02 giugno 2009
Destra e sinistra unite dai portaborse
Ricordate lo scontro tra la destra e la sinistra durante l`ultima campagna elettorale in Sardegna? Pareva la battaglia all`ultimo sangue tra Orazi e Curiazi. Bene, pochi mesi dopo i protagonisti di quella sanguinosissima disfida hanno trovato un punto su cui andare d`amore e d`accordo: la sistemazione dei portaborse. Sempre la solita storia, già denunciata al Sud in Calabria, in Sicilia e in Campania ma anche al Nord in Friuli Venezia Giulia e in Veneto, dove l`unico a mettersi di traverso («è una vergogna!») fu il governatore Giancarlo Galan. La legge è chiara: nei posti pubblici si accede per concorsi pubblici. E proprio perché le norme sono state troppo spesso violate (perfino al Quirinale dove Napolitano ha preso l`impegno di ripristinare le gare dopo un`eternità, dato che l`ultimo concorso risale al 1963, l`anno in cui tutti i bambini del mondo battevano le mani a Semola, il bambino de «La spada nella roccia») sarebbe indispensabile rispettarle oggi. Tanto più dopo che Renato Brunetta ha scatenato la sua offensiva per rimuovere alcune incrostazioni del pubblico impiego. Macché, in Sardegna si è rimesso in moto il solito meccanismo: l`elettore che ti ha votato, l`amico, il parente o il militante di partito vengono «provvisoriamente» assunti senza concorso: tanto, si tratta solo di un «contrattino» di pochi mesi... Un contrattino dovuto al rapporto di fiducia che deve esistere tra chi viene eletto come consigliere e i suoi principali collaboratori. Fiducia indispensabile: un comunista non accetterebbe mai di vedersi assegnare un collaboratore di destra, un post-fascista non accetterebbe mai di vedersi assegnare un collaboratore sinistrorso. Giusto così, sulla carta, tanto è vero che, ad esempio, Camera e Senato danno oltre quattromila curo al mese a ogni parlamentare perché possa prendere «provvisoriamente», finché resta in carica, un paio di persone di fiducia. La regola è: chiuso il mandato parlamentare, chiuso il rapporto di lavoro del portaborse. Ovvio. Un emendamento presentato dalla sinistra oggi all`opposizione ma subito accolto dalla destra, che gode di una maggioranza schiacciante dopo la vittoria in febbraio di Ugo Cappellacci contro Renato Sorti, ha invece consentito a Cagliari la nuova «aggiustatina» del principio. Nella legge finanziaria 2009 appena pubblicata dal bollettino ufficiale della regione Sardegna, al comma 55 dell`articolo uno c`è scritto che l`Amministrazione regionale «subentra» ai Gruppi consiliari «nei rapporti giuridici ed economici con il personale». Il tutto con una serie di dettagli di contorno di estremo favore. Quanti saranno a beneficiarne? Risposta ufficiale: poco più di una ventina. Ma la vaghezza sulle date lascia capire che le maglie potrebbero essere molto, molto, molto più larghe... «Una porcheria. Io ho in tasca la tessera di An ma non accetto che la destra, proprio oggi che conduce una battaglia sul pubblico impiego per certi aspetti giusta ma anche venata spesso di qualunquismo, usi la legge finanziaria per assumere con un contratto definitivo persone che non hanno fatto alcun concorso», accusa Luciano Melis, segretario del sindacato autonomo Sadirs. Parole d`oro. Troppo facile sparacchiare proclami demagogici e poi governare con le piccole clientele locali...
di Gian Antonio Stella
01 giugno 2009
Oltre la crisi deve esserci la sostenibilità?
