10 gennaio 2010

Recessione: diminuiscono i crimini


Con la recessione aumentano (negli Stati Uniti e altrove) poveri e disoccupati, ma crollano i crimini. Con grandissimo stupore di criminologi e sociologi che fin dai primi licenziamenti del 2008 avevano previsto il contrario. In realtà, negli Usa, con più di 7 milioni di posti di lavoro persi, il livello di criminalità è arrivato al punto più basso da cinquant’anni.
Il Wall Street Journal ha dedicato all’evento una pagina, decretando la morte di una delle teorie sociologiche più diffuse, che spiega come la causa della criminalità siano l’ineguaglianza dei redditi e la povertà. È accaduto invece che ineguaglianze e livelli di povertà sono aumentati, e i crimini diminuiti. Come mai?
Perché la teoria: povertà uguale criminalità, era sbagliata, e, a dire il vero, lo si sapeva da un pezzo. Influenzata dalla sociologia radicale americana di Wright Mills e Vance Packard, con scorie della Scuola di Francoforte portate da Herbert Marcuse, accusava il capitalismo di creare nuove sacche di povertà a vantaggio degli eletti, e di spingere i diseredati al crimine come unico modo di affermare se stessi, oltre che di sopravvivere.
Invece, e non solo in questa crisi ma anche nelle precedenti, i dati oggettivi hanno dimostrato il contrario.
Il fatto è che anche il crimine costa, cresce in una situazione dove ci sono liquidità ed energie. Lo aveva perfettamente dimostrato il grande sociologo francese Gaston Bouthoul fin dagli anni ’50 del secolo scorso, studiando la guerra, e demolendo in quel caso la vecchia (ma ancora circolante da noi) teoria che le guerre siano fatte dai poveri, spinti a ciò dai bisogni più elementari, loro negati dalle economie dei Paesi ricchi e dall’ineguaglianza internazionale.
Bouthoul dimostrò in modo inoppugnabile che le guerre erano sempre nate da un accumulo di energie dei Paesi ricchi, che le investivano (gettandole via, ripetendo il rito romano della sparsio, i doni gettati al trionfo del vincitore) in conflitti di natura ideale, politica, religiosa, ma che nella maggior parte dei casi rappresentavano, anche per loro, un’autentica distruzione di ricchezza.
Non solo però per muovere guerra, ma anche per delinquere, ci vogliono soldi, energie. Un tipo come Bernie Madoff, che si fece dare miliardi di dollari da una folla di plutocrati, intascandoseli, è certo l’icona del criminale affluente, pre-recessione. Ma anche le bande di rapinatori hanno bisogno di un retroterra solido: luoghi che ti ospitino, organizzazioni che finanzino, coprano, acquistino armi, automobili, quel che serve.
Il crimine (come mi raccontava Alberto dall’Ora, uno dei più grandi penalisti italiani), è soprattutto un’attività industriale, finalizzata alla moltiplicazione della ricchezza dei suoi partecipanti. Se la ricchezza si contrae, anche l’azienda-crimine riduce le attività.
Anche il terrorismo internazionale, che costa un mucchio di soldi, ha potuto svilupparsi quando i Paesi che lo ispirano hanno cominciato a disporre di ingenti capitali, tanto da poterli buttar via. Quando non c’erano i petrodollari il terrorismo era affidato a qualche anarchico, che in genere pagava di tasca sua singoli attentati a sfortunati sovrani, recandosi in terza classe sul luogo del delitto.
E i poveri, allora? I poveri non c’entrarono mai nulla, con l’incremento del crimine. Solo le fantasie negative sviluppate sui poveri dagli intellettuali ricchi (promotori di queste sociologie), condite dai loro sensi di colpa, li hanno convinti che se un operaio perde il lavoro, diventa un bandito.
La morale delle classi meno favorite ha basi più solide, e abitudini alle privazioni più consolidate, della paura della povertà di un professore che ha studiato nelle migliori università americane.
Certo, i poveri cercano di diventare ricchi, ma raramente perdono la testa quando devono fare un passo indietro, in una condizione già nota, e di cui riconoscono la dignità (in genere sconosciuta all’intellettuale radical-borghese che la filtra attraverso i propri sensi di colpa).
Si sa da tempo: il popolo è più onesto e più coraggioso dei suoi paladini.
di Claudio Risé

09 gennaio 2010

Ma Alitalia ? Tutto bene?


Nelle ultime (e purtroppo quasi finite) settimane di ferie , ho letto molta piu’ stampa italiana del solito, e ho notato una catastrofica tendenza al leccaggio del culo da parte dei giornali dei “Salotti buoni” della finanza italiana. Mi referisco al Corriere della Serva e alla Sepubblica.

Per prima cosa vi faccio una domanda: come va, oggi Alitalia? Ritardi? Malfunzionamenti? Scioperi? Gente ferma in aereporto? Ovviamente non vi chiedo di dirmi se qualcuno di voi era dentro un aereo di Alitalia e ha avuto dei problemi. Sarebbe una risposta scontata. No, quello che vi chiedo e’ come sia, giornali alla mano, il servizio Alitalia oggi.

La risposta e’ che ne avete sentito parlare poco, pochissimo.

Cosi’ vi faccio un’altra domanda: nell’ondata di maltempo che ha colpito il paese, come e’ uscita Alitalia? Ritardi? Voli annullati? Bagagli persi? Passeggeri bivaccati negli aereoporti? Ancora una volta, non voglio sapere se sia toccato a voi, ma semplicemente che cosa hanno riportato i giornali. Poco, molto poco. Molto meno di come si siano accaniti sui treni.

Nulla. Alitalia si e’ trasformata in una gioiosa macchina da guerra, da quando e’ stata rilevata dai Salotti Buoni della Finanza Italiana®. O almeno, a quanto dicono i giornali maintstream italiani. Che sono proprieta’… dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®.(1)

Andiamo avanti. Le autostrade. Ora, c’e’ stato un periodo di maltempo negli ultimi giorni. Di solito, quel che succede e’ che le autostrade italiane, o meglio le autobuche italiane , in questi casi sono nella merda sino al collo. Ci sono inevitabilmente code, gente in auto per il ponte di natale che viene bloccata. Anzi, di solito i grandi periodi di natale sono gia’ forieri di guai senza il maltempo. Figuriamoci col maltempo.

