13 gennaio 2010

I paradossi della mobilità


Il primo paradosso (è squisitamente tecnico-fisico ed ha a che fare col principio fisico della incomprimibilità dei corpi) nasce dalla diffusa convinzione che per aumentare l’efficienza della mobilità, e diminuire il traffico veicolare, sia sufficiente aumentare il numero delle strade e/o le loro dimensioni. L’effetto che si ottiene è in genere esattamente il contrario. Basta osservare una qualsiasi strada o autostrada nelle ore di punta per constatare che non c’è strada, superstrada, terza o quarta corsia che sia in grado di smaltire volumi di traffico privi di controllo.

La possibilità di raggiungere rapidamente luoghi molto lontani fra loro, se apparentemente sembra corrispondere al massimo della libertà e delle opportunità disponibili, in realtà è la premessa alla perdita di coesione sociale delle comunità e di qualità ambientale dei luoghi.

Pensiamo al comparto della vendita al dettaglio e della distribuzione: “la diffusione dei grandi magazzini ha fatto sparire il 17 % delle panetterie (17.800) e l’84% delle salumerie (73.800) e il 43% dei negozi di casalinghi (4.300). Quello che è scomparso è una parte importante della sostanza stessa della vita locale, con il corrispondente disfacimento del tessuto sociale.” E non esistono giustificazioni ne’ di ordine economico che occupazionale: “un posto di lavoro precario creato dalla grande distribuzione distrugge cinque posti di lavoro stabili nel commercio di prossimità” (S.Latouche. Breve trattato della decrescita serena.)

E qual è la dinamica di questo processo? Il sabato mattina ci allontaniamo in auto dalle attività commerciali del nostro quartiere, verso i centri commerciali in periferia, dove, insieme a migliaia di sconosciuti, in maniera anonima ed impersonale, facciamo i nostri acquisti. Quindi, sempre in auto, torniamo alle nostre residenze, stupendoci, magari, dello stato di abbandono delle strade, dell’assenza di spazi comuni di incontro e di punti di
aggregazione.

Più ci muoviamo, più lo facciamo spesso e rapidamente, e più lasciamo sguarnito il nostro territorio ed allentiamo i legami con esso. Non siete convinti? Parliamo allora di agricoltura, rapporto città-campagna.

“Negli anni settanta si diceva che le strade costruite per il benessere dei contadini e per rendere meno marginali le zone rurali, sarebbero state utilizzate dall’ultimo degli agricoltori per andare in città e dal primo cittadino per costruire la propria casa di campagna nella masseria appena liberata.” Guardando oggi le periferie delle nostre città e lo stato di abbandono delle nostre campagne, siamo ancora convinti che una sempre più efficiente rete viaria sia necessariamente un elemento di avvicinamento fra le persone?

Non ci credete ancora? Lo so. Sembra incredibile. 150 anni di progresso. Pubblicità di auto che corrono a 200 km. all’ora in campagne verdeggianti. Millemiglia. Granpremi di F1. Record dell’ora ed Olimpiadi, ci hanno convinto che veloce è meglio. Che gli altri vanno lasciati indietro. Che chi va lento, o peggio sta fermo, è un perdente. E quindi via!
Tutti di corsa!

L’apoteosi si raggiunge col turismo di massa. La legittima curiosità e la scoperta culturale sono state trasformate dall’industria turistica in consumo mercificato dell’ambiente, della cultura e del tessuto sociale dei paesi “obiettivo”, in base all’assunto: “sempre più lontano, sempre più in fretta, sempre più spesso (e sempre più a buon mercato)”.
E ancora una volta il facile accesso alla mobilità è il motore del sistema.

La soluzione? E’ il banale l’elogio della lentezza. Percorrere il proprio territorio a piedi o in bicicletta, per conoscerlo, apprezzarlo, valorizzarlo e, se occorre, difenderlo. “Una volta mettersi in viaggio era un’avventura piena di imprevisti,… Per la maggior parte del tempo si restava nel luogo natale…e non necessariamente per mancanza di immaginazione”.
Solo chi conosce ed apprezza il proprio territorio è poi disposto a difenderlo da un incendio, dalla speculazione edilizia, da un inceneritore o da qualche altra “grande opera”.

Gli altri, i turisti, al primo problema, alla prima difficoltà, fanno presto, accendono il motore della propria auto, ingranano la marcia e vanno in un altro posto.
Finchè ci sarà un altro posto dove poter andare!

di Alberto Ariccio

Il 2010 degli USA: dichiarare guerra a tutto il mondo



Il primo gennaio inaugura l'ultimo anno della prima decade del nuovo millennio e di dieci anni consecutivi di guerre condotte dagli Stati uniti in medio oriente.

A partire dal 7 ottobre 2001, missili e bombe si abbattono sull'Afghanistan, le operazioni di guerra americane all'estero non si sono fermate un anno, un mese, una settimana o un giorno nel ventunesimo secolo.

La guerra in Afghanistan, il primo conflitto aereo e di terra degli U.S.A. in Asia dalle disastrose guerre in Vietnam e in Cambogia negli anni sessanta e all'inizio dei settanta, e la prima guerra di terra e campagna asiatica della N.A.T.O., cominciò alla fine della guerra in Macedonia del 2001, lanciata dalla N.A.T.O. occupando il Kossovo, una guerra in cui il ruolo delle truppe statunitensi è ancora da delineare e affrontare correttamente e che ha portato alla migrazione di quasi il 10% della popolazione della nazione.

Nel primo caso, Washington invase una nazione in nome della lotta al terrorismo; nel secondo, contribuì al dilagare del terrorismo. Allo stesso modo, nel 1991 gli U.S.A. e i suoi alleati occidentali hanno attaccato le forze irachene in Kuwait ed hanno lanciato un devastante e mortale attacco con missili Cruise e bombardamenti in Iraq nel nome della difesa della sovranità nazionale e dell'integrità territoriale del Kuwait e nel 1999 diedero il via ad un attacco aereo di 78 giorni contro la Yugoslavia per calpestare e minare drasticamente i principi dell'integrità territoriale e della sovranità nazionale nel nome dell'ultimo pretesto di guerra, il cosidetto intervento umanitario.