Quando abbiamo parlato di “nuovo paradigma economico” riferendoci a quanto sta praticando Obama negli Usa, sottolineavamo che di fronte alla crisi ecologica forse era “quasi niente”. Ma che nel confronto con quanto sta accadendo nel mondo era “quasi tutto”. Quasi niente perché – pur potentissima e capace di svolgere un´egemonia a livello planetario– è comunque una federazione di Stati che agisce sul proprio territorio. Che non significa una governance mondiale per affrontare la crisi, quindi, anche se è pur sempre un’azione di governo che sembra avere come criterio direttore la sostenibilità ambientale e sociale. Per questo è anche “quasi tutto”.
Lo si capisce bene leggendo quanto dichiarato dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (Sole 24 Ore di oggi) che pensando al dopo crisi, punta forte (ed è comunque positivo) sull’economia verde, ma come “driver futuro della crescita”. Un driver, dunque, buono ora per crescere e che un domani potrà essere abbandonato per un altro driver. Siamo invece certi che Obama non abbia - anche lui nei suoi punti di riferimento - la crescita? Assolutamente no, anzi, ma nelle sue azioni - oltre che nei suoi discorsi - la barra l’ha sempre tenuta sulla necessità di affrontare le sfide ambientali, in primis il cambiamento climatico e l’energia, non dopo aver affrontato la crisi, bensì per uscire dalla crisi e per costruire un futuro sostenibile no oil. Questo non significa appunto frenare la crescita ma indirizzarla verso un modello nuovo.
La differenza salta all’occhio. Se il paragone tra Italia e Usa però avesse stancato, quale sia il pensiero dominante in Confindustria e, diciamo noi, anche nel governo italiano lo esprime ancora una volta chiaramente Alberto Alesina nel suo editoriale odierno sulla crisi. Dopo un’accurata ricostruzione di quello che è stato il new deal americano, che non commentiamo e prendiamo per buona, sono le conclusioni che lasciano perplessi e che spiegano dove sta, dal nostro punto di vista, l’inghippo.
Scrive Alesina: «La lezione da trarre da questa crisi è quella che ha tratteggiato Guido Tabellini sul Sole del 7 maggio. Ovvero, il capitalismo dopo questo shock non cambierà. Riscriveremo alcune regole per mercati finanziari. Cercheremo di migliorare la supervisione e gli incentivi per i manager della finanza, oltre a cambiarne parecchi. Ma il capitalismo anglosassone, fondato sul mercato, continuerà ad essere quello che produce più crescita. Teniamocelo».
Due interrogativi: il primo, chi sta proponendo nel dibattito in corso un modello diverso da quello capitalistico fondato sul mercato? Il secondo, se tutto va bene o quasi, di cosa stiamo parlando?
Da ambientalisti che studiano l’economia convinti che solo da qui si possa combattere la battaglia della sostenibilità, ci pare evidente che l’analisi di una parte degli economisti – Alesina in testa – semplicemente fa i conti senza l’oste. L’oste è la crisi ecologica, che Alesina evidentemente non ritiene di interesse e da affrontare se non magari quando sarà risolta la crisi economica. A differenza di Stiglitz, per dirne uno. O di Stern, per dirne un altro.
E’ chiaro che se la si omette e si pensa che le risorse del pianeta – vedi altro pezzo di greenreport di oggi sui flussi di materia – siano infinite, l’unico orizzonte è quello di rimettere il treno sul vecchio binario e al massimo registrare qualche dado della ferrovia e del motore. A cantarla ad Alesina, però, stavolta non siamo solo noi ‘sporchi’ ambientalisti, ma Marzio Galeotti (de la voce.info e già intervistato più volte anche da greenreport) che proprio sul Sole di oggi lo incalza.
Lo spunto è l’intervento di Alesina del 28 aprile, dove sosteneva che «se uscire dalla crisi nel 2010 significa inquinare ancora per un anno ai ritmi attuali, facciamolo pure. Poi con calma, usciti dal panico per la crisi e dal rischio di una lunga depressione, ci dedicheremo con rinnovato vigore a proteggere l’ambiente».
