02 aprile 2010

La Storia non si dimentica, si subisce. Il caso della Lega

In tutta la gloriosa guerra garibaldina per la "liberazione delle due Sicilie" (... che suona come l'esportazione della democrazia dell'America di Bush in Iraq ... cioè una palla confezionata su misura per i tanti idioti incapaci di pensare in proprio ...), in tutte le mitiche battaglie (Calatafimi, Milazzo, etc..) in cui i "liberatori" si trovarono al cospetto dei difensori borbonici, questi ultimi, un moderno esercito di centomila uomini, subirono otto morti e diciotto feriti ....

Si, avete capito bene: otto morti e diciotto feriti in tutti quegli scontri che i libri di storia ci raccontano essere stati all'ultimo sangue ...

Nelle battaglie vere (ad esempio a Solferino e San Martino), i morti si contavano a migliaia ... i campi restavano allagati dal sangue dei caduti per giorni e, proprio a San Martino, fu tale l'orrore per i numerosissimi morti e feriti, che si decise di istituire la Croce Rossa: un organismo super-partes che si incaricasse delle migliaia di caduti.

Non nelle epiche battaglie garibaldine ... li si vinceva a tavolino ...

Voglio dire che, se uno non è proprio completamente cretino, capisce da solo che l'esercito borbonico non ha combattuto ... e quando i garibaldini le stavano "per prendere", i generali borbonici facevano suonare le trombe della ritirata ... e Garibaldi vinceva ...

La barzelletta che circolava, difatti, era che più di Garibaldi, poterono i trombettieri borbonici a sconfiggere l'esercito di Francesco II.

Perché, dunque, i generali "sudisti" preferirono "perdere"?

Per soldi ... per promesse di futuri benefici ... per mafia.

Cavour, uno spericolato intrallazzatore e speculatore di Borsa, mandò i suoi agenti segreti a ... trattare con la nascente mafia ... iniziando una pratica che, da allora, non si è mai fermata: appoggiarsi alla criminalità organizzata del Sud per "acquisire" consenso e potere da spendere al Nord (basti pensare ai nostri ultimi 17 anni, dal 1993 ad oggi).

E grazie alle generose "provviste" di denaro messe a disposizioni dagli inglesi e dai massoni, gli agenti di Cavour comprarono quasi tutti i generali "nemici" ... che consentirono a Garibaldi di passare alla storia come un grande condottiero ... lui, un ladro di cavalli che portava i capelli lunghi per nascondere l'orecchio mozzato in Sud America ... dalla polizia locale che l'aveva preso con le mani nel sacco (a rubare cavalli) ...

Ma com'era il Sud prima dell'invasione del 1960?

Alla fiera di Parigi del 1856, il regno delle due Sicilie fu "riconosciuto" essere la terza "nazione" più ricca del mondo ... già, una "nazione" ... da ben 14 secoli. Dalla caduta dell'Impero romano, gli stati del Sud Italia erano "nazione" ... e insieme all'Inghilterra erano la più antica "nazione" europea. La prima "costituzione democratica" del mondo, fu promulgata proprio nella "nazione Sud Italia".

Il centro-nord Italia, invece, nello stesso periodo, era stato sempre frantumato in piccoli staterelli.

Napoli era la seconda città europea per abitanti ed eccelleva nelle arti, nell'industria, nella marina (la marina mercantile era la seconda al mondo e quella militare la terza) e ... nell'economia.

A Napoli nacque la prima scuola Universitaria di economia del mondo ... la famosa scuola napoletana che avrebbe influenzato l'intero pensiero economico mondiale.

La Borsa delle merci era la seconda in Europa e quella valori la terza ... e già allora, i nobili si "occupavano" di investimenti e trading ...

I titoli di stato del Sud quotavano 120 (rispetto al valore nominale di 100), mentre quelli piemontesi 70 (sempre rispetto ad un nominale di 100) ... e questo, meglio di ogni altro indicatore, la dice lunga sullo stato dell'economia e della finanza al Sud ed al Nord.

