11 luglio 2009

Perché la stampa inglese attacca l'Italia...


E' in atto un'operazione coperta contro il Governo italiano. Si tratta della ripetizione di quell'operazione che già scoppiò intorno a Clinton a fine anni '90. Oggi come allora, è il "fattore LaRouche" a rendere necessarie operazioni multilivello che passano dai media ai tribunali ai servizi segreti deviati, di modo da screditare, delegittimare, privare di autorevolezza ogni volontà politica riformatrice dell'attuale ordine finanziario internazionale alla luce di un principio di giustizia che riporti le Nazioni verso un'epoca di sviluppo e di pace. Infatti il ministro Tremonti, che è allo stato attuale una delle personalità più ascoltate in Europa, sostiene la Nuova Bretton Woods, il progetto per un nuovo sistema finanziario internazionale che Lyndon LaRouche propose nel febbraio del 1997 e che Bill Clinton e il Segretario al Tesoro Robert Rubin presero in considerazione qualche mese più tardi. Ecco che mentre Bill Clinton vide inibita ogni sua capacità politica con lo scandalo Lewinsky, l'Italia rischia di subire oggi il medesimo destino, in un 2009 durante il quale ricoprirà il ruolo di presidente del G8.

Un cittadino dotato di un minimo senso critico dovrebbe chiedersi del perché della recente pioggia di scandali e critiche espresse al Governo italiano proprio in questo momento. La risposta più immediata potrebbe essere quella della importante fase pre-elettorale appena conclusasi in Italia. Ma in realtà vi è molto di più. Vi è molto di più perché al "caso Berlusconi" hanno partecipato in primo luogo i media internazionali. Da Repubblica, a El Pais, alla Bbc, alla Cnn, si tratta di una rete mediatica legata ai circoli bancari londinesi, ed a personaggi a questi legatissimi come Carlo De Benedetti, George Soros, Ted Turner. Anche i "moralizzatori", quelli che ce l'hanno con la politica, come Di Pietro e Grillo per esempio, sono complici di questi circoli. Non è un caso per esempio che Grillo durante uno spettacolo dell'inverno del 2003, definì il megaspeculatore George Soros ed il magnate dei media Ted Turner, come modelli di capitalismo etico. Tanto sono "etici" che entrambi aderiscono alle tesi neomaltusiane (per la riduzione della popolazione mondiale) [1].

La cittadinanza dovrebbe dunque quanto meno prendere le distanze da una operazione che è un palese tentativo di condizionare la sovranità politica italiana da parte di forze private nazionali ed estere.

In Italia gli scandali intorno al Presidente Berlusconi hanno rappresentato l'ancora di salvataggio a cui è ricorso il potentato finanziario dietro al Gruppo L'Espresso per impedire la disintegrazione della creatura politica che sponsorizzano, il Partito Democratico. Dunque, il dato politico principale della faccenda è che il PD si trova ad un livello di pochezza ideale da farsi dettare l'agenda politica dal gossip de La Repubblica piuttosto che fare politica intorno a questioni fondanti. Tuttavia tra queste questioni fondanti vi è la riforma del sistema finanziario internazionale che il Governo italiano non riesce a portare avanti a livello di G8 o G20 – ma allora qui si dovrebbe rivolgere un duro atto di accusa verso Gordon Brown! – ; la questione del flusso creditizio che non arriva alle banche – ed allora qui si dovrebbe dar ragione a Tremonti quando propone i Tremonti Bond e decide di istituire il controllo prefettizio sulle banche, invece che invocare il "trascendentale" principio dell'indipendenza delle banche! – ; la questione Alitalia, che era opportuno tenere in mano pubblica e rifinanziare – ma allora qui invece che rivolgere un j'accuse al Governo lo si dovrebbe rivolgere alla legislazione europea! – . Queste vicende mostrano le lacune del patrimonio ideale dell'attuale PD e del ventennale conformarsi della sua dirigenza all'ideologia liberista e alla globalizzazione finanziaria. Si tratta di un vero e proprio tradimento di quello che dovrebbe essere il patrimonio genetico del Partito Democratico, così come si espresse durante l'era di Franklin Delano Roosevelt, in quanto esperienza decisiva dal punto di vista storico, sia sul fronte economico che sul fronte delle relazioni internazionali.

La presidenza del G8 all'Italia


Così La Repubblica si è avvantaggiata delle operazioni sporche di personaggi su cui la magistratura dovrebbe aprire un'inchiesta per verificare se appartenenti o comunque vicini ai servizi segreti deviati – mentre il PD si è avvantaggiato dell'inchiesta di Repubblica. A livello elettorale tutto ciò è costato in termini di voti quasi dieci punti percentuali al PdL, ma ha fatto riguadagnare al PD ben pochi punti percentuali rispetto ai minimi di consenso a cui veniva dato.

Ma a queste vicende è stata data un'eco internazionale, mentre appunto l'Italia per questo 2009 riveste il ruolo di presidente in seno agli incontri del G8. Se l'Italia non avesse rivestito questo ruolo, la grande eco internazionale data al sexygate di Berlusconi non ci sarebbe stata. Ma invece Berlusconi, pur con i suoi chiari limiti, evidenziati dalle ripetute dichiarazioni sul fatto che la crisi sarebbe solo "psicologica", ha scelto come superministro dell'Economia un personaggio un po' eccentrico come Tremonti, che nonostante sia un uomo fedele alla politica del premier, gode trasversalmente della simpatia e del rispetto di gran parte dei politici e dei cittadini italiani. E per l'oligarchia finanziaria la pericolosità del Governo Berlusconi risiede in particolare nel Giulio Tremonti che parla di valori e di morale, che parla di legge e politica sovraordinata ai desiderata dei banchieri, che partecipa ad incontri pubblici con Lyndon LaRouche, che non perde occasione per ricordare che il problema di fondo dell'attuale fase storica non sono le liberalizzazioni o la riforma delle pensioni – tutta roba che bastona lavoratori e pensionati per dare nuovi aiuti agli speculatori – quanto il magnetismo esercitato dai prodotti speculativi sulle banche e la parallela allergia che hanno verso l'economia reale. Secondo Tremonti l'attuale "stabilizzazione" del sistema finanziario decantata dai cosiddetti esperti in realtà significa soltanto porre le basi per una nuova crisi. Se non si neutralizza il meccanismo dei derivati e altri titoli altamente speculativi non si potrà effettuare un cambiamento vero.