Galeotti dissente da questa analisi e spiega che: «Se stiamo alla stretta tempistica vale la pena ricordare che il pacchetto europeo energia-clima e la strategia energetica-climatica contenuta nel programma elettorale di Barack Obama precedono lo scoppio della crisi economica e finanziaria». Nella sostanza la questione è chiara: la crisi ecologica era già scoppiata prima di quella economico-finanziaria.
Per uscire dalla triplice crisi, dunque, si devono affrontare tutti insieme i tre corni e la strada per noi più opportuna è quella di un nuovo modello economico basato sulla sostenibilità ambientale e sociale. Per altri la crisi ecologica si affronterà casomai dopo aver affrontato quella economico-finanziaria. Per altri ancora la crisi ecologica non esiste.
In campo dunque tre posizioni (prima la nostra neppure c’era e quindi c’è di che essere ottimisti). Con Obama però che nel frattempo si è portato un pezzo avanti verso la sostenibilità (pur con tutti i logici compromessi e le contraddizioni del caso), mentre gli altri arrancano, o lo inseguono in ordine sparso o, i più, discutono…
31 maggio 2009
Perchè gli economisti dovrebbero imparare l'aritmetica?
L’ultima moda nei circoli della politica di Washington DC riguarda la creazione di “un regolatore di rischio sistematico” per far sì che il paese non debba più trovarsi in situazioni di crisi come quella attuale. Questa spinta è una parte dell’operazione di copertura su come le cose sono andate realmente e non ha veramente nulla a che vedere con i reali fattori, le reali cause che hanno portato il paese al collasso economico e finanziario.
Il punto chiave che tutti devono tenere ben presente è che la storia del collasso non è una storia difficile e/o complessa. Non abbiamo di certo bisogno di grandi menti che analizzino enormi quantità di dati o creino verosimili simulazioni al computer per scoprire quale sia il vero problema che sta alla base dell’economia. Abbiamo solo bisogno di persone che abbiano imparato i principi dell’aritmetica che molti di noi hanno appreso in terza elementare.
Se le persone ai vertici della FED, del Tesoro, o che occupano altre posizioni, avessero veramente appreso i principi aritmetici, e fossero veramente preparati per il loro compito, avrebbero facilmente potuto prevenire la crescita smisurata della bolla immobiliare. Avrebbero potuto prevedere l’eccessivo accrescimento della bolla fino al collasso, con le inevitabili conseguenze per l’economia americana e mondiale.
Ripetiamo dunque i fatti di base: i prezzi delle case hanno iniziato a divergere in maniera consistente dal trend degli ultimi 100 anni negli anni 90, quando il benessere creato dalla bolla azionaria ha iniziato ad esercitare una fortissima pressione sui prezzi degli immobili. Dopo aver seguito l’inflazione negli ultimi 100 anni, i prezzi delle case avevano sostanzialmente superato i tassi di inflazione.
Non c’erano spiegazioni neppure remotamente plausibili per la crescita del prezzo delle abitazioni, né in base alla disponibilità, né tantomeno in base alla domanda. La crescita dei salari fu buona, ma non straordinaria soprattutto negli ultimi anni 90. Nella decade corrente, i salari sono leggermente diminuiti dopo essersi allineati con l’inflazione. Dal punto di vista delle disponibilità, tra il 2001 e il 2006 sono state costruite quantità di case da record, segno questo dell’assenza di sostanziali impedimenti nella costruzione.
Come altro segno di chiaro avvicinamento alla bolla, tenendo conto dell’inflazione gli affitti non aumentavano, indicando che non c’era una mancanza degna di nota di case a far alzare di molto i prezzi. Nel 2006, momento di picco, i prezzi delle case, tenendo conto dell’inflazione, erano aumentati di più del 70 %, producendo più di 8 trilioni di dollari nella bolla sul valore delle case. Era assolutamente prevedibile che la perdita di così tanto denaro (110 mila dollari per ciascun proprietario di un immobile) avrebbe portato a una recessione così severa e creato soprattutto la crisi finanziaria a cui ora stiamo assistendo.
