009

Thermite. La prova scientifica della demolizione delle torri



Un recente articolo pubblicato da nove noti scienziati sulla rispettabile rivista scientifica soggetta a peer-review “Open Chemical Physics Journal”, offre prove inconfutabili riguardo al fatto che la polvere derivata dal crollo delle Twin Towers e dell’edificio 7 del World Trade Center contenga piccoli campioni intatti di Thermite. [1]

La Thermite è un agente altamente esplosivo consistente soprattutto in alluminio e ossido di ferro, e viene normalmente utilizzato per tagliare l’acciaio nelle demolizioni controllate, nonchè nelle saldature e nell’ambito militare.

Utilizzando il microscopio elettronico, la “scanning electron microscopy”, la spettroscopia dispersiva differenziale a raggi-X (“X-ray energy dispersive spectroscopy”) e la calorimetria differenziale, gli scienziati sono stati in grado di dimostrare che la Thermite individuata era di un tipo speciale chiamato Nano-Thermite o Superthermite. Essa brucia ad una temperatura elevata e ha una più bassa temperatura di accensione rispetto alla Thermite normale, inoltre viene prodotta in laboratori come il “Lawrence Livermore” che, guarda caso, è lo stesso laboratorio in cui venne prodotto l’antrace spedito poco dopo l’ 11 Settembre.

Nella foto: acciaio fuso cade dalle torri prima del crollo.

[Le colonne di acciaio delle torri tranciate di netto.]

La Nano-Thermite non può essere presente accidentalmente nei campioni di polvere prelevati in quattro luoghi diversi, né poteva essere il risultato delle operazioni di pulizia a ground-zero, dato che uno dei campioni fu recuperato all’incirca dieci minuti dopo il crollo della seconda torre. Tutti i campioni mostrarono la stessa struttura e composizione.

Ciò potrebbe spiegare il fiume di acciaio fuso (non alluminio) caduto da una delle torri, e il fatto che l’acciaio fuso stesso rimanesse tale tra le macerie per più di un mese dall’avvenimento dell’attacco.

Non esistono spiegazioni scientifiche per questo fenomeno se non quella dell’uso della Thermite, che può raggiungere temperature di 3500 gradi Celsius, mentre, se sottoposto a condizioni di temperatura normali, il combustibile per aviogetti raggiunge a malapena i 285 gradi Celsius. Ciò spiegherebbe tra l’altro anche la velocità di caduta, normalmente impossibile dal punto di vista fisico, dei tre edifici, e il loro crollo così uniforme.

E allora, cosa significa tutto questo? Significa che ci sono le prove (che finora nessuno è riuscito a confutare) che gli edifici del WTC (e più di tremila vite, contando anche le morti dei primi soccorritori e dei normali cittadini di NYC causate dalla polvere) sono caduti grazie ad una demolizione guidata in una maniera pianificata e decisa da qualcuno dell’amministrazione Bush, molto probabilmente per fungere da “evento catalizzatore” , la nuova “Pearl Harbor” ingenuamente definita dalla neo-con PNAC (Project for the New American Century) e designata a galvanizzare i cittadini americani a sostegno dell’attacco ad altre nazioni e alla restrizione dei diritti umani a casa propria. La “Full Specter Domination”.

Questa fu la scusa per invadere l’Afghanistan e l’Iraq (c’erano anche dei piani militari per conquistare la Siria e l’Iran, e forse altri paesi ), per giustificare lo spionaggio domestico, le sparizioni, le torture ed i massacri. Massacri basati sulle bugie e sull’inganno, e sull’uccisione di cittadini americani.

Sapendolo, come di certo egli saprà a tutt’oggi, che l’11 Settembre è stato concepito e attuato non da qualche sperduta e buia caverna dell’Afghanistan, ma piuttosto da qualche bunker nel freddo e umido Cheneystan , siamo sicuri che il presidente Obama continuerà ad insistere con il suo “guardare avanti”? Quanto profonda è la riserva americana di negazioni e smentite?

Provo dolore per tutte le vittime dell’11 Settembre, passate, presenti e future, ma specialmente sono tormentato per tutti quei poveracci che hanno scelto di buttarsi o sono caduti verso la morte. Sicuramente coloro che hanno compiuto questo scempio devono essere messi nelle mani della giustizia. Altrimenti l’America non guarderà mai avanti. Ha gli occhi chiusi e ciechi mentre farfuglia grosse stupidità.