Le cose che LaRouche sostiene, con la crisi finanziaria ed economica in corso fanno sempre più breccia anche tra chi finora credeva di poter fare politica accettando che la questione della sovranità creditizia e monetaria potesse essere lasciata alle autorità finanziarie ed ai banchieri. Se queste divengono oggetto di discussione tra più leader nazionali, l'oligarchia finanziaria rischia di ritrovarsi in serie difficoltà. E allora, anche per rifarsi all'articolo di Lodovico Festa comparso su Il Foglio del 30 giugno che centra piuttosto bene il punctum dolens di tutta la questione, il problema non è tanto ciò che ha fatto o detto sinora Tremonti, quanto il processo che egli potrebbe mettere in moto. [2]

Il dato comune dell'attacco scandalistico di oggi con quello che riguardò Bill Clinton nel 1998, è che oggi come allora sul tavolo di discussione di chi ricopre un ruolo che potrebbe essere cruciale per la storia, vi è la proposta di Nuova Bretton Woods di LaRouche. LaRouche di fatto è vittima di ostracismo, diffamazioni e menzogne da circa quarant'anni, ma la capacità del suo movimento politico di far arrivare le sue idee ai piani alti della politica mondiale è assai efficace. Di fatto i sexygate hanno la capacità di delegittimare agli occhi altrui, e di inibire la capacità propositiva di chi è fautore di proposte concettualmente complesse, che rompono con gli schemi a cui si è abituati.

Sia chiaro che qui non si prendono le difese di Berlusconi e tanto meno si intende addentrarsi negli scandali, ma si interviene sul fatto che essi vengano artatamente strumentalizzati per condizionare la sovranità nazionale italiana.

Claudio Giudici
Movimento Internazionale per i diritti civili - Solidarietà





Note:

[1] - Il 5 maggio alcuni tra i più ricchi personaggi del mondo si sono riuniti segretamente a New York. Tre settimane dopo, la notizia è finita sul Sunday Times, in un articolo di John Harlow intitolato "Club di miliardari si adopera per ridurre la popolazione", che ha anche rivelato l'ordine del giorno. La riunione sembra essere stata convocata su iniziativa di Bill Gates, l'uomo più ricco del mondo secondo Forbes e fondatore di Microsoft, dal numero due sulla lista di Forbes Warren Buffett (il quale ha versato 31 miliardi di dollari alla Fondazione Bill e Melinda Gates) e da David Rockefeller, [...]. Oltre a questi tre personaggi, alla riunione segreta erano presenti il sindaco di New York Michael Bloomberg, il famoso speculatore George Soros, il cofondatore del Blackstone Group Peter G. Peterson (tra i promotori dei tagli alla sanità pubblica), l'ex manager di hedge fund Julian H. Robertson Jr., l'ex presidente della Cisco Systems John Morgridge con la consorte Tashia, David Rockefeller Jr. e i magnate della comunicazione Ted Turner e Oprah Winfrey. "Inizialmente, i partecipanti si sono rifiutati di rivelare dettagli sulla riunione, durata cinque ore, citando un accordo per proteggerne il carattere confidenziale", ha riferito il Times. Apparentemente si è cominciato con un intervento di quindici minuti in cui ciascuno ha perorato la propria "causa" particolare. Poi a cena, secondo John Harlow, "prendendo spunto da Gates, hanno tutti concordato che la sovrappopolazione" fosse la "causa-ombrello" che abbraccia ogni altra preoccupazione. La seduta è stata talmente "discreta" che alcuni collaboratori dei miliardari credevano che il loro boss partecipasse a un "briefing sulla sicurezza". Un partecipante ha affermato che c'è stato consenso sull'appoggiare una strategia "per combattere la crescita demografica in quanto minaccia ambientale, sociale e industriale potenzialmente disastrosa". I governi sono stati giudicati incapaci di scongiurare il disastro incombente. Secondo ABC News, "La riunione ha ricordato quelle che si tenevano nello studio di J.P. Morgan, in cui si ritrovavano i più importanti finanzieri americani per discutere come i cittadini privati potessero fermare il panico economico". (Fonte EIR – Strategic Alert edizione italiana, n. 23, 4 giugno 2009).

[2] - Il Financial Times del 9 aprile 2008, in un articolo di Tony Barber, che nello Strategic Alert n. 16 del 17 aprile 2008 segnalammo, in merito a Tremonti (in quel momento solo papabile ministro dell'Economia) sosteneva: "Quindi consideriamolo come un uovo di serpente che, schiuso, diverrebbe, secondo la sua natura nocivo, e uccidiamolo nel guscio".

Le forze di occupazione in Iraq: ritiro dalle città o ridispiegamento?









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7 luglio 2009


Le definizioni si sono sprecate per il 30 giugno, giorno del ritiro delle forze americane dalle città irachene occupate, sia da parte del comando di occupazione americano sia da parte del governo di occupazione iracheno. Cominciamo dai discorsi del governo. La definizione più diffusa e ripetuta da parte dei politici iracheni è stata quella di "recupero della sovranità nazionale", a cui si è affiancata quella di "giorno storico". Il concetto di 'sovranità’ e di 'assunzione della sovranità’ suona stranamente nel nuovo Iraq. Il governatore Paul Bremer aveva già 'consegnato la sovranità’ a Iyad Allawi, il primo premier del governo di occupazione, il 28 giugno del 2004, fuggendo col favore delle tenebre per timore degli attacchi della resistenza. La celebrazione durò cinque minuti, durante i quali Bremer disse, rivolgendosi ad Allawi, Ajil al-Yawer, e Barham Salih (al-Yawer e Salih furono rispettivamente presidente e vice primo ministro del governo iracheno ad interim (N.d.T.) ): "ormai siete pronti per la sovranità; riteniamo che ciò sia una parte importante del nostro impegno in qualità di custodi temporanei finalizzato a restituirvi la sovranità". Allawi definì quel giorno (notate la somiglianza con il modo di rapportarsi al giorno del ritiro delle truppe americane da poco celebrato) come un "giorno storico". Al-Yawer aggiunse: "Questo è un giorno storico e felice". Bremer rispose ricordando i servizi resi dall’America nei loro confronti: "Senza dubbio la liberazione dell’Iraq è stata una fra le più grandi e nobili imprese".

