16 marzo 2010

L’Italia, Israele e il Mossad dal 1945 ai giorni nostri

Eric Salerno, giornalista e inviato speciale del Messaggero, esperto di questioni mediorientali, ha scritto nel 2010 un interessante e documentato libro intitolato «Mossad base Italia. Le azioni, gli intrighi, le verità nascoste», Milano, Il Saggiatore, 258 pagine, 19 euro. L’autore cerca di far luce sulla cronaca italiana degli ultimi sessant’anni, durante i quali gli agenti del Mossad hanno iniziato le loro attività, con la complicità almeno implicita dei governi italiani, a partire dal 1945 con l’immigrazione clandestina degli ebrei europei in Italia per farli poi espatriare in Palestina. Egli descrive, con l’aiuto di colloqui avuti con Mike Harari, un agente o meglio l’ex capo delle operazioni clandestine del Mossad incaricato da Golda Meir di vendicare gli atleti israeliani uccisi Monaco nel 1972, e del giudice Claudio Mastelloni, che ha indagato per molti anni sulle vicende dei servizi segreti italiani e israeliani ed infine delle cronache giudiziario-giornalistiche (1), le varie vicende che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese, e sulle quali non è stata fatta ancora completa chiarezza: a partire dall’immigrazione clandestina di migliaia di ebrei diretti in Palestina, dal traffico internazionale con scalo in Italia di armi dirette verso la futura Israele, sino ai vari sabotaggi delle industrie belliche italiane che rifornivano gli arabi e specialmente l’Egitto, passando per diversi attentati che hanno insanguinato la nostra patria (l’aereo Argo 16, l’uccisione del giornalista palestinese Wail Zwaiter assassinato a Roma per rappresaglia dopo Monaco 1972 e il caso Moro). Il pregio del libro, ben studiato e condotto su fatti e documenti, è quello di non presumere di saper tutto, soprattutto in un campo misterioso e pieno di depistaggi e doppiogiochismi come quello dei servizi segreti, ma di fermarsi a congetture, possibilità o probabilità ove manchi la prova certa, senza voler fare un passaggio indebito dal possibile al reale o al certamente evidente. Solo in caso di prove chiare ed esplicite l’autore ci mette di fronte all’evidenza del fatto. Ne risulta un quadro che getta una luce nuova sulle vicende che oramai hanno preso una piega ben definita non solo in Medio Oriente, ma anche in Italia e nel resto del mondo. Il ruolo giocato da Israele sin dal primo dopoguerra in Italia è enorme. Non prenderne atto significherebbe non voler vedere la realtà. Ma il prenderne atto non significa sapere tutto di ogni cosa. «Nescire qaedam magna pars sapientiae». Del resto le sorti delle due guerre mondiali sono state decise in gran parte dal ruolo dei servizi segreti dei Paesi belligeranti; come in ogni guerra che è stata fatta su questa terra, non ci si è serviti solo delle armi, ma anche dell’Intelligence.

De Gasperi, Ada Sereni e Israele

Dopo la Seconda Guerra Mondiale migliaia di ebrei volevano allontanarsi dall’Europa semidistrutta per recarsi in USA o in Australia, ma «gli inviati della ‘Palestina ebraica’ riuscirono a convincere decine di migliaia di persone a trovare rifugio in Medio Oriente, dove presto, anche grazie a loro, sarebbe nato uno Stato ebraico» (2). Nel giro di tre anni almeno ventiseimila ebrei furono fatti espatriare clandestinamente in Palestina. La Gran Bretagna, che avendo il «Mandato» sulla Terra Santa, si opponeva ad una immigrazione in massa degli ebrei in Palestina e cercava perciò di arginare il flusso migratorio, entrò, quindi, nel mirino del terrorismo ebraico, che per primo insanguinò la Terra Santa. Frattanto «in Italia i campi d’accoglienza si riempivano e si svuotavano rapidamente» (3).

Ada Sereni, ebrea romana, nata Ascarelli, era il capo italiano del Mossad per le operazioni di espatrio verso la Palestina. Lei stessa nel suo libro «I clandestini del mare», Milano, Mursia, 1973, racconta dell’incontro che ebbe con Alcide De Gasperi per ottenere una tacita copertura da parte del governo e dei servizi segreti italiani sulle attività che il Mossad avrebbe dovuto svolgere in Italia per farvi giungere e poi espatriare verso la Terra Santa i propri connazionali dell’Europa del nord. La Sereni chiese a De Gasperi di «chiudere un occhio, e possibilmente due sulle nostre attività in Italia» (4). Eric Salerno commenta: «Gli italiani si accorsero sin dall’inizio dell’immigrazione clandestina e dei campi provvisori dove venivano ospitati gli ebrei arrivati dal resto dell’Europa, ma non soltanto chiusero un occhio, aiutarono quando e come poterono. Aiutarono anche nella fase successiva, quando il Mossad, parallelamente allimmigrazione clandestina, si impegnò nelladdestramento militare dei rifugiati, nellacquisizione darmi e nel loro trasporto in Palestina, nella lotta per impedire agli arabi di armarsi anche quando questo significava il sabotaggio di industrie e impianti italiani e di loro prodotti (…). A parte i rapporti ambigui, costruiti ad arte, per non precludere i potenzialmente ricchi mercati arabi (…), l’Italia non sarebbe stata ostile nemmeno a Israele» (5).

I primi viaggi marittimi dallItalia in Palestina

La prima nave clandestina a salpare dall’Italia verso il futuro Stato d’Israele partì dal porto di Bari il 21 agosto 1945 e riuscì a raggiungere il porto di Tel Aviv il 25, senza farsi intercettare dagli inglesi i quali si attenevano alle disposizioni del «Libro Bianco» del 1939, che limitavano l’immigrazione ebraica e l’acquisto delle terre dei palestinesi. Le cose andarono diversamente per quanto riguarda il viaggio da La Spezia verso la Palestina del 4 aprile 1946 quando 1.014 profughi ebrei cercarono di imbarcarsi su tre navi, che furono bloccate a La Spezia dagli inglesi. Soltanto l’8 maggio del 1946 le tre navi partirono, ma mentre le prime due riuscirono ad arrivare in Palestina, la terza chiamata Exodus fu bloccata dagli inglesi. Tuttavia, nonostante la decisione di «chiudere un occhio», l’ingresso sempre crescente e divenuto massiccio nel 1947 di ebrei in Italia «turbava non poco le autorità italiane, tanto che il 23 gennaio (…) il ministero degli Interni fece arrivare alla presidenza del Consiglio un appunto dettagliato sulla situazione: «Trattasi di gente che, in grande maggioranza, si dedica ad attività improduttive ed illegali (…) senza vantaggio e anzi con detrimento del Paese che li ospita»» (6).

In effetti, dopo aver preso parte alla guerra partigiana nell’Italia settentrionale, la «Brigata ebraica dell’Esercito britannico» trasportò «rifugiati e armi destinate all’addestramento nei campi di transito e ai combattenti ebrei in Palestina» e facilitò «le azioni di sabotaggio contro le industrie italiane sospettate di commerciare con i nemici arabi» (7). Ma l’Italia si trovava in un certo senso con le mani legate, poiché «i rappresentanti delle organizzazioni ebraiche internazionali ‘fanno apertamente comprendere - secondo il funzionario del Viminale autore della segnalazione - di poter influire, a seconda del nostro atteggiamento, sullopinione pubblica americana nei riguardi dellItalia’» (8). Inoltre, nei primi anni successivi alla fondazione dello Stato d’Israele (14 maggio 1948), il movimento sionista ebbe come alleati sia gli USA che l’URSS (9). Soltanto l’Inghilterra aveva rappresentato un pericolo sino al 1947, quando, dopo una serie di attentati terroristici ebraici contro di essa, aveva rinunciato al «Mandato» e solo nel 1948 gli arabi si schierarono apertamente ed effettivamente contro Israele appena nato (10). Verso la fine del 1947 e l’inizio del 1948 tre agenti del Mossad «acquistarono sei navi con cui trasportare le armi (in Israele). Navi in gran parte italiane, con bandiera italiana ed equipaggi italiani»(11).

I primi attentati in suolo italiano

Nel 1948 l’obiettivo principale del Mossad non erano più i profughi, oramai già giunti in Palestina, ma le armi per Israele ed impedire che gli arabi ne ottenessero in egual misura (12). Il problema presente era costituito dalla nave Lino battente bandiera italiana, che conteneva un grosso carico di armi per i siriani. «Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale l’Italia era divenuta la base operativa dei terroristi ebrei dell’Irgun e della Banda Stern in lotta contro Sua Maestà britannica, e dell’organizzazione dell’immigrazione ebraica clandestina, madre di uno dei più potenti servizi segreti del mondo, il Mossad» (13). La nave partì dal porto di Fiume, raggiunse Molfetta ove dovette fermarsi a causa del maltempo che imperversava. L’11 aprile del 1948 i quotidiani italiani davano la notizia di una misteriosa esplosione sulla Lino, che era stata affondata, ma non distrutta e il cui carico di armi giaceva sul fondo del porto di Bari verso il quale la nave si era diretta dopo aver lasciato Molfetta. Damasco, che aveva acquistato legalmente le armi reclamava, la sua proprietà e l’Italia non poté fare a meno di autorizzare il recupero delle casse di materiale bellico. Allora «Ada Sereni, oramai rappresentante ufficiale in Italia dei servizi segreti del nuovo Stato (d’Israele), decise di impedire ai siriani di impossessarsi delle armi legittimamente acquistate e custodite a Bari» (14).
Grazie al sostegno tacito e occulto dato dai servizi segreti italiani al Mossad, quando le armi furono ripescate e riposte nel deposito del porto di Bari e poi caricate nel battello Argiro per essere trasportate verso la fine di agosto del 1948 in Siria via Beirut, due marinai israeliani presero il posto di due italiani, che si erano dati per ammalati. Fu allora che avvenne «un piccolo sabotaggio compiuto da uno dei due militari israeliani. Alla richiesta di aiuto del comandante risponde un peschereccio, casualmente nei dintorni. E’ un battello del Mossad. Due marinai del peschereccio salgono a bordo della nave italiana e con l’aiuto di altri agenti imbarcati non hanno difficoltà ad assumere il controllo e puntare su Israele» (15).