[1] Vale qui la pena di riportare la traduzione della frase finale nelle conclusioni dell'articolo citato: “Sulla base di queste osservazioni concludiamo che lo strato rosso delle scheggie [chip] rosso-grigie da noi trovate nella polvere del World Trade Center è materiale termitico attivo ancora non sottoposto a reazione, incorporante della nanotecnologia, ed è un materiale pirotecnico o esplosivo fortemente energetico.” N.d.r.

John S. Hatch è uno scrittore e regista di Vancouver. Mail: john.s.hatch@gmail.com

09 maggio 2009

La Cina vuole smarcarsi dalla dipendenza dal dollaro


La Cina sta accumulando il più prezioso dei metalli. Perché vuole smarcarsi dalla dipendenza dal dollaro, un'arma a doppio taglio che ha contribuito lei stessa a creare mille e cinquantaquattro tonnellate di oro possono essere un sogno per i comuni mortali, oppure ordinaria amministrazione per le riserve di uno Stato come gli Usa, che ne possiedono una quantità otto volte superiore; persino l'Italia ne ha di più. Per la Cina, però, sono improvvisamente tante. Nei giorni scorsi Pechino ha annunciato di aver portato a tale ammontare le sue riserve auree, quasi raddoppiandole negli ultimi anni. Confermando di voler gradualmente smarcarsi dalla dipendenza dall'economia americana, che lei stessa ha contribuito a creare finanziando per anni l'indebitamento di Washington.




Acquistando in particolare metallo prezioso prodotto in patria, la Cina ha così messo da parte oro come una formichina. La quantità attualmente nei suoi forzieri rimane trascurabile: rappresenta l'1,6 percento delle sue enormi riserve in valuta straniera, che ammontano a 2.000 miliardi di dollari di cui circa due terzi proprio in biglietti verdi, grazie all'acquisto massiccio di Bot americani. Ma, messo insieme a dichiarazioni e altri fatti degli ultimi mesi, il quasi raddoppio delle riserve auree del gigante asiatico contribuisce a rendere evidente la volontà politica di raggiungere una serie di obiettivi a lungo termine: accrescere l'autonomia della Cina sulla scena economica globale, stimolare la domanda interna e ridurre la propria dipendenza dalle esportazioni, fare dello yuan una valuta di riferimento per il sistema monetario mondiale. Il problema è che Pechino ha le mani legate, perché nel perseguire questi scopi rischia di veder svalutare il suo investimento multimiliardario in dollari.

Per anni, la Cina ha accumulato dollari mantenendo basso - secondo Washington troppo basso - il valore dello yuan, e favorendo così la crescita delle sue esportazioni. I risparmi dei cinesi finanziavano i consumi oltre le proprie possibilità degli americani, dando vita allo squilibrio reso evidente dall'attuale crisi. Negli ultimi tre anni, da quando Pechino ha abbandonato il cambio fisso tra la sua moneta e il biglietto verde, lo yuan si è leggermente rivalutato. E se prima erano gli Usa a fare pressioni sulla Cina, ora è Pechino a mostrarsi baldanzosa: a marzo il direttore della Banca centrale cinese ha buttato lì l'idea che il dollaro non debba più essere la valuta mondiale di riferimento, e successivamente il premier Wen Jiabao ha auspicato una maggiore supervisione internazionale delle scelte economiche degli Stati Uniti. Proprio perché da esse dipende anche il benessere della Cina.

Tali preoccupazioni, alimentate dal fervore nazionalistico che accompagna l'ascesa del gigante asiatico, in Cina sono sentite non solo dagli economisti: nell'ultimo anno, un libro complottistico dal titolo "Currency Wars" (Guerre valutarie) ha venduto oltre un milione di copie. La tesi principale è che l'Occidente trama per frenare lo sviluppo cinese; da questo punto di vista, gli Usa avrebbero interesse a svalutare il dollaro non solo per rilanciare la propria economia travolta dalla crisi, ma anche per far perdere valore alle riserve di Pechino.