Da quel giorno l’ossessione dell’assunzione della 'sovranità’ non ha più abbandonato i politici (iracheni) dell’occupazione, forse perché la memoria di chi mente non si estende a tutte le menzogne quotidiane, e l’assunzione della sovranità è una menzogna che necessita di aggiunte e di 'abbellimenti’ ogni giorno. Così, il 'nuovo Iraq’ ha cominciato a riposare sugli allori della sovranità e del 'completamento della sovranità’. Nel novembre del 2008, il 'presidente’ Jalal Talabani disse che "la ratifica dell’accordo sul ritiro delle truppe americane dall’Iraq significa il completamento degli elementi di sovranità e indipendenza del paese". Senonché egli dimenticò ben presto queste parole, perché nel corso di una successiva intervista con il canale di stato Al-Iraqiya disse: "Purtroppo, molti dei nostri fratelli in Iraq non sanno ciò che avviene dietro le quinte; noi non siamo un paese libero e indipendente". Poi Talabani tornò a ricordare i meriti dei suoi padroni nel giorno d’inaugurazione della più grande ambasciata americana del mondo, nella capitale Baghdad, il 5 gennaio 2009. In quell’occasione egli affermò che "l’esistenza di un Iraq democratico, unito e indipendente non sarebbe stata possibile se non fosse stato per la decisione coraggiosa e storica del presidente George W. Bush di liberare l’Iraq". Egli tenne il suo discorso alla presenza del criminale di guerra e vicesegretario di stato americano John Negroponte, il quale a sua volta disse la sua sul concetto di 'sovranità’: "Avete consacrato la vostra vita di combattenti e uomini di stato a un Iraq libero, sovrano e unito". E’ bene ricordare che Negroponte è il padre spirituale degli squadroni della morte in America Latina e in Iraq, dei quali sono state vittime, secondo studi di livello mondiale, centinaia di migliaia di civili.

Il primo ministro del secondo governo di occupazione, Ibrahim al-Jaafari, contribuì ad aggiungere nuove dimensioni al concetto di 'sovranità’. Il 1° luglio del 2005, egli disse che "il processo a Saddam Hussein rappresenterà una forma di sovranità irachena". Siccome il partito 'Daawa’ – una formazione politica di ispirazione confessionale – è quello che ha prodotto sia Jaafari che Maliki, non c’è da stupirsi della somiglianza dei loro discorsi sulla sovranità, sebbene i tempi siano cambiati. Ecco infatti Maliki rivolgere un discorso agli iracheni in occasione del ritiro delle truppe americane, durante il quale egli ha affermato: "La sovranità nazionale è una linea rossa che non può essere oltrepassata, in nessun caso". Si tratta di un tipo di vaneggiamento che ci ricorda le dichiarazioni dei leader del suo partito, e di quelli del SIIC (Supremo Consiglio Islamico Iracheno), quando dicevano che si sarebbero sbarazzati dell’occupazione in sei mesi, e che la 'sovranità’ era una linea rossa non oltrepassabile! Maliki ha proseguito il suo discorso dicendo: "Oggi l’Iraq è entrato in una nuova fase, dopo l’applicazione dell’accordo sul ritiro delle forze straniere". Ma lasciamo da parte il leitmotiv dell’ 'ingresso dell’Iraq in una nuova era’ poiché esso si smentisce per il solo fatto di essere ripetuto fino all’eccesso, e volgiamo il nostro sguardo a ciò che c’è di vero nel 'ritiro delle forze straniere’. In realtà esso non è più di un ritiro formale allo scopo di proteggere le forze di occupazione dagli attacchi della resistenza. Le truppe irachene saranno utilizzate come scudi umani per proteggerle e per mantenere invariato il loro potenziale bellico all’interno delle loro basi fortificate. Le truppe americane potranno tornare nelle strade qualora la situazione lo richiedesse, e continueranno inoltre ad essere libere di lanciare attacchi dal cielo e di utilizzare gli aerei senza pilota per compiere incursioni, bombardamenti e operazioni di monitoraggio. Le forze di occupazione continuano ad essere annidate nel cuore di Baghdad, all’interno della più grande ambasciata americana del mondo, all’ingresso della zona verde, lungo tutta l’autostrada che conduce all’aeroporto, e nelle zone di Baghdad Ovest, che sono state riclassificate come 'esterne alla città’. E mentre le truppe presenti nelle città hanno ridefinito i propri nomi per diventare forze di addestramento e di 'consulenza’, l’ultima inchiesta sull’Iraq rivela che il numero dei 'mercenari’, i contractor al soldo del Pentagono, è cresciuto del 23% dall’arrivo di Obama alla Casa Bianca. Secondo i dati americani di questo mese, si tratta di 126.000 contractor militari, ovvero non operanti nel settore dei servizi, né come camionisti o altro. Più del 30% di essi sono americani precedentemente impiegati nelle squadre delle missioni speciali. I rimanenti sono professionisti provenienti dall’America Latina, dal Sudafrica e da altre regioni che sono state sottoposte a esperienze di repressione dei movimenti di liberazione e della democrazia. Ciò significa che al ritiro di un certo numero di soldati dell’esercito americano regolare corrisponderà un aumento, in percentuale anche maggiore, di mercenari che godono di un’immunità superiore a quella dei militari dell’esercito americano, indipendentemente dai crimini che commettono. Questo è uno dei punti essenziali che i politici iracheni fanno finta di non vedere, e che di tanto in tanto si vantano di aver eliminato, come fece Jaafari nel settembre del 2005, quando mentì senza vergogna affermando: "D’ora in avanti la legge irachena sarà applicata a tutti i crimini commessi in Iraq, inclusi quelli commessi dalla forza multinazionale". Ed ecco che siamo ormai alla metà del 2009, e gli assassini circolano ancora liberamente in terra d’Iraq.

Il general maggiore Robert Caslen, comandante delle forze americane nel nord dell’Iraq, ha dichiarato il 26 giugno che le truppe americane avrebbero circondato le città nel tentativo di ripetere la strategia di concentrazione delle forze che era stata applicata in precedenza dall’esercito, sotto il comando del generale David Petraeus. Egli ha anche ricordato che il governo iracheno ha accettato la presenza di forze americane 'non combattenti’ in alcune città. Ciò include il mantenimento di cinque posizioni nella città di Mosul anche dopo il giorno del 'ritiro’.