In condizioni normali le case danno un buon rapporto di indebitamento, con pagamenti che non superano il 20 per cento. Negli anni della bolla, era cosa comune per i compratori di immobili prendere in prestito l’intera somma per pagare l’acquisto e anche una minima percentuale supplementare. Ogni economista o finanziere degno di questo nome avrebbe capito che quando la bolla sarebbe scoppiata ci sarebbe stato l’inferno nell’economia finanziaria.
In breve, le prove erano a disposizione di tutti coloro che avessero guardato con un po’ di attenzione tutta la situazione. Non c’è bisogno di super-geni per risolvere questo mistero. C’è solo bisogno di un economista che sappia usare i principi dell’aritmetica. Ma la politica di Washington ci dice che questo disastro avrebbe potuto essere evitato solo se avessimo avuto un “regolatore di rischio sistematico”.
Ok, ora facciamo un esperimento a livello ideale. Supponiamo che nel 2002 avessimo avuto questo fantomatico “regolatore di rischio sistematico”. Questa persona sarebbe mai andata da Alan Greenspan per dirgli che ci si stava avviando verso la bolla e che l’economia avrebbe subito una crisi dura come quella odierna?
Ricordate, prima della crisi Greenspan era noto come “il Maestro” [in italiano nel testo N.d.r.]. Politici, giornalisti ed economisti mettevano sempre in pratica tutte le perle di saggezza che uscivano dalla sua bocca. Infatti, quando nel 2005 disse di volersi ritirare, molti dei leader mondiali dell’economia e banchieri si riunirono a Jackson Hole, nel Wyoming, per dibattere sul fatto che Alan Greenspan fosse il migliore banchiere centrale di tutti i tempi.
Alan Greenspan affermò che non c’era alcuna bolla; tutto era a posto. Il nostro regolatore di rischio sistematico avrebbe mai potuto affermare che Greenspan era un pazzo e che l’intero sistema economico era un castello di carte vicino al collasso?
Tutti coloro che credono che la presenza di un regolatore di rischio sistematico avrebbe potuto cavarsela meglio di Alan Greenspan, non conoscono il modo di agire di Washington. Il governo è composto da persone che prima di tutto, e soprattutto, vogliono fare carriera.
E il modo migliore per fare carriera a Washington è andare dietro a chi ha già detto qualcosa. Se tutto ciò non era ovvio prima del collasso, ora certamente lo è.
Quante persone all’interno del governo hanno perso il loro lavoro per non aver saputo prevedere la crisi? Quante altre invece hanno ottenuto una promozione? Infatti, i personaggi più rilevanti in campo economico nella squadra di Obama, tutti, senza eccezione, non sono riusciti a prevedere la bolla. Alcuni potrebbero pensare che si tratti di un requisito per lavorare.
Questa mancanza di responsabilità tra economisti e analisti finanziari è il problema vero e proprio che deve essere preso in considerazione. Fino a che non si costringerà questi signori ad assumersi le proprie responsabilità, come invece succede per i custodi o i lavapiatti, non ci sarà mai alcun incentivo a uscire dal mucchio e far notare disastri in agguato come la bolla immobiliare.
La realtà è che noi già abbiamo un regolatore di rischio sistematico. Si chiama Federal Reserve Board. Lo hanno spento del tutto. Faremmo meglio a prevenire un’altra crisi facendo assumere al nostro attuale regolatore di rischio la responsabilità del suo fallimento (licenziando persone) piuttosto che facendo finta di avere un qualche buco nella nostra struttura regolatrice e creare una burocrazia persino peggiore di questa.
E naturalmente dovremmo insegnare l’aritmetica ai nostri economisti.
Dean Baker è co-direttore del Center for Economic and Policy Research (CEPR). È autore di Plunder and Blunder: The Rise and Fall of the Bubble Economy.