Due anni dopo la "guerra umanitaria", l'ossimoro più ripugnante a cui il mondo abbia mai assistito, cedeva il passo alla guerra globale contro il terrorismo, mentre gli Stati Uniti e i suoi alleati della N.A.T.O. invertivano la rotta nuovamente, continuando però a dichiarare guerre d'attacco [n.d.t: guerre non giustificate da uno scopo di difesa, considerate un crimine nel diritto internazionale] e "guerre d'opportunità", ogni volta che volevano, a dispetto delle contraddizioni e di ogni logica, dei casi precedenti e del diritto internazionale.

Dopo numerose campagne mai completamente conosciute per reprimere insurrezioni, alcune già in corso (come in Colombia), altre nuove (come nello Yemen), gli U.S.A invasero l'Iraq nel marzo 2003 con una "coalizione di volontari" comprendente soprattutto nazioni dell'Europa orientale canidate ad entrare nella N.A.T.O. (quasi tutte ora diventate full member dell'unico blocco militare del mondo in cambio del loro servizio).

Il Pentagono ha in oltre messo in campo le forze speciali e altre truppe nelle Filippine ed ha lanciato un attacco navale, aereo e missilistico in Somalia, oltre ad assistere all'invasione della nazione da parte dell'Etiopia nel 2006. Inoltre Washington ha armato, addestrato e sostenuto le forse armate di Djibouti nella loro guerra di confine con l'Eritrea. Infatti Djibouti ospita quello che è, fino ad oggi, l'unico impianto militare permante degli U.S.A in Africa, Camp Lemonier, una base navale, sede della Combined Joint Task Force - Horn of Africa, CJTF-HOA, collocata al di sotto del nuovo comando militare statunitense in Africa, l' AFRICOM, dal momento della sua nascita, il 1° ottobre 2008. L'area di cui è responsabile la Combined Joint Task Force- Horn of Africa copre Djibouti, l' Etiopia, l' Eritrea, il Kenya, le Seychelles, la Somalia, il Sudan, la Tanzania, l' Uganda, lo Yemen e, come "aree di influenza" le Comore, le Mauritius e il Madagascar.

Ciò vuol dire la maggior parte delle coste occidentali del Mare Arabico e dell' Oceano Indiano, tra le aree geografiche strategiche più importanti del mondo.

Truppe degli U.S.A, aerial drones [n.d.t.: veicoli aerei senza pilota dotati di telecamere e/o missili], navi da guerra, aerei ed elicotteri sono in azione in tutto questo vasto tratto di terra e di acqua.

Dopo la minaccia del senatore (e una volta quasi vice-presidente) Joseph Lieberman che lo scorso 27 Dicembre ha dichiarato che "Lo Yemen sarà la nostra prossima guerra" e in seguito alla precedente dichiarazione del capo del Comando Sud e comandante generale delle forze militari N.A.T.O. in Europa, Wesley Clark, che due giorni prima ha sostenuto che " Forse dovremmo mettere piede lì giù", è evidente che la nuova guerra degli Stati Uniti per il nuovo anno è già stata scelta. Infatti a metà dello scorso dicembre, gli aerei da guerra degli U.S.A hanno partecipato al bombardamento di un villaggio nel nord dello Yemen che è costato la vita a 120 civili e ne ha feriti altri 44, mentre la settimana successiva un jet da combattimento ha realizzato numerose incursioni aere sulla casa di un ufficiale superiore della provincia di Sa'ada, nel nord dello Yemen.

Il pretesto per intraprendere realmente una guerra nello Yemen è attualmente il tragicomico "tentato attacco terroristico" di un giovane nigeriano su un aereo diretto a Detroit il giorno di natale. Il bombardamento mortale degli U.S.A nel villaggio dello Yemen appena citato si è verificato dieci giorni prima e inoltre è avvenuto nel nord della nazione, anche se Washington sostiene che le cellule di al-Qaeda operano dall'altra parte del Paese.

L'Africa, l'Asia e il Medio oriente non sono gli unici campi di battaglia in cui gli Stati Uniti sono attivi. Il 30 ottobre del 2009 gli Stati Uniti hanno fimato un accordo con la Colombia per acquisire l'uso sostanzialmente privo di limiti e di restrizioni di sette nuove basi militari nella nazione sudamericana, incluse alcune postazioni nelle immediate vicinanze sia dal Venezuela che dall'Ecuador. L'intelligence statunitense, le forze speciali e altro personale saranno coinvolti in operazioni già in corso per reprimere le insurrezioni e dirette contro le Forze Rivoluzionarie della Colombia (FARC) nel sud del Paese, e saranno impegnati nel sostenere la delega colombiana a Washington per attacchi in Ecuador e in Venezuela, che saranno delineati per essere diretti contro i membri delle FARC nei due stati.

Prendendo come obiettivo due nazioni fondamentali e in sostanza l'intera Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), Washington sta preparando il terreno per un potenziale conflitto militare in Sud e Centro America e nei Caraibi. Dopo il sostegno statunitense al colpo di stato in Honduras il 28 giungno, questa nazione ha annunciato che sarà il primo stato membro dell'ALBA ad uscire dall'Alleanza e il Pentagono manterrà, e forse amplierà, la sua presenza militare alla base aerea di Soto Cano in Honduras.

Un paio di giorni fa il governo colombiano ha annunciato la costruzione in corso di una nuova base militare al confine con il Venezuala e l'attivazione di sei nuovi battaglioni aerei, e poco dopo un membro olandese del parlamento, Harry van Bommel, ha dichiarato che gli arei-spia degli U.S.A. stanno usufruendo di una base aerea in un'isola delle Antille olandesi, Curaçao, presso la costa venezuelana.

In Ottobre, una pubblicazione delle forze armate statunitensi ha rivelato che il Pentagono spenderà 110 milioni di dollari per modernizzare ed espandere sette nuove basi militari in Bulgaria e in Romania, dall'altra parte del Mar Nero a partire dalla Russia, dove verranno stanziati, per i primi contingenti, oltre 4.000 soldati.

All'inizio di dicembre gli Stati Uniti hanno siglato lo “Status of Forces Agreement” (SOFA) con la Polonia, che confina con il territorio russo di Kaliningrad, che permette all'esercito statunitense di stanziare soldati ed equipaggiamenti militari sul territorio polacco. Le forze militari statunitensi si serviranno di Patriot Advanced Capability-3 (PAC-3) e standard Missile 3 (SM-3), che fanno parte del sistema globale del Pentagono per intercettare i missili.