Il governo iracheno, che si vanta della propria sovranità, è riuscito a trasformare questa sovranità, così come altri nobili concetti legati alla dignità e alla giustizia, in un concetto vuoto e privo di qualsiasi significato. Non so se le immagini del milione di vittime civili irachene, uccise a seguito dell’invasione e dell’occupazione dell’Iraq, sono sfilate davanti agli occhi di Maliki mentre leggeva il suo discorso sul rapporto paritario dell’Iraq con l’America, gettando la colpa dei mali del paese sulle spalle "dei terroristi, dei takfiriti (gruppi islamici estremisti che accusano di apostasia altri musulmani (N.d.T.) ), dei membri del regime baathista e delle bande criminali". Come se egli non avesse mai avuto notizia delle centinaia di rapporti pubblicati dalle organizzazioni umanitarie e per la difesa dei diritti umani, incluso l’ufficio delle Nazioni Unite in Iraq (UNAMI) che opera in collaborazione con il suo governo, i quali documentano le violazioni, i trattamenti umilianti, gli omicidi, e ogni altra forma di crimini commessi dalle forze di occupazione, da sole o in collaborazione con le sue forze di sicurezza e con le milizie del suo governo.

Proteggere le forze di occupazione e tacere sui loro crimini è di per sé un crimine imperdonabile. Il cittadino iracheno continuerà ad essere vittima di questi crimini e di queste violazioni fino a quando le forze di occupazione rimarranno sulla nostra terra godendo dell’immunità rispetto alle nostre leggi. Le cose non cambiano molto se queste forze di occupazione si trovano all’interno o al di fuori delle città.

Haifa Zangana è una scrittrice irachena; è stata prigioniera nelle carceri del regime di Saddam Hussein; attualmente risiede in Gran Bretagna; scrive abitualmente sul quotidiano al-Quds al-Arabi e collabora con giornali come il Guardian e al-Ahram Weekly

10 luglio 2009

G8, il circo è iniziato


Finalmente è arrivato il circo del G8. Mi dispiace per la gente d’Abruzzo, ma il resto d’Italia e del mondo doveva pur divertirsi un pochino, no?


La cosa urta molto il Guardian, che negli ultimi tempi ha tirato fuori pruderies vittoriane dimenticandosi, per esempio, di quando fu proprio il Regno Unito a dare inizio alle danze nel 1963, con l’allora ministro della guerra John Profumo e lo scandalo che porta il suo nome.


Altri paesi non la pensano così: prendiamo la Germania, che nella persona del cancelliere Angela Merkel ha dichiarato di volersi accollare la ricostruzione della chiesa quattrocentesca di Onna; il paesino devastato dal sisma era già stato provato, durante la seconda guerra mondiale, da un eccidio compiuto dalle truppe della Wehrmacht nei primi giorni del giugno 1944, e la Germania intenderebbe così espiare le sue antiche colpe nei confronti del piccolo borgo. Questa smania tutta biblica di lavar via il sangue che padri malaccorti avrebbero fatto ricadere sui figli io personalmente non la capisco: ma prima di tutto non sono tedesca, e poi soprattutto non mi è toccato subire nessun lavaggio del cervello — o forse sì, c’hanno provato, ma per certi tipi di sporco io sono e resto irriducibile come Pig Pen.


Fortuna che sappiamo nuovamente di poter contare sulla certezza della vicinanza, che dico?, dell’amicizia degli Stati Uniti: adesso sì che possiamo stare veramente tranquilli.


Anzi, potremmo. Perché, incredibilmente, ci sono pure guastafeste come Lucio Caracciolo che, papale papale, ti spiattellano sul muso una verità nuda e soprattutto crudissima: «questa formula di incontro fra i “Grandi” del mondo ha finito di disvelare la sua vacuità. Ossia l’incapacità di incidere concretamente sugli affari del mondo». Ma com’è possibile?!? — si chiederanno sgomenti il colto e l’inclita, avvezzi al Tg4 e alle veline. Non è mica difficile: basta considerare che il G8 (è sempre Caracciolo che parla, sul n. 27 de “l’Espresso” ora in edicola) altro non è che «un’eterogenea e autoreferenziale compagnia, che include Stati di potenza - economica, geopolitica e culturale - assai variabile, oltre che di diverso orientamento istituzionale (dalla non democrazia russa alle più radicate liberaldemocrazie occidentali)», e che «i suoi membri (Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Canada e Giappone) rappresentano appena più del 50 per cento del prodotto interno lordo mondiale, ma solo il 13 per cento della popolazione. E certo il peso degli Stati Uniti o della Russia sugli affari globali non è paragonabile a quello del Canada o dell’Italia». In soldoni, non possiamo attenderci dal G8 né ricette miracolose né programmi fattibili né «decisioni vincolanti per nessuno. Al massimo, dichiarazioni di principio, indicazioni generali. Dalle regole dell’economia mondiale all’Africa, dall’ambiente alla sicurezza alimentare, i Grandi non mancheranno di produrre comunicati e documenti sufficientemente generici da non impegnare troppo nessuno, e soprattutto da non comportare verifiche troppo stringenti del loro grado di concretezza, quindi di attuazione. Questa è la regola che tutti gli sherpa addetti alla definizione dei documenti, all’opera da mesi sotto la guida italiana, sanno di dover rispettare». Continua impietosamente Caracciolo: «Al fondo, il G8 testimonia della difficoltà di avvicinare la cosiddetta governance globale, termine volutamente generico che starebbe a indicare la gestione concordata degli affari del mondo. Ora, essendo questa ipotesi impossibile nel contesto geopolitico attuale - come lungo tutta la storia dell’umanità - dovremo probabilmente accontentarci, nel migliore dei casi, di affermazioni di buona volontà. O di regole che comunque non potranno essere applicate, in assenza di autorità abilitate a farlo. Il fossato fra problemi mondiali e istituzioni abilitate a risolverlo è stridente. Nel campo economico, e non solo, si profila l’ombra del G2: un condominio sinoamericano, che rifletta la simbiosi fra Cina, produttrice di prima e ultima istanza, e America, superconsumatrice. Il fatto che Pechino sia il massimo creditore degli Stati Uniti, e allo stesso tempo abbia vitale bisogno del mercato americano per collocarvi le sue merci, ha creato un duopolio di fatto che forse un giorno troverà sanzione geopolitica».


Contenti? Cosa credevate, che in seno al G8 si definissero veramente i destini del mondo? Eh no, cari. Il G8 è la cortina di fumo planetaria, è il vapore stupefacente che la Sibilla respira nascondendosene al volgo, è l’escamotage di un qualunque Sik-Sik per celare i suoi poveri trucchi: ciò che è grandioso è il fanatico convincimento di tutti i contestatori, pronti a scatenarsi all’assalto di un qualsiasi Palazzo d’Inverno laddove si manifesti concretamente e visibilmente, dimenticandosi della vecchia lezione di Benjamin Disraeli — «Come vedete, mio caro Coningsby, il mondo è governato da personaggi molto diversi da quelli che si immaginano quando non si è dietro le quinte del teatro»


di Alessandra Colla

11 luglio 2009

Perché la stampa inglese attacca l'Italia...