Invece no: sono crollate alcune statali in liguria, ci sono stati problemi sui passi alpini, ma le autostrade no. Le autostrade italiane, contrariamente agli altri anni, sono diventate un mostro di efficienza antineve, capaci di sgomberare in tempo reale le buche le strade , di soccorrere in elicottero ogni singolo viaggiatore in difficolta’.

Al contrario, stiamo assistento al presunto botto dell’ AV. Apprendiamo che il buon Guariniello abbia aperto un’inchiesta, nella quale avrebbe stabilito che il 70% dei treni TAV sia in ritardo. (2) Il problema non sta nell’enormita’ del dato (il procuratore, furbo, ha selezionato 420 treni. A 110 treni AV al giorno, ha selezionato 3 giorni e rotti. In pratica , un momento di picco dei problemi dovuti al maltempo, allo scopo di drogare il dato) , quanto il fatto che un tizio abbia deciso di aprire un’inchiesta e prendere delle statistiche sui ritardi: in ultima analisi, qual’e’ il problema penale?

Il ritardo e’ seccante, in sede giuridica puo’ essere un problema di diritto civile, ma non e’ un reato, come lo stesso procuratore Guariniello ammette. Ora, la domanda e’: ma perche’ questo tizio sta spendendo dei soldi del contribuente solo allo scopo di dare notizie negative e viziate ai giornali dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®? Onestamente, io porterei il caso alla corte dei conti, perche’ non si capisce a quale titolo qusto signore sia intervenuto: e’ vero che c’e’ stato un esposto sui ritardi , ma di certo fare statistiche su tre giorni di ritardi non dimostra nulla, visto che non si tratta neppure di una vera stima, visto il campione.

Il vero problema e’ la distribuzione del capitale in gioco. Trenitalia, coi suoi 110 treni al giorno, sta muovendo 110.000 persone al giorno da Napoli a Torino. Questo infligge un colpo molto duro sia al traffico delle autobuche autostrade italiane, sia ad Alitalia , che si vede togliere traffico alla sua tratta di maggiore monopolio resa.

Ci sono quindi due grandi schieramenti in gioco: da un lato i Salotti Buoni della Finanza Italiana®, che possiedono quote importanti sia di autobuche autostrade Spa, e che si sono messi in gioco con Alitalia al fine di somministrarle il famoso trattamento De Benedetti(3) , la cui capacita’ di movimento di idioti va dai verdi alle cosiddette associazioni di consumatori, e dall’altro un’azienda come Trenitalia, che ha la sfortuna di non aver ancora subito il Trattamento De Benedetti a beneficio dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®.

Cosi’, in questi giorni ne succedono di tutti i colori: e’ sembrato che l’ Italia sia stata l’unica nazione coi treni fermi, quando si sono fermati anche in Germania e Francia, si e’ parlato di un fantomatico treno tedesco che da solo risolverebbe tutti i problemi dei viaggiatori se ci fosse nei tabelloni (4), abbiamo visto magistrati spendere soldi del consumatore per fare statistiche su fenomeni (i ritardi) che non sono dei crimini, e chi piu’ ne ha e piu’ ne metta.

La realta’ e’ contenuta nel rapporto di Guariniello: su un campione di 420 treni preso mentre ne girano 110 al giorno, cioe’ per i tre giorni di maltempo, il 70% dei treni erano in ritardo, la maggior parte di quindici minuti.

Ora, se nella mia esperienza di volo io considerassi i quindici minuti di ritardo degli aerei, non si salverebbe neanche l’Air Force One. Tralasciando la folla di idioti che porta in aereo anche la gabbia del polli e fa perdere tempo alle hostess nel tentativo di sistemare la loro cabina del telefono preferita nel vano bagagli, fino ai ritardi nello scarico di valigie, per non parlare del fatto che una coincidenza tra due aerei implica un intervallo “di sicurezza” di almeno un’ora .

Niente: di tutto questo non c’e’ nulla; nemmeno in seguito ai nuovi controlli di sicurezza seguiti al non attentato terroristico, (5) qualche giornale dei Salotti Buoni della Finanza Italiana® ha osato menzionare che questo avrebbe portato ritardi e code ai check-in. Invece, so benissimo che il prossimo lunedi’ sara’ meglio che mi presenti con DUE ore di anticipo , visto che avranno regolato i sensori cosi’ duramente che la mia emoglobina fara’ scattare i rilevatori di metallo: “prego, puo’ mettere i suoi globuli rossi sul nastro”?

Insomma, per decreto dei Salotti Buoni della Finanza Italiana® , Alitalia e Autostrade si sono trasformate in una gioiosa macchina da guerra di geometrica potenza. Nemmeno in caso di maltempo i prodi piloti di Alitalia si fermano, e se un aereo di Alitalia si schiantasse su un palazzo, sono certo che il Corriere titolerebbe “Alitalia, atterraggio record.I piloti riescono ad atterrare su un balcone: in paradiso tutti i passeggeri.Gratis.”, mentre Repubblica scriverebbe “Berlusconi costruisce un palazzo per fermare Alitalia. I piloti “andiamo avanti”. Di Pietro direbbe “Berlusconi ha fatto cadere un aereo per non farsi processare“, e cosi’ via.

Sembra che nemmeno il senso del ridicolo fermi questi giornali, ma la cosa che mi lascia veramente perplesso sono i blogger. Essi stanno amplificando semplicemente la voce dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®, spinti da quella voglia di parlare contro che non si rendono conto di stare venendo aizzati contro Trenitalia, colpevole di essere un’azienda non ancora DeBenedettizzata , e di far concorrenza alle aziende Debenedettizzate come Societa’ Autobuche Autostrade e Alitalia CAI Sarcazzocosa.

Cosi’, oggi il lettore sa che la neve ha bloccato le ferrovie, sa che ha bloccato alcune citta’ -le citta’ non interessano i Salotti Buoni della Finanza Italiana® - ma non sappiamo nulla della performance attuale di Alitalia, ne’ di come si siano comportate le autostrade, visto che tutta l’enfasi e’ stata data alle statali franate e ai fiumi che rischiavano di tracimare.

