10 luglio 2009

G8, il circo è iniziato


Finalmente è arrivato il circo del G8. Mi dispiace per la gente d’Abruzzo, ma il resto d’Italia e del mondo doveva pur divertirsi un pochino, no?


La cosa urta molto il Guardian, che negli ultimi tempi ha tirato fuori pruderies vittoriane dimenticandosi, per esempio, di quando fu proprio il Regno Unito a dare inizio alle danze nel 1963, con l’allora ministro della guerra John Profumo e lo scandalo che porta il suo nome.


Altri paesi non la pensano così: prendiamo la Germania, che nella persona del cancelliere Angela Merkel ha dichiarato di volersi accollare la ricostruzione della chiesa quattrocentesca di Onna; il paesino devastato dal sisma era già stato provato, durante la seconda guerra mondiale, da un eccidio compiuto dalle truppe della Wehrmacht nei primi giorni del giugno 1944, e la Germania intenderebbe così espiare le sue antiche colpe nei confronti del piccolo borgo. Questa smania tutta biblica di lavar via il sangue che padri malaccorti avrebbero fatto ricadere sui figli io personalmente non la capisco: ma prima di tutto non sono tedesca, e poi soprattutto non mi è toccato subire nessun lavaggio del cervello — o forse sì, c’hanno provato, ma per certi tipi di sporco io sono e resto irriducibile come Pig Pen.


Fortuna che sappiamo nuovamente di poter contare sulla certezza della vicinanza, che dico?, dell’amicizia degli Stati Uniti: adesso sì che possiamo stare veramente tranquilli.


Anzi, potremmo. Perché, incredibilmente, ci sono pure guastafeste come Lucio Caracciolo che, papale papale, ti spiattellano sul muso una verità nuda e soprattutto crudissima: «questa formula di incontro fra i “Grandi” del mondo ha finito di disvelare la sua vacuità. Ossia l’incapacità di incidere concretamente sugli affari del mondo». Ma com’è possibile?!? — si chiederanno sgomenti il colto e l’inclita, avvezzi al Tg4 e alle veline. Non è mica difficile: basta considerare che il G8 (è sempre Caracciolo che parla, sul n. 27 de “l’Espresso” ora in edicola) altro non è che «un’eterogenea e autoreferenziale compagnia, che include Stati di potenza - economica, geopolitica e culturale - assai variabile, oltre che di diverso orientamento istituzionale (dalla non democrazia russa alle più radicate liberaldemocrazie occidentali)», e che «i suoi membri (Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Canada e Giappone) rappresentano appena più del 50 per cento del prodotto interno lordo mondiale, ma solo il 13 per cento della popolazione. E certo il peso degli Stati Uniti o della Russia sugli affari globali non è paragonabile a quello del Canada o dell’Italia». In soldoni, non possiamo attenderci dal G8 né ricette miracolose né programmi fattibili né «decisioni vincolanti per nessuno. Al massimo, dichiarazioni di principio, indicazioni generali. Dalle regole dell’economia mondiale all’Africa, dall’ambiente alla sicurezza alimentare, i Grandi non mancheranno di produrre comunicati e documenti sufficientemente generici da non impegnare troppo nessuno, e soprattutto da non comportare verifiche troppo stringenti del loro grado di concretezza, quindi di attuazione. Questa è la regola che tutti gli sherpa addetti alla definizione dei documenti, all’opera da mesi sotto la guida italiana, sanno di dover rispettare». Continua impietosamente Caracciolo: «Al fondo, il G8 testimonia della difficoltà di avvicinare la cosiddetta governance globale, termine volutamente generico che starebbe a indicare la gestione concordata degli affari del mondo. Ora, essendo questa ipotesi impossibile nel contesto geopolitico attuale - come lungo tutta la storia dell’umanità - dovremo probabilmente accontentarci, nel migliore dei casi, di affermazioni di buona volontà. O di regole che comunque non potranno essere applicate, in assenza di autorità abilitate a farlo. Il fossato fra problemi mondiali e istituzioni abilitate a risolverlo è stridente. Nel campo economico, e non solo, si profila l’ombra del G2: un condominio sinoamericano, che rifletta la simbiosi fra Cina, produttrice di prima e ultima istanza, e America, superconsumatrice. Il fatto che Pechino sia il massimo creditore degli Stati Uniti, e allo stesso tempo abbia vitale bisogno del mercato americano per collocarvi le sue merci, ha creato un duopolio di fatto che forse un giorno troverà sanzione geopolitica».


Contenti? Cosa credevate, che in seno al G8 si definissero veramente i destini del mondo? Eh no, cari. Il G8 è la cortina di fumo planetaria, è il vapore stupefacente che la Sibilla respira nascondendosene al volgo, è l’escamotage di un qualunque Sik-Sik per celare i suoi poveri trucchi: ciò che è grandioso è il fanatico convincimento di tutti i contestatori, pronti a scatenarsi all’assalto di un qualsiasi Palazzo d’Inverno laddove si manifesti concretamente e visibilmente, dimenticandosi della vecchia lezione di Benjamin Disraeli — «Come vedete, mio caro Coningsby, il mondo è governato da personaggi molto diversi da quelli che si immaginano quando non si è dietro le quinte del teatro»


di Alessandra Colla

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10 luglio 2009

G8, il circo è iniziato


Finalmente è arrivato il circo del G8. Mi dispiace per la gente d’Abruzzo, ma il resto d’Italia e del mondo doveva pur divertirsi un pochino, no?