Più o meno nello stesso momento il presidente Obama ha fatto pressioni sul primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan per installare nel suo Paese le componenti di uno scudo misilistico. "Abbiamo discusso il ruolo costante che possiamo giocare come forze alleate N.A.T.O. nel rafforzare il profilo della Turchia nella N.A.T.O. e nel coordinarsi in maniera più efficacie riguardo a punti critici come la difesa dai missili" secondo le parole del leader americano.

Il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu ha fatto intendere che il suo governo non considera Tehran come una minaccia missilistica per la Turchia in questo momento. Ma gli analisti sostengono che se verrà realizzato uno scudo missilistico comune N.A.T.O., una mossa del genere potrebbe costringere Ankara a entrare in questo sistema.

Il 2010 vedrà il primo dispiegamento di truppe straniere in Polonia dopo la rottura del patto di Varsavia nel 1991 e l'installazione dei "più efficaci, più rapidi e più moderni" (secondo le parole di Obama) mezzi di intercettazione dei missili e strumenti radar nell'Europa dell'Est, nel Medio Oriente e nel sud del Caucaso.

La forza militare U.S.A in Afghanistan, sito della guerra più lunga e su più vasta scala di tutto il mondo, raggiungerà le 100.000 unità all'inizio del 2010 e con altri 50.000 soldati in più di altre nazioni della N.A.T.O. e vari "vassalli e tributari" (Zbigniew Brzezinski) rappresenterà il più vasto dispiegamento militare in ogni zona di guerra del mondo.

I missili drone statunitensi e della N.A..T.O. e gli attacchi degli elicotteri d'assalto in Pakistan aumenteranno, così come le operazioni per reprimere le insurrezioni nelle Filippine e in Somalia, insieme a quelle nello Yemen, dove la CIA e le forze speciali dell'esercito sono già scese in campo.

Il sito dell'esercito statunitense ha annunciato recentemente che ci sono stati 3.3 milioni di schieramenti in in Afghanistan e in Iraq dal 2001 con due milioni di soldati degli U.S.A. inviati nelle due zone di guerra.

In questo nuovo millennio ancora agli esordi, i soldati americani sono già stati inviati in centinaia di migliaia di nuove basi e in zone di guerra in corso o già conclusa, in Albania, Bosnia, Bulgaria, Colombia, Djibouti, Georgia, Israele, Giordania, Kosovo, Kuwait, Kyrgyzstan, Macedonia, Mali, Filippine, Romania, Uganda e Uzbekistan.

Nel 2010 saranno inviati soldati all'estero in numero ancora più elevato per presidiare basi aeree e siti missilistici, supervisionare e partecipare ad operazioni di contenimento delle insurrezioni nel mondo contro i più disparati gruppi ribelli, alcuni dei quali secolari, e lanciare azioni militari in Sud Asia e altrove. Saranno collocati su navi da guerra e sottomarini, equipaggiati con missili Cruise, con missili nucleari di largo raggio e con squadre di portaerei sui mari e gli oceani del mondo.

Costruiranno ed amplieranno le loro basi, dall'Europa all'Asia centrale e meridionale, dall'Africa al Sud America, dal Medio Oriente all' Oceania. Ad eccezione di Guam e di Vicenza in Italia, dove il Pentagono sta enormemente ampliando gli impianti esistenti, tutte le strutture in questione si trovano in nazioni e in regioni del mondo dove l'esercito statunitense non era mai stato così comodamente sistemato. Praticamenti tutti i nuovi accampamenti diventeranno basi utilizzate per operazioni di "bassa portata", in genere nell'est e nel sud dell'Europa, dominata dalla N.A.T.O.

Il personale dell'esercito statunitense sarà assegnato al nuovo Global Strike Command e destinato ad aumentare il controllo e le azioni di guerra nel Circolo Artico. Saranno al comando della Missile Defense Agency per consolidare una rete mondiale per intercettare i missili, che faciliterà la possibilità di un primo attacco nucleare, ed estenderanno questo sistema nello spazio, la frontiera finale della corsa alla conquista del dominio militare assoluto.

I soldati statunitensi continueranno a diffondersi in tutto il mondo. Ovunque, tranne ai confini della loro nazione.
di Rick Rozoff

11 gennaio 2010

A che serve risparmiare?

Per secoli "`risparmiare"' ha voluto significare "`accantonare, mettere da parte"' in previsione di spese future importanti o impreviste. Il risparmio permette di pianificare, progettare e migliorare le prospettive di vita e lavoro delle generazioni presenti e future; basti pensare al padre che rinuncia ai consumi presenti per garantire al figlio la possibilità creare una propria impresa o di accedere a master di specializzazione.

Quello che invece è accaduto negli ultimi venti anni è un totale stravolgimento del concetto di risparmio, operato dall'economia del Pil.

Per sostenere la fantascientifica, costante e inarrestabile crescita del Pil, si è pensato di sostenere in modo altrettanto fantascientifico il livello dei consumi. D'altronde si insegna anche nelle università che aumentando i consumi aumenta la produzione, si generano più posti di lavoro, quindi più stipendi da spendere in consumi e di nuovo più produzione (anche l'assiduo frequentatore del bar dello sport è in grado di fare questo ragionamento). L'effetto sul Pil (cioè sulla produzione di beni) è moltiplicativo. L'esponenziale produzione di rifiuti generata da questo processa produrrà altro Pil visto che occuperà manodopera e imprese che altrimenti non sarebbero esistite. Dal momento stesso in cui il reddito delle famiglie si è rivelato non sufficiente al sostenimento del livello desiderato dei consumi, si è pensato di aumentarlo virtualmente attraverso la concessione illimitata di credito al consumo. Questo ha permesso la nascita di un numero smisurato di finanziarie (quelle che fanno credito anche ai cattivi pagatori privi di reddito) e la realizzazione di sogni a tutti coloro che fino a quel momento si vedevano preclusa la possibilità di acquistare un SUV 5000 a benzina o di vivere una vacanza di sette giorni nel paradiso dei pedofili in Thailandia.

Il paradosso di tutto questo processo, considerato virtuoso dagli economisti, non sta tanto nelle esternalità negative prodotte (si pensi all'inquinamento o alla possibilità di impiegare il denaro speso in attività più fruttuose come imparare a suonare un strumento musicale) ma nel fatto che il consumatore, pur avendo speso tutto il suo reddito presente e quello futuro dei suoi figli in merci di consumo (si badi che parlo di merci e non di beni), ha la percezione di aver risparmiato.