Sono certo che se invitassi i lettori a scrivere qui i disagi subiti sulle autostrade o sugli aerei di Alitalia otterrei un bagno di sangue, ma i giornali dei Salotti Buoni della Finanza Italiana® preferiscono comportarsi come se l’unica azienda ad avere dei problemi siano stati i treni ad alta velocita’. Perche’ questo preme ai loro padroni: fermare questo stillicidio di 110.000 persone al giorno sottratte ai pedaggi, agli aerei (cioe’ all’inquinamento, ma questo ai verdi dei alotti Buoni della Finanza Italiana® non sembra importare) dei soliti amici degli amici.

E ovviamente, vedrete che prima o poi si proporra’ la cura De Benedetti anche per Trenitalia. Un bel partner straniero che ne rilevi un’altra fetta considerevole, per far contento il partito del Times, una bella demolizione della TAV, per non scontentare i bravi di Giovanni delle Lamiere® che vogliono vedere ancora piu’ auto sulle autostrade, cosa che fa felice anche Toni&Bepi delle Pecore Colorate, e possibilmente permettere un altro colpo gobbo all’ Ingegner Svendita&Disoccupazione.

E tra le grida di squilibrati verdognoli, grillini prepotenti , tardone indignate, consumatori urlanti , si consuma la distruzione dell’unico patrimonio industriale che il paese abbia mai avuto.

In ogni caso, potete avere una mappa dei media che sono parte integrante dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®, semplicemente osservando quanto sparino su Trenitalia, e quanto poco sparino su Alitalia e Societa’ Autostrade, in concomitanza dello stesso fenomeno atmosferico.

E potete anche notare la stupidita’ dei singoli blogger che si accodano allo spara-spara iniziato dai media mainstream, credendo di formare un giornalismo indipendente e critico, e formando invece un corettino mainstream che amplifica quanto detto dai Salotti Buoni della Finanza Italiana®.

Qui non si tratta di difendere o meno Trenitalia. Qui si tratta di notare come i problemi di Alitalia e di Societa’ Autostrade siano scomparsi dai media, ridotti, attenuati. Stiamo parlando di media che tentano di sviare passeggeri di treno su degli aerei dei quali non pubblicano le difficolta’ e le tragedie , su aereoporti bloccati come e piu’ delle ferrovie per il maltempo, su aerei bloccati ancora piu’ dei treni, su autostrade intasate e pericolose.

Il tutto perche’ Trenitalia non ha ancora subito la cura a base di Giustizia, Liberta’, Disoccupazione e Svendita, e la TAV sta dando fastidio ai Salotti Buoni della Finanza Italiana®, ai Giovanni delle Lamiere® , Toni&Bepi delle Pecore Colorate®, ai Colla&ninnenanne della situazione. E i blog che si allineano, troppo allettati dalla falsa idea di fare giornalismo di denuncia, di fare giornalismo contro, senza capire che sparare su Trenitalia significa semplicemente distogliere l’attenzione da due carcasse (finanziarie e tecnologiche) come Alitalia e Autostrade.

By Uriel

(1) I salotti buoni della finanza italiana sono tali perche’ ammanicati coi salotti buoni della politica italiana, of course.

(2) Vista la topologia della rete, e’ semplicemente impossibile, perche’ oltre il 50% di treni in ritardo, tutti i treni vanno in ritardo. Il numero di guasti raggiunge la saturazione ed il blocco della rete intera ben prima del 70%.

(3)De Benedetti, lo pseudoimprenditore italiano, ha un curriculum di tutto rispetto di trasformazione in fuffa finanziarizzazione di aziende, riduzione ai minimi termini e svendita a capitali stranieri. Destino che e’ toccato, con poche eccezioni, a tutto cio’ che lo stato ha “privatizzato” mettendolo nelle mani dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®. Per “Trattamento De Benedetti” intendo una manovra che produce disoccupazione, soddisfazione degli azionisti, riduzione delle aziende e successiva vandita sottocosto ad uno straniero. Piu’ che Giustizia e Liberta’, De Benedetti avrebbe dovuto chamare “Disoccupazione e Financial Times” il suo salotto, visto che si tratta degli obiettivi che ha seguito maggiormente. Ringrazio il cielo che Mondadori sia finita a Berlusconi, rimanendo un grande gruppo editoriale italiano: l’avesse presa in mano De Benedetti, oggi Mondadori sarebbe “Amazon Spaghetti”, o giu’ di li: comprata, smantellata e rivenduta a due lire a qualche straniero.

(4) L’esistenza di tale treno, ovviamente, risolverebbe ogni problema possibile della rete ferroviaria. Ovviamente , userebbero binari segreti posati in Italia dalla Wehrmacht., e quindi non risentirebbero dei ritardi della rete ferroviaria. Ah, si’: qualcuno spieghi a questi giornalisti la differenza tra Trenitalia e Rfi , rete ferroviaria italiana. Potrebbero scoprire che le stazioni e la gestione degli orari non siano del tutto una colpa di Trenitalia.

(5) Ormai sembra di essere nel paese delle meraviglie. Li’ si festeggiavano i non-compleanni, qui ci si terrorizza per i non-attentati.

04 gennaio 2010

A che serve la flessibilità?


Chi soffrirà di più e più a lungo per l'implosione di Wall Street del 2008-2009 e per la recessione mondiale che ne è seguita?
Non i banchieri e i finanzieri che hanno causato il disastro. Alcuni finanzieri, come Bernard Madoff, andranno in prigione per truffa. Ma anche se Madoff era solo la punta dell'iceberg del dilagante malcostume finanziario, la maggior parte dei finanzieri sospetti non ha ragione di temere l'arresto, o perché il loro comportamento era semplicemente ai limiti della legalità oppure perché gli illeciti finanziari, più raffinati della truffa vera e propria, spesso sono difficili da provare.

Alcuni direttori di banca se ne andranno in pensione con disonore, ma con una maxiliquidazione che potrà alleviare le loro pene, come la buonuscita da 55 milioni di dollari concessa a Ken Lewis della Bank of America, o come la pensione di 25 milioni di sterline garantita a Fred Goodwin della Royal Bank of Scotland. Molte banche, incoraggiate dal salvataggio pubblico, dalle garanzie e dai bassi tassi d'interesse, hanno rincominciato a versare colossali gratifiche ai loro top manager e nel frattempo si battono vigorosamente contro l'introduzione di riforme che mirano a imporre limiti ai loro rischi e ai loro sistemi di retribuzione.