02 giugno 2009
Destra e sinistra unite dai portaborse
Ricordate lo scontro tra la destra e la sinistra durante l`ultima campagna elettorale in Sardegna? Pareva la battaglia all`ultimo sangue tra Orazi e Curiazi. Bene, pochi mesi dopo i protagonisti di quella sanguinosissima disfida hanno trovato un punto su cui andare d`amore e d`accordo: la sistemazione dei portaborse. Sempre la solita storia, già denunciata al Sud in Calabria, in Sicilia e in Campania ma anche al Nord in Friuli Venezia Giulia e in Veneto, dove l`unico a mettersi di traverso («è una vergogna!») fu il governatore Giancarlo Galan. La legge è chiara: nei posti pubblici si accede per concorsi pubblici. E proprio perché le norme sono state troppo spesso violate (perfino al Quirinale dove Napolitano ha preso l`impegno di ripristinare le gare dopo un`eternità, dato che l`ultimo concorso risale al 1963, l`anno in cui tutti i bambini del mondo battevano le mani a Semola, il bambino de «La spada nella roccia») sarebbe indispensabile rispettarle oggi. Tanto più dopo che Renato Brunetta ha scatenato la sua offensiva per rimuovere alcune incrostazioni del pubblico impiego. Macché, in Sardegna si è rimesso in moto il solito meccanismo: l`elettore che ti ha votato, l`amico, il parente o il militante di partito vengono «provvisoriamente» assunti senza concorso: tanto, si tratta solo di un «contrattino» di pochi mesi... Un contrattino dovuto al rapporto di fiducia che deve esistere tra chi viene eletto come consigliere e i suoi principali collaboratori. Fiducia indispensabile: un comunista non accetterebbe mai di vedersi assegnare un collaboratore di destra, un post-fascista non accetterebbe mai di vedersi assegnare un collaboratore sinistrorso. Giusto così, sulla carta, tanto è vero che, ad esempio, Camera e Senato danno oltre quattromila curo al mese a ogni parlamentare perché possa prendere «provvisoriamente», finché resta in carica, un paio di persone di fiducia. La regola è: chiuso il mandato parlamentare, chiuso il rapporto di lavoro del portaborse. Ovvio. Un emendamento presentato dalla sinistra oggi all`opposizione ma subito accolto dalla destra, che gode di una maggioranza schiacciante dopo la vittoria in febbraio di Ugo Cappellacci contro Renato Sorti, ha invece consentito a Cagliari la nuova «aggiustatina» del principio. Nella legge finanziaria 2009 appena pubblicata dal bollettino ufficiale della regione Sardegna, al comma 55 dell`articolo uno c`è scritto che l`Amministrazione regionale «subentra» ai Gruppi consiliari «nei rapporti giuridici ed economici con il personale». Il tutto con una serie di dettagli di contorno di estremo favore. Quanti saranno a beneficiarne? Risposta ufficiale: poco più di una ventina. Ma la vaghezza sulle date lascia capire che le maglie potrebbero essere molto, molto, molto più larghe... «Una porcheria. Io ho in tasca la tessera di An ma non accetto che la destra, proprio oggi che conduce una battaglia sul pubblico impiego per certi aspetti giusta ma anche venata spesso di qualunquismo, usi la legge finanziaria per assumere con un contratto definitivo persone che non hanno fatto alcun concorso», accusa Luciano Melis, segretario del sindacato autonomo Sadirs. Parole d`oro. Troppo facile sparacchiare proclami demagogici e poi governare con le piccole clientele locali...
di Gian Antonio Stella
01 giugno 2009
Oltre la crisi deve esserci la sostenibilità?
