29 gennaio 2010
Bond in dollari? Si, come no
Fantastico. Degno da Banda degli Onesti. Anzi, sicuramente meno. Tremonti sta pensando a emettere Bond a cinque anni. In Dollari. Già sentita la puzza? Allora siete un passo avanti a molti italiani. Sicuramente anni luce rispetto al nostro Ministro.
Per tutti gli altri, piccolo riassunto della situazione.
Quando uno Stato finisce i soldi (per pagare i dipendenti pubblici e un milione di altre cose) allora emette dei Buoni del Tesoro. La cosa funziona, sinteticamente, così. Con periodicità ormai conclamata, lo Stato italiano - visto che non solo ha finito i soldi da un pezzo, ma anzi viaggia costantemente in deficit (per intenderci, non riesce neanche a pagare gli interessi sui debiti: roba che una azienda normale avrebbe portato i libri in Tribunale da un pezzo) - emette delle cambiali, con differente durata. Naturalmente non le chiama cambiali, ma Buoni del Tesoro, Titoli di Stato o cose del genere, così, tanto per farle suonare meglio.
I cittadini (ma anche gli stranieri) che decidono di acquistare questi "pagherò", versano allo Stato un tot (in moneta sonante) mentre lo Stato gli rende un pezzo di carta - appunto: una cambiale - con la quale si impegna, alla scadenza, a ridare indietro il denaro "investito" dal cittadino oltre a un certo interesse. Attualmente, intorno all'1%. Il cittadino, alla fine - naturalmente se nel frattempo lo Stato non è fallito - incassa il denaro versato più l'1% promesso.
Per quelli che pensano che la cosa sia un affare, tutto ok, si direbbe. Malgrado l'alta possibilità di default del nostro Stato (che molti si ostinano ancora a non far entrare nel novero delle possibilità), malgrado il fatto che con l'imminente inflazione galoppante (vista l'attività tipografica di Bce e soprattutto Fed nello stampare banconote e nel mandarle in giro senza controvalore) l'1% potrebbe essere veramente una miseria, oggi Tremonti si lancia in una operazione ulteriore, stile Madoff: decide di emettere Bond in Dollari. A cinque anni.
Proprio così: si acquistano titoli di Stato in Dollari, ovviamente acquistati al prezzo corrente del Dollaro e prestati allo Stato, e tra cinque anni si rivedrà indietro il proprio gruzzoletto oltre all'interesse. Sempre in Dollari e - dopo - essere stati riconvertiti in Euro. Ancora nessun odore?
Andiamo avanti. Siamo alla fine, niente paura.
Poniamo che oggi si decidesse di acquistare 100 Euro di Dollari: al tasso corrente (1,413) ci verrebbero consegnati 141 dollari e qualcosina. E poniamo che il Bond venduto dal nostro Totò sia al tasso del 3%. Alla fine dei cinque anni, lo Stato ci darà indietro 141 dollari più il 3%, ovvero 4,23 dollari in più. Ora, 141 più 4.23, ci troveremo in tasca ben 145.23 Dollari. Con i quali naturalmente possiamo soffiarci il naso, finché non li riconvertiamo in Euro. A questo punto lo Stato penserà per noi a riconvertirli in Euro, ergo andrà ad acquistare Euro pagando 145.23 Dollari, che è quanto ci spetta.
Naturalmente - ecco il punto - li acquisterà, alla scadenza, ovvero tra cinque anni, al tasso di allora. Non al tasso corrente con il quale abbiamo acquistato Dollari oggi. Se il Dollaro, tra cinque anni, varrà molto, avremo fatto un affare, riceveremo indietro molti più euro di quanti ne abbiamo versati oggi. Esempio: un Dollaro (tra cinque anni) con tasso di cambio uguale a oggi, ci farebbe tornare nelle tasche, interesse incluso, quasi 103 euro. E avremmo guadagnato. Effettivamente quanto - ovvero quanto varranno 103 Euro - naturalmente, lo sapremo solo tra cinque anni.
Dunque la prima domanda, già (quasi) risolutiva: quanto varranno 103 euro tra cinque anni?