I grandi sconfitti di questo disastro economico sono i lavoratori dei paesi ricchi che hanno abbracciato la flessibilità liberista del capitalismo di stampo americano. Dal 2007 all'ottobre 2009, gli Stati Uniti hanno perso quasi otto milioni di posti di lavoro, con un calo della percentuale degli occupati dal 63 al 58,5% della popolazione. Alla fine del 2009, la percentuale dei senza lavoro ha superato il 10% e i disoccupati restano tali più a lungo di tutti i periodi precedenti, dalla Grande Depressione in poi. Milioni di persone si sono viste decurtare l'orario di lavoro, e altri milioni, scoraggiati dalla mancanza di lavoro, hanno rinunciato a cercarlo.
Anche l'Europa economicamente più avanzata, il Canada e il Giappone hanno subìto pesanti cali occupazionali, che persisteranno a lungo. La Spagna, dove sono molto diffusi i contratti a tempo determinato, è quella che ha avuto il maggiore incremento della disoccupazione, perché licenziare un lavoratore in Spagna è facile come in America. Alcuni paesi - ad esempio la Germania, la Svezia e la Corea del Sud hanno "nascosto" la loro disoccupazione pagando le aziende per mantenere i lavoratori sul libro paga. Può funzionare sul breve periodo, ma nel tempo è una soluzione insostenibile.

Dagli anni 80 fino alla metà di questo decennio, ogni volta che c'è stata una ripresa economica l'occupazione è cresciuta più lentamente del Pil, e ogni volta il divario era maggiore. Negli Stati Uniti, sotto la presidenza Clinton, la ripresa non portò posti di lavoro, fino al boom di Internet della fine degli anni 90; anche dopo il rallentamento del 2001, con Bush alla Casa Bianca, la ripresa non produsse effetti positivi sull'occupazione.Nei primi anni 90 la Svezia è stata colpita da una pesantissima recessione, provocata dallo scoppio della bolla immobiliare e da una crisi bancaria. Il tasso di disoccupazione salì dall'1,8% del 1990 al 9,6% del 1994, prima di attestarsi intorno al 5% nel 2001. Sedici anni dopo la crisi, il tasso di disoccupazione era al 6,2%, più del triplo rispetto a quello del 1990.

Nel 1997, la Corea del Sud si trovò in difficoltà non solo per la crisi finanziaria asiatica, ma anche per l'insistenterichiesta degli Stati Uniti e dell'Fmi di alzare i tassi d'interesse e introdurre riforme modellate sul "consenso di Washington", in cambio di aiuti. L'occupazione ripartì, ma principalmente sotto forma di posti di lavoro "non regolari", con benefit limitati, bassi salari e poca sicurezza dell'impiego. La disuguaglianza nel paese asiatico, fino ad allora su livelli modesti, crebbe fino a portare Seul al secondo posto (dopo gli Stati Uniti) nella classifica dei paesi dell'Ocse.

La debolezza del mercato del lavoro penalizza gravemente l'economia e il benessere individuale. Quando il mercato del lavoro è debole, i giovani in cerca di prima occupazione e i lavoratori esperti che perdono il posto subiscono perdite economiche che faranno sentire i loro effetti per tutta la vita. Studi sulla felicità dimostrano che la disoccupazione produce un effetto negativo comparabile a quello della perdita di un congiunto.
È difficile che gli Stati Uniti tornino in tempi brevi alla piena occupazione. Dal 1993 al 1998, l'America ha creato milioni di posti di lavoro, che hanno fatto salire il tasso d'occupazione di 5,4 punti percentuali. Se l'occupazione comincerà a crescere a questo ritmo nel 2010, bisognerà aspettare fino al 2015 prima di tornare ai livelli precedenti alla recessione. E una ripresa lenta negli Usa frenerebbe la ripresa anche negli altri paesi avanzati, penalizzando anche lì l'occupazione.

Un lungo e penoso periodo di disoccupazione alta va nella direzione opposta a quello che quasi tutti gli esperti pensavano sarebbe stato l'esito del modello economico americano, improntato alla flessibilità. Dai primi anni 90 in poi molti analisti hanno valutato che l'America aveva un tasso di disoccupazione più basso di quello della maggior parte dei paesi dell'Ue grazie alla scarsa sindacalizzazione, alla facilità di assunzione, all'assenza di forti garanzie giuridiche contro il licenziamento e al forte ricambio di personale. Molti paesi Ocse hanno introdotto riforme di vario genere nel senso della flessibilità, nella speranza di migliorare la propria economia imitando l'America.La tesi che la flessibilità sia il fattore chiave per l'occupazione non è più sostenibile. Nel suo Employment Outlook del 2009, l'Ocse analizza impietosamente le sue riforme preferite e giunge alla conclusione che non sono sufficienti per consentire a un paese di adeguarsi agli effetti di una recessione trainata dalla finanza. Secondo l'Ocse, «non sembra esserci nessun motivo reale per ritenere che le recenti riforme strutturali abbiano reso il mercato del lavoro dei paesi Ocse significativamente più resistente a gravi flessioni dell'economia».

Quindi l'insegnamento che possiamo trarre dalla recessione è chiaro: l'anello debole del capitalismo non è il mercato del lavoro, ma il mercato finanziario. Le imperfezioni del mercato del lavoro impongono alla società tutt'al più dei costi modesti in termini d'inefficienza, mentre le imperfezioni del mercato finanziario danneggiano pesantemente la società, e chi ci rimette di più sono i lavoratori, non gli artefici del disastro. Inoltre, a causa della globalizzazione il collasso del mercato finanziario americano dissemina miseria in tutto il mondo.