E' in atto un'operazione coperta contro il Governo italiano. Si tratta della ripetizione di quell'operazione che già scoppiò intorno a Clinton a fine anni '90. Oggi come allora, è il "fattore LaRouche" a rendere necessarie operazioni multilivello che passano dai media ai tribunali ai servizi segreti deviati, di modo da screditare, delegittimare, privare di autorevolezza ogni volontà politica riformatrice dell'attuale ordine finanziario internazionale alla luce di un principio di giustizia che riporti le Nazioni verso un'epoca di sviluppo e di pace. Infatti il ministro Tremonti, che è allo stato attuale una delle personalità più ascoltate in Europa, sostiene la Nuova Bretton Woods, il progetto per un nuovo sistema finanziario internazionale che Lyndon LaRouche propose nel febbraio del 1997 e che Bill Clinton e il Segretario al Tesoro Robert Rubin presero in considerazione qualche mese più tardi. Ecco che mentre Bill Clinton vide inibita ogni sua capacità politica con lo scandalo Lewinsky, l'Italia rischia di subire oggi il medesimo destino, in un 2009 durante il quale ricoprirà il ruolo di presidente del G8.

Un cittadino dotato di un minimo senso critico dovrebbe chiedersi del perché della recente pioggia di scandali e critiche espresse al Governo italiano proprio in questo momento. La risposta più immediata potrebbe essere quella della importante fase pre-elettorale appena conclusasi in Italia. Ma in realtà vi è molto di più. Vi è molto di più perché al "caso Berlusconi" hanno partecipato in primo luogo i media internazionali. Da Repubblica, a El Pais, alla Bbc, alla Cnn, si tratta di una rete mediatica legata ai circoli bancari londinesi, ed a personaggi a questi legatissimi come Carlo De Benedetti, George Soros, Ted Turner. Anche i "moralizzatori", quelli che ce l'hanno con la politica, come Di Pietro e Grillo per esempio, sono complici di questi circoli. Non è un caso per esempio che Grillo durante uno spettacolo dell'inverno del 2003, definì il megaspeculatore George Soros ed il magnate dei media Ted Turner, come modelli di capitalismo etico. Tanto sono "etici" che entrambi aderiscono alle tesi neomaltusiane (per la riduzione della popolazione mondiale) [1].

La cittadinanza dovrebbe dunque quanto meno prendere le distanze da una operazione che è un palese tentativo di condizionare la sovranità politica italiana da parte di forze private nazionali ed estere.

In Italia gli scandali intorno al Presidente Berlusconi hanno rappresentato l'ancora di salvataggio a cui è ricorso il potentato finanziario dietro al Gruppo L'Espresso per impedire la disintegrazione della creatura politica che sponsorizzano, il Partito Democratico. Dunque, il dato politico principale della faccenda è che il PD si trova ad un livello di pochezza ideale da farsi dettare l'agenda politica dal gossip de La Repubblica piuttosto che fare politica intorno a questioni fondanti. Tuttavia tra queste questioni fondanti vi è la riforma del sistema finanziario internazionale che il Governo italiano non riesce a portare avanti a livello di G8 o G20 – ma allora qui si dovrebbe rivolgere un duro atto di accusa verso Gordon Brown! – ; la questione del flusso creditizio che non arriva alle banche – ed allora qui si dovrebbe dar ragione a Tremonti quando propone i Tremonti Bond e decide di istituire il controllo prefettizio sulle banche, invece che invocare il "trascendentale" principio dell'indipendenza delle banche! – ; la questione Alitalia, che era opportuno tenere in mano pubblica e rifinanziare – ma allora qui invece che rivolgere un j'accuse al Governo lo si dovrebbe rivolgere alla legislazione europea! – . Queste vicende mostrano le lacune del patrimonio ideale dell'attuale PD e del ventennale conformarsi della sua dirigenza all'ideologia liberista e alla globalizzazione finanziaria. Si tratta di un vero e proprio tradimento di quello che dovrebbe essere il patrimonio genetico del Partito Democratico, così come si espresse durante l'era di Franklin Delano Roosevelt, in quanto esperienza decisiva dal punto di vista storico, sia sul fronte economico che sul fronte delle relazioni internazionali.

La presidenza del G8 all'Italia


Così La Repubblica si è avvantaggiata delle operazioni sporche di personaggi su cui la magistratura dovrebbe aprire un'inchiesta per verificare se appartenenti o comunque vicini ai servizi segreti deviati – mentre il PD si è avvantaggiato dell'inchiesta di Repubblica. A livello elettorale tutto ciò è costato in termini di voti quasi dieci punti percentuali al PdL, ma ha fatto riguadagnare al PD ben pochi punti percentuali rispetto ai minimi di consenso a cui veniva dato.

Ma a queste vicende è stata data un'eco internazionale, mentre appunto l'Italia per questo 2009 riveste il ruolo di presidente in seno agli incontri del G8. Se l'Italia non avesse rivestito questo ruolo, la grande eco internazionale data al sexygate di Berlusconi non ci sarebbe stata. Ma invece Berlusconi, pur con i suoi chiari limiti, evidenziati dalle ripetute dichiarazioni sul fatto che la crisi sarebbe solo "psicologica", ha scelto come superministro dell'Economia un personaggio un po' eccentrico come Tremonti, che nonostante sia un uomo fedele alla politica del premier, gode trasversalmente della simpatia e del rispetto di gran parte dei politici e dei cittadini italiani. E per l'oligarchia finanziaria la pericolosità del Governo Berlusconi risiede in particolare nel Giulio Tremonti che parla di valori e di morale, che parla di legge e politica sovraordinata ai desiderata dei banchieri, che partecipa ad incontri pubblici con Lyndon LaRouche, che non perde occasione per ricordare che il problema di fondo dell'attuale fase storica non sono le liberalizzazioni o la riforma delle pensioni – tutta roba che bastona lavoratori e pensionati per dare nuovi aiuti agli speculatori – quanto il magnetismo esercitato dai prodotti speculativi sulle banche e la parallela allergia che hanno verso l'economia reale. Secondo Tremonti l'attuale "stabilizzazione" del sistema finanziario decantata dai cosiddetti esperti in realtà significa soltanto porre le basi per una nuova crisi. Se non si neutralizza il meccanismo dei derivati e altri titoli altamente speculativi non si potrà effettuare un cambiamento vero.