E ora, "per i più abili e allenati", domandone finale, definitivo: vista la politica monetaria della Fed (stampa di banconote senza copertura aurea reale, e soprattutto senza specificare la quantità di banconote immesse sul mercato), vista la fine che stanno facendo i Titoli di Stato Usa (la Cina, maggior possessore mondiale, se ne sta disfacendo comperando oro, visto che puzza di bruciato - ovvero di default Usa - l'ha già annusata da un pezzo), visto lo stato della crisi in Usa (e le riserve auree che gli Stati Uniti dovranno vendere per continuare a finanziare i vari pantani, tipo Iraq e Afghanistan), ebbene, quanto varrà il Dollaro Usa tra cinque anni? Sarà debole o forte?
Poniamo il caso che - come chiunque dotato di buon senso capisce da sé - il Dollaro Usa tra cinque anni sarà scambiato non a 1,413 come oggi ma a 1,7, o a 2 euro, cosa accadrebbe? Lo Stato andrà ad acquistare tanti più Euro possibili con i nostri 145,23 Dollari accumulati, e con un cambio anche solo a 1,7, ci torneranno in tasca la bellezza di... 85 Euro. Dunque avremo perso il 15% da questo affarone targato Italia.
Fantastico, dicevamo, vero?
Ebbene, Tremonti è il "nostro" Ministro. E fa, ovviamente, il bene dello Stato. A spese di chi? Dei cittadini, naturalmente. Ma non sono i cittadini, lo Stato?
di Valerio Lo Monaco
28 gennaio 2010
Tremonti, i bond e il destino del dollaro
24 gennaio 2010
Tagliare le poltrone? Era solo un bluff
Solo gli ingenui potevano credere che alla vigilia delle elezioni degli amministratori la maggioranza avrebbe abolito... gli amministratori. In Italia infatti per eliminare un posto bisogna crearne due. È questa la vecchia regola della Democrazia cristiana che ha governato per sessanta anni con i proconsoli, con i cacicchi e con gli ascari ed è questa la regola anche di questo governo.
Questo governo ha appunto annunziato, per il secondo anno consecutivo, il rinvio di un anno – e fanno dunque due - del dimagrimento degli enti locali più obesi del mondo. Il Consiglio dei ministri ha già predisposto il decreto legge che contraddice la legge. Insomma è la strategia di Penelope applicata al contrario: quella voleva imbrogliare i «proci», che sono gli scrocconi e i gozzovigliatori della ricchezza pubblica, la ricchezza di Ulisse; qui invece vogliono imbrogliare Ulisse. Se dunque la legge finanziaria li aveva condannati, oggi il governo li resuscita.
Ma rimangono morti che camminano. Gli enti locali, infatti, sono troppo spesso assembramenti condominiali, distributori di prebende stipendiali e serbatoi di consenso per la famigerata partitocrazia italiana. Ed è significativo che la rivolta contro la riduzione del venti per cento dei consiglieri e del numero degli assessori sia stata trasversale, coinvolgendo anche i Comuni governati dalla sinistra. È ovvio che ciascuno difenda i propri privilegi, i propri amici, i propri stipendi. È il governo centrale che non deve consegnarsi in ostaggio. Anzi è nel rapporto con la periferia che si misura la sua forza. Nel punto più distante lo Stato verifica la sua vicinanza ai cittadini. In periferia si certifica la credibilità del centro.
E tuttavia la pessima figura del governo non ci stupisce e non ci coglie impreparati. È anzi un assaggio del futuro federalista, della prossima grande riforma e dell´alta sfida ai fannulloni nella pubblica amministrazione. È un ulteriore disvelamento della demagogia imbonitoria. L´abbattimento della burocrazia che si autoriproduce, l´abolizione delle Province e appunto la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori negli enti locali erano infatti tre obiettivi caratterizzanti del programma elettorale del Popolo della libertà, tre piccole-grandi riforme di buon senso, gli strumenti più ovvi di qualsiasi progetto di risparmio economico, il nuovo inizio di una stagione più seria e più responsabile anche sul piano morale.