Quando abbiamo parlato di “nuovo paradigma economico” riferendoci a quanto sta praticando Obama negli Usa, sottolineavamo che di fronte alla crisi ecologica forse era “quasi niente”. Ma che nel confronto con quanto sta accadendo nel mondo era “quasi tutto”. Quasi niente perché – pur potentissima e capace di svolgere un´egemonia a livello planetario– è comunque una federazione di Stati che agisce sul proprio territorio. Che non significa una governance mondiale per affrontare la crisi, quindi, anche se è pur sempre un’azione di governo che sembra avere come criterio direttore la sostenibilità ambientale e sociale. Per questo è anche “quasi tutto”.
Lo si capisce bene leggendo quanto dichiarato dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (Sole 24 Ore di oggi) che pensando al dopo crisi, punta forte (ed è comunque positivo) sull’economia verde, ma come “driver futuro della crescita”. Un driver, dunque, buono ora per crescere e che un domani potrà essere abbandonato per un altro driver. Siamo invece certi che Obama non abbia - anche lui nei suoi punti di riferimento - la crescita? Assolutamente no, anzi, ma nelle sue azioni - oltre che nei suoi discorsi - la barra l’ha sempre tenuta sulla necessità di affrontare le sfide ambientali, in primis il cambiamento climatico e l’energia, non dopo aver affrontato la crisi, bensì per uscire dalla crisi e per costruire un futuro sostenibile no oil. Questo non significa appunto frenare la crescita ma indirizzarla verso un modello nuovo.
La differenza salta all’occhio. Se il paragone tra Italia e Usa però avesse stancato, quale sia il pensiero dominante in Confindustria e, diciamo noi, anche nel governo italiano lo esprime ancora una volta chiaramente Alberto Alesina nel suo editoriale odierno sulla crisi. Dopo un’accurata ricostruzione di quello che è stato il new deal americano, che non commentiamo e prendiamo per buona, sono le conclusioni che lasciano perplessi e che spiegano dove sta, dal nostro punto di vista, l’inghippo.
Scrive Alesina: «La lezione da trarre da questa crisi è quella che ha tratteggiato Guido Tabellini sul Sole del 7 maggio. Ovvero, il capitalismo dopo questo shock non cambierà. Riscriveremo alcune regole per mercati finanziari. Cercheremo di migliorare la supervisione e gli incentivi per i manager della finanza, oltre a cambiarne parecchi. Ma il capitalismo anglosassone, fondato sul mercato, continuerà ad essere quello che produce più crescita. Teniamocelo».
Due interrogativi: il primo, chi sta proponendo nel dibattito in corso un modello diverso da quello capitalistico fondato sul mercato? Il secondo, se tutto va bene o quasi, di cosa stiamo parlando?
Da ambientalisti che studiano l’economia convinti che solo da qui si possa combattere la battaglia della sostenibilità, ci pare evidente che l’analisi di una parte degli economisti – Alesina in testa – semplicemente fa i conti senza l’oste. L’oste è la crisi ecologica, che Alesina evidentemente non ritiene di interesse e da affrontare se non magari quando sarà risolta la crisi economica. A differenza di Stiglitz, per dirne uno. O di Stern, per dirne un altro.
E’ chiaro che se la si omette e si pensa che le risorse del pianeta – vedi altro pezzo di greenreport di oggi sui flussi di materia – siano infinite, l’unico orizzonte è quello di rimettere il treno sul vecchio binario e al massimo registrare qualche dado della ferrovia e del motore. A cantarla ad Alesina, però, stavolta non siamo solo noi ‘sporchi’ ambientalisti, ma Marzio Galeotti (de la voce.info e già intervistato più volte anche da greenreport) che proprio sul Sole di oggi lo incalza.
Lo spunto è l’intervento di Alesina del 28 aprile, dove sosteneva che «se uscire dalla crisi nel 2010 significa inquinare ancora per un anno ai ritmi attuali, facciamolo pure. Poi con calma, usciti dal panico per la crisi e dal rischio di una lunga depressione, ci dedicheremo con rinnovato vigore a proteggere l’ambiente».