In realtà, gli Stati Uniti e il mondo hanno un tremendo bisogno della Cina, come si è visto anche dai sempre più frequenti auspici di vedere i cittadini cinesi aumentare i propri consumi, per rimpiazzare quelli degli americani. Sono movimenti tettonici che prenderanno decenni, ma è vero che Pechino sembra avere intenzione di percorrere questa strada: i suoi piani di stimolo all'economia premono proprio su questo tasto, sul progressivo potenziamento della domanda interna, e sulla diversificazione della sua politica monetaria. Far calare bruscamente le sue riserve in dollari sarebbe controproducente: se ne mettesse sul mercato una quantità consistente, il biglietto verde diventerebbe carta straccia, le esportazioni cinesi crollerebbero e le riserve cinesi in dollari brucerebbero gran parte del loro valore. Ma a lungo termine, l'obiettivo è comunque di farle lentamente scendere. E cominciare ad accumulare oro contribuisce allo scopo.


by di Alessandro Ursic

08 maggio 2009

Il caso Giuliani e L'Aquila



Giorno 6 aprile, l'AGI (Agenzia Giornalistica Italia) pubblicava una dichiarazione di Michelangelo Ambrosio circa il 'metodo Giuliani' per il rilevamento preventivo dei terremoti. Ieri quella dichiarazione è stata censurata. Non la troviamo più, se non in english version, al suo posto c'è una pagina con altre notizie. Fortunatamente la rete non è la tv e la notizia l'abbiamo ritrovata su altri siti.
Ma procediamo con ordine.

Giampaolo Giuliani non è un imbecille, come sostiene ignobilmente Bertolaso, ma un tecnico di ricerca presso uno dei laboratori nazionali del Gran Sasso che ha messo a punto una metodologia nuova (in Italia) per il rilevamento dei sismi, basato sulla registrazione del 'precursore sismico' presente nel gas radon che si sprigiona dalle faglie. Tale metodologia viene regolarmente seguita anche in Giappone.
Michelangelo Ambrosio è Dirigente Ricerca Infn (Istituto Fisica Nucleare) che ha lavorato quattro anni con Giuliani. Ambrosio ha dichiarato in una lettera all'associazione 'Giuseppe Dossetti':

'Conosco bene Giuliani perche' ho lavorato quattro anni con lui. Negli ultimi tempi ci siamo scambiati dati sulla possibile correlazione terremoti-emissioni di gas Radon. Nei laboratori del Gran Sasso c'e' un interferometro laser che registra gli spostamenti della roccia perche' il laboratorio e' attraversato da una faglia sismica: questa e' una cosa nota. Trascurare con superficialita' le applicazioni di nuove tecnologie solo perche' proposte da ricercatori non appartenenti allo establishment preposto a tale funzione e' una negligenza criminale di cui oggi paghiamo le conseguenze. Le tragiche sequenze di queste ore del terremoto in Abruzzo rendono piu' che mai attuali le indicazioni degli scienziati che compiono studi di vulcanologia come il Dott. Giuliani tecnico e ricercatore del laboratorio di fisica del Gran Sasso'.

A supporto della tecnologia di Giuliani vi è anche la dichiarazione del responsabile dell'Osservatorio per la Tutela e lo Sviluppo dei Diritti dell'Associazione, 'Giuseppe Dossetti', Corrado Stillo, il quale afferma:

'Chiediamo che quanto prima si apra un serio dibattito sul perche' studi di previsione dei ricercatori italiani sulla possibile previsione di terremoti non sono presi in considerazione. Non e' l'ora delle polemiche ma e' opportuno che in un Paese sismico come il nostro gli studi sulle previsioni basate sull'emissione di gas radon siano valutate come avviene in altri Paesi, tra cui il Giappone, dove da tempo i dati sul radon vengono presi ed analizzati dagli esperti'.

07 maggio 2009

Thermite. La prova scientifica della demolizione delle torri



Un recente articolo pubblicato da nove noti scienziati sulla rispettabile rivista scientifica soggetta a peer-review “Open Chemical Physics Journal”, offre prove inconfutabili riguardo al fatto che la polvere derivata dal crollo delle Twin Towers e dell’edificio 7 del World Trade Center contenga piccoli campioni intatti di Thermite. [1]

La Thermite è un agente altamente esplosivo consistente soprattutto in alluminio e ossido di ferro, e viene normalmente utilizzato per tagliare l’acciaio nelle demolizioni controllate, nonchè nelle saldature e nell’ambito militare.