Dobbiamo reinventare la finanza, in modo che lavori per arricchire l'economia reale, invece che arricchire soltanto i finanzieri: lo dobbiamo ai lavoratori vittime di questa recessione. Reinventare la finanzia significa cambiare gli incentivi e le regole che governano il settore finanziario. E dal momento che sono in pericolo anche l'economia e l'occupazione di altri paesi, questi stati hanno il dovere, nei confronti dei loro cittadini, di fare pressione sugli Stati Uniti perché realizzino riforme finanziarie significative.

di Richard Freeman (docente di Economia Harward)

10 gennaio 2010

Recessione: diminuiscono i crimini


Con la recessione aumentano (negli Stati Uniti e altrove) poveri e disoccupati, ma crollano i crimini. Con grandissimo stupore di criminologi e sociologi che fin dai primi licenziamenti del 2008 avevano previsto il contrario. In realtà, negli Usa, con più di 7 milioni di posti di lavoro persi, il livello di criminalità è arrivato al punto più basso da cinquant’anni.
Il Wall Street Journal ha dedicato all’evento una pagina, decretando la morte di una delle teorie sociologiche più diffuse, che spiega come la causa della criminalità siano l’ineguaglianza dei redditi e la povertà. È accaduto invece che ineguaglianze e livelli di povertà sono aumentati, e i crimini diminuiti. Come mai?
Perché la teoria: povertà uguale criminalità, era sbagliata, e, a dire il vero, lo si sapeva da un pezzo. Influenzata dalla sociologia radicale americana di Wright Mills e Vance Packard, con scorie della Scuola di Francoforte portate da Herbert Marcuse, accusava il capitalismo di creare nuove sacche di povertà a vantaggio degli eletti, e di spingere i diseredati al crimine come unico modo di affermare se stessi, oltre che di sopravvivere.
Invece, e non solo in questa crisi ma anche nelle precedenti, i dati oggettivi hanno dimostrato il contrario.
Il fatto è che anche il crimine costa, cresce in una situazione dove ci sono liquidità ed energie. Lo aveva perfettamente dimostrato il grande sociologo francese Gaston Bouthoul fin dagli anni ’50 del secolo scorso, studiando la guerra, e demolendo in quel caso la vecchia (ma ancora circolante da noi) teoria che le guerre siano fatte dai poveri, spinti a ciò dai bisogni più elementari, loro negati dalle economie dei Paesi ricchi e dall’ineguaglianza internazionale.
Bouthoul dimostrò in modo inoppugnabile che le guerre erano sempre nate da un accumulo di energie dei Paesi ricchi, che le investivano (gettandole via, ripetendo il rito romano della sparsio, i doni gettati al trionfo del vincitore) in conflitti di natura ideale, politica, religiosa, ma che nella maggior parte dei casi rappresentavano, anche per loro, un’autentica distruzione di ricchezza.
Non solo però per muovere guerra, ma anche per delinquere, ci vogliono soldi, energie. Un tipo come Bernie Madoff, che si fece dare miliardi di dollari da una folla di plutocrati, intascandoseli, è certo l’icona del criminale affluente, pre-recessione. Ma anche le bande di rapinatori hanno bisogno di un retroterra solido: luoghi che ti ospitino, organizzazioni che finanzino, coprano, acquistino armi, automobili, quel che serve.
Il crimine (come mi raccontava Alberto dall’Ora, uno dei più grandi penalisti italiani), è soprattutto un’attività industriale, finalizzata alla moltiplicazione della ricchezza dei suoi partecipanti. Se la ricchezza si contrae, anche l’azienda-crimine riduce le attività.
Anche il terrorismo internazionale, che costa un mucchio di soldi, ha potuto svilupparsi quando i Paesi che lo ispirano hanno cominciato a disporre di ingenti capitali, tanto da poterli buttar via. Quando non c’erano i petrodollari il terrorismo era affidato a qualche anarchico, che in genere pagava di tasca sua singoli attentati a sfortunati sovrani, recandosi in terza classe sul luogo del delitto.
E i poveri, allora? I poveri non c’entrarono mai nulla, con l’incremento del crimine. Solo le fantasie negative sviluppate sui poveri dagli intellettuali ricchi (promotori di queste sociologie), condite dai loro sensi di colpa, li hanno convinti che se un operaio perde il lavoro, diventa un bandito.
La morale delle classi meno favorite ha basi più solide, e abitudini alle privazioni più consolidate, della paura della povertà di un professore che ha studiato nelle migliori università americane.
Certo, i poveri cercano di diventare ricchi, ma raramente perdono la testa quando devono fare un passo indietro, in una condizione già nota, e di cui riconoscono la dignità (in genere sconosciuta all’intellettuale radical-borghese che la filtra attraverso i propri sensi di colpa).
Si sa da tempo: il popolo è più onesto e più coraggioso dei suoi paladini.
di Claudio Risé

09 gennaio 2010

Ma Alitalia ? Tutto bene?


Nelle ultime (e purtroppo quasi finite) settimane di ferie , ho letto molta piu’ stampa italiana del solito, e ho notato una catastrofica tendenza al leccaggio del culo da parte dei giornali dei “Salotti buoni” della finanza italiana. Mi referisco al Corriere della Serva e alla Sepubblica.

Per prima cosa vi faccio una domanda: come va, oggi Alitalia? Ritardi? Malfunzionamenti? Scioperi? Gente ferma in aereporto? Ovviamente non vi chiedo di dirmi se qualcuno di voi era dentro un aereo di Alitalia e ha avuto dei problemi. Sarebbe una risposta scontata. No, quello che vi chiedo e’ come sia, giornali alla mano, il servizio Alitalia oggi.

La risposta e’ che ne avete sentito parlare poco, pochissimo.

Cosi’ vi faccio un’altra domanda: nell’ondata di maltempo che ha colpito il paese, come e’ uscita Alitalia? Ritardi? Voli annullati? Bagagli persi? Passeggeri bivaccati negli aereoporti? Ancora una volta, non voglio sapere se sia toccato a voi, ma semplicemente che cosa hanno riportato i giornali. Poco, molto poco. Molto meno di come si siano accaniti sui treni.

Nulla. Alitalia si e’ trasformata in una gioiosa macchina da guerra, da quando e’ stata rilevata dai Salotti Buoni della Finanza Italiana®. O almeno, a quanto dicono i giornali maintstream italiani. Che sono proprieta’… dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®.(1)

Andiamo avanti. Le autostrade. Ora, c’e’ stato un periodo di maltempo negli ultimi giorni. Di solito, quel che succede e’ che le autostrade italiane, o meglio le autobuche italiane , in questi casi sono nella merda sino al collo. Ci sono inevitabilmente code, gente in auto per il ponte di natale che viene bloccata. Anzi, di solito i grandi periodi di natale sono gia’ forieri di guai senza il maltempo. Figuriamoci col maltempo.