Le cose che LaRouche sostiene, con la crisi finanziaria ed economica in corso fanno sempre più breccia anche tra chi finora credeva di poter fare politica accettando che la questione della sovranità creditizia e monetaria potesse essere lasciata alle autorità finanziarie ed ai banchieri. Se queste divengono oggetto di discussione tra più leader nazionali, l'oligarchia finanziaria rischia di ritrovarsi in serie difficoltà. E allora, anche per rifarsi all'articolo di Lodovico Festa comparso su Il Foglio del 30 giugno che centra piuttosto bene il punctum dolens di tutta la questione, il problema non è tanto ciò che ha fatto o detto sinora Tremonti, quanto il processo che egli potrebbe mettere in moto. [2]

Il dato comune dell'attacco scandalistico di oggi con quello che riguardò Bill Clinton nel 1998, è che oggi come allora sul tavolo di discussione di chi ricopre un ruolo che potrebbe essere cruciale per la storia, vi è la proposta di Nuova Bretton Woods di LaRouche. LaRouche di fatto è vittima di ostracismo, diffamazioni e menzogne da circa quarant'anni, ma la capacità del suo movimento politico di far arrivare le sue idee ai piani alti della politica mondiale è assai efficace. Di fatto i sexygate hanno la capacità di delegittimare agli occhi altrui, e di inibire la capacità propositiva di chi è fautore di proposte concettualmente complesse, che rompono con gli schemi a cui si è abituati.

Sia chiaro che qui non si prendono le difese di Berlusconi e tanto meno si intende addentrarsi negli scandali, ma si interviene sul fatto che essi vengano artatamente strumentalizzati per condizionare la sovranità nazionale italiana.

Claudio Giudici
Movimento Internazionale per i diritti civili - Solidarietà





Note:

[1] - Il 5 maggio alcuni tra i più ricchi personaggi del mondo si sono riuniti segretamente a New York. Tre settimane dopo, la notizia è finita sul Sunday Times, in un articolo di John Harlow intitolato "Club di miliardari si adopera per ridurre la popolazione", che ha anche rivelato l'ordine del giorno. La riunione sembra essere stata convocata su iniziativa di Bill Gates, l'uomo più ricco del mondo secondo Forbes e fondatore di Microsoft, dal numero due sulla lista di Forbes Warren Buffett (il quale ha versato 31 miliardi di dollari alla Fondazione Bill e Melinda Gates) e da David Rockefeller, [...]. Oltre a questi tre personaggi, alla riunione segreta erano presenti il sindaco di New York Michael Bloomberg, il famoso speculatore George Soros, il cofondatore del Blackstone Group Peter G. Peterson (tra i promotori dei tagli alla sanità pubblica), l'ex manager di hedge fund Julian H. Robertson Jr., l'ex presidente della Cisco Systems John Morgridge con la consorte Tashia, David Rockefeller Jr. e i magnate della comunicazione Ted Turner e Oprah Winfrey. "Inizialmente, i partecipanti si sono rifiutati di rivelare dettagli sulla riunione, durata cinque ore, citando un accordo per proteggerne il carattere confidenziale", ha riferito il Times. Apparentemente si è cominciato con un intervento di quindici minuti in cui ciascuno ha perorato la propria "causa" particolare. Poi a cena, secondo John Harlow, "prendendo spunto da Gates, hanno tutti concordato che la sovrappopolazione" fosse la "causa-ombrello" che abbraccia ogni altra preoccupazione. La seduta è stata talmente "discreta" che alcuni collaboratori dei miliardari credevano che il loro boss partecipasse a un "briefing sulla sicurezza". Un partecipante ha affermato che c'è stato consenso sull'appoggiare una strategia "per combattere la crescita demografica in quanto minaccia ambientale, sociale e industriale potenzialmente disastrosa". I governi sono stati giudicati incapaci di scongiurare il disastro incombente. Secondo ABC News, "La riunione ha ricordato quelle che si tenevano nello studio di J.P. Morgan, in cui si ritrovavano i più importanti finanzieri americani per discutere come i cittadini privati potessero fermare il panico economico". (Fonte EIR – Strategic Alert edizione italiana, n. 23, 4 giugno 2009).

[2] - Il Financial Times del 9 aprile 2008, in un articolo di Tony Barber, che nello Strategic Alert n. 16 del 17 aprile 2008 segnalammo, in merito a Tremonti (in quel momento solo papabile ministro dell'Economia) sosteneva: "Quindi consideriamolo come un uovo di serpente che, schiuso, diverrebbe, secondo la sua natura nocivo, e uccidiamolo nel guscio".

Le forze di occupazione in Iraq: ritiro dalle città o ridispiegamento?









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7 luglio 2009


Le definizioni si sono sprecate per il 30 giugno, giorno del ritiro delle forze americane dalle città irachene occupate, sia da parte del comando di occupazione americano sia da parte del governo di occupazione iracheno. Cominciamo dai discorsi del governo. La definizione più diffusa e ripetuta da parte dei politici iracheni è stata quella di "recupero della sovranità nazionale", a cui si è affiancata quella di "giorno storico". Il concetto di 'sovranità’ e di 'assunzione della sovranità’ suona stranamente nel nuovo Iraq. Il governatore Paul Bremer aveva già 'consegnato la sovranità’ a Iyad Allawi, il primo premier del governo di occupazione, il 28 giugno del 2004, fuggendo col favore delle tenebre per timore degli attacchi della resistenza. La celebrazione durò cinque minuti, durante i quali Bremer disse, rivolgendosi ad Allawi, Ajil al-Yawer, e Barham Salih (al-Yawer e Salih furono rispettivamente presidente e vice primo ministro del governo iracheno ad interim (N.d.T.) ): "ormai siete pronti per la sovranità; riteniamo che ciò sia una parte importante del nostro impegno in qualità di custodi temporanei finalizzato a restituirvi la sovranità". Allawi definì quel giorno (notate la somiglianza con il modo di rapportarsi al giorno del ritiro delle truppe americane da poco celebrato) come un "giorno storico". Al-Yawer aggiunse: "Questo è un giorno storico e felice". Bremer rispose ricordando i servizi resi dall’America nei loro confronti: "Senza dubbio la liberazione dell’Iraq è stata una fra le più grandi e nobili imprese".