Frasi del tipo "`grazie alla rottamazione ho acquistato una nuova autovettura risparmiando 2000 euro"', senza considerare il fatto che l'auto rottamata poteva durare ancora per parecchi anni o "`il negozio X faceva gli sconti, così ne ho approfittato acquistando un set da poker con fiches numerate, 6 bicchieri (made in China), una bilancia digitale e una tenda da campeggio, risparmiando ben 100 euro", non curante del fatto che a poker non ci gioca mai, di bicchieri ne ha piena la credenza, di bilancia ne possiede una meccanica perfettamente funzionante che non ha bisogno di pile e infine l'ultima volta che è andato in campeggio aveva 18 anni (ora ne ha 40). In entrambi gli esempi il consumatore è convinto di aver risparmiato, pur avendo speso denaro per merci del tutto inutili.

E' questo il geniale incantesimo dell'economia del Pil: illudere il consumatore che sta risparmiando, anche nel momento in cui sta ipotecando il futuro dei propri figli acquistando un'auto grande come un Tir, rigorosamente con lettore MP3 integrato (pagato qualche centinaio di euro – si rende noto che i lettori MP3 [certo, non integrati] costano poche decine di euro.)

I consumi, così, rimangono alti ma alle strette dipendenze del sistema finanziario. Se questo crolla crollano inevitabilmente anche i consumi. E' con la crisi finanziaria che il consumatore si accorge che è un poveraccio e che al massimo poteva permettersi un televisore mivar bianco e nero piuttosto che il 100 pollici al plasma (pagabile in 100 comode rate da 20 euro al mese).

A quel punto ci si accorge che non si ha niente da parte e che i libri scolastici dei figli, così come l'iscrizione all'università, costano troppo; che si è preferito un lavoro privo di qualunque prospettiva di crescita e gratificazione perchè permetteva da subito un guadagno basso ma sicuro che dava la possibilità di ottenere credito per acquistare l'auto, il pc portatile e altre merci il cui acquisto poteva (ma ce ne accorgiamo solo ora) essere rinviato al futuro.

Se tutti i consumatori si accorgessero del raggiro cui sono stati vittime sarebbe comunque un buon risultato e da lì si potrebbe ripartire per riformulare un nuovo paradigma dei consumi che abbia come elemento centrale i beni e non le merci. Purtroppo il cambio di mentalità, reso possibile anche dal fondamentale ruolo svolto dalla televisione e dai media in generale, è stato così devastante che oggi, in piena crisi finanziaria, il consumatore cerca in tutti i modi di conservare lo standard di consumi acquisito senza considerare minimamente la possibilità di rivedere tale standard al ribasso, magari acquistando beni di cui ha bisogno e non merci che divorano il suo reddito. Piuttosto che non acquistare aspetta i saldi e quando non ce la fa più entra in uno stato di profonda frustrazione che lo porta a imprecare contro politici e calciatori (che prendono troppo) o contro datore di lavoro e sindacati che non fanno nulla per aumentargli lo stipendio.

Con dei semplici calcoli si accorgerebbe di avere ancora potenzialità di risparmio reale senza intaccare minimamente (anzi migliorando) la qualità della sua mediocre esistenza, pur continuando a pagare la rata del mutuo. Basterebbe che smettesse di riempire il carrello di imballaggi colorati, limitando gli acquisti a beni necessari e genuini, magari facendosi un giretto nei negozi del centro o nelle aziende agricole vicine alla propria città, piuttosto che perdersi negli enormi lager commerciali che infestano le periferie dei centri abitati; in questo modo produrrebbe anche meno rifiuti. Con questa semplice mossa si ritroverebbe alla fine dell'anno con un primo gruzzoletto al quale potrebbero aggiungersene altri se evitasse di comprare continuamente merci tecnologiche come telefonini, telecamere, frullatori, aspirabriciole ecc.. limitandosi ad usare il più possibile quelli che già possiede. Ulteriori risparmi deriverebbero dalla rinuncia al telefono fisso e alla televisione a pagamento (altro cancro che ormai ha diffuso le sue metastasi presso tutti i ceti sociali).

Qualora fosse possibile, sarebbe opportuno autoprodursi quei beni che fino a pochi anni fa ogni famiglia era in grado di fabbricarsi da sola: pane, passata di pomodoro, olio, dolci. L'economia del Pil, infatti, rendendo accessibili merci a chiunque ha reso del tutto inutile la conservazione di conoscenze e abilità che nei secoli hanno permesso il sostentamento a famiglie numerosissime prive di reddito monetario.

Tutto quello di cui abbiamo bisogno lo si può comprare, dal divertimento dei figli al broccolo fluorescente. Perchè autoprodurselo? Il motivo principale sarebbe che l'autoproduzione permetterebbe di ricominciare a risparmiare, ma nel vero senso della parola, una buona parte del reddito monetario.

Insomma, ritornare a risparmiare come facevano i nostri nonni.

La fine del risparmio ha già prodotto effetti devastanti sulle capacità dei giovani di progettare la propria vita futura, di fare programmi a lungo termine. Il bisogno di consumo ha preso il sopravvento sull'abilità del giovane di pensare e costruire il proprio avvenire. Non ritengo che la perdita di speranza dei giovani sia imputabile (almeno non totalmente) alla precarizzazione del lavoro; tale precarizzazione ha semplicemente reso più problematica la possibilità di mantenere alto il livello del consumo di merci; da un certo punto di vista è un bene che lavori come "`centralinista di call-center"' siano principalmente con contratti a termine in quanto è impensabile che un essere umano possa tutta la vita svolgere quel tipo di lavoro, senza prospettive di crescita umana e intellettuale. Il problema è che molti giovani, non avendo in testa l'idea di risparmio, preferiscono questo lavoro che permette loro di consumare merci (al resto ci pensano mamma e papà) invece che risparmiare tempo e denaro per l'acquisizione di conoscenze e abilità che garantirebbero l'accesso (ma in futuro) a lavori più gratificanti.