Invece no: sono crollate alcune statali in liguria, ci sono stati problemi sui passi alpini, ma le autostrade no. Le autostrade italiane, contrariamente agli altri anni, sono diventate un mostro di efficienza antineve, capaci di sgomberare in tempo reale le buche le strade , di soccorrere in elicottero ogni singolo viaggiatore in difficolta’.

Al contrario, stiamo assistento al presunto botto dell’ AV. Apprendiamo che il buon Guariniello abbia aperto un’inchiesta, nella quale avrebbe stabilito che il 70% dei treni TAV sia in ritardo. (2) Il problema non sta nell’enormita’ del dato (il procuratore, furbo, ha selezionato 420 treni. A 110 treni AV al giorno, ha selezionato 3 giorni e rotti. In pratica , un momento di picco dei problemi dovuti al maltempo, allo scopo di drogare il dato) , quanto il fatto che un tizio abbia deciso di aprire un’inchiesta e prendere delle statistiche sui ritardi: in ultima analisi, qual’e’ il problema penale?

Il ritardo e’ seccante, in sede giuridica puo’ essere un problema di diritto civile, ma non e’ un reato, come lo stesso procuratore Guariniello ammette. Ora, la domanda e’: ma perche’ questo tizio sta spendendo dei soldi del contribuente solo allo scopo di dare notizie negative e viziate ai giornali dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®? Onestamente, io porterei il caso alla corte dei conti, perche’ non si capisce a quale titolo qusto signore sia intervenuto: e’ vero che c’e’ stato un esposto sui ritardi , ma di certo fare statistiche su tre giorni di ritardi non dimostra nulla, visto che non si tratta neppure di una vera stima, visto il campione.

Il vero problema e’ la distribuzione del capitale in gioco. Trenitalia, coi suoi 110 treni al giorno, sta muovendo 110.000 persone al giorno da Napoli a Torino. Questo infligge un colpo molto duro sia al traffico delle autobuche autostrade italiane, sia ad Alitalia , che si vede togliere traffico alla sua tratta di maggiore monopolio resa.

Ci sono quindi due grandi schieramenti in gioco: da un lato i Salotti Buoni della Finanza Italiana®, che possiedono quote importanti sia di autobuche autostrade Spa, e che si sono messi in gioco con Alitalia al fine di somministrarle il famoso trattamento De Benedetti(3) , la cui capacita’ di movimento di idioti va dai verdi alle cosiddette associazioni di consumatori, e dall’altro un’azienda come Trenitalia, che ha la sfortuna di non aver ancora subito il Trattamento De Benedetti a beneficio dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®.

Cosi’, in questi giorni ne succedono di tutti i colori: e’ sembrato che l’ Italia sia stata l’unica nazione coi treni fermi, quando si sono fermati anche in Germania e Francia, si e’ parlato di un fantomatico treno tedesco che da solo risolverebbe tutti i problemi dei viaggiatori se ci fosse nei tabelloni (4), abbiamo visto magistrati spendere soldi del consumatore per fare statistiche su fenomeni (i ritardi) che non sono dei crimini, e chi piu’ ne ha e piu’ ne metta.

La realta’ e’ contenuta nel rapporto di Guariniello: su un campione di 420 treni preso mentre ne girano 110 al giorno, cioe’ per i tre giorni di maltempo, il 70% dei treni erano in ritardo, la maggior parte di quindici minuti.

Ora, se nella mia esperienza di volo io considerassi i quindici minuti di ritardo degli aerei, non si salverebbe neanche l’Air Force One. Tralasciando la folla di idioti che porta in aereo anche la gabbia del polli e fa perdere tempo alle hostess nel tentativo di sistemare la loro cabina del telefono preferita nel vano bagagli, fino ai ritardi nello scarico di valigie, per non parlare del fatto che una coincidenza tra due aerei implica un intervallo “di sicurezza” di almeno un’ora .

Niente: di tutto questo non c’e’ nulla; nemmeno in seguito ai nuovi controlli di sicurezza seguiti al non attentato terroristico, (5) qualche giornale dei Salotti Buoni della Finanza Italiana® ha osato menzionare che questo avrebbe portato ritardi e code ai check-in. Invece, so benissimo che il prossimo lunedi’ sara’ meglio che mi presenti con DUE ore di anticipo , visto che avranno regolato i sensori cosi’ duramente che la mia emoglobina fara’ scattare i rilevatori di metallo: “prego, puo’ mettere i suoi globuli rossi sul nastro”?

Insomma, per decreto dei Salotti Buoni della Finanza Italiana® , Alitalia e Autostrade si sono trasformate in una gioiosa macchina da guerra di geometrica potenza. Nemmeno in caso di maltempo i prodi piloti di Alitalia si fermano, e se un aereo di Alitalia si schiantasse su un palazzo, sono certo che il Corriere titolerebbe “Alitalia, atterraggio record.I piloti riescono ad atterrare su un balcone: in paradiso tutti i passeggeri.Gratis.”, mentre Repubblica scriverebbe “Berlusconi costruisce un palazzo per fermare Alitalia. I piloti “andiamo avanti”. Di Pietro direbbe “Berlusconi ha fatto cadere un aereo per non farsi processare“, e cosi’ via.

Sembra che nemmeno il senso del ridicolo fermi questi giornali, ma la cosa che mi lascia veramente perplesso sono i blogger. Essi stanno amplificando semplicemente la voce dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®, spinti da quella voglia di parlare contro che non si rendono conto di stare venendo aizzati contro Trenitalia, colpevole di essere un’azienda non ancora DeBenedettizzata , e di far concorrenza alle aziende Debenedettizzate come Societa’ Autobuche Autostrade e Alitalia CAI Sarcazzocosa.

Cosi’, oggi il lettore sa che la neve ha bloccato le ferrovie, sa che ha bloccato alcune citta’ -le citta’ non interessano i Salotti Buoni della Finanza Italiana® - ma non sappiamo nulla della performance attuale di Alitalia, ne’ di come si siano comportate le autostrade, visto che tutta l’enfasi e’ stata data alle statali franate e ai fiumi che rischiavano di tracimare.