La cosa urta molto il Guardian, che negli ultimi tempi ha tirato fuori pruderies vittoriane dimenticandosi, per esempio, di quando fu proprio il Regno Unito a dare inizio alle danze nel 1963, con l’allora ministro della guerra John Profumo e lo scandalo che porta il suo nome.


Altri paesi non la pensano così: prendiamo la Germania, che nella persona del cancelliere Angela Merkel ha dichiarato di volersi accollare la ricostruzione della chiesa quattrocentesca di Onna; il paesino devastato dal sisma era già stato provato, durante la seconda guerra mondiale, da un eccidio compiuto dalle truppe della Wehrmacht nei primi giorni del giugno 1944, e la Germania intenderebbe così espiare le sue antiche colpe nei confronti del piccolo borgo. Questa smania tutta biblica di lavar via il sangue che padri malaccorti avrebbero fatto ricadere sui figli io personalmente non la capisco: ma prima di tutto non sono tedesca, e poi soprattutto non mi è toccato subire nessun lavaggio del cervello — o forse sì, c’hanno provato, ma per certi tipi di sporco io sono e resto irriducibile come Pig Pen.


Fortuna che sappiamo nuovamente di poter contare sulla certezza della vicinanza, che dico?, dell’amicizia degli Stati Uniti: adesso sì che possiamo stare veramente tranquilli.


Anzi, potremmo. Perché, incredibilmente, ci sono pure guastafeste come Lucio Caracciolo che, papale papale, ti spiattellano sul muso una verità nuda e soprattutto crudissima: «questa formula di incontro fra i “Grandi” del mondo ha finito di disvelare la sua vacuità. Ossia l’incapacità di incidere concretamente sugli affari del mondo». Ma com’è possibile?!? — si chiederanno sgomenti il colto e l’inclita, avvezzi al Tg4 e alle veline. Non è mica difficile: basta considerare che il G8 (è sempre Caracciolo che parla, sul n. 27 de “l’Espresso” ora in edicola) altro non è che «un’eterogenea e autoreferenziale compagnia, che include Stati di potenza - economica, geopolitica e culturale - assai variabile, oltre che di diverso orientamento istituzionale (dalla non democrazia russa alle più radicate liberaldemocrazie occidentali)», e che «i suoi membri (Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Canada e Giappone) rappresentano appena più del 50 per cento del prodotto interno lordo mondiale, ma solo il 13 per cento della popolazione. E certo il peso degli Stati Uniti o della Russia sugli affari globali non è paragonabile a quello del Canada o dell’Italia». In soldoni, non possiamo attenderci dal G8 né ricette miracolose né programmi fattibili né «decisioni vincolanti per nessuno. Al massimo, dichiarazioni di principio, indicazioni generali. Dalle regole dell’economia mondiale all’Africa, dall’ambiente alla sicurezza alimentare, i Grandi non mancheranno di produrre comunicati e documenti sufficientemente generici da non impegnare troppo nessuno, e soprattutto da non comportare verifiche troppo stringenti del loro grado di concretezza, quindi di attuazione. Questa è la regola che tutti gli sherpa addetti alla definizione dei documenti, all’opera da mesi sotto la guida italiana, sanno di dover rispettare». Continua impietosamente Caracciolo: «Al fondo, il G8 testimonia della difficoltà di avvicinare la cosiddetta governance globale, termine volutamente generico che starebbe a indicare la gestione concordata degli affari del mondo. Ora, essendo questa ipotesi impossibile nel contesto geopolitico attuale - come lungo tutta la storia dell’umanità - dovremo probabilmente accontentarci, nel migliore dei casi, di affermazioni di buona volontà. O di regole che comunque non potranno essere applicate, in assenza di autorità abilitate a farlo. Il fossato fra problemi mondiali e istituzioni abilitate a risolverlo è stridente. Nel campo economico, e non solo, si profila l’ombra del G2: un condominio sinoamericano, che rifletta la simbiosi fra Cina, produttrice di prima e ultima istanza, e America, superconsumatrice. Il fatto che Pechino sia il massimo creditore degli Stati Uniti, e allo stesso tempo abbia vitale bisogno del mercato americano per collocarvi le sue merci, ha creato un duopolio di fatto che forse un giorno troverà sanzione geopolitica».


Contenti? Cosa credevate, che in seno al G8 si definissero veramente i destini del mondo? Eh no, cari. Il G8 è la cortina di fumo planetaria, è il vapore stupefacente che la Sibilla respira nascondendosene al volgo, è l’escamotage di un qualunque Sik-Sik per celare i suoi poveri trucchi: ciò che è grandioso è il fanatico convincimento di tutti i contestatori, pronti a scatenarsi all’assalto di un qualsiasi Palazzo d’Inverno laddove si manifesti concretamente e visibilmente, dimenticandosi della vecchia lezione di Benjamin Disraeli — «Come vedete, mio caro Coningsby, il mondo è governato da personaggi molto diversi da quelli che si immaginano quando non si è dietro le quinte del teatro»


di Alessandra Colla

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