Lattentato allAmbasciata britannica i Roma

L’Italia è stata teatro di azioni ancora più eclatanti. Il 30 settembre 1946 a Roma vicino alla Breccia di Porta Pia, in via XX settembre, venne fatta esplodere una bomba presso l’Ambasciata britannica, che cercava di far rispettare i patti del «Libro Bianco» del 1939. Tre uomini del Mossad sistemano due valigie davanti all’ingresso dell’Ambasciata, contenenti cinquanta chili di tritolo che esplodono la notte del 30 alle 2 e 34; «l’esplosione è violentissima e distrugge buona parte dell’edificio» (16), inoltre «danneggia tutti gli stabili vicini all’Ambasciata (…), il portiere di uno degli stabili è leggermente contuso» (17). Il 4 novembre l’Irgun rivendica l’attentato, richiamandosi a Garibaldi, a Mazzini e a Cavour, «apostoli della guerra per la libertà». L’Irgun dopo aver fatto entrare in Palestina migliaia di ebrei, come l’Haganah e il Mossad aliyah bet, andò oltre e, contro la volontà di Ben Gurion, «riprese, con estrema durezza, la lotta armata contro le truppe britanniche presenti sul territorio. Vittime delle azioni in Palestina - terrorismo, come sarebbe stato subito battezzato dagli inglesi e dallo Stesso Ben Gurion - sono soldati e civili inglesi, arabi e anche ebrei» (18). Questa volta in Italia Polizia e carabinieri non possono «chiudere un occhio» e devono andare sino in fondo. Arrestano vari esponenti del Betar e un militante dell’Irgun.

Ma «il 27 novembre un certo professor Smertenko, vicepresidente della ‘Lega americana per una libera Palestina’, si rivolge a trentasei corrispondenti della stampa italiana e straniera in una sala del Grand Hotel di Roma. La conferenza, convocata per parlare delle condizioni di detenzione di una decina di ebrei all’interno delle indagini sull’attentato all’Ambasciata britannica, si trasforma rapidamente in una requisitoria contro le autorità italiane e in una difesa della libertà di opinione. «La Gran Bretagna ha dichiarato guerra al popolo ebraico». E dunque, anche se compiere attentati, come riconosce l’esponente ebraico, è reato per la legge italiana, non dovrebbe costituire reato appartenere a un’organizzazione clandestina, come l’Irgun, soltanto perché minaccia altri attentati contro interessi britannici in Italia e altrove» (19). Eric Salerno conclude citando un incontro avuto col professor Yehezkel Dror dell’Università ebraica di Gerusalemme, studioso dei cosiddetti «regimi canaglia», il quale gli disse che «se Gheddafi non fosse esistito, toccava inventarlo. Era così comodo addossare a lui tutto ciò che di nefasto succedeva tra il Mediterraneo e l’Africa. Egli non poteva costituire una vera minaccia per l’Occidente. Così è stato con l’Irgun in Europa, incolpato di tutte le azioni terroristiche di matrice ebraica. Ma sia prima della fondazione dello Stato d’Israele sia subito dopo erano ben altri militanti ebrei e agenti segreti israeliani a colpire nel cuore dell’Italia» (20).

I sabotaggi delle industrie di armamenti militari italiane

Il capitolo VI del libro di Eric Salerno (pagine 83-96) è dedicato al sabotaggio delle industrie italiane che rifornivano i Paesi arabi. Il 14 agosto 1948 vi fu all’aeroporto di Venezia un attentato, per fortuna sventato, contro due aerei destinati all’Egitto (pagina 87). Subito dopo gli egiziani avevano acquistato regolarmente cinque vecchi Dc-3 da una società di Firenze e il Mossad avrebbe voluto distruggerli prima della loro partenza, ma per timore che le autorità italiane, onde non perdere un prezioso acquirente come l’Egitto, non potesse «chiudere un occhio» su tale vicenda, non se ne fece nulla (pagina 88). Il terzo attentato contro la nave Rosalyn, che caricava regolarmente armi per l’Egitto nel porto di Genova, abortì poiché uno degli attentatori, Gideon Rosen, si fece scoppiare in mano l’ordigno che stava preparando (pagina 88). Qualche settimana dopo nell’agosto del 1948 all’aeroporto di Venegono presso Varese, l’Aeronautica Macchi finì nel mirino dei sabotatori del Mossad. Il Cairo aveva acquistato dalla Macchi una ventina di caccia modello 205. Si decise di intervenire. Le basi del Mossad a Nemi e a Milano vennero allertate; l’esplosivo venne trasferito da Nemi a Milano e il 18 settembre avvenne l’attentato (pagina 89), che «solo per un caso fortunato non ha provocato, oltre ad ingenti danni, vittime umane» (Corriere della Sera, 19 settembre 1948). Inoltre il Mossad ebbe contatti con vari esponenti del MSI, la cui nascita fu favorita dagli Stati Uniti (21), specialmente con Pino Romualdi, «che, per sua stessa ammissione, fornì l’esplosivo usato dai terroristi ebrei per devastare l’ambasciata britannica a Roma» (22).

Nell’ottica anti-sovietica altri ex repubblichini collaborarono con gli USA e Israele, ad esempio Junio Valerio Borghese (23). Nel capitolo IX (pagine 117-124) Eric Salerno parla dei rapporti tra il Mossad e la «X Mas» per affondare le navi della flotta egiziana tramite la tecnica, sperimentata durante la RSI, dei «maiali» o piccoli motosiluranti su cui un incursore sommozzatore sedeva a cavalcioni e lo dirigeva contro una nave nemica, per lasciarlo a pochi metri dall’impatto. E’ Ada Sereni a prendere contatti con alcuni reduci della «X Mas» e uno di essi (Fiorenzo Capriotti) si occupa di far spedire in Israele sei motosiluranti Mas, acquistati dal Mossad presso la «Cabi Cattaneo» di Milano (pagine 121-122). «Sul lago di Tiberiade (…), il marò addestra le nuove reclute che avrebbero sferrato l’attacco all’ammiraglia egiziana Emir Farouk, alla fonda del porto di Gaza (…). Il successo degli uomini addestrati da Capriotti e dei «maiali» importati dall’Italia è totale. L’ammiraglia egiziana, con a bordo reparti scelti pronti a dar man forte alle truppe impegnate nel Negev per cercare di bloccare il nemico, va a fondo e viene danneggiata anche una dragamine di scorta» (pagina 123).

La nascita dellaviazione israeliana a Roma

Il capitolo XI (pagine 131-147) tratta della nascita dellaviazione da guerra israeliana a Roma, ove nel 1948 presso l’aeroporto dell’Urbe sulla via Salaria venivano addestrati in segreto, da piloti italiani e americani, volontari e anche mercenari ebrei, che si sarebbero ingaggiati nell’aviazione da guerra dello Stato d’Israele. Lì «aerei da trasporto e altri velivoli più o meno grandi con poche modifiche venivano trasformati in caccia e bombardieri diretti in Israele» (pagina 136). Inoltre anche l’URSS riforniva di armi Israele, via Roma, servendosi delle acciaierie Skoda della Cecoslovacchia (Il Messaggero, 6 novembre 1948). I piloti israeliani erano allenati anche in territorio sovietico (pagina 137), ma l’URSS riforniva pure i Paesi arabi. «Nel 1992, il pilota istruttore Guerrini raccontava dalle pagine del Mensile di aeronautica la storia della scuola da dove uscirono, nel giro di appena nove mesi, una sessantina di piloti. Nella pratica, all’Urbe nacque l’Aviazione israeliana» (pagina 138).

Anche i cadetti della Marina Militare israeliana furono addestrati dalla Marina Militare italiana. L’Italia voleva aiutare Israele ma non voleva rompere con gli arabi: «in questo clima fu deciso di accogliere i cadetti ‘a condizione tuttavia che da parte israeliana ci si impegni formalmente a non dare alla cosa pubblicità alcuna’» (pagina 154).

Rappresaglia a Roma

Per quanto riguarda la rappresaglia ordinata da Golda Meir dopo la strage di Monaco nel settembre 1972, si sa con certezza che il giornalista giordano Wail Zwaiter, ucciso con dodici rivoltellate il 16 ottobre del ‘72 a Roma in via Annibaliano n° 4 vicino piazza Sant’Emerenziana dal commando del Mossad diretto da Mike Harari, non faceva parte di «Settembre nero» né si era mai occupato di guerriglia, anzi le era completamente ostile. Però «il gruppo operativo comandato da Mike Harari, non aveva il compito di distinguere tra colpevoli o innocenti. L’ordine arrivato dalla bocca di Golda Meir era di colpire un certo numero di militanti palestinesi. Che fosse una rappresaglia era chiaro a tutti» (24). Il risultato ottenuto dal Mossad fu di far cessare ogni altra azione di «Settembre nero».

Validità del principio di causalità

Eric Salerno fa una considerazione che mi sembra non priva di fondamento: «Separare la causa dall’effetto significa mantenere nel buio ciò che è molto chiaro e semplice. Non si può fingere di credere che a Monaco, per esempio, vi sia stata un’esplosione di violenza in una situazione di pace: la violenza in Medio Oriente è endemica da più di sessant’anni, precisamente da quando l’Occidente intese assicurare i propri interessi imperialistici a spese di un popolo i cui interessi non furono, allora come oggi, tenuti in considerazione» (25). Vale a dire: senza l’invasione della Palestina nel 1948, non vi sarebbe stata Monaco 1972, «sine causa nullo effectu» direbbe Aristotele.

«Argo 16» e «Lodo Moro»

Nel capitolo XVI del suo libro (pagina 191-198) l’Autore parla dei casi Argo 16 (23 novembre 1973) e Aldo Moro (1973-1978). Argo 16 è il nome dell’aereo italiano con il quale due terroristi, che a Ciampino si accingevano ad abbattere con missili terra-aria l’aereo El Al con a bordo Golda Meir, dopo essere stati rimessi in libertà provvisoria, furono accompagnati il 30 ottobre 1973, clandestinamente, in Libia. Tre settimane dopo, il 23 novembre 1973 alle sette del mattino Argo 16 si schiantò al suolo con i suoi quattro componenti dell’equipaggio. «Lo stesso equipaggio che aveva condotto i palestinesi a Tripoli. Incidente o attentato? (…). Il generale Gianadelio Maletti (…), in presenza del generale Vito Miceli e di altri ufficiali, si disse convinto che si era trattato di un atto di sabotaggio compiuto da agenti del Mossad (26). Anni dopo il generale Ambrogio Viviani, capo del controspionaggio dal 1970 al 1974, sembrava condividere l’ipotesi (…). Sulle pagine del Giornale Miceli afferma: «Fu fatto esplodere». Su Panorama Viviani è ancora più esplicito: «Si è trattato di un avvertimento un po’ cruento dei Servizi d’Israele al governo italiano»» (pagine 192-193). Il giudice della Procura di Venezia Carlo Mastelloni, cui fu affidato il caso, ritiene che l’Argo 16 sia stato sabotato e lega tale attentato oltre al trasporto dei due palestinesi in Libia al patto o «Lodo Moro», ossia all’intesa tra il governo italiano, di cui Moro era allora ministro degli Esteri, e l’OLP.
L’Italia si garantiva l’immunità da attacchi terroristici palestinesi e in cambio chiudeva un occhio sul trasporto attraverso il suo suolo di armi ed esplosivi diretti altrove. «Il patto, ovviamente, non stava bene a Israele. E il sabotaggio di Argo 16 a giudizio di Mastelloni , sarebbe una ritorsione non soltanto per la liberazione dei due palestinesi (…), ma un avvertimento legato al complesso delleconcessioniitaliane ai nemici di Tel Aviv» (pagina 194). Inoltre per quanto riguarda il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro nel 1978, secondo ciò che ha rivelato nel 2005 l’ex vice segretario della DC Giovanni Galloni, il Mossad e la CIA si erano infiltrati nelle BR in vista di una «destabilizzazione dell’Italia (…) al fine di indurre lAmerica a vedere Israele come lunico punto di riferimento alleato nel Mediterraneo per averne in tal modo maggiore sostegno in termini politici e militari» (pagina 197).