Utilizzando il microscopio elettronico, la “scanning electron microscopy”, la spettroscopia dispersiva differenziale a raggi-X (“X-ray energy dispersive spectroscopy”) e la calorimetria differenziale, gli scienziati sono stati in grado di dimostrare che la Thermite individuata era di un tipo speciale chiamato Nano-Thermite o Superthermite. Essa brucia ad una temperatura elevata e ha una più bassa temperatura di accensione rispetto alla Thermite normale, inoltre viene prodotta in laboratori come il “Lawrence Livermore” che, guarda caso, è lo stesso laboratorio in cui venne prodotto l’antrace spedito poco dopo l’ 11 Settembre.

Nella foto: acciaio fuso cade dalle torri prima del crollo.

[Le colonne di acciaio delle torri tranciate di netto.]

La Nano-Thermite non può essere presente accidentalmente nei campioni di polvere prelevati in quattro luoghi diversi, né poteva essere il risultato delle operazioni di pulizia a ground-zero, dato che uno dei campioni fu recuperato all’incirca dieci minuti dopo il crollo della seconda torre. Tutti i campioni mostrarono la stessa struttura e composizione.

Ciò potrebbe spiegare il fiume di acciaio fuso (non alluminio) caduto da una delle torri, e il fatto che l’acciaio fuso stesso rimanesse tale tra le macerie per più di un mese dall’avvenimento dell’attacco.

Non esistono spiegazioni scientifiche per questo fenomeno se non quella dell’uso della Thermite, che può raggiungere temperature di 3500 gradi Celsius, mentre, se sottoposto a condizioni di temperatura normali, il combustibile per aviogetti raggiunge a malapena i 285 gradi Celsius. Ciò spiegherebbe tra l’altro anche la velocità di caduta, normalmente impossibile dal punto di vista fisico, dei tre edifici, e il loro crollo così uniforme.

E allora, cosa significa tutto questo? Significa che ci sono le prove (che finora nessuno è riuscito a confutare) che gli edifici del WTC (e più di tremila vite, contando anche le morti dei primi soccorritori e dei normali cittadini di NYC causate dalla polvere) sono caduti grazie ad una demolizione guidata in una maniera pianificata e decisa da qualcuno dell’amministrazione Bush, molto probabilmente per fungere da “evento catalizzatore” , la nuova “Pearl Harbor” ingenuamente definita dalla neo-con PNAC (Project for the New American Century) e designata a galvanizzare i cittadini americani a sostegno dell’attacco ad altre nazioni e alla restrizione dei diritti umani a casa propria. La “Full Specter Domination”.

Questa fu la scusa per invadere l’Afghanistan e l’Iraq (c’erano anche dei piani militari per conquistare la Siria e l’Iran, e forse altri paesi ), per giustificare lo spionaggio domestico, le sparizioni, le torture ed i massacri. Massacri basati sulle bugie e sull’inganno, e sull’uccisione di cittadini americani.

Sapendolo, come di certo egli saprà a tutt’oggi, che l’11 Settembre è stato concepito e attuato non da qualche sperduta e buia caverna dell’Afghanistan, ma piuttosto da qualche bunker nel freddo e umido Cheneystan , siamo sicuri che il presidente Obama continuerà ad insistere con il suo “guardare avanti”? Quanto profonda è la riserva americana di negazioni e smentite?

Provo dolore per tutte le vittime dell’11 Settembre, passate, presenti e future, ma specialmente sono tormentato per tutti quei poveracci che hanno scelto di buttarsi o sono caduti verso la morte. Sicuramente coloro che hanno compiuto questo scempio devono essere messi nelle mani della giustizia. Altrimenti l’America non guarderà mai avanti. Ha gli occhi chiusi e ciechi mentre farfuglia grosse stupidità.

[1] Vale qui la pena di riportare la traduzione della frase finale nelle conclusioni dell'articolo citato: “Sulla base di queste osservazioni concludiamo che lo strato rosso delle scheggie [chip] rosso-grigie da noi trovate nella polvere del World Trade Center è materiale termitico attivo ancora non sottoposto a reazione, incorporante della nanotecnologia, ed è un materiale pirotecnico o esplosivo fortemente energetico.” N.d.r.

John S. Hatch è uno scrittore e regista di Vancouver. Mail: john.s.hatch@gmail.com