Galeotti dissente da questa analisi e spiega che: «Se stiamo alla stretta tempistica vale la pena ricordare che il pacchetto europeo energia-clima e la strategia energetica-climatica contenuta nel programma elettorale di Barack Obama precedono lo scoppio della crisi economica e finanziaria». Nella sostanza la questione è chiara: la crisi ecologica era già scoppiata prima di quella economico-finanziaria.
Per uscire dalla triplice crisi, dunque, si devono affrontare tutti insieme i tre corni e la strada per noi più opportuna è quella di un nuovo modello economico basato sulla sostenibilità ambientale e sociale. Per altri la crisi ecologica si affronterà casomai dopo aver affrontato quella economico-finanziaria. Per altri ancora la crisi ecologica non esiste.
In campo dunque tre posizioni (prima la nostra neppure c’era e quindi c’è di che essere ottimisti). Con Obama però che nel frattempo si è portato un pezzo avanti verso la sostenibilità (pur con tutti i logici compromessi e le contraddizioni del caso), mentre gli altri arrancano, o lo inseguono in ordine sparso o, i più, discutono…
31 maggio 2009
Perchè gli economisti dovrebbero imparare l'aritmetica?
L’ultima moda nei circoli della politica di Washington DC riguarda la creazione di “un regolatore di rischio sistematico” per far sì che il paese non debba più trovarsi in situazioni di crisi come quella attuale. Questa spinta è una parte dell’operazione di copertura su come le cose sono andate realmente e non ha veramente nulla a che vedere con i reali fattori, le reali cause che hanno portato il paese al collasso economico e finanziario.
Il punto chiave che tutti devono tenere ben presente è che la storia del collasso non è una storia difficile e/o complessa. Non abbiamo di certo bisogno di grandi menti che analizzino enormi quantità di dati o creino verosimili simulazioni al computer per scoprire quale sia il vero problema che sta alla base dell’economia. Abbiamo solo bisogno di persone che abbiano imparato i principi dell’aritmetica che molti di noi hanno appreso in terza elementare.
Se le persone ai vertici della FED, del Tesoro, o che occupano altre posizioni, avessero veramente appreso i principi aritmetici, e fossero veramente preparati per il loro compito, avrebbero facilmente potuto prevenire la crescita smisurata della bolla immobiliare. Avrebbero potuto prevedere l’eccessivo accrescimento della bolla fino al collasso, con le inevitabili conseguenze per l’economia americana e mondiale.
Ripetiamo dunque i fatti di base: i prezzi delle case hanno iniziato a divergere in maniera consistente dal trend degli ultimi 100 anni negli anni 90, quando il benessere creato dalla bolla azionaria ha iniziato ad esercitare una fortissima pressione sui prezzi degli immobili. Dopo aver seguito l’inflazione negli ultimi 100 anni, i prezzi delle case avevano sostanzialmente superato i tassi di inflazione.
Non c’erano spiegazioni neppure remotamente plausibili per la crescita del prezzo delle abitazioni, né in base alla disponibilità, né tantomeno in base alla domanda. La crescita dei salari fu buona, ma non straordinaria soprattutto negli ultimi anni 90. Nella decade corrente, i salari sono leggermente diminuiti dopo essersi allineati con l’inflazione. Dal punto di vista delle disponibilità, tra il 2001 e il 2006 sono state costruite quantità di case da record, segno questo dell’assenza di sostanziali impedimenti nella costruzione.
Come altro segno di chiaro avvicinamento alla bolla, tenendo conto dell’inflazione gli affitti non aumentavano, indicando che non c’era una mancanza degna di nota di case a far alzare di molto i prezzi. Nel 2006, momento di picco, i prezzi delle case, tenendo conto dell’inflazione, erano aumentati di più del 70 %, producendo più di 8 trilioni di dollari nella bolla sul valore delle case. Era assolutamente prevedibile che la perdita di così tanto denaro (110 mila dollari per ciascun proprietario di un immobile) avrebbe portato a una recessione così severa e creato soprattutto la crisi finanziaria a cui ora stiamo assistendo.