Conclusione

1) Se qualcuno vuol saperne di più, può acquistare il libro di Eric Salerno ed anche gli altri citati. Ma attenzione a non presumere di poter conoscer tutto delle vicende storiche che hanno agitato l’Italia dal 1945 ad oggi, come del resto tutta la storia dell’umanità della quale molti elementi li conosceremo solo al Giudizio Universale.


2) Il primo terrorismo non è stato quello degli integralisti arabi, ma quello dell’estremismo sionista (Irgun), dietro il quale si è celato spesso il Mossad, che ha colpito in Palestina sin dal 1937 e anche in Italia e a Roma nel 1946, circa trent’anni prima di «Settembre Nero».

3) I governi e i servizi segreti italiani hanno sempre (e non solo nel «dopo-Craxi») giocato la doppia carta di aiutare Israele e di non ostacolare apertamente il mondo arabo.

4) Il terrorismo israeliano si rifaceva a Mazzini e Garibaldi per giustificare lazione armata in vista della libertà di opinione e di possesso della patria dei loro antichi antenati, che nel 135 avevano lasciato la Syria-Palestina: «La Gran Bretagna ha dichiarato guerra a Israele col ‘Libro Bianco’ del 1939 e Israele si difende con azioni di guerra di liberazione».

5) A Roma vi fu una rappresaglia «democratica» nel 1972 contro un giornalista non terrorista, colpevole di perorare la causa palestinese, ma l’unica rappresaglia condannata è quella tedesca del 1944 dopo l’attentato di via Rasella. Tuttavia il «principio di causalità» è universale, quindi dovrebbe valere anche per la «Cave Ardeatine»: senza via Rasella (causa) non ci sarebbero state le Ardeatine (effetto). Invece Harari è un eroe e Priebke un criminale.

6) Gli anni Settanta o anni di piombo in Italia sono stati telecomandati dai servizi segreti israeliani, americani e italiani, che si son serviti anche di bassa manovalanza italiana di sinistra e di destra per destabilizzare l’Italia in modo che gli USA non la considerassero più utile come punto d’appoggio per la politica estera e la guerra fredda, ma si rivolgessero a Israele e lo finanziassero contro il terrorismo comunista e arabo quale unico baluardo dell’Occidente contro il pericolo bolscevico (ieri) e arabo (oggi).

7) Alla larga da servizi segreti, anche non deviati! Sono quelli più pericolosi.

Don Curzio Nitoglia

Le scelte e i rischi nella riduzione del deficit


Un´ondata di austerità fiscale sta per abbattersi sull´Europa e sull´America. La voragine dei disavanzi di bilancio – parimenti all´ampiezza della recessione – ha colto molti di sorpresa. Malgrado le proteste da parte di coloro che fino a ieri sostenevano la deregulation e vorrebbero che il governo restasse passivamente a guardare, la maggior parte degli economisti crede che la spesa pubblica abbia fatto davvero la differenza, e abbia contribuito a scongiurare una seconda Grande Depressione.

La maggior parte degli economisti è altresì concorde nel ritenere che sia sbagliato guardare a un solo aspetto del bilancio (sia nel settore privato sia in quello pubblico). È infatti necessario non limitarsi esclusivamente a considerare di che cosa sia debitore un Paese o un´azienda, ma anche quali siano gli asset di cui dispone.
La spesa pubblica – specialmente con investimenti nell´istruzione, nelle tecnologie e nelle infrastrutture – di fatto può portare a diminuire il disavanzo sul lungo periodo. A scatenare la crisi è stata anche la miopia delle banche, la loro mancata lungimiranza. Ora non possiamo assolutamente permettere che la miopia del governo – pungolato dal settore finanziario – la prolunghi oltre.
Crescita e rendimenti più immediati per gli investimenti pubblici portano a più alti introiti fiscali, e un utile del 5-6 per cento sarebbe già più che sufficiente per controbilanciare i temporanei aumenti del debito pubblico nazionale.

Infine, altro punto su cui concordano gli economisti è che, se si eccettuano queste considerazioni, l´entità più appropriata per un disavanzo dipende in buona parte dallo stato generale dell´economia. Quanto più un´economia è debole tanto più avrà un disavanzo maggiore; l´entità più appropriata per un deficit a fronte di una recessione dipende da circostanze ben precise.
È a questo punto, però, che gli economisti iniziano a essere in disaccordo tra loro. Effettuare previsioni è sempre difficile, e a maggior ragione in tempi di crisi. Ciò che è accaduto (per fortuna) non accade tutti i giorni: sarebbe pertanto sconsiderato guardare al passato per ipotizzare come andrà a finire questa crisi.

In America, per esempio, la percentuale di indebitamento e di fallimenti è a livelli mai visti da almeno 75 anni. Il calo del credito nel 2009 è stato il più consistente dal 1942. Anche i raffronti con la Grande Depressione sono artificiosi, perché l´economia odierna è molto diversa da quella di allora per vari aspetti.
Nondimeno, anche con cospicui disavanzi, la crescita economica negli Stati Uniti e in Europa resta anemica. I rischi sono asimmetrici: se ci sarà una ripresa più robusta, allora naturalmente le spese potranno essere tagliate e/o le tasse aumentate. Ma se le previsioni sono esatte, invece, allora un´uscita prematura dal deficit spending rischia di spingere l´economia nuovamente in recessione.

Questi punti sono pertinenti in particolare alle economie più duramente colpite. Il Regno Unito, per esempio, ha vissuto un´esperienza più difficile rispetto ad altri Paesi per un´ovvia ragione: ha vissuto una bolla nel settore immobiliare e la finanza - che è l´epicentro stesso della crisi – ha rivestito un ruolo più importante nella sua economia di quanta ne abbia avuta in altri Paesi.

La performance più scadente del Regno Unito non è l´esito di politiche peggiori: anzi, rispetto agli Stati Uniti il suo piano di salvataggio in extremis delle banche e le sue politiche per il mercato del lavoro sono state di gran lunga migliori, per molti aspetti.
A mano a mano che l´economia globale ritorna alla crescita, i governi naturalmente dovrebbero tener pronti dei programmi finalizzati ad aumentare le imposte e tagliare le spese. Inevitabilmente, raddrizzare il bilancio sarà al centro di controversie. Principi quali «è meglio tassare le cose cattive che le buone» potrebbero consigliare di varare tasse nel settore ambientale.

Quanto al settore finanziario, ha imposto enormi esternalità sul resto della società. Il settore finanziario americano ha inquinato il mondo intero con i suoi mutui tossici e, in linea con il ben noto e valido principio del «chi inquina paga», le tasse dovrebbero pagarle gli Usa. Oltretutto, imposizioni fiscali ben congegnate nel settore finanziario potrebbero alleviare i problemi provocati da un eccessivo leverage e dalle banche «troppo grandi per fallire». Imporre un prelievo fiscale alle attività speculative potrebbe in definitiva incoraggiare le banche a prestare maggiore attenzione alle modalità con le quali espletano il loro ruolo sociale fondamentale di fornire credito.
Su un più lungo periodo, la maggior parte degli economisti è concorde nel ritenere che i governi dovrebbero preoccuparsi della sostenibilità delle loro politiche. Ma dobbiamo essere prudenti e cauti nei confronti di un atteggiamento feticista verso il disavanzo.

I deficit per finanziare le guerre o gli sprechi nel settore finanziario (come si sono registrati su scala gigantesca negli Stati Uniti) hanno condotto a passività senza asset corrispondenti, imponendo di fatto un gravoso fardello alle generazioni future. Invece, investimenti pubblici redditizi in grado di ripagarsi abbondantemente possono effettivamente migliorare il futuro delle prossime generazioni, e sarebbe quindi doppiamente sconsiderato rifilare loro i debiti nei quali si è incorsi per una spesa improduttiva, e poi tagliare gli investimenti produttivi.

Queste sono questioni che andranno affrontate soltanto in seguito – in molti Paesi le prospettive di una ripresa consistente sono, nel migliore dei casi, lontane ancora uno o due anni. Per adesso, l´economia non lascia adito a dubbi: non vale la pena correre il rischio di ridurre la spesa pubblica.
di Joseph Stiglitz

15 marzo 2010

La "democratura"


Quando dico che odio e disprezzo la democrazia, in fondo non dico nulla di male; nel senso che esprimo una mia opinione politica tutt'ora non vietata dal governo. In fondo, quello che chiedo e' che il dittatore sia dichiaratamente tale, ovvero si prenda l'incarico pubblico di governare e prendere decisioni. Quello che mi urta e' vedere avanzare una dittatura che continua a chiamarsi democrazia, che unisce i lati peggiori della dittatura a quelli peggiori della democrazia. Temo, cioe', una "democratura", cioe' una dittatura senza i vantaggi di una dittatura (decisioni rapide, anche impopolari, decise e mirate).

Un tempo i rossi stavano tutto il tempo a gridare di "fascismo strisciante" , ipotetico ente che si proponeva di introdurre un regime mussoliniano in maniera non dichiarata; direi che ormai si sia arrivati allo stalinismo strisciante; con la sola differenza che Stalin comunque le decisioni le prendeva , mentre tutto quello che rischiamo di ottenere e' un regime persecutorio senza alcun leader capace di prendere effettivamente delle decisioni.

Prendiamo per esempio questa intervista.

Non mi interessa tanto se Brunetta si sente spiato o meno, o se possa coccolarsi con la sua Titti al telefono, la cosa veramente spaventosa sono le risposte del giornalista.