Ma purtroppo il clientelismo è una vecchia piaga preunitaria del nostro Paese: era una specie di ‘spoil system´ dei conquistatori che si annettevano contrade estranee. Vi hanno fatto ricorso anche lo Stato piemontese e gli uomini del Risorgimento. Purtroppo è stato uno strumento dell´Unità d´Italia. Imponendo uomini fidati i nuovi amministratori cercavano di controllare le istituzioni ereditate non solo dal Borbone, ma anche dai Papalini, dagli austroungarici e da tutti gli Stati e staterelli preunitari. Se ne servì poi il fascismo che ingrossò a dismisura la pubblica amministrazione non solo collocando i camerati ma lenendo così la disoccupazione e domando il malumore sociale. Infine la Democrazia cristiana ne fece una scienza fondata sulla sua cultura comunitaria e antistatuale. Ai democrstiani non importavano l´efficienza e il rigore dello Stato laico ma soltanto il consenso e il benessere impiegatizio. Il risultato, noto a tutti gli studiosi, è che in Italia lo Stato non è la più alta e qualificata sintesi della maturità sociale ma è un ente di collocamento. E dunque ogni volta che c´è stata e c´è in progetto una riforma contro l´istituzione obesa i politici italiani finiscono col renderla ancora più panciuta.
Il ministro della Semplificazione, il leghista Calderoli, è uno dei generali del Federalismo, la più strombazzata delle riforme – la rivoluzione leghista – che dovrebbe appunto semplificare e rendere veloce il rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Ebbene, la sua ritirata di oggi, il salvataggio di ben trentamila poltrone e lo sperpero di dodici milioni di euro suonano come profezia del suo Federalismo e del suo destino. È infatti facile prevedere che il Federalismo aggiungerà alle burocrazie e ai ceti politici locali le burocrazie federali, i funzionari e i clienti del Federalismo. Oggi il ministro della Semplificazione si è trasformato nel ministro della Complicazione. (Presto avrà bisogno di un´agile struttura – almeno due sottosegretari – per risemplificarsi).
di Francesco Merlo
29 gennaio 2010
Bond in dollari? Si, come no
Fantastico. Degno da Banda degli Onesti. Anzi, sicuramente meno. Tremonti sta pensando a emettere Bond a cinque anni. In Dollari. Già sentita la puzza? Allora siete un passo avanti a molti italiani. Sicuramente anni luce rispetto al nostro Ministro.
Per tutti gli altri, piccolo riassunto della situazione.
Quando uno Stato finisce i soldi (per pagare i dipendenti pubblici e un milione di altre cose) allora emette dei Buoni del Tesoro. La cosa funziona, sinteticamente, così. Con periodicità ormai conclamata, lo Stato italiano - visto che non solo ha finito i soldi da un pezzo, ma anzi viaggia costantemente in deficit (per intenderci, non riesce neanche a pagare gli interessi sui debiti: roba che una azienda normale avrebbe portato i libri in Tribunale da un pezzo) - emette delle cambiali, con differente durata. Naturalmente non le chiama cambiali, ma Buoni del Tesoro, Titoli di Stato o cose del genere, così, tanto per farle suonare meglio.
I cittadini (ma anche gli stranieri) che decidono di acquistare questi "pagherò", versano allo Stato un tot (in moneta sonante) mentre lo Stato gli rende un pezzo di carta - appunto: una cambiale - con la quale si impegna, alla scadenza, a ridare indietro il denaro "investito" dal cittadino oltre a un certo interesse. Attualmente, intorno all'1%. Il cittadino, alla fine - naturalmente se nel frattempo lo Stato non è fallito - incassa il denaro versato più l'1% promesso.
Per quelli che pensano che la cosa sia un affare, tutto ok, si direbbe. Malgrado l'alta possibilità di default del nostro Stato (che molti si ostinano ancora a non far entrare nel novero delle possibilità), malgrado il fatto che con l'imminente inflazione galoppante (vista l'attività tipografica di Bce e soprattutto Fed nello stampare banconote e nel mandarle in giro senza controvalore) l'1% potrebbe essere veramente una miseria, oggi Tremonti si lancia in una operazione ulteriore, stile Madoff: decide di emettere Bond in Dollari. A cinque anni.