Sono certo che se invitassi i lettori a scrivere qui i disagi subiti sulle autostrade o sugli aerei di Alitalia otterrei un bagno di sangue, ma i giornali dei Salotti Buoni della Finanza Italiana® preferiscono comportarsi come se l’unica azienda ad avere dei problemi siano stati i treni ad alta velocita’. Perche’ questo preme ai loro padroni: fermare questo stillicidio di 110.000 persone al giorno sottratte ai pedaggi, agli aerei (cioe’ all’inquinamento, ma questo ai verdi dei alotti Buoni della Finanza Italiana® non sembra importare) dei soliti amici degli amici.

E ovviamente, vedrete che prima o poi si proporra’ la cura De Benedetti anche per Trenitalia. Un bel partner straniero che ne rilevi un’altra fetta considerevole, per far contento il partito del Times, una bella demolizione della TAV, per non scontentare i bravi di Giovanni delle Lamiere® che vogliono vedere ancora piu’ auto sulle autostrade, cosa che fa felice anche Toni&Bepi delle Pecore Colorate, e possibilmente permettere un altro colpo gobbo all’ Ingegner Svendita&Disoccupazione.

E tra le grida di squilibrati verdognoli, grillini prepotenti , tardone indignate, consumatori urlanti , si consuma la distruzione dell’unico patrimonio industriale che il paese abbia mai avuto.

In ogni caso, potete avere una mappa dei media che sono parte integrante dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®, semplicemente osservando quanto sparino su Trenitalia, e quanto poco sparino su Alitalia e Societa’ Autostrade, in concomitanza dello stesso fenomeno atmosferico.

E potete anche notare la stupidita’ dei singoli blogger che si accodano allo spara-spara iniziato dai media mainstream, credendo di formare un giornalismo indipendente e critico, e formando invece un corettino mainstream che amplifica quanto detto dai Salotti Buoni della Finanza Italiana®.

Qui non si tratta di difendere o meno Trenitalia. Qui si tratta di notare come i problemi di Alitalia e di Societa’ Autostrade siano scomparsi dai media, ridotti, attenuati. Stiamo parlando di media che tentano di sviare passeggeri di treno su degli aerei dei quali non pubblicano le difficolta’ e le tragedie , su aereoporti bloccati come e piu’ delle ferrovie per il maltempo, su aerei bloccati ancora piu’ dei treni, su autostrade intasate e pericolose.

Il tutto perche’ Trenitalia non ha ancora subito la cura a base di Giustizia, Liberta’, Disoccupazione e Svendita, e la TAV sta dando fastidio ai Salotti Buoni della Finanza Italiana®, ai Giovanni delle Lamiere® , Toni&Bepi delle Pecore Colorate®, ai Colla&ninnenanne della situazione. E i blog che si allineano, troppo allettati dalla falsa idea di fare giornalismo di denuncia, di fare giornalismo contro, senza capire che sparare su Trenitalia significa semplicemente distogliere l’attenzione da due carcasse (finanziarie e tecnologiche) come Alitalia e Autostrade.

By Uriel

(1) I salotti buoni della finanza italiana sono tali perche’ ammanicati coi salotti buoni della politica italiana, of course.

(2) Vista la topologia della rete, e’ semplicemente impossibile, perche’ oltre il 50% di treni in ritardo, tutti i treni vanno in ritardo. Il numero di guasti raggiunge la saturazione ed il blocco della rete intera ben prima del 70%.

(3)De Benedetti, lo pseudoimprenditore italiano, ha un curriculum di tutto rispetto di trasformazione in fuffa finanziarizzazione di aziende, riduzione ai minimi termini e svendita a capitali stranieri. Destino che e’ toccato, con poche eccezioni, a tutto cio’ che lo stato ha “privatizzato” mettendolo nelle mani dei Salotti Buoni della Finanza Italiana®. Per “Trattamento De Benedetti” intendo una manovra che produce disoccupazione, soddisfazione degli azionisti, riduzione delle aziende e successiva vandita sottocosto ad uno straniero. Piu’ che Giustizia e Liberta’, De Benedetti avrebbe dovuto chamare “Disoccupazione e Financial Times” il suo salotto, visto che si tratta degli obiettivi che ha seguito maggiormente. Ringrazio il cielo che Mondadori sia finita a Berlusconi, rimanendo un grande gruppo editoriale italiano: l’avesse presa in mano De Benedetti, oggi Mondadori sarebbe “Amazon Spaghetti”, o giu’ di li: comprata, smantellata e rivenduta a due lire a qualche straniero.

(4) L’esistenza di tale treno, ovviamente, risolverebbe ogni problema possibile della rete ferroviaria. Ovviamente , userebbero binari segreti posati in Italia dalla Wehrmacht., e quindi non risentirebbero dei ritardi della rete ferroviaria. Ah, si’: qualcuno spieghi a questi giornalisti la differenza tra Trenitalia e Rfi , rete ferroviaria italiana. Potrebbero scoprire che le stazioni e la gestione degli orari non siano del tutto una colpa di Trenitalia.

(5) Ormai sembra di essere nel paese delle meraviglie. Li’ si festeggiavano i non-compleanni, qui ci si terrorizza per i non-attentati.

04 gennaio 2010

A che serve la flessibilità?


Chi soffrirà di più e più a lungo per l'implosione di Wall Street del 2008-2009 e per la recessione mondiale che ne è seguita?
Non i banchieri e i finanzieri che hanno causato il disastro. Alcuni finanzieri, come Bernard Madoff, andranno in prigione per truffa. Ma anche se Madoff era solo la punta dell'iceberg del dilagante malcostume finanziario, la maggior parte dei finanzieri sospetti non ha ragione di temere l'arresto, o perché il loro comportamento era semplicemente ai limiti della legalità oppure perché gli illeciti finanziari, più raffinati della truffa vera e propria, spesso sono difficili da provare.

Alcuni direttori di banca se ne andranno in pensione con disonore, ma con una maxiliquidazione che potrà alleviare le loro pene, come la buonuscita da 55 milioni di dollari concessa a Ken Lewis della Bank of America, o come la pensione di 25 milioni di sterline garantita a Fred Goodwin della Royal Bank of Scotland. Molte banche, incoraggiate dal salvataggio pubblico, dalle garanzie e dai bassi tassi d'interesse, hanno rincominciato a versare colossali gratifiche ai loro top manager e nel frattempo si battono vigorosamente contro l'introduzione di riforme che mirano a imporre limiti ai loro rischi e ai loro sistemi di retribuzione.