Il primo strumento persecutorio messo in atto dal giornalista e' il seguente: se non fai nulla di male, devi lasciarti spiare. Questo modo di fare stabilisce il diritto di ogni magistrato di entrare nella vita privata di chiunque, tanto comunque "se non hai nulla da nascondere che cosa ti importa?".

L'equazione e' pericolosissima, perche' si stabilise l'equivalenza tra cio' che non volete mostrare ad altri e cio' che e' illegale; in pratica si sta affermando che il privato in se' sia illegale; nel momento in cui pretendete di tenerne fuori gli altri , allora siete sicuramente dei criminali.

Cosi', suppongo che l'uomo di sinistra non abbia alcun problema se un magistrato assista alle sue copule con la moglie : ha forse qualcosa da nascondere, per cui non vuole magistrati in camera da letto?

Certamente, quello che uno fa con la propria moglie o fidanzata e' qualcosa di legittimo, tuttavia non vogliamo che un magistrato vi assista, diciamo appunto che sia "privato". Ma in maniera molto strisciante si afferma che il privato sia un crimine, perche' se vuoi tenere privato qualcosa allora hai qualcosa da nascondere, ergo sei un criminale.

Si instaura cosi' il primo caposaldo dello stalinismo strisciante: se non vuoi la microspia in casa sei un criminale (perche' hai qualcosa da nascondere) , se non vuoi essere seguito e ripreso al cesso sei un criminale (perche' hai qualcosa da nascondere), se ti piacerebbe rimanere solo (senza un magistrato ad assistere) con la tua fidanzata allora hai qualcosa da nascondere; in tutti i casi il solo fatto che tu non voglia essere spiato testimonia che tu sei un criminale.

Faccio notare con quale subdola malvagita' si introduca il discorso nell'intervista.

Dunque, grazie a Di Pietro e ai suoi sbirri si afferma il primo principio del regime persecutorio:

Chi non accetta di essere spiato e' un criminale, se non vuoi che il magistrato sia presente nella tua vita intima sei un criminale, o almeno sospetto, se vuoi rimanere solo sei un sospetto, ovvero un criminale. Se non accetti la microspia sei un criminale.
Questo e' il primo bastione del regime pseudocomunista che ci aspetta: per essere sospetti bastera' pretendere che uno spazio sia privato, che il magistrato (e in seguito i giornali, ergo tutta la popolazione) non vi possano ficcare il naso, per essere sospetti. Avete qualcosa da nascondere se volete rimanere soli con la vostra fidanzata, avete qualcosa da nascondere se non volete un magistrato che vi guarda mentre siete a letto con vostra moglie, siete pertanto criminali, o almeno degni di sospetto.

L'abolizione del privato, cioe', come vuole ogni regime comunista. Eppure, senza i vantaggi di tale regime; ovvero senza una decisa persecuzione del crimine (la magistratura ormai non si dedica ad altro che alla politica) , una maggiore sicurezza sulle strade, eccetera.

Il secondo assunto , il secondo pilastro dello stalinismo strisciante, e' quello che il giornalista rinfaccia a Brunetta: ma con le intercettazioni abbiamo preso i mafiosi. Certo; del resto grazie alla tortura Berija ha catturato spie , nazisti e criminali di vario genere, spezzando nel dolore il legame di omerta' delle varie Combinazjie locali.

Cosi', ecco la seconda equazione stalinista che sta passando sui media grazie a Di Pietro oggi: "poiche' questo strumento colpisce il criminale, e' lecito che colpisca anche te, e che colpisca chiunque". Si tratta della classica paranoia da regime sovietico: ovunque c'e' un sabotatore, ovunque c'e' un agente dello spionaggio occidentale, ovunque c'e' un controrivoluzionario, e poiche' il crimine e' ovunque, allora e' giusto che ovunque sia il controllo.

Non si tratta di cose che non si sono mai viste; questa dialettica e' sempre stata presente; insomma, siccome spiare il mafioso e' utile, allora e' giusto spiare chiunque. Certo, certo, poi si obietta che la magistartura per spiare debba chiedere un permesso alla magistratura, e se spia troppo dovra' risponderne alla magistratura, ma tant'e': la seconda equazione dello stalinismo strisciante, del quale un certo popolo non puo' liberarsi perche' ce l'ha dentro, e' questa: "siccome uno strumento e' utile contro i criminali puo' essere usato su tutti". Quindi carcere per tutti, quindi tribunale per tutti, quindi persecuzione e inquisizione per tutti.

Questa palla va poi sostenuta; e la si sostiene menzionando una palla, che tra l'altro sconfina nel mio mestiere: "anche in Germania intercettano".

Eh, no, non proprio. Certo che anche in germania la polizia puo' intercettare se le serve, ma lo fa in un modo MOLTO diverso.

Quando la polizia tedesca chiede un'intercettazione, e ripeto "chiede", non fa altro che chiedere alla/e telco la seguente cosa "intercettate tutte le chiamate dal numero 123456789 al numero 987654321".

Sia il primo che il secondo numero sono GIA' iscritti in qualche inchiesta, e l'intercettazione viene usata per TROVARE le prove, e non per CERCARLE. In Italia le cose non vanno proprio cosi': per mettere in piedi qualsiasi servizio di telefonia, bisogna garantire l'intercettabilita', il che significa molto semplicemente che la magistartura ha libero ed incontrollato accesso a tutto e a tutti.

Chi lavora a tali servizi non si fa alcun problema a intercettare la moglie se sospetta sia fedifraga, ad intercettare i colleghi se per motivi di invidia intende rovinarli, ad intercettare persone per ricattarle, a prendersi le utenze telefoniche che vuole di chi vuole, per poi produrre delle vere e proprie persecuzioni. Tutto questo NON e' possibile e NON viene fatto in Germania.

Ma specialmente, in Germania se un magistrato OSA intercettare senza ragione o senza trovare nulla DI INERENTE ALL' INCHIESTA CHE STA MANDANDO AVANTI , DEVE distruggere tutto quanto immediatamente, altrimenti rischia di venire letteralmente rovinato da chi scoprisse di essere stato intercettato in quel modo.

Secondo : quando in Germania il magistrato fa la richiesta, chiede di intercettare per il periodo che va da A a B , e non si limita ad intercettare per anni ed anni di fila, sino a quando non trova qualcosa, come invece e' prassi fare in Italia.

Quindi no, ancora una volta si fa pensare il falso, si mente sapendo di mentire: l'intercettazione con le tutele degli altri paesi e' una cosa molto diversa da quella italiana; tra l'altro alcuni enti godono , in Italia, della misteriosa (e anticostituzionale) possibilita' di intercettare e inserire microspie senza ordine del magistrato. Sapete bene di quale ente io stia parlando. E no, non sono i servizi segreti.

Ora, come ho detto non ho nulla contro una dittatura; e se lo stalinismo che si sta costruendo fosse uno stalinismo con Stalin, ovvero con un governo che prende una nazione di contadini e ne fa una superpotenza, potrei anche assentire. Parigi val bene una messa.

Il problema e' che dietro questo stalinismo non c'e' Stalin, c'e' Di Pietro e Bersani e D'alema, cioe' personaggi il cui scopo e' di sistemare la famiglia e arricchire. Non vedo quale sia la Parigi che val bene una messa.

Se uno Stalin mettesse piede in Italia, indubbiamente saremmo spiati in continuazione, ma perlomeno scomparirebbero mafie, camorre, ndranghete e compagnia bella(1), e (come accadeva all'epoca in URSS) una donna potrebbe tornare a casa di notte da sola dal lavoro senza il minimo timore che le accadesse qualcosa di male.

Il problema e' che il prezzo che ci viene chiesto di pagare, cioe' la dittatura dei magistrati, non porta nessun beneficio: il magistrato non combatte il mafioso (tentevvero che ad essere vuote sono le procure del Sud piu' che al nord) se non e' anche amico di un politico , se non ci sono elezioni in vista, eccetera; nulla di simile alla sicurezza totale del periodo stalinista.

Tutto quello che Di Pietro e Bersani faranno sara' di impostare un potere sbirresco , che pero' non avranno il coraggio di chiamare dittatura, e poiche' non avranno mai il coraggio di farlo non potranno mai prendere le decisioni draconiane che il paese aspetta; metteranno telecamere e microspie ovunque, ascolteranno ogni telefonata, ci guarderanno mentre siamo nell'intimita' con i nostri cari, ma non ci guadagneremo nulla in termini di ordine e di potenza nazionale.

I paradigmi dello sbirro sono gia' presenti in entrambi, e ben forti:

1. Se non vuoi essere spiato hai qualcosa da nascondere, quindi sei un criminale o almeno sospetto.
2. Siccome spiare si fa per combattere il crimine, chi non vuole essere spiato , casomai non fosse criminale lui stesso, sta coi criminali.


Sino a pochi anni fa, solo a sentir parlare di intercettazioni indiscriminate i Radicali e la sinistra si sarebbero inalberati; e' un'idea di sinistra il "garante della privacy", perche' un tempo non c'erano ancora queste pulsioni sbirresche, perche' all'epoca lo sbirro perseguitava loro, perche' temevano davvero il ritorno del fascismo.

Oggi, invece, le cose sono invertite: i nuovi fascisti sono a sinistra, i nuovi sbirri sono a sinistra, quelli che vogliono spiare tutti sono a sinistra.

Con la sola differenza che, come tutti gli sbirri, non hanno neanche gli attributi di dirlo: perche' almeno Di Pietro dicesse che vuole essere il nuovo Duce, almeno gli si potrebbero chiedere bonifiche , ospedali e ordine sulle strade; ma Di Pietro vi dira' che no, lui fara' la vera democrazia, con tutti i suoi difetti, quindi scordatevi la giustizia se non colpisce i suoi nemici politici, scordatevi la legge se non e' politica, scordatevi le opere ; bloccarle e' molto piu' remunerativo che farle costruire sul piano politico.

Personalmente, siete liberi di costruirvi sotto gli occhi una dittatura che non fa il proprio mestiere perche' racconta di essere una democrazia, io piano piano mi sto preparando una via di fuga, una ratline come si diceva nel 1945. E no, non ho cose da nascondere: ho semplicemente cose che non voglio mostrare a tutti.

Ve lo godrete voi; di certo non vi lamentate se qualche filmato "amatoriale" di voi con vostra moglie finisce su internet. Magari qualche maresciallo voleva vendicarsi perche' gli avete fatto uno sgarbo nel condominio.

Non avrete mica qualcosa da nascondere, criminali che non siete altro?