Proprio così: si acquistano titoli di Stato in Dollari, ovviamente acquistati al prezzo corrente del Dollaro e prestati allo Stato, e tra cinque anni si rivedrà indietro il proprio gruzzoletto oltre all'interesse. Sempre in Dollari e - dopo - essere stati riconvertiti in Euro. Ancora nessun odore?
Andiamo avanti. Siamo alla fine, niente paura.
Poniamo che oggi si decidesse di acquistare 100 Euro di Dollari: al tasso corrente (1,413) ci verrebbero consegnati 141 dollari e qualcosina. E poniamo che il Bond venduto dal nostro Totò sia al tasso del 3%. Alla fine dei cinque anni, lo Stato ci darà indietro 141 dollari più il 3%, ovvero 4,23 dollari in più. Ora, 141 più 4.23, ci troveremo in tasca ben 145.23 Dollari. Con i quali naturalmente possiamo soffiarci il naso, finché non li riconvertiamo in Euro. A questo punto lo Stato penserà per noi a riconvertirli in Euro, ergo andrà ad acquistare Euro pagando 145.23 Dollari, che è quanto ci spetta.
Naturalmente - ecco il punto - li acquisterà, alla scadenza, ovvero tra cinque anni, al tasso di allora. Non al tasso corrente con il quale abbiamo acquistato Dollari oggi. Se il Dollaro, tra cinque anni, varrà molto, avremo fatto un affare, riceveremo indietro molti più euro di quanti ne abbiamo versati oggi. Esempio: un Dollaro (tra cinque anni) con tasso di cambio uguale a oggi, ci farebbe tornare nelle tasche, interesse incluso, quasi 103 euro. E avremmo guadagnato. Effettivamente quanto - ovvero quanto varranno 103 Euro - naturalmente, lo sapremo solo tra cinque anni.
Dunque la prima domanda, già (quasi) risolutiva: quanto varranno 103 euro tra cinque anni?
E ora, "per i più abili e allenati", domandone finale, definitivo: vista la politica monetaria della Fed (stampa di banconote senza copertura aurea reale, e soprattutto senza specificare la quantità di banconote immesse sul mercato), vista la fine che stanno facendo i Titoli di Stato Usa (la Cina, maggior possessore mondiale, se ne sta disfacendo comperando oro, visto che puzza di bruciato - ovvero di default Usa - l'ha già annusata da un pezzo), visto lo stato della crisi in Usa (e le riserve auree che gli Stati Uniti dovranno vendere per continuare a finanziare i vari pantani, tipo Iraq e Afghanistan), ebbene, quanto varrà il Dollaro Usa tra cinque anni? Sarà debole o forte?
Poniamo il caso che - come chiunque dotato di buon senso capisce da sé - il Dollaro Usa tra cinque anni sarà scambiato non a 1,413 come oggi ma a 1,7, o a 2 euro, cosa accadrebbe? Lo Stato andrà ad acquistare tanti più Euro possibili con i nostri 145,23 Dollari accumulati, e con un cambio anche solo a 1,7, ci torneranno in tasca la bellezza di... 85 Euro. Dunque avremo perso il 15% da questo affarone targato Italia.
Fantastico, dicevamo, vero?
Ebbene, Tremonti è il "nostro" Ministro. E fa, ovviamente, il bene dello Stato. A spese di chi? Dei cittadini, naturalmente. Ma non sono i cittadini, lo Stato?
di Valerio Lo Monaco
28 gennaio 2010
Tremonti, i bond e il destino del dollaro
24 gennaio 2010
Tagliare le poltrone? Era solo un bluff
Solo gli ingenui potevano credere che alla vigilia delle elezioni degli amministratori la maggioranza avrebbe abolito... gli amministratori. In Italia infatti per eliminare un posto bisogna crearne due. È questa la vecchia regola della Democrazia cristiana che ha governato per sessanta anni con i proconsoli, con i cacicchi e con gli ascari ed è questa la regola anche di questo governo.