Ecco quindi che un centralinista part-time che prende 800 euro al mese e che vive con i genitori, può ancora permettersi l'acquisto (a rate) di una moto e di un'auto, di fare vacanze in luoghi esotici, di aggiornare con cadenza mensile l'hardware del proprio pc e di acquistare settimanalmente abbigliamento griffato. In realtà questo consumatore, perdendo l'abilità al risparmio, ha barattato il proprio avvenire con la possibilità di consumi immediati; vive nell'illusione di aver risparmiato pur non avendo un centesimo in tasca.

di Luca Correani

13 gennaio 2010

I paradossi della mobilità


Il primo paradosso (è squisitamente tecnico-fisico ed ha a che fare col principio fisico della incomprimibilità dei corpi) nasce dalla diffusa convinzione che per aumentare l’efficienza della mobilità, e diminuire il traffico veicolare, sia sufficiente aumentare il numero delle strade e/o le loro dimensioni. L’effetto che si ottiene è in genere esattamente il contrario. Basta osservare una qualsiasi strada o autostrada nelle ore di punta per constatare che non c’è strada, superstrada, terza o quarta corsia che sia in grado di smaltire volumi di traffico privi di controllo.

La possibilità di raggiungere rapidamente luoghi molto lontani fra loro, se apparentemente sembra corrispondere al massimo della libertà e delle opportunità disponibili, in realtà è la premessa alla perdita di coesione sociale delle comunità e di qualità ambientale dei luoghi.

Pensiamo al comparto della vendita al dettaglio e della distribuzione: “la diffusione dei grandi magazzini ha fatto sparire il 17 % delle panetterie (17.800) e l’84% delle salumerie (73.800) e il 43% dei negozi di casalinghi (4.300). Quello che è scomparso è una parte importante della sostanza stessa della vita locale, con il corrispondente disfacimento del tessuto sociale.” E non esistono giustificazioni ne’ di ordine economico che occupazionale: “un posto di lavoro precario creato dalla grande distribuzione distrugge cinque posti di lavoro stabili nel commercio di prossimità” (S.Latouche. Breve trattato della decrescita serena.)

E qual è la dinamica di questo processo? Il sabato mattina ci allontaniamo in auto dalle attività commerciali del nostro quartiere, verso i centri commerciali in periferia, dove, insieme a migliaia di sconosciuti, in maniera anonima ed impersonale, facciamo i nostri acquisti. Quindi, sempre in auto, torniamo alle nostre residenze, stupendoci, magari, dello stato di abbandono delle strade, dell’assenza di spazi comuni di incontro e di punti di
aggregazione.

Più ci muoviamo, più lo facciamo spesso e rapidamente, e più lasciamo sguarnito il nostro territorio ed allentiamo i legami con esso. Non siete convinti? Parliamo allora di agricoltura, rapporto città-campagna.

“Negli anni settanta si diceva che le strade costruite per il benessere dei contadini e per rendere meno marginali le zone rurali, sarebbero state utilizzate dall’ultimo degli agricoltori per andare in città e dal primo cittadino per costruire la propria casa di campagna nella masseria appena liberata.” Guardando oggi le periferie delle nostre città e lo stato di abbandono delle nostre campagne, siamo ancora convinti che una sempre più efficiente rete viaria sia necessariamente un elemento di avvicinamento fra le persone?

Non ci credete ancora? Lo so. Sembra incredibile. 150 anni di progresso. Pubblicità di auto che corrono a 200 km. all’ora in campagne verdeggianti. Millemiglia. Granpremi di F1. Record dell’ora ed Olimpiadi, ci hanno convinto che veloce è meglio. Che gli altri vanno lasciati indietro. Che chi va lento, o peggio sta fermo, è un perdente. E quindi via!
Tutti di corsa!

L’apoteosi si raggiunge col turismo di massa. La legittima curiosità e la scoperta culturale sono state trasformate dall’industria turistica in consumo mercificato dell’ambiente, della cultura e del tessuto sociale dei paesi “obiettivo”, in base all’assunto: “sempre più lontano, sempre più in fretta, sempre più spesso (e sempre più a buon mercato)”.
E ancora una volta il facile accesso alla mobilità è il motore del sistema.

La soluzione? E’ il banale l’elogio della lentezza. Percorrere il proprio territorio a piedi o in bicicletta, per conoscerlo, apprezzarlo, valorizzarlo e, se occorre, difenderlo. “Una volta mettersi in viaggio era un’avventura piena di imprevisti,… Per la maggior parte del tempo si restava nel luogo natale…e non necessariamente per mancanza di immaginazione”.
Solo chi conosce ed apprezza il proprio territorio è poi disposto a difenderlo da un incendio, dalla speculazione edilizia, da un inceneritore o da qualche altra “grande opera”.

Gli altri, i turisti, al primo problema, alla prima difficoltà, fanno presto, accendono il motore della propria auto, ingranano la marcia e vanno in un altro posto.
Finchè ci sarà un altro posto dove poter andare!

di Alberto Ariccio

Il 2010 degli USA: dichiarare guerra a tutto il mondo



Il primo gennaio inaugura l'ultimo anno della prima decade del nuovo millennio e di dieci anni consecutivi di guerre condotte dagli Stati uniti in medio oriente.

A partire dal 7 ottobre 2001, missili e bombe si abbattono sull'Afghanistan, le operazioni di guerra americane all'estero non si sono fermate un anno, un mese, una settimana o un giorno nel ventunesimo secolo.

La guerra in Afghanistan, il primo conflitto aereo e di terra degli U.S.A. in Asia dalle disastrose guerre in Vietnam e in Cambogia negli anni sessanta e all'inizio dei settanta, e la prima guerra di terra e campagna asiatica della N.A.T.O., cominciò alla fine della guerra in Macedonia del 2001, lanciata dalla N.A.T.O. occupando il Kossovo, una guerra in cui il ruolo delle truppe statunitensi è ancora da delineare e affrontare correttamente e che ha portato alla migrazione di quasi il 10% della popolazione della nazione.

Nel primo caso, Washington invase una nazione in nome della lotta al terrorismo; nel secondo, contribuì al dilagare del terrorismo. Allo stesso modo, nel 1991 gli U.S.A. e i suoi alleati occidentali hanno attaccato le forze irachene in Kuwait ed hanno lanciato un devastante e mortale attacco con missili Cruise e bombardamenti in Iraq nel nome della difesa della sovranità nazionale e dell'integrità territoriale del Kuwait e nel 1999 diedero il via ad un attacco aereo di 78 giorni contro la Yugoslavia per calpestare e minare drasticamente i principi dell'integrità territoriale e della sovranità nazionale nel nome dell'ultimo pretesto di guerra, il cosidetto intervento umanitario.