I grandi sconfitti di questo disastro economico sono i lavoratori dei paesi ricchi che hanno abbracciato la flessibilità liberista del capitalismo di stampo americano. Dal 2007 all'ottobre 2009, gli Stati Uniti hanno perso quasi otto milioni di posti di lavoro, con un calo della percentuale degli occupati dal 63 al 58,5% della popolazione. Alla fine del 2009, la percentuale dei senza lavoro ha superato il 10% e i disoccupati restano tali più a lungo di tutti i periodi precedenti, dalla Grande Depressione in poi. Milioni di persone si sono viste decurtare l'orario di lavoro, e altri milioni, scoraggiati dalla mancanza di lavoro, hanno rinunciato a cercarlo.
Anche l'Europa economicamente più avanzata, il Canada e il Giappone hanno subìto pesanti cali occupazionali, che persisteranno a lungo. La Spagna, dove sono molto diffusi i contratti a tempo determinato, è quella che ha avuto il maggiore incremento della disoccupazione, perché licenziare un lavoratore in Spagna è facile come in America. Alcuni paesi - ad esempio la Germania, la Svezia e la Corea del Sud hanno "nascosto" la loro disoccupazione pagando le aziende per mantenere i lavoratori sul libro paga. Può funzionare sul breve periodo, ma nel tempo è una soluzione insostenibile.

Dagli anni 80 fino alla metà di questo decennio, ogni volta che c'è stata una ripresa economica l'occupazione è cresciuta più lentamente del Pil, e ogni volta il divario era maggiore. Negli Stati Uniti, sotto la presidenza Clinton, la ripresa non portò posti di lavoro, fino al boom di Internet della fine degli anni 90; anche dopo il rallentamento del 2001, con Bush alla Casa Bianca, la ripresa non produsse effetti positivi sull'occupazione.Nei primi anni 90 la Svezia è stata colpita da una pesantissima recessione, provocata dallo scoppio della bolla immobiliare e da una crisi bancaria. Il tasso di disoccupazione salì dall'1,8% del 1990 al 9,6% del 1994, prima di attestarsi intorno al 5% nel 2001. Sedici anni dopo la crisi, il tasso di disoccupazione era al 6,2%, più del triplo rispetto a quello del 1990.

Nel 1997, la Corea del Sud si trovò in difficoltà non solo per la crisi finanziaria asiatica, ma anche per l'insistenterichiesta degli Stati Uniti e dell'Fmi di alzare i tassi d'interesse e introdurre riforme modellate sul "consenso di Washington", in cambio di aiuti. L'occupazione ripartì, ma principalmente sotto forma di posti di lavoro "non regolari", con benefit limitati, bassi salari e poca sicurezza dell'impiego. La disuguaglianza nel paese asiatico, fino ad allora su livelli modesti, crebbe fino a portare Seul al secondo posto (dopo gli Stati Uniti) nella classifica dei paesi dell'Ocse.

La debolezza del mercato del lavoro penalizza gravemente l'economia e il benessere individuale. Quando il mercato del lavoro è debole, i giovani in cerca di prima occupazione e i lavoratori esperti che perdono il posto subiscono perdite economiche che faranno sentire i loro effetti per tutta la vita. Studi sulla felicità dimostrano che la disoccupazione produce un effetto negativo comparabile a quello della perdita di un congiunto.
È difficile che gli Stati Uniti tornino in tempi brevi alla piena occupazione. Dal 1993 al 1998, l'America ha creato milioni di posti di lavoro, che hanno fatto salire il tasso d'occupazione di 5,4 punti percentuali. Se l'occupazione comincerà a crescere a questo ritmo nel 2010, bisognerà aspettare fino al 2015 prima di tornare ai livelli precedenti alla recessione. E una ripresa lenta negli Usa frenerebbe la ripresa anche negli altri paesi avanzati, penalizzando anche lì l'occupazione.

Un lungo e penoso periodo di disoccupazione alta va nella direzione opposta a quello che quasi tutti gli esperti pensavano sarebbe stato l'esito del modello economico americano, improntato alla flessibilità. Dai primi anni 90 in poi molti analisti hanno valutato che l'America aveva un tasso di disoccupazione più basso di quello della maggior parte dei paesi dell'Ue grazie alla scarsa sindacalizzazione, alla facilità di assunzione, all'assenza di forti garanzie giuridiche contro il licenziamento e al forte ricambio di personale. Molti paesi Ocse hanno introdotto riforme di vario genere nel senso della flessibilità, nella speranza di migliorare la propria economia imitando l'America.La tesi che la flessibilità sia il fattore chiave per l'occupazione non è più sostenibile. Nel suo Employment Outlook del 2009, l'Ocse analizza impietosamente le sue riforme preferite e giunge alla conclusione che non sono sufficienti per consentire a un paese di adeguarsi agli effetti di una recessione trainata dalla finanza. Secondo l'Ocse, «non sembra esserci nessun motivo reale per ritenere che le recenti riforme strutturali abbiano reso il mercato del lavoro dei paesi Ocse significativamente più resistente a gravi flessioni dell'economia».

Quindi l'insegnamento che possiamo trarre dalla recessione è chiaro: l'anello debole del capitalismo non è il mercato del lavoro, ma il mercato finanziario. Le imperfezioni del mercato del lavoro impongono alla società tutt'al più dei costi modesti in termini d'inefficienza, mentre le imperfezioni del mercato finanziario danneggiano pesantemente la società, e chi ci rimette di più sono i lavoratori, non gli artefici del disastro. Inoltre, a causa della globalizzazione il collasso del mercato finanziario americano dissemina miseria in tutto il mondo.

Dobbiamo reinventare la finanza, in modo che lavori per arricchire l'economia reale, invece che arricchire soltanto i finanzieri: lo dobbiamo ai lavoratori vittime di questa recessione. Reinventare la finanzia significa cambiare gli incentivi e le regole che governano il settore finanziario. E dal momento che sono in pericolo anche l'economia e l'occupazione di altri paesi, questi stati hanno il dovere, nei confronti dei loro cittadini, di fare pressione sugli Stati Uniti perché realizzino riforme finanziarie significative.

di Richard Freeman (docente di Economia Harward)