In condizioni normali le case danno un buon rapporto di indebitamento, con pagamenti che non superano il 20 per cento. Negli anni della bolla, era cosa comune per i compratori di immobili prendere in prestito l’intera somma per pagare l’acquisto e anche una minima percentuale supplementare. Ogni economista o finanziere degno di questo nome avrebbe capito che quando la bolla sarebbe scoppiata ci sarebbe stato l’inferno nell’economia finanziaria.
In breve, le prove erano a disposizione di tutti coloro che avessero guardato con un po’ di attenzione tutta la situazione. Non c’è bisogno di super-geni per risolvere questo mistero. C’è solo bisogno di un economista che sappia usare i principi dell’aritmetica. Ma la politica di Washington ci dice che questo disastro avrebbe potuto essere evitato solo se avessimo avuto un “regolatore di rischio sistematico”.
Ok, ora facciamo un esperimento a livello ideale. Supponiamo che nel 2002 avessimo avuto questo fantomatico “regolatore di rischio sistematico”. Questa persona sarebbe mai andata da Alan Greenspan per dirgli che ci si stava avviando verso la bolla e che l’economia avrebbe subito una crisi dura come quella odierna?
Ricordate, prima della crisi Greenspan era noto come “il Maestro” [in italiano nel testo N.d.r.]. Politici, giornalisti ed economisti mettevano sempre in pratica tutte le perle di saggezza che uscivano dalla sua bocca. Infatti, quando nel 2005 disse di volersi ritirare, molti dei leader mondiali dell’economia e banchieri si riunirono a Jackson Hole, nel Wyoming, per dibattere sul fatto che Alan Greenspan fosse il migliore banchiere centrale di tutti i tempi.
Alan Greenspan affermò che non c’era alcuna bolla; tutto era a posto. Il nostro regolatore di rischio sistematico avrebbe mai potuto affermare che Greenspan era un pazzo e che l’intero sistema economico era un castello di carte vicino al collasso?
Tutti coloro che credono che la presenza di un regolatore di rischio sistematico avrebbe potuto cavarsela meglio di Alan Greenspan, non conoscono il modo di agire di Washington. Il governo è composto da persone che prima di tutto, e soprattutto, vogliono fare carriera.
E il modo migliore per fare carriera a Washington è andare dietro a chi ha già detto qualcosa. Se tutto ciò non era ovvio prima del collasso, ora certamente lo è.
Quante persone all’interno del governo hanno perso il loro lavoro per non aver saputo prevedere la crisi? Quante altre invece hanno ottenuto una promozione? Infatti, i personaggi più rilevanti in campo economico nella squadra di Obama, tutti, senza eccezione, non sono riusciti a prevedere la bolla. Alcuni potrebbero pensare che si tratti di un requisito per lavorare.
Questa mancanza di responsabilità tra economisti e analisti finanziari è il problema vero e proprio che deve essere preso in considerazione. Fino a che non si costringerà questi signori ad assumersi le proprie responsabilità, come invece succede per i custodi o i lavapiatti, non ci sarà mai alcun incentivo a uscire dal mucchio e far notare disastri in agguato come la bolla immobiliare.
La realtà è che noi già abbiamo un regolatore di rischio sistematico. Si chiama Federal Reserve Board. Lo hanno spento del tutto. Faremmo meglio a prevenire un’altra crisi facendo assumere al nostro attuale regolatore di rischio la responsabilità del suo fallimento (licenziando persone) piuttosto che facendo finta di avere un qualche buco nella nostra struttura regolatrice e creare una burocrazia persino peggiore di questa.
E naturalmente dovremmo insegnare l’aritmetica ai nostri economisti.
Dean Baker è co-direttore del Center for Economic and Policy Research (CEPR). È autore di Plunder and Blunder: The Rise and Fall of the Bubble Economy.