Due anni dopo la "guerra umanitaria", l'ossimoro più ripugnante a cui il mondo abbia mai assistito, cedeva il passo alla guerra globale contro il terrorismo, mentre gli Stati Uniti e i suoi alleati della N.A.T.O. invertivano la rotta nuovamente, continuando però a dichiarare guerre d'attacco [n.d.t: guerre non giustificate da uno scopo di difesa, considerate un crimine nel diritto internazionale] e "guerre d'opportunità", ogni volta che volevano, a dispetto delle contraddizioni e di ogni logica, dei casi precedenti e del diritto internazionale.

Dopo numerose campagne mai completamente conosciute per reprimere insurrezioni, alcune già in corso (come in Colombia), altre nuove (come nello Yemen), gli U.S.A invasero l'Iraq nel marzo 2003 con una "coalizione di volontari" comprendente soprattutto nazioni dell'Europa orientale canidate ad entrare nella N.A.T.O. (quasi tutte ora diventate full member dell'unico blocco militare del mondo in cambio del loro servizio).

Il Pentagono ha in oltre messo in campo le forze speciali e altre truppe nelle Filippine ed ha lanciato un attacco navale, aereo e missilistico in Somalia, oltre ad assistere all'invasione della nazione da parte dell'Etiopia nel 2006. Inoltre Washington ha armato, addestrato e sostenuto le forse armate di Djibouti nella loro guerra di confine con l'Eritrea. Infatti Djibouti ospita quello che è, fino ad oggi, l'unico impianto militare permante degli U.S.A in Africa, Camp Lemonier, una base navale, sede della Combined Joint Task Force - Horn of Africa, CJTF-HOA, collocata al di sotto del nuovo comando militare statunitense in Africa, l' AFRICOM, dal momento della sua nascita, il 1° ottobre 2008. L'area di cui è responsabile la Combined Joint Task Force- Horn of Africa copre Djibouti, l' Etiopia, l' Eritrea, il Kenya, le Seychelles, la Somalia, il Sudan, la Tanzania, l' Uganda, lo Yemen e, come "aree di influenza" le Comore, le Mauritius e il Madagascar.

Ciò vuol dire la maggior parte delle coste occidentali del Mare Arabico e dell' Oceano Indiano, tra le aree geografiche strategiche più importanti del mondo.

Truppe degli U.S.A, aerial drones [n.d.t.: veicoli aerei senza pilota dotati di telecamere e/o missili], navi da guerra, aerei ed elicotteri sono in azione in tutto questo vasto tratto di terra e di acqua.

Dopo la minaccia del senatore (e una volta quasi vice-presidente) Joseph Lieberman che lo scorso 27 Dicembre ha dichiarato che "Lo Yemen sarà la nostra prossima guerra" e in seguito alla precedente dichiarazione del capo del Comando Sud e comandante generale delle forze militari N.A.T.O. in Europa, Wesley Clark, che due giorni prima ha sostenuto che " Forse dovremmo mettere piede lì giù", è evidente che la nuova guerra degli Stati Uniti per il nuovo anno è già stata scelta. Infatti a metà dello scorso dicembre, gli aerei da guerra degli U.S.A hanno partecipato al bombardamento di un villaggio nel nord dello Yemen che è costato la vita a 120 civili e ne ha feriti altri 44, mentre la settimana successiva un jet da combattimento ha realizzato numerose incursioni aere sulla casa di un ufficiale superiore della provincia di Sa'ada, nel nord dello Yemen.

Il pretesto per intraprendere realmente una guerra nello Yemen è attualmente il tragicomico "tentato attacco terroristico" di un giovane nigeriano su un aereo diretto a Detroit il giorno di natale. Il bombardamento mortale degli U.S.A nel villaggio dello Yemen appena citato si è verificato dieci giorni prima e inoltre è avvenuto nel nord della nazione, anche se Washington sostiene che le cellule di al-Qaeda operano dall'altra parte del Paese.

L'Africa, l'Asia e il Medio oriente non sono gli unici campi di battaglia in cui gli Stati Uniti sono attivi. Il 30 ottobre del 2009 gli Stati Uniti hanno fimato un accordo con la Colombia per acquisire l'uso sostanzialmente privo di limiti e di restrizioni di sette nuove basi militari nella nazione sudamericana, incluse alcune postazioni nelle immediate vicinanze sia dal Venezuela che dall'Ecuador. L'intelligence statunitense, le forze speciali e altro personale saranno coinvolti in operazioni già in corso per reprimere le insurrezioni e dirette contro le Forze Rivoluzionarie della Colombia (FARC) nel sud del Paese, e saranno impegnati nel sostenere la delega colombiana a Washington per attacchi in Ecuador e in Venezuela, che saranno delineati per essere diretti contro i membri delle FARC nei due stati.

Prendendo come obiettivo due nazioni fondamentali e in sostanza l'intera Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), Washington sta preparando il terreno per un potenziale conflitto militare in Sud e Centro America e nei Caraibi. Dopo il sostegno statunitense al colpo di stato in Honduras il 28 giungno, questa nazione ha annunciato che sarà il primo stato membro dell'ALBA ad uscire dall'Alleanza e il Pentagono manterrà, e forse amplierà, la sua presenza militare alla base aerea di Soto Cano in Honduras.

Un paio di giorni fa il governo colombiano ha annunciato la costruzione in corso di una nuova base militare al confine con il Venezuala e l'attivazione di sei nuovi battaglioni aerei, e poco dopo un membro olandese del parlamento, Harry van Bommel, ha dichiarato che gli arei-spia degli U.S.A. stanno usufruendo di una base aerea in un'isola delle Antille olandesi, Curaçao, presso la costa venezuelana.

In Ottobre, una pubblicazione delle forze armate statunitensi ha rivelato che il Pentagono spenderà 110 milioni di dollari per modernizzare ed espandere sette nuove basi militari in Bulgaria e in Romania, dall'altra parte del Mar Nero a partire dalla Russia, dove verranno stanziati, per i primi contingenti, oltre 4.000 soldati.

All'inizio di dicembre gli Stati Uniti hanno siglato lo “Status of Forces Agreement” (SOFA) con la Polonia, che confina con il territorio russo di Kaliningrad, che permette all'esercito statunitense di stanziare soldati ed equipaggiamenti militari sul territorio polacco. Le forze militari statunitensi si serviranno di Patriot Advanced Capability-3 (PAC-3) e standard Missile 3 (SM-3), che fanno parte del sistema globale del Pentagono per intercettare i missili.