Note

(1) Stalin , alla peggio, avrebbe semplicemente sterminato tutti gli abitanti di Napoli, e se necessario della Campania. Quando si usano certi mezzi, il mafioso non ha scampo.

di Uriel

16 marzo 2010

L’Italia, Israele e il Mossad dal 1945 ai giorni nostri

Eric Salerno, giornalista e inviato speciale del Messaggero, esperto di questioni mediorientali, ha scritto nel 2010 un interessante e documentato libro intitolato «Mossad base Italia. Le azioni, gli intrighi, le verità nascoste», Milano, Il Saggiatore, 258 pagine, 19 euro. L’autore cerca di far luce sulla cronaca italiana degli ultimi sessant’anni, durante i quali gli agenti del Mossad hanno iniziato le loro attività, con la complicità almeno implicita dei governi italiani, a partire dal 1945 con l’immigrazione clandestina degli ebrei europei in Italia per farli poi espatriare in Palestina. Egli descrive, con l’aiuto di colloqui avuti con Mike Harari, un agente o meglio l’ex capo delle operazioni clandestine del Mossad incaricato da Golda Meir di vendicare gli atleti israeliani uccisi Monaco nel 1972, e del giudice Claudio Mastelloni, che ha indagato per molti anni sulle vicende dei servizi segreti italiani e israeliani ed infine delle cronache giudiziario-giornalistiche (1), le varie vicende che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese, e sulle quali non è stata fatta ancora completa chiarezza: a partire dall’immigrazione clandestina di migliaia di ebrei diretti in Palestina, dal traffico internazionale con scalo in Italia di armi dirette verso la futura Israele, sino ai vari sabotaggi delle industrie belliche italiane che rifornivano gli arabi e specialmente l’Egitto, passando per diversi attentati che hanno insanguinato la nostra patria (l’aereo Argo 16, l’uccisione del giornalista palestinese Wail Zwaiter assassinato a Roma per rappresaglia dopo Monaco 1972 e il caso Moro). Il pregio del libro, ben studiato e condotto su fatti e documenti, è quello di non presumere di saper tutto, soprattutto in un campo misterioso e pieno di depistaggi e doppiogiochismi come quello dei servizi segreti, ma di fermarsi a congetture, possibilità o probabilità ove manchi la prova certa, senza voler fare un passaggio indebito dal possibile al reale o al certamente evidente. Solo in caso di prove chiare ed esplicite l’autore ci mette di fronte all’evidenza del fatto. Ne risulta un quadro che getta una luce nuova sulle vicende che oramai hanno preso una piega ben definita non solo in Medio Oriente, ma anche in Italia e nel resto del mondo. Il ruolo giocato da Israele sin dal primo dopoguerra in Italia è enorme. Non prenderne atto significherebbe non voler vedere la realtà. Ma il prenderne atto non significa sapere tutto di ogni cosa. «Nescire qaedam magna pars sapientiae». Del resto le sorti delle due guerre mondiali sono state decise in gran parte dal ruolo dei servizi segreti dei Paesi belligeranti; come in ogni guerra che è stata fatta su questa terra, non ci si è serviti solo delle armi, ma anche dell’Intelligence.

De Gasperi, Ada Sereni e Israele

Dopo la Seconda Guerra Mondiale migliaia di ebrei volevano allontanarsi dall’Europa semidistrutta per recarsi in USA o in Australia, ma «gli inviati della ‘Palestina ebraica’ riuscirono a convincere decine di migliaia di persone a trovare rifugio in Medio Oriente, dove presto, anche grazie a loro, sarebbe nato uno Stato ebraico» (2). Nel giro di tre anni almeno ventiseimila ebrei furono fatti espatriare clandestinamente in Palestina. La Gran Bretagna, che avendo il «Mandato» sulla Terra Santa, si opponeva ad una immigrazione in massa degli ebrei in Palestina e cercava perciò di arginare il flusso migratorio, entrò, quindi, nel mirino del terrorismo ebraico, che per primo insanguinò la Terra Santa. Frattanto «in Italia i campi d’accoglienza si riempivano e si svuotavano rapidamente» (3).

Ada Sereni, ebrea romana, nata Ascarelli, era il capo italiano del Mossad per le operazioni di espatrio verso la Palestina. Lei stessa nel suo libro «I clandestini del mare», Milano, Mursia, 1973, racconta dell’incontro che ebbe con Alcide De Gasperi per ottenere una tacita copertura da parte del governo e dei servizi segreti italiani sulle attività che il Mossad avrebbe dovuto svolgere in Italia per farvi giungere e poi espatriare verso la Terra Santa i propri connazionali dell’Europa del nord. La Sereni chiese a De Gasperi di «chiudere un occhio, e possibilmente due sulle nostre attività in Italia» (4). Eric Salerno commenta: «Gli italiani si accorsero sin dall’inizio dell’immigrazione clandestina e dei campi provvisori dove venivano ospitati gli ebrei arrivati dal resto dell’Europa, ma non soltanto chiusero un occhio, aiutarono quando e come poterono. Aiutarono anche nella fase successiva, quando il Mossad, parallelamente allimmigrazione clandestina, si impegnò nelladdestramento militare dei rifugiati, nellacquisizione darmi e nel loro trasporto in Palestina, nella lotta per impedire agli arabi di armarsi anche quando questo significava il sabotaggio di industrie e impianti italiani e di loro prodotti (…). A parte i rapporti ambigui, costruiti ad arte, per non precludere i potenzialmente ricchi mercati arabi (…), l’Italia non sarebbe stata ostile nemmeno a Israele» (5).

I primi viaggi marittimi dallItalia in Palestina

La prima nave clandestina a salpare dall’Italia verso il futuro Stato d’Israele partì dal porto di Bari il 21 agosto 1945 e riuscì a raggiungere il porto di Tel Aviv il 25, senza farsi intercettare dagli inglesi i quali si attenevano alle disposizioni del «Libro Bianco» del 1939, che limitavano l’immigrazione ebraica e l’acquisto delle terre dei palestinesi. Le cose andarono diversamente per quanto riguarda il viaggio da La Spezia verso la Palestina del 4 aprile 1946 quando 1.014 profughi ebrei cercarono di imbarcarsi su tre navi, che furono bloccate a La Spezia dagli inglesi. Soltanto l’8 maggio del 1946 le tre navi partirono, ma mentre le prime due riuscirono ad arrivare in Palestina, la terza chiamata Exodus fu bloccata dagli inglesi. Tuttavia, nonostante la decisione di «chiudere un occhio», l’ingresso sempre crescente e divenuto massiccio nel 1947 di ebrei in Italia «turbava non poco le autorità italiane, tanto che il 23 gennaio (…) il ministero degli Interni fece arrivare alla presidenza del Consiglio un appunto dettagliato sulla situazione: «Trattasi di gente che, in grande maggioranza, si dedica ad attività improduttive ed illegali (…) senza vantaggio e anzi con detrimento del Paese che li ospita»» (6).

In effetti, dopo aver preso parte alla guerra partigiana nell’Italia settentrionale, la «Brigata ebraica dell’Esercito britannico» trasportò «rifugiati e armi destinate all’addestramento nei campi di transito e ai combattenti ebrei in Palestina» e facilitò «le azioni di sabotaggio contro le industrie italiane sospettate di commerciare con i nemici arabi» (7). Ma l’Italia si trovava in un certo senso con le mani legate, poiché «i rappresentanti delle organizzazioni ebraiche internazionali ‘fanno apertamente comprendere - secondo il funzionario del Viminale autore della segnalazione - di poter influire, a seconda del nostro atteggiamento, sullopinione pubblica americana nei riguardi dellItalia’» (8). Inoltre, nei primi anni successivi alla fondazione dello Stato d’Israele (14 maggio 1948), il movimento sionista ebbe come alleati sia gli USA che l’URSS (9). Soltanto l’Inghilterra aveva rappresentato un pericolo sino al 1947, quando, dopo una serie di attentati terroristici ebraici contro di essa, aveva rinunciato al «Mandato» e solo nel 1948 gli arabi si schierarono apertamente ed effettivamente contro Israele appena nato (10). Verso la fine del 1947 e l’inizio del 1948 tre agenti del Mossad «acquistarono sei navi con cui trasportare le armi (in Israele). Navi in gran parte italiane, con bandiera italiana ed equipaggi italiani»(11).

I primi attentati in suolo italiano

Nel 1948 l’obiettivo principale del Mossad non erano più i profughi, oramai già giunti in Palestina, ma le armi per Israele ed impedire che gli arabi ne ottenessero in egual misura (12). Il problema presente era costituito dalla nave Lino battente bandiera italiana, che conteneva un grosso carico di armi per i siriani. «Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale l’Italia era divenuta la base operativa dei terroristi ebrei dell’Irgun e della Banda Stern in lotta contro Sua Maestà britannica, e dell’organizzazione dell’immigrazione ebraica clandestina, madre di uno dei più potenti servizi segreti del mondo, il Mossad» (13). La nave partì dal porto di Fiume, raggiunse Molfetta ove dovette fermarsi a causa del maltempo che imperversava. L’11 aprile del 1948 i quotidiani italiani davano la notizia di una misteriosa esplosione sulla Lino, che era stata affondata, ma non distrutta e il cui carico di armi giaceva sul fondo del porto di Bari verso il quale la nave si era diretta dopo aver lasciato Molfetta. Damasco, che aveva acquistato legalmente le armi reclamava, la sua proprietà e l’Italia non poté fare a meno di autorizzare il recupero delle casse di materiale bellico. Allora «Ada Sereni, oramai rappresentante ufficiale in Italia dei servizi segreti del nuovo Stato (d’Israele), decise di impedire ai siriani di impossessarsi delle armi legittimamente acquistate e custodite a Bari» (14).
Grazie al sostegno tacito e occulto dato dai servizi segreti italiani al Mossad, quando le armi furono ripescate e riposte nel deposito del porto di Bari e poi caricate nel battello Argiro per essere trasportate verso la fine di agosto del 1948 in Siria via Beirut, due marinai israeliani presero il posto di due italiani, che si erano dati per ammalati. Fu allora che avvenne «un piccolo sabotaggio compiuto da uno dei due militari israeliani. Alla richiesta di aiuto del comandante risponde un peschereccio, casualmente nei dintorni. E’ un battello del Mossad. Due marinai del peschereccio salgono a bordo della nave italiana e con l’aiuto di altri agenti imbarcati non hanno difficoltà ad assumere il controllo e puntare su Israele» (15).