Da quel giorno l’ossessione dell’assunzione della 'sovranità’ non ha più abbandonato i politici (iracheni) dell’occupazione, forse perché la memoria di chi mente non si estende a tutte le menzogne quotidiane, e l’assunzione della sovranità è una menzogna che necessita di aggiunte e di 'abbellimenti’ ogni giorno. Così, il 'nuovo Iraq’ ha cominciato a riposare sugli allori della sovranità e del 'completamento della sovranità’. Nel novembre del 2008, il 'presidente’ Jalal Talabani disse che "la ratifica dell’accordo sul ritiro delle truppe americane dall’Iraq significa il completamento degli elementi di sovranità e indipendenza del paese". Senonché egli dimenticò ben presto queste parole, perché nel corso di una successiva intervista con il canale di stato Al-Iraqiya disse: "Purtroppo, molti dei nostri fratelli in Iraq non sanno ciò che avviene dietro le quinte; noi non siamo un paese libero e indipendente". Poi Talabani tornò a ricordare i meriti dei suoi padroni nel giorno d’inaugurazione della più grande ambasciata americana del mondo, nella capitale Baghdad, il 5 gennaio 2009. In quell’occasione egli affermò che "l’esistenza di un Iraq democratico, unito e indipendente non sarebbe stata possibile se non fosse stato per la decisione coraggiosa e storica del presidente George W. Bush di liberare l’Iraq". Egli tenne il suo discorso alla presenza del criminale di guerra e vicesegretario di stato americano John Negroponte, il quale a sua volta disse la sua sul concetto di 'sovranità’: "Avete consacrato la vostra vita di combattenti e uomini di stato a un Iraq libero, sovrano e unito". E’ bene ricordare che Negroponte è il padre spirituale degli squadroni della morte in America Latina e in Iraq, dei quali sono state vittime, secondo studi di livello mondiale, centinaia di migliaia di civili.

Il primo ministro del secondo governo di occupazione, Ibrahim al-Jaafari, contribuì ad aggiungere nuove dimensioni al concetto di 'sovranità’. Il 1° luglio del 2005, egli disse che "il processo a Saddam Hussein rappresenterà una forma di sovranità irachena". Siccome il partito 'Daawa’ – una formazione politica di ispirazione confessionale – è quello che ha prodotto sia Jaafari che Maliki, non c’è da stupirsi della somiglianza dei loro discorsi sulla sovranità, sebbene i tempi siano cambiati. Ecco infatti Maliki rivolgere un discorso agli iracheni in occasione del ritiro delle truppe americane, durante il quale egli ha affermato: "La sovranità nazionale è una linea rossa che non può essere oltrepassata, in nessun caso". Si tratta di un tipo di vaneggiamento che ci ricorda le dichiarazioni dei leader del suo partito, e di quelli del SIIC (Supremo Consiglio Islamico Iracheno), quando dicevano che si sarebbero sbarazzati dell’occupazione in sei mesi, e che la 'sovranità’ era una linea rossa non oltrepassabile! Maliki ha proseguito il suo discorso dicendo: "Oggi l’Iraq è entrato in una nuova fase, dopo l’applicazione dell’accordo sul ritiro delle forze straniere". Ma lasciamo da parte il leitmotiv dell’ 'ingresso dell’Iraq in una nuova era’ poiché esso si smentisce per il solo fatto di essere ripetuto fino all’eccesso, e volgiamo il nostro sguardo a ciò che c’è di vero nel 'ritiro delle forze straniere’. In realtà esso non è più di un ritiro formale allo scopo di proteggere le forze di occupazione dagli attacchi della resistenza. Le truppe irachene saranno utilizzate come scudi umani per proteggerle e per mantenere invariato il loro potenziale bellico all’interno delle loro basi fortificate. Le truppe americane potranno tornare nelle strade qualora la situazione lo richiedesse, e continueranno inoltre ad essere libere di lanciare attacchi dal cielo e di utilizzare gli aerei senza pilota per compiere incursioni, bombardamenti e operazioni di monitoraggio. Le forze di occupazione continuano ad essere annidate nel cuore di Baghdad, all’interno della più grande ambasciata americana del mondo, all’ingresso della zona verde, lungo tutta l’autostrada che conduce all’aeroporto, e nelle zone di Baghdad Ovest, che sono state riclassificate come 'esterne alla città’. E mentre le truppe presenti nelle città hanno ridefinito i propri nomi per diventare forze di addestramento e di 'consulenza’, l’ultima inchiesta sull’Iraq rivela che il numero dei 'mercenari’, i contractor al soldo del Pentagono, è cresciuto del 23% dall’arrivo di Obama alla Casa Bianca. Secondo i dati americani di questo mese, si tratta di 126.000 contractor militari, ovvero non operanti nel settore dei servizi, né come camionisti o altro. Più del 30% di essi sono americani precedentemente impiegati nelle squadre delle missioni speciali. I rimanenti sono professionisti provenienti dall’America Latina, dal Sudafrica e da altre regioni che sono state sottoposte a esperienze di repressione dei movimenti di liberazione e della democrazia. Ciò significa che al ritiro di un certo numero di soldati dell’esercito americano regolare corrisponderà un aumento, in percentuale anche maggiore, di mercenari che godono di un’immunità superiore a quella dei militari dell’esercito americano, indipendentemente dai crimini che commettono. Questo è uno dei punti essenziali che i politici iracheni fanno finta di non vedere, e che di tanto in tanto si vantano di aver eliminato, come fece Jaafari nel settembre del 2005, quando mentì senza vergogna affermando: "D’ora in avanti la legge irachena sarà applicata a tutti i crimini commessi in Iraq, inclusi quelli commessi dalla forza multinazionale". Ed ecco che siamo ormai alla metà del 2009, e gli assassini circolano ancora liberamente in terra d’Iraq.

Il general maggiore Robert Caslen, comandante delle forze americane nel nord dell’Iraq, ha dichiarato il 26 giugno che le truppe americane avrebbero circondato le città nel tentativo di ripetere la strategia di concentrazione delle forze che era stata applicata in precedenza dall’esercito, sotto il comando del generale David Petraeus. Egli ha anche ricordato che il governo iracheno ha accettato la presenza di forze americane 'non combattenti’ in alcune città. Ciò include il mantenimento di cinque posizioni nella città di Mosul anche dopo il giorno del 'ritiro’.