Più o meno nello stesso momento il presidente Obama ha fatto pressioni sul primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan per installare nel suo Paese le componenti di uno scudo misilistico. "Abbiamo discusso il ruolo costante che possiamo giocare come forze alleate N.A.T.O. nel rafforzare il profilo della Turchia nella N.A.T.O. e nel coordinarsi in maniera più efficacie riguardo a punti critici come la difesa dai missili" secondo le parole del leader americano.

Il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu ha fatto intendere che il suo governo non considera Tehran come una minaccia missilistica per la Turchia in questo momento. Ma gli analisti sostengono che se verrà realizzato uno scudo missilistico comune N.A.T.O., una mossa del genere potrebbe costringere Ankara a entrare in questo sistema.

Il 2010 vedrà il primo dispiegamento di truppe straniere in Polonia dopo la rottura del patto di Varsavia nel 1991 e l'installazione dei "più efficaci, più rapidi e più moderni" (secondo le parole di Obama) mezzi di intercettazione dei missili e strumenti radar nell'Europa dell'Est, nel Medio Oriente e nel sud del Caucaso.

La forza militare U.S.A in Afghanistan, sito della guerra più lunga e su più vasta scala di tutto il mondo, raggiungerà le 100.000 unità all'inizio del 2010 e con altri 50.000 soldati in più di altre nazioni della N.A.T.O. e vari "vassalli e tributari" (Zbigniew Brzezinski) rappresenterà il più vasto dispiegamento militare in ogni zona di guerra del mondo.

I missili drone statunitensi e della N.A..T.O. e gli attacchi degli elicotteri d'assalto in Pakistan aumenteranno, così come le operazioni per reprimere le insurrezioni nelle Filippine e in Somalia, insieme a quelle nello Yemen, dove la CIA e le forze speciali dell'esercito sono già scese in campo.

Il sito dell'esercito statunitense ha annunciato recentemente che ci sono stati 3.3 milioni di schieramenti in in Afghanistan e in Iraq dal 2001 con due milioni di soldati degli U.S.A. inviati nelle due zone di guerra.

In questo nuovo millennio ancora agli esordi, i soldati americani sono già stati inviati in centinaia di migliaia di nuove basi e in zone di guerra in corso o già conclusa, in Albania, Bosnia, Bulgaria, Colombia, Djibouti, Georgia, Israele, Giordania, Kosovo, Kuwait, Kyrgyzstan, Macedonia, Mali, Filippine, Romania, Uganda e Uzbekistan.

Nel 2010 saranno inviati soldati all'estero in numero ancora più elevato per presidiare basi aeree e siti missilistici, supervisionare e partecipare ad operazioni di contenimento delle insurrezioni nel mondo contro i più disparati gruppi ribelli, alcuni dei quali secolari, e lanciare azioni militari in Sud Asia e altrove. Saranno collocati su navi da guerra e sottomarini, equipaggiati con missili Cruise, con missili nucleari di largo raggio e con squadre di portaerei sui mari e gli oceani del mondo.

Costruiranno ed amplieranno le loro basi, dall'Europa all'Asia centrale e meridionale, dall'Africa al Sud America, dal Medio Oriente all' Oceania. Ad eccezione di Guam e di Vicenza in Italia, dove il Pentagono sta enormemente ampliando gli impianti esistenti, tutte le strutture in questione si trovano in nazioni e in regioni del mondo dove l'esercito statunitense non era mai stato così comodamente sistemato. Praticamenti tutti i nuovi accampamenti diventeranno basi utilizzate per operazioni di "bassa portata", in genere nell'est e nel sud dell'Europa, dominata dalla N.A.T.O.

Il personale dell'esercito statunitense sarà assegnato al nuovo Global Strike Command e destinato ad aumentare il controllo e le azioni di guerra nel Circolo Artico. Saranno al comando della Missile Defense Agency per consolidare una rete mondiale per intercettare i missili, che faciliterà la possibilità di un primo attacco nucleare, ed estenderanno questo sistema nello spazio, la frontiera finale della corsa alla conquista del dominio militare assoluto.

I soldati statunitensi continueranno a diffondersi in tutto il mondo. Ovunque, tranne ai confini della loro nazione.
di Rick Rozoff

11 gennaio 2010

A che serve risparmiare?

Per secoli "`risparmiare"' ha voluto significare "`accantonare, mettere da parte"' in previsione di spese future importanti o impreviste. Il risparmio permette di pianificare, progettare e migliorare le prospettive di vita e lavoro delle generazioni presenti e future; basti pensare al padre che rinuncia ai consumi presenti per garantire al figlio la possibilità creare una propria impresa o di accedere a master di specializzazione.

Quello che invece è accaduto negli ultimi venti anni è un totale stravolgimento del concetto di risparmio, operato dall'economia del Pil.

Per sostenere la fantascientifica, costante e inarrestabile crescita del Pil, si è pensato di sostenere in modo altrettanto fantascientifico il livello dei consumi. D'altronde si insegna anche nelle università che aumentando i consumi aumenta la produzione, si generano più posti di lavoro, quindi più stipendi da spendere in consumi e di nuovo più produzione (anche l'assiduo frequentatore del bar dello sport è in grado di fare questo ragionamento). L'effetto sul Pil (cioè sulla produzione di beni) è moltiplicativo. L'esponenziale produzione di rifiuti generata da questo processa produrrà altro Pil visto che occuperà manodopera e imprese che altrimenti non sarebbero esistite. Dal momento stesso in cui il reddito delle famiglie si è rivelato non sufficiente al sostenimento del livello desiderato dei consumi, si è pensato di aumentarlo virtualmente attraverso la concessione illimitata di credito al consumo. Questo ha permesso la nascita di un numero smisurato di finanziarie (quelle che fanno credito anche ai cattivi pagatori privi di reddito) e la realizzazione di sogni a tutti coloro che fino a quel momento si vedevano preclusa la possibilità di acquistare un SUV 5000 a benzina o di vivere una vacanza di sette giorni nel paradiso dei pedofili in Thailandia.

Il paradosso di tutto questo processo, considerato virtuoso dagli economisti, non sta tanto nelle esternalità negative prodotte (si pensi all'inquinamento o alla possibilità di impiegare il denaro speso in attività più fruttuose come imparare a suonare un strumento musicale) ma nel fatto che il consumatore, pur avendo speso tutto il suo reddito presente e quello futuro dei suoi figli in merci di consumo (si badi che parlo di merci e non di beni), ha la percezione di aver risparmiato.