Lattentato allAmbasciata britannica i Roma

L’Italia è stata teatro di azioni ancora più eclatanti. Il 30 settembre 1946 a Roma vicino alla Breccia di Porta Pia, in via XX settembre, venne fatta esplodere una bomba presso l’Ambasciata britannica, che cercava di far rispettare i patti del «Libro Bianco» del 1939. Tre uomini del Mossad sistemano due valigie davanti all’ingresso dell’Ambasciata, contenenti cinquanta chili di tritolo che esplodono la notte del 30 alle 2 e 34; «l’esplosione è violentissima e distrugge buona parte dell’edificio» (16), inoltre «danneggia tutti gli stabili vicini all’Ambasciata (…), il portiere di uno degli stabili è leggermente contuso» (17). Il 4 novembre l’Irgun rivendica l’attentato, richiamandosi a Garibaldi, a Mazzini e a Cavour, «apostoli della guerra per la libertà». L’Irgun dopo aver fatto entrare in Palestina migliaia di ebrei, come l’Haganah e il Mossad aliyah bet, andò oltre e, contro la volontà di Ben Gurion, «riprese, con estrema durezza, la lotta armata contro le truppe britanniche presenti sul territorio. Vittime delle azioni in Palestina - terrorismo, come sarebbe stato subito battezzato dagli inglesi e dallo Stesso Ben Gurion - sono soldati e civili inglesi, arabi e anche ebrei» (18). Questa volta in Italia Polizia e carabinieri non possono «chiudere un occhio» e devono andare sino in fondo. Arrestano vari esponenti del Betar e un militante dell’Irgun.

Ma «il 27 novembre un certo professor Smertenko, vicepresidente della ‘Lega americana per una libera Palestina’, si rivolge a trentasei corrispondenti della stampa italiana e straniera in una sala del Grand Hotel di Roma. La conferenza, convocata per parlare delle condizioni di detenzione di una decina di ebrei all’interno delle indagini sull’attentato all’Ambasciata britannica, si trasforma rapidamente in una requisitoria contro le autorità italiane e in una difesa della libertà di opinione. «La Gran Bretagna ha dichiarato guerra al popolo ebraico». E dunque, anche se compiere attentati, come riconosce l’esponente ebraico, è reato per la legge italiana, non dovrebbe costituire reato appartenere a un’organizzazione clandestina, come l’Irgun, soltanto perché minaccia altri attentati contro interessi britannici in Italia e altrove» (19). Eric Salerno conclude citando un incontro avuto col professor Yehezkel Dror dell’Università ebraica di Gerusalemme, studioso dei cosiddetti «regimi canaglia», il quale gli disse che «se Gheddafi non fosse esistito, toccava inventarlo. Era così comodo addossare a lui tutto ciò che di nefasto succedeva tra il Mediterraneo e l’Africa. Egli non poteva costituire una vera minaccia per l’Occidente. Così è stato con l’Irgun in Europa, incolpato di tutte le azioni terroristiche di matrice ebraica. Ma sia prima della fondazione dello Stato d’Israele sia subito dopo erano ben altri militanti ebrei e agenti segreti israeliani a colpire nel cuore dell’Italia» (20).

I sabotaggi delle industrie di armamenti militari italiane

Il capitolo VI del libro di Eric Salerno (pagine 83-96) è dedicato al sabotaggio delle industrie italiane che rifornivano i Paesi arabi. Il 14 agosto 1948 vi fu all’aeroporto di Venezia un attentato, per fortuna sventato, contro due aerei destinati all’Egitto (pagina 87). Subito dopo gli egiziani avevano acquistato regolarmente cinque vecchi Dc-3 da una società di Firenze e il Mossad avrebbe voluto distruggerli prima della loro partenza, ma per timore che le autorità italiane, onde non perdere un prezioso acquirente come l’Egitto, non potesse «chiudere un occhio» su tale vicenda, non se ne fece nulla (pagina 88). Il terzo attentato contro la nave Rosalyn, che caricava regolarmente armi per l’Egitto nel porto di Genova, abortì poiché uno degli attentatori, Gideon Rosen, si fece scoppiare in mano l’ordigno che stava preparando (pagina 88). Qualche settimana dopo nell’agosto del 1948 all’aeroporto di Venegono presso Varese, l’Aeronautica Macchi finì nel mirino dei sabotatori del Mossad. Il Cairo aveva acquistato dalla Macchi una ventina di caccia modello 205. Si decise di intervenire. Le basi del Mossad a Nemi e a Milano vennero allertate; l’esplosivo venne trasferito da Nemi a Milano e il 18 settembre avvenne l’attentato (pagina 89), che «solo per un caso fortunato non ha provocato, oltre ad ingenti danni, vittime umane» (Corriere della Sera, 19 settembre 1948). Inoltre il Mossad ebbe contatti con vari esponenti del MSI, la cui nascita fu favorita dagli Stati Uniti (21), specialmente con Pino Romualdi, «che, per sua stessa ammissione, fornì l’esplosivo usato dai terroristi ebrei per devastare l’ambasciata britannica a Roma» (22).

Nell’ottica anti-sovietica altri ex repubblichini collaborarono con gli USA e Israele, ad esempio Junio Valerio Borghese (23). Nel capitolo IX (pagine 117-124) Eric Salerno parla dei rapporti tra il Mossad e la «X Mas» per affondare le navi della flotta egiziana tramite la tecnica, sperimentata durante la RSI, dei «maiali» o piccoli motosiluranti su cui un incursore sommozzatore sedeva a cavalcioni e lo dirigeva contro una nave nemica, per lasciarlo a pochi metri dall’impatto. E’ Ada Sereni a prendere contatti con alcuni reduci della «X Mas» e uno di essi (Fiorenzo Capriotti) si occupa di far spedire in Israele sei motosiluranti Mas, acquistati dal Mossad presso la «Cabi Cattaneo» di Milano (pagine 121-122). «Sul lago di Tiberiade (…), il marò addestra le nuove reclute che avrebbero sferrato l’attacco all’ammiraglia egiziana Emir Farouk, alla fonda del porto di Gaza (…). Il successo degli uomini addestrati da Capriotti e dei «maiali» importati dall’Italia è totale. L’ammiraglia egiziana, con a bordo reparti scelti pronti a dar man forte alle truppe impegnate nel Negev per cercare di bloccare il nemico, va a fondo e viene danneggiata anche una dragamine di scorta» (pagina 123).

La nascita dellaviazione israeliana a Roma

Il capitolo XI (pagine 131-147) tratta della nascita dellaviazione da guerra israeliana a Roma, ove nel 1948 presso l’aeroporto dell’Urbe sulla via Salaria venivano addestrati in segreto, da piloti italiani e americani, volontari e anche mercenari ebrei, che si sarebbero ingaggiati nell’aviazione da guerra dello Stato d’Israele. Lì «aerei da trasporto e altri velivoli più o meno grandi con poche modifiche venivano trasformati in caccia e bombardieri diretti in Israele» (pagina 136). Inoltre anche l’URSS riforniva di armi Israele, via Roma, servendosi delle acciaierie Skoda della Cecoslovacchia (Il Messaggero, 6 novembre 1948). I piloti israeliani erano allenati anche in territorio sovietico (pagina 137), ma l’URSS riforniva pure i Paesi arabi. «Nel 1992, il pilota istruttore Guerrini raccontava dalle pagine del Mensile di aeronautica la storia della scuola da dove uscirono, nel giro di appena nove mesi, una sessantina di piloti. Nella pratica, all’Urbe nacque l’Aviazione israeliana» (pagina 138).

Anche i cadetti della Marina Militare israeliana furono addestrati dalla Marina Militare italiana. L’Italia voleva aiutare Israele ma non voleva rompere con gli arabi: «in questo clima fu deciso di accogliere i cadetti ‘a condizione tuttavia che da parte israeliana ci si impegni formalmente a non dare alla cosa pubblicità alcuna’» (pagina 154).

Rappresaglia a Roma

Per quanto riguarda la rappresaglia ordinata da Golda Meir dopo la strage di Monaco nel settembre 1972, si sa con certezza che il giornalista giordano Wail Zwaiter, ucciso con dodici rivoltellate il 16 ottobre del ‘72 a Roma in via Annibaliano n° 4 vicino piazza Sant’Emerenziana dal commando del Mossad diretto da Mike Harari, non faceva parte di «Settembre nero» né si era mai occupato di guerriglia, anzi le era completamente ostile. Però «il gruppo operativo comandato da Mike Harari, non aveva il compito di distinguere tra colpevoli o innocenti. L’ordine arrivato dalla bocca di Golda Meir era di colpire un certo numero di militanti palestinesi. Che fosse una rappresaglia era chiaro a tutti» (24). Il risultato ottenuto dal Mossad fu di far cessare ogni altra azione di «Settembre nero».

Validità del principio di causalità

Eric Salerno fa una considerazione che mi sembra non priva di fondamento: «Separare la causa dall’effetto significa mantenere nel buio ciò che è molto chiaro e semplice. Non si può fingere di credere che a Monaco, per esempio, vi sia stata un’esplosione di violenza in una situazione di pace: la violenza in Medio Oriente è endemica da più di sessant’anni, precisamente da quando l’Occidente intese assicurare i propri interessi imperialistici a spese di un popolo i cui interessi non furono, allora come oggi, tenuti in considerazione» (25). Vale a dire: senza l’invasione della Palestina nel 1948, non vi sarebbe stata Monaco 1972, «sine causa nullo effectu» direbbe Aristotele.

«Argo 16» e «Lodo Moro»

Nel capitolo XVI del suo libro (pagina 191-198) l’Autore parla dei casi Argo 16 (23 novembre 1973) e Aldo Moro (1973-1978). Argo 16 è il nome dell’aereo italiano con il quale due terroristi, che a Ciampino si accingevano ad abbattere con missili terra-aria l’aereo El Al con a bordo Golda Meir, dopo essere stati rimessi in libertà provvisoria, furono accompagnati il 30 ottobre 1973, clandestinamente, in Libia. Tre settimane dopo, il 23 novembre 1973 alle sette del mattino Argo 16 si schiantò al suolo con i suoi quattro componenti dell’equipaggio. «Lo stesso equipaggio che aveva condotto i palestinesi a Tripoli. Incidente o attentato? (…). Il generale Gianadelio Maletti (…), in presenza del generale Vito Miceli e di altri ufficiali, si disse convinto che si era trattato di un atto di sabotaggio compiuto da agenti del Mossad (26). Anni dopo il generale Ambrogio Viviani, capo del controspionaggio dal 1970 al 1974, sembrava condividere l’ipotesi (…). Sulle pagine del Giornale Miceli afferma: «Fu fatto esplodere». Su Panorama Viviani è ancora più esplicito: «Si è trattato di un avvertimento un po’ cruento dei Servizi d’Israele al governo italiano»» (pagine 192-193). Il giudice della Procura di Venezia Carlo Mastelloni, cui fu affidato il caso, ritiene che l’Argo 16 sia stato sabotato e lega tale attentato oltre al trasporto dei due palestinesi in Libia al patto o «Lodo Moro», ossia all’intesa tra il governo italiano, di cui Moro era allora ministro degli Esteri, e l’OLP.
L’Italia si garantiva l’immunità da attacchi terroristici palestinesi e in cambio chiudeva un occhio sul trasporto attraverso il suo suolo di armi ed esplosivi diretti altrove. «Il patto, ovviamente, non stava bene a Israele. E il sabotaggio di Argo 16 a giudizio di Mastelloni , sarebbe una ritorsione non soltanto per la liberazione dei due palestinesi (…), ma un avvertimento legato al complesso delleconcessioniitaliane ai nemici di Tel Aviv» (pagina 194). Inoltre per quanto riguarda il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro nel 1978, secondo ciò che ha rivelato nel 2005 l’ex vice segretario della DC Giovanni Galloni, il Mossad e la CIA si erano infiltrati nelle BR in vista di una «destabilizzazione dell’Italia (…) al fine di indurre lAmerica a vedere Israele come lunico punto di riferimento alleato nel Mediterraneo per averne in tal modo maggiore sostegno in termini politici e militari» (pagina 197).