Il governo iracheno, che si vanta della propria sovranità, è riuscito a trasformare questa sovranità, così come altri nobili concetti legati alla dignità e alla giustizia, in un concetto vuoto e privo di qualsiasi significato. Non so se le immagini del milione di vittime civili irachene, uccise a seguito dell’invasione e dell’occupazione dell’Iraq, sono sfilate davanti agli occhi di Maliki mentre leggeva il suo discorso sul rapporto paritario dell’Iraq con l’America, gettando la colpa dei mali del paese sulle spalle "dei terroristi, dei takfiriti (gruppi islamici estremisti che accusano di apostasia altri musulmani (N.d.T.) ), dei membri del regime baathista e delle bande criminali". Come se egli non avesse mai avuto notizia delle centinaia di rapporti pubblicati dalle organizzazioni umanitarie e per la difesa dei diritti umani, incluso l’ufficio delle Nazioni Unite in Iraq (UNAMI) che opera in collaborazione con il suo governo, i quali documentano le violazioni, i trattamenti umilianti, gli omicidi, e ogni altra forma di crimini commessi dalle forze di occupazione, da sole o in collaborazione con le sue forze di sicurezza e con le milizie del suo governo.

Proteggere le forze di occupazione e tacere sui loro crimini è di per sé un crimine imperdonabile. Il cittadino iracheno continuerà ad essere vittima di questi crimini e di queste violazioni fino a quando le forze di occupazione rimarranno sulla nostra terra godendo dell’immunità rispetto alle nostre leggi. Le cose non cambiano molto se queste forze di occupazione si trovano all’interno o al di fuori delle città.

Haifa Zangana è una scrittrice irachena; è stata prigioniera nelle carceri del regime di Saddam Hussein; attualmente risiede in Gran Bretagna; scrive abitualmente sul quotidiano al-Quds al-Arabi e collabora con giornali come il Guardian e al-Ahram Weekly

10 luglio 2009

G8, il circo è iniziato


Finalmente è arrivato il circo del G8. Mi dispiace per la gente d’Abruzzo, ma il resto d’Italia e del mondo doveva pur divertirsi un pochino, no?


La cosa urta molto il Guardian, che negli ultimi tempi ha tirato fuori pruderies vittoriane dimenticandosi, per esempio, di quando fu proprio il Regno Unito a dare inizio alle danze nel 1963, con l’allora ministro della guerra John Profumo e lo scandalo che porta il suo nome.


Altri paesi non la pensano così: prendiamo la Germania, che nella persona del cancelliere Angela Merkel ha dichiarato di volersi accollare la ricostruzione della chiesa quattrocentesca di Onna; il paesino devastato dal sisma era già stato provato, durante la seconda guerra mondiale, da un eccidio compiuto dalle truppe della Wehrmacht nei primi giorni del giugno 1944, e la Germania intenderebbe così espiare le sue antiche colpe nei confronti del piccolo borgo. Questa smania tutta biblica di lavar via il sangue che padri malaccorti avrebbero fatto ricadere sui figli io personalmente non la capisco: ma prima di tutto non sono tedesca, e poi soprattutto non mi è toccato subire nessun lavaggio del cervello — o forse sì, c’hanno provato, ma per certi tipi di sporco io sono e resto irriducibile come Pig Pen.


Fortuna che sappiamo nuovamente di poter contare sulla certezza della vicinanza, che dico?, dell’amicizia degli Stati Uniti: adesso sì che possiamo stare veramente tranquilli.


Anzi, potremmo. Perché, incredibilmente, ci sono pure guastafeste come Lucio Caracciolo che, papale papale, ti spiattellano sul muso una verità nuda e soprattutto crudissima: «questa formula di incontro fra i “Grandi” del mondo ha finito di disvelare la sua vacuità. Ossia l’incapacità di incidere concretamente sugli affari del mondo». Ma com’è possibile?!? — si chiederanno sgomenti il colto e l’inclita, avvezzi al Tg4 e alle veline. Non è mica difficile: basta considerare che il G8 (è sempre Caracciolo che parla, sul n. 27 de “l’Espresso” ora in edicola) altro non è che «un’eterogenea e autoreferenziale compagnia, che include Stati di potenza - economica, geopolitica e culturale - assai variabile, oltre che di diverso orientamento istituzionale (dalla non democrazia russa alle più radicate liberaldemocrazie occidentali)», e che «i suoi membri (Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Canada e Giappone) rappresentano appena più del 50 per cento del prodotto interno lordo mondiale, ma solo il 13 per cento della popolazione. E certo il peso degli Stati Uniti o della Russia sugli affari globali non è paragonabile a quello del Canada o dell’Italia». In soldoni, non possiamo attenderci dal G8 né ricette miracolose né programmi fattibili né «decisioni vincolanti per nessuno. Al massimo, dichiarazioni di principio, indicazioni generali. Dalle regole dell’economia mondiale all’Africa, dall’ambiente alla sicurezza alimentare, i Grandi non mancheranno di produrre comunicati e documenti sufficientemente generici da non impegnare troppo nessuno, e soprattutto da non comportare verifiche troppo stringenti del loro grado di concretezza, quindi di attuazione. Questa è la regola che tutti gli sherpa addetti alla definizione dei documenti, all’opera da mesi sotto la guida italiana, sanno di dover rispettare». Continua impietosamente Caracciolo: «Al fondo, il G8 testimonia della difficoltà di avvicinare la cosiddetta governance globale, termine volutamente generico che starebbe a indicare la gestione concordata degli affari del mondo. Ora, essendo questa ipotesi impossibile nel contesto geopolitico attuale - come lungo tutta la storia dell’umanità - dovremo probabilmente accontentarci, nel migliore dei casi, di affermazioni di buona volontà. O di regole che comunque non potranno essere applicate, in assenza di autorità abilitate a farlo. Il fossato fra problemi mondiali e istituzioni abilitate a risolverlo è stridente. Nel campo economico, e non solo, si profila l’ombra del G2: un condominio sinoamericano, che rifletta la simbiosi fra Cina, produttrice di prima e ultima istanza, e America, superconsumatrice. Il fatto che Pechino sia il massimo creditore degli Stati Uniti, e allo stesso tempo abbia vitale bisogno del mercato americano per collocarvi le sue merci, ha creato un duopolio di fatto che forse un giorno troverà sanzione geopolitica».


Contenti? Cosa credevate, che in seno al G8 si definissero veramente i destini del mondo? Eh no, cari. Il G8 è la cortina di fumo planetaria, è il vapore stupefacente che la Sibilla respira nascondendosene al volgo, è l’escamotage di un qualunque Sik-Sik per celare i suoi poveri trucchi: ciò che è grandioso è il fanatico convincimento di tutti i contestatori, pronti a scatenarsi all’assalto di un qualsiasi Palazzo d’Inverno laddove si manifesti concretamente e visibilmente, dimenticandosi della vecchia lezione di Benjamin Disraeli — «Come vedete, mio caro Coningsby, il mondo è governato da personaggi molto diversi da quelli che si immaginano quando non si è dietro le quinte del teatro»


di Alessandra Colla