Frasi del tipo "`grazie alla rottamazione ho acquistato una nuova autovettura risparmiando 2000 euro"', senza considerare il fatto che l'auto rottamata poteva durare ancora per parecchi anni o "`il negozio X faceva gli sconti, così ne ho approfittato acquistando un set da poker con fiches numerate, 6 bicchieri (made in China), una bilancia digitale e una tenda da campeggio, risparmiando ben 100 euro", non curante del fatto che a poker non ci gioca mai, di bicchieri ne ha piena la credenza, di bilancia ne possiede una meccanica perfettamente funzionante che non ha bisogno di pile e infine l'ultima volta che è andato in campeggio aveva 18 anni (ora ne ha 40). In entrambi gli esempi il consumatore è convinto di aver risparmiato, pur avendo speso denaro per merci del tutto inutili.

E' questo il geniale incantesimo dell'economia del Pil: illudere il consumatore che sta risparmiando, anche nel momento in cui sta ipotecando il futuro dei propri figli acquistando un'auto grande come un Tir, rigorosamente con lettore MP3 integrato (pagato qualche centinaio di euro – si rende noto che i lettori MP3 [certo, non integrati] costano poche decine di euro.)

I consumi, così, rimangono alti ma alle strette dipendenze del sistema finanziario. Se questo crolla crollano inevitabilmente anche i consumi. E' con la crisi finanziaria che il consumatore si accorge che è un poveraccio e che al massimo poteva permettersi un televisore mivar bianco e nero piuttosto che il 100 pollici al plasma (pagabile in 100 comode rate da 20 euro al mese).

A quel punto ci si accorge che non si ha niente da parte e che i libri scolastici dei figli, così come l'iscrizione all'università, costano troppo; che si è preferito un lavoro privo di qualunque prospettiva di crescita e gratificazione perchè permetteva da subito un guadagno basso ma sicuro che dava la possibilità di ottenere credito per acquistare l'auto, il pc portatile e altre merci il cui acquisto poteva (ma ce ne accorgiamo solo ora) essere rinviato al futuro.

Se tutti i consumatori si accorgessero del raggiro cui sono stati vittime sarebbe comunque un buon risultato e da lì si potrebbe ripartire per riformulare un nuovo paradigma dei consumi che abbia come elemento centrale i beni e non le merci. Purtroppo il cambio di mentalità, reso possibile anche dal fondamentale ruolo svolto dalla televisione e dai media in generale, è stato così devastante che oggi, in piena crisi finanziaria, il consumatore cerca in tutti i modi di conservare lo standard di consumi acquisito senza considerare minimamente la possibilità di rivedere tale standard al ribasso, magari acquistando beni di cui ha bisogno e non merci che divorano il suo reddito. Piuttosto che non acquistare aspetta i saldi e quando non ce la fa più entra in uno stato di profonda frustrazione che lo porta a imprecare contro politici e calciatori (che prendono troppo) o contro datore di lavoro e sindacati che non fanno nulla per aumentargli lo stipendio.

Con dei semplici calcoli si accorgerebbe di avere ancora potenzialità di risparmio reale senza intaccare minimamente (anzi migliorando) la qualità della sua mediocre esistenza, pur continuando a pagare la rata del mutuo. Basterebbe che smettesse di riempire il carrello di imballaggi colorati, limitando gli acquisti a beni necessari e genuini, magari facendosi un giretto nei negozi del centro o nelle aziende agricole vicine alla propria città, piuttosto che perdersi negli enormi lager commerciali che infestano le periferie dei centri abitati; in questo modo produrrebbe anche meno rifiuti. Con questa semplice mossa si ritroverebbe alla fine dell'anno con un primo gruzzoletto al quale potrebbero aggiungersene altri se evitasse di comprare continuamente merci tecnologiche come telefonini, telecamere, frullatori, aspirabriciole ecc.. limitandosi ad usare il più possibile quelli che già possiede. Ulteriori risparmi deriverebbero dalla rinuncia al telefono fisso e alla televisione a pagamento (altro cancro che ormai ha diffuso le sue metastasi presso tutti i ceti sociali).

Qualora fosse possibile, sarebbe opportuno autoprodursi quei beni che fino a pochi anni fa ogni famiglia era in grado di fabbricarsi da sola: pane, passata di pomodoro, olio, dolci. L'economia del Pil, infatti, rendendo accessibili merci a chiunque ha reso del tutto inutile la conservazione di conoscenze e abilità che nei secoli hanno permesso il sostentamento a famiglie numerosissime prive di reddito monetario.

Tutto quello di cui abbiamo bisogno lo si può comprare, dal divertimento dei figli al broccolo fluorescente. Perchè autoprodurselo? Il motivo principale sarebbe che l'autoproduzione permetterebbe di ricominciare a risparmiare, ma nel vero senso della parola, una buona parte del reddito monetario.

Insomma, ritornare a risparmiare come facevano i nostri nonni.

La fine del risparmio ha già prodotto effetti devastanti sulle capacità dei giovani di progettare la propria vita futura, di fare programmi a lungo termine. Il bisogno di consumo ha preso il sopravvento sull'abilità del giovane di pensare e costruire il proprio avvenire. Non ritengo che la perdita di speranza dei giovani sia imputabile (almeno non totalmente) alla precarizzazione del lavoro; tale precarizzazione ha semplicemente reso più problematica la possibilità di mantenere alto il livello del consumo di merci; da un certo punto di vista è un bene che lavori come "`centralinista di call-center"' siano principalmente con contratti a termine in quanto è impensabile che un essere umano possa tutta la vita svolgere quel tipo di lavoro, senza prospettive di crescita umana e intellettuale. Il problema è che molti giovani, non avendo in testa l'idea di risparmio, preferiscono questo lavoro che permette loro di consumare merci (al resto ci pensano mamma e papà) invece che risparmiare tempo e denaro per l'acquisizione di conoscenze e abilità che garantirebbero l'accesso (ma in futuro) a lavori più gratificanti.

Ecco quindi che un centralinista part-time che prende 800 euro al mese e che vive con i genitori, può ancora permettersi l'acquisto (a rate) di una moto e di un'auto, di fare vacanze in luoghi esotici, di aggiornare con cadenza mensile l'hardware del proprio pc e di acquistare settimanalmente abbigliamento griffato. In realtà questo consumatore, perdendo l'abilità al risparmio, ha barattato il proprio avvenire con la possibilità di consumi immediati; vive nell'illusione di aver risparmiato pur non avendo un centesimo in tasca.

di Luca Correani