Conclusione

1) Se qualcuno vuol saperne di più, può acquistare il libro di Eric Salerno ed anche gli altri citati. Ma attenzione a non presumere di poter conoscer tutto delle vicende storiche che hanno agitato l’Italia dal 1945 ad oggi, come del resto tutta la storia dell’umanità della quale molti elementi li conosceremo solo al Giudizio Universale.


2) Il primo terrorismo non è stato quello degli integralisti arabi, ma quello dell’estremismo sionista (Irgun), dietro il quale si è celato spesso il Mossad, che ha colpito in Palestina sin dal 1937 e anche in Italia e a Roma nel 1946, circa trent’anni prima di «Settembre Nero».

3) I governi e i servizi segreti italiani hanno sempre (e non solo nel «dopo-Craxi») giocato la doppia carta di aiutare Israele e di non ostacolare apertamente il mondo arabo.

4) Il terrorismo israeliano si rifaceva a Mazzini e Garibaldi per giustificare lazione armata in vista della libertà di opinione e di possesso della patria dei loro antichi antenati, che nel 135 avevano lasciato la Syria-Palestina: «La Gran Bretagna ha dichiarato guerra a Israele col ‘Libro Bianco’ del 1939 e Israele si difende con azioni di guerra di liberazione».

5) A Roma vi fu una rappresaglia «democratica» nel 1972 contro un giornalista non terrorista, colpevole di perorare la causa palestinese, ma l’unica rappresaglia condannata è quella tedesca del 1944 dopo l’attentato di via Rasella. Tuttavia il «principio di causalità» è universale, quindi dovrebbe valere anche per la «Cave Ardeatine»: senza via Rasella (causa) non ci sarebbero state le Ardeatine (effetto). Invece Harari è un eroe e Priebke un criminale.

6) Gli anni Settanta o anni di piombo in Italia sono stati telecomandati dai servizi segreti israeliani, americani e italiani, che si son serviti anche di bassa manovalanza italiana di sinistra e di destra per destabilizzare l’Italia in modo che gli USA non la considerassero più utile come punto d’appoggio per la politica estera e la guerra fredda, ma si rivolgessero a Israele e lo finanziassero contro il terrorismo comunista e arabo quale unico baluardo dell’Occidente contro il pericolo bolscevico (ieri) e arabo (oggi).

7) Alla larga da servizi segreti, anche non deviati! Sono quelli più pericolosi.

Don Curzio Nitoglia

Le scelte e i rischi nella riduzione del deficit


Un´ondata di austerità fiscale sta per abbattersi sull´Europa e sull´America. La voragine dei disavanzi di bilancio – parimenti all´ampiezza della recessione – ha colto molti di sorpresa. Malgrado le proteste da parte di coloro che fino a ieri sostenevano la deregulation e vorrebbero che il governo restasse passivamente a guardare, la maggior parte degli economisti crede che la spesa pubblica abbia fatto davvero la differenza, e abbia contribuito a scongiurare una seconda Grande Depressione.

La maggior parte degli economisti è altresì concorde nel ritenere che sia sbagliato guardare a un solo aspetto del bilancio (sia nel settore privato sia in quello pubblico). È infatti necessario non limitarsi esclusivamente a considerare di che cosa sia debitore un Paese o un´azienda, ma anche quali siano gli asset di cui dispone.
La spesa pubblica – specialmente con investimenti nell´istruzione, nelle tecnologie e nelle infrastrutture – di fatto può portare a diminuire il disavanzo sul lungo periodo. A scatenare la crisi è stata anche la miopia delle banche, la loro mancata lungimiranza. Ora non possiamo assolutamente permettere che la miopia del governo – pungolato dal settore finanziario – la prolunghi oltre.
Crescita e rendimenti più immediati per gli investimenti pubblici portano a più alti introiti fiscali, e un utile del 5-6 per cento sarebbe già più che sufficiente per controbilanciare i temporanei aumenti del debito pubblico nazionale.

Infine, altro punto su cui concordano gli economisti è che, se si eccettuano queste considerazioni, l´entità più appropriata per un disavanzo dipende in buona parte dallo stato generale dell´economia. Quanto più un´economia è debole tanto più avrà un disavanzo maggiore; l´entità più appropriata per un deficit a fronte di una recessione dipende da circostanze ben precise.
È a questo punto, però, che gli economisti iniziano a essere in disaccordo tra loro. Effettuare previsioni è sempre difficile, e a maggior ragione in tempi di crisi. Ciò che è accaduto (per fortuna) non accade tutti i giorni: sarebbe pertanto sconsiderato guardare al passato per ipotizzare come andrà a finire questa crisi.

In America, per esempio, la percentuale di indebitamento e di fallimenti è a livelli mai visti da almeno 75 anni. Il calo del credito nel 2009 è stato il più consistente dal 1942. Anche i raffronti con la Grande Depressione sono artificiosi, perché l´economia odierna è molto diversa da quella di allora per vari aspetti.
Nondimeno, anche con cospicui disavanzi, la crescita economica negli Stati Uniti e in Europa resta anemica. I rischi sono asimmetrici: se ci sarà una ripresa più robusta, allora naturalmente le spese potranno essere tagliate e/o le tasse aumentate. Ma se le previsioni sono esatte, invece, allora un´uscita prematura dal deficit spending rischia di spingere l´economia nuovamente in recessione.

Questi punti sono pertinenti in particolare alle economie più duramente colpite. Il Regno Unito, per esempio, ha vissuto un´esperienza più difficile rispetto ad altri Paesi per un´ovvia ragione: ha vissuto una bolla nel settore immobiliare e la finanza - che è l´epicentro stesso della crisi – ha rivestito un ruolo più importante nella sua economia di quanta ne abbia avuta in altri Paesi.

La performance più scadente del Regno Unito non è l´esito di politiche peggiori: anzi, rispetto agli Stati Uniti il suo piano di salvataggio in extremis delle banche e le sue politiche per il mercato del lavoro sono state di gran lunga migliori, per molti aspetti.
A mano a mano che l´economia globale ritorna alla crescita, i governi naturalmente dovrebbero tener pronti dei programmi finalizzati ad aumentare le imposte e tagliare le spese. Inevitabilmente, raddrizzare il bilancio sarà al centro di controversie. Principi quali «è meglio tassare le cose cattive che le buone» potrebbero consigliare di varare tasse nel settore ambientale.

Quanto al settore finanziario, ha imposto enormi esternalità sul resto della società. Il settore finanziario americano ha inquinato il mondo intero con i suoi mutui tossici e, in linea con il ben noto e valido principio del «chi inquina paga», le tasse dovrebbero pagarle gli Usa. Oltretutto, imposizioni fiscali ben congegnate nel settore finanziario potrebbero alleviare i problemi provocati da un eccessivo leverage e dalle banche «troppo grandi per fallire». Imporre un prelievo fiscale alle attività speculative potrebbe in definitiva incoraggiare le banche a prestare maggiore attenzione alle modalità con le quali espletano il loro ruolo sociale fondamentale di fornire credito.
Su un più lungo periodo, la maggior parte degli economisti è concorde nel ritenere che i governi dovrebbero preoccuparsi della sostenibilità delle loro politiche. Ma dobbiamo essere prudenti e cauti nei confronti di un atteggiamento feticista verso il disavanzo.

I deficit per finanziare le guerre o gli sprechi nel settore finanziario (come si sono registrati su scala gigantesca negli Stati Uniti) hanno condotto a passività senza asset corrispondenti, imponendo di fatto un gravoso fardello alle generazioni future. Invece, investimenti pubblici redditizi in grado di ripagarsi abbondantemente possono effettivamente migliorare il futuro delle prossime generazioni, e sarebbe quindi doppiamente sconsiderato rifilare loro i debiti nei quali si è incorsi per una spesa improduttiva, e poi tagliare gli investimenti produttivi.

Queste sono questioni che andranno affrontate soltanto in seguito – in molti Paesi le prospettive di una ripresa consistente sono, nel migliore dei casi, lontane ancora uno o due anni. Per adesso, l´economia non lascia adito a dubbi: non vale la pena correre il rischio di ridurre la spesa pubblica.
di Joseph Stiglitz

15 marzo 2010

La "democratura"


Quando dico che odio e disprezzo la democrazia, in fondo non dico nulla di male; nel senso che esprimo una mia opinione politica tutt'ora non vietata dal governo. In fondo, quello che chiedo e' che il dittatore sia dichiaratamente tale, ovvero si prenda l'incarico pubblico di governare e prendere decisioni. Quello che mi urta e' vedere avanzare una dittatura che continua a chiamarsi democrazia, che unisce i lati peggiori della dittatura a quelli peggiori della democrazia. Temo, cioe', una "democratura", cioe' una dittatura senza i vantaggi di una dittatura (decisioni rapide, anche impopolari, decise e mirate).

Un tempo i rossi stavano tutto il tempo a gridare di "fascismo strisciante" , ipotetico ente che si proponeva di introdurre un regime mussoliniano in maniera non dichiarata; direi che ormai si sia arrivati allo stalinismo strisciante; con la sola differenza che Stalin comunque le decisioni le prendeva , mentre tutto quello che rischiamo di ottenere e' un regime persecutorio senza alcun leader capace di prendere effettivamente delle decisioni.

Prendiamo per esempio questa intervista.

Non mi interessa tanto se Brunetta si sente spiato o meno, o se possa coccolarsi con la sua Titti al telefono, la cosa veramente spaventosa sono le risposte del giornalista.