Questo governo ha appunto annunziato, per il secondo anno consecutivo, il rinvio di un anno – e fanno dunque due - del dimagrimento degli enti locali più obesi del mondo. Il Consiglio dei ministri ha già predisposto il decreto legge che contraddice la legge. Insomma è la strategia di Penelope applicata al contrario: quella voleva imbrogliare i «proci», che sono gli scrocconi e i gozzovigliatori della ricchezza pubblica, la ricchezza di Ulisse; qui invece vogliono imbrogliare Ulisse. Se dunque la legge finanziaria li aveva condannati, oggi il governo li resuscita.
Ma rimangono morti che camminano. Gli enti locali, infatti, sono troppo spesso assembramenti condominiali, distributori di prebende stipendiali e serbatoi di consenso per la famigerata partitocrazia italiana. Ed è significativo che la rivolta contro la riduzione del venti per cento dei consiglieri e del numero degli assessori sia stata trasversale, coinvolgendo anche i Comuni governati dalla sinistra. È ovvio che ciascuno difenda i propri privilegi, i propri amici, i propri stipendi. È il governo centrale che non deve consegnarsi in ostaggio. Anzi è nel rapporto con la periferia che si misura la sua forza. Nel punto più distante lo Stato verifica la sua vicinanza ai cittadini. In periferia si certifica la credibilità del centro.
E tuttavia la pessima figura del governo non ci stupisce e non ci coglie impreparati. È anzi un assaggio del futuro federalista, della prossima grande riforma e dell´alta sfida ai fannulloni nella pubblica amministrazione. È un ulteriore disvelamento della demagogia imbonitoria. L´abbattimento della burocrazia che si autoriproduce, l´abolizione delle Province e appunto la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori negli enti locali erano infatti tre obiettivi caratterizzanti del programma elettorale del Popolo della libertà, tre piccole-grandi riforme di buon senso, gli strumenti più ovvi di qualsiasi progetto di risparmio economico, il nuovo inizio di una stagione più seria e più responsabile anche sul piano morale.
Ma purtroppo il clientelismo è una vecchia piaga preunitaria del nostro Paese: era una specie di ‘spoil system´ dei conquistatori che si annettevano contrade estranee. Vi hanno fatto ricorso anche lo Stato piemontese e gli uomini del Risorgimento. Purtroppo è stato uno strumento dell´Unità d´Italia. Imponendo uomini fidati i nuovi amministratori cercavano di controllare le istituzioni ereditate non solo dal Borbone, ma anche dai Papalini, dagli austroungarici e da tutti gli Stati e staterelli preunitari. Se ne servì poi il fascismo che ingrossò a dismisura la pubblica amministrazione non solo collocando i camerati ma lenendo così la disoccupazione e domando il malumore sociale. Infine la Democrazia cristiana ne fece una scienza fondata sulla sua cultura comunitaria e antistatuale. Ai democrstiani non importavano l´efficienza e il rigore dello Stato laico ma soltanto il consenso e il benessere impiegatizio. Il risultato, noto a tutti gli studiosi, è che in Italia lo Stato non è la più alta e qualificata sintesi della maturità sociale ma è un ente di collocamento. E dunque ogni volta che c´è stata e c´è in progetto una riforma contro l´istituzione obesa i politici italiani finiscono col renderla ancora più panciuta.
Il ministro della Semplificazione, il leghista Calderoli, è uno dei generali del Federalismo, la più strombazzata delle riforme – la rivoluzione leghista – che dovrebbe appunto semplificare e rendere veloce il rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Ebbene, la sua ritirata di oggi, il salvataggio di ben trentamila poltrone e lo sperpero di dodici milioni di euro suonano come profezia del suo Federalismo e del suo destino. È infatti facile prevedere che il Federalismo aggiungerà alle burocrazie e ai ceti politici locali le burocrazie federali, i funzionari e i clienti del Federalismo. Oggi il ministro della Semplificazione si è trasformato nel ministro della Complicazione. (Presto avrà bisogno di un´agile struttura – almeno due sottosegretari – per risemplificarsi).
di Francesco Merlo