Il primo strumento persecutorio messo in atto dal giornalista e' il seguente: se non fai nulla di male, devi lasciarti spiare. Questo modo di fare stabilisce il diritto di ogni magistrato di entrare nella vita privata di chiunque, tanto comunque "se non hai nulla da nascondere che cosa ti importa?".

L'equazione e' pericolosissima, perche' si stabilise l'equivalenza tra cio' che non volete mostrare ad altri e cio' che e' illegale; in pratica si sta affermando che il privato in se' sia illegale; nel momento in cui pretendete di tenerne fuori gli altri , allora siete sicuramente dei criminali.

Cosi', suppongo che l'uomo di sinistra non abbia alcun problema se un magistrato assista alle sue copule con la moglie : ha forse qualcosa da nascondere, per cui non vuole magistrati in camera da letto?

Certamente, quello che uno fa con la propria moglie o fidanzata e' qualcosa di legittimo, tuttavia non vogliamo che un magistrato vi assista, diciamo appunto che sia "privato". Ma in maniera molto strisciante si afferma che il privato sia un crimine, perche' se vuoi tenere privato qualcosa allora hai qualcosa da nascondere, ergo sei un criminale.

Si instaura cosi' il primo caposaldo dello stalinismo strisciante: se non vuoi la microspia in casa sei un criminale (perche' hai qualcosa da nascondere) , se non vuoi essere seguito e ripreso al cesso sei un criminale (perche' hai qualcosa da nascondere), se ti piacerebbe rimanere solo (senza un magistrato ad assistere) con la tua fidanzata allora hai qualcosa da nascondere; in tutti i casi il solo fatto che tu non voglia essere spiato testimonia che tu sei un criminale.

Faccio notare con quale subdola malvagita' si introduca il discorso nell'intervista.

Dunque, grazie a Di Pietro e ai suoi sbirri si afferma il primo principio del regime persecutorio:

Chi non accetta di essere spiato e' un criminale, se non vuoi che il magistrato sia presente nella tua vita intima sei un criminale, o almeno sospetto, se vuoi rimanere solo sei un sospetto, ovvero un criminale. Se non accetti la microspia sei un criminale.
Questo e' il primo bastione del regime pseudocomunista che ci aspetta: per essere sospetti bastera' pretendere che uno spazio sia privato, che il magistrato (e in seguito i giornali, ergo tutta la popolazione) non vi possano ficcare il naso, per essere sospetti. Avete qualcosa da nascondere se volete rimanere soli con la vostra fidanzata, avete qualcosa da nascondere se non volete un magistrato che vi guarda mentre siete a letto con vostra moglie, siete pertanto criminali, o almeno degni di sospetto.

L'abolizione del privato, cioe', come vuole ogni regime comunista. Eppure, senza i vantaggi di tale regime; ovvero senza una decisa persecuzione del crimine (la magistratura ormai non si dedica ad altro che alla politica) , una maggiore sicurezza sulle strade, eccetera.

Il secondo assunto , il secondo pilastro dello stalinismo strisciante, e' quello che il giornalista rinfaccia a Brunetta: ma con le intercettazioni abbiamo preso i mafiosi. Certo; del resto grazie alla tortura Berija ha catturato spie , nazisti e criminali di vario genere, spezzando nel dolore il legame di omerta' delle varie Combinazjie locali.

Cosi', ecco la seconda equazione stalinista che sta passando sui media grazie a Di Pietro oggi: "poiche' questo strumento colpisce il criminale, e' lecito che colpisca anche te, e che colpisca chiunque". Si tratta della classica paranoia da regime sovietico: ovunque c'e' un sabotatore, ovunque c'e' un agente dello spionaggio occidentale, ovunque c'e' un controrivoluzionario, e poiche' il crimine e' ovunque, allora e' giusto che ovunque sia il controllo.

Non si tratta di cose che non si sono mai viste; questa dialettica e' sempre stata presente; insomma, siccome spiare il mafioso e' utile, allora e' giusto spiare chiunque. Certo, certo, poi si obietta che la magistartura per spiare debba chiedere un permesso alla magistratura, e se spia troppo dovra' risponderne alla magistratura, ma tant'e': la seconda equazione dello stalinismo strisciante, del quale un certo popolo non puo' liberarsi perche' ce l'ha dentro, e' questa: "siccome uno strumento e' utile contro i criminali puo' essere usato su tutti". Quindi carcere per tutti, quindi tribunale per tutti, quindi persecuzione e inquisizione per tutti.

Questa palla va poi sostenuta; e la si sostiene menzionando una palla, che tra l'altro sconfina nel mio mestiere: "anche in Germania intercettano".

Eh, no, non proprio. Certo che anche in germania la polizia puo' intercettare se le serve, ma lo fa in un modo MOLTO diverso.

Quando la polizia tedesca chiede un'intercettazione, e ripeto "chiede", non fa altro che chiedere alla/e telco la seguente cosa "intercettate tutte le chiamate dal numero 123456789 al numero 987654321".

Sia il primo che il secondo numero sono GIA' iscritti in qualche inchiesta, e l'intercettazione viene usata per TROVARE le prove, e non per CERCARLE. In Italia le cose non vanno proprio cosi': per mettere in piedi qualsiasi servizio di telefonia, bisogna garantire l'intercettabilita', il che significa molto semplicemente che la magistartura ha libero ed incontrollato accesso a tutto e a tutti.

Chi lavora a tali servizi non si fa alcun problema a intercettare la moglie se sospetta sia fedifraga, ad intercettare i colleghi se per motivi di invidia intende rovinarli, ad intercettare persone per ricattarle, a prendersi le utenze telefoniche che vuole di chi vuole, per poi produrre delle vere e proprie persecuzioni. Tutto questo NON e' possibile e NON viene fatto in Germania.

Ma specialmente, in Germania se un magistrato OSA intercettare senza ragione o senza trovare nulla DI INERENTE ALL' INCHIESTA CHE STA MANDANDO AVANTI , DEVE distruggere tutto quanto immediatamente, altrimenti rischia di venire letteralmente rovinato da chi scoprisse di essere stato intercettato in quel modo.

Secondo : quando in Germania il magistrato fa la richiesta, chiede di intercettare per il periodo che va da A a B , e non si limita ad intercettare per anni ed anni di fila, sino a quando non trova qualcosa, come invece e' prassi fare in Italia.

Quindi no, ancora una volta si fa pensare il falso, si mente sapendo di mentire: l'intercettazione con le tutele degli altri paesi e' una cosa molto diversa da quella italiana; tra l'altro alcuni enti godono , in Italia, della misteriosa (e anticostituzionale) possibilita' di intercettare e inserire microspie senza ordine del magistrato. Sapete bene di quale ente io stia parlando. E no, non sono i servizi segreti.

Ora, come ho detto non ho nulla contro una dittatura; e se lo stalinismo che si sta costruendo fosse uno stalinismo con Stalin, ovvero con un governo che prende una nazione di contadini e ne fa una superpotenza, potrei anche assentire. Parigi val bene una messa.

Il problema e' che dietro questo stalinismo non c'e' Stalin, c'e' Di Pietro e Bersani e D'alema, cioe' personaggi il cui scopo e' di sistemare la famiglia e arricchire. Non vedo quale sia la Parigi che val bene una messa.

Se uno Stalin mettesse piede in Italia, indubbiamente saremmo spiati in continuazione, ma perlomeno scomparirebbero mafie, camorre, ndranghete e compagnia bella(1), e (come accadeva all'epoca in URSS) una donna potrebbe tornare a casa di notte da sola dal lavoro senza il minimo timore che le accadesse qualcosa di male.

Il problema e' che il prezzo che ci viene chiesto di pagare, cioe' la dittatura dei magistrati, non porta nessun beneficio: il magistrato non combatte il mafioso (tentevvero che ad essere vuote sono le procure del Sud piu' che al nord) se non e' anche amico di un politico , se non ci sono elezioni in vista, eccetera; nulla di simile alla sicurezza totale del periodo stalinista.

Tutto quello che Di Pietro e Bersani faranno sara' di impostare un potere sbirresco , che pero' non avranno il coraggio di chiamare dittatura, e poiche' non avranno mai il coraggio di farlo non potranno mai prendere le decisioni draconiane che il paese aspetta; metteranno telecamere e microspie ovunque, ascolteranno ogni telefonata, ci guarderanno mentre siamo nell'intimita' con i nostri cari, ma non ci guadagneremo nulla in termini di ordine e di potenza nazionale.

I paradigmi dello sbirro sono gia' presenti in entrambi, e ben forti:

1. Se non vuoi essere spiato hai qualcosa da nascondere, quindi sei un criminale o almeno sospetto.
2. Siccome spiare si fa per combattere il crimine, chi non vuole essere spiato , casomai non fosse criminale lui stesso, sta coi criminali.


Sino a pochi anni fa, solo a sentir parlare di intercettazioni indiscriminate i Radicali e la sinistra si sarebbero inalberati; e' un'idea di sinistra il "garante della privacy", perche' un tempo non c'erano ancora queste pulsioni sbirresche, perche' all'epoca lo sbirro perseguitava loro, perche' temevano davvero il ritorno del fascismo.

Oggi, invece, le cose sono invertite: i nuovi fascisti sono a sinistra, i nuovi sbirri sono a sinistra, quelli che vogliono spiare tutti sono a sinistra.

Con la sola differenza che, come tutti gli sbirri, non hanno neanche gli attributi di dirlo: perche' almeno Di Pietro dicesse che vuole essere il nuovo Duce, almeno gli si potrebbero chiedere bonifiche , ospedali e ordine sulle strade; ma Di Pietro vi dira' che no, lui fara' la vera democrazia, con tutti i suoi difetti, quindi scordatevi la giustizia se non colpisce i suoi nemici politici, scordatevi la legge se non e' politica, scordatevi le opere ; bloccarle e' molto piu' remunerativo che farle costruire sul piano politico.

Personalmente, siete liberi di costruirvi sotto gli occhi una dittatura che non fa il proprio mestiere perche' racconta di essere una democrazia, io piano piano mi sto preparando una via di fuga, una ratline come si diceva nel 1945. E no, non ho cose da nascondere: ho semplicemente cose che non voglio mostrare a tutti.

Ve lo godrete voi; di certo non vi lamentate se qualche filmato "amatoriale" di voi con vostra moglie finisce su internet. Magari qualche maresciallo voleva vendicarsi perche' gli avete fatto uno sgarbo nel condominio.

Non avrete mica qualcosa da nascondere, criminali che non siete altro?

Note

(1) Stalin , alla peggio, avrebbe semplicemente sterminato tutti gli abitanti di Napoli, e se necessario della Campania. Quando si usano certi mezzi, il mafioso non ha scampo.

di Uriel