Le tasse al Sud erano le più basse d'Europa (20% in meno di quelle francesi e 30% in meno delle inglesi), mentre al nord, i Savoia imponevano tasse altissime (le più alte d'Europa) per finanziare le tante guerre perse, e per potere ... rubare di più (forse non loro direttamente, ma certamente i loro "cortigiani" e "soci").

Ma sapevano i Borboni dell'imminente invasione?

Certo, non erano mica cretini ... tutti lo sapevano: la notizia circolava da tempo anche sui giornali.

Mandarono i loro ambasciatori a chiedere aiuto in tutta Europa e ottennero promesse, impegni, alleanze ... ma nessuno si mosse quando Garibaldi sbarcò a Marsala ... anzi, si mossero gli inglesi ... ma per aiutare gli "italiani" del Nord.

E non solo gli inglesi: tra le file degli "invasori" si contavano migliaia di ungheresi, boemi, marocchini, serbi, francesi, spagnoli, olandesi ... c'era pure qualche scandinavo ... mancavano solo gli ... italiani ... se si escludono gli avanzi di galera al seguito di Garibaldi.

Erano tutti li per inseguire il miraggio della ricchezza ... saccheggiavano tutto ciò su cui potevano mettere le mani ... portavano via anche le posate ... i piatti ... le lenzuola. E naturalmente stupravano le donne.

Il miraggio dell'Unità d'Italia, se c'era, interessava una piccola minoranza di "romantici" ... tutti gli altri erano volgari ladri.

Francesco II, capì subito che era tutto perso quando la sua flotta, la terza d'Europa, non "fermò" i tre piroscafi garibaldini.

E perché sbarcarono a Marsala?

Perché a Marsala abitavano più inglesi che siciliani: gli piaceva quel vino carico di zuccheri arricchiti dal sole, e adoravano i piccioli che facevano con il commercio di zolfo di cui quella terra era ricca.

I Borboni gli avevano fatto causa (perché volevano fargli "pagare" parte dei profitti) ... loro la vinsero e se la legarono al dito ...

Quando Cavour gli comunicò che il Piemonte non poteva rimborsare i titoli del debito pubblico in mano inglese ... lo incoraggiarono a "impadronirsi" dell'oro dei Borboni (un po come hanno fatto le Banche italiane con Callisto Tanzi). E per essere certi che i Savoia non facessero casini (avevano perso tutte le guerre e, quindi, non davano molto affidamento) misero la loro flotta a disposizione, fornirono il denaro necessario per corrompere i generali borbonici e si incaricarono di arruolare "schiere" di avventurieri in ogni angolo d'Europa.

Francesco II, dunque, sapeva ... tutti lo sapevano ... anche se i cugini "piemontesi" (i Borboni ed i Savoia erano cugini) negarono fino all'ultimo di essere coinvolti in quella "vile aggressione" (furono queste le parole testuali usate da Vittorio Emanuele II).

Prima del 1860, dunque, il tenore di vita al Sud era molto più alto del Nord ... le industrie meridionali erano all'avanguardia in molti settori e facevano una concorrenza spietata (e vincente) a quelle settentrionali.

Vinte a tavolino le "epiche" battaglie garibaldine e fatta l'Unita d'Italia, finalmente i Savoia si manifestarono mandando i loro "sbirri" a "civilizzare" il meridione ...

Le fabbriche furono distrutte ... gli operai fucilati ... e tutto ciò che c'era di buono ed all'avanguardia fu trasportato al Nord. In un colpo solo si eliminarono dei temibili concorrenti e ci si appropriò delle loro ricchezze materiali ed intellettuali.

L'industria del Nord, che non era mai riuscita a decollare, finalmente decollò.

Come vi sembra questa "verità storica" al cospetto della "minchiata" che è circolata negli ultimi 150 anni che il Sud è indietro perché i meridionali non sanno fare un cazzo ...?? Quante volte avete sentito questa stronzata (da bambini mongoloidi) che la miseria del Sud risale addirittura alla caduta dell'Impero romano ...??

La verità documentata è che il Sud è stato prima derubato e poi (per evitare possibili concorrenze) mantenuto DELIBERATAMENTE in condizione di inferiorità ...

Nonostante le rapine ... il milione di morti ... i cinque milioni di emigrati ... ancora 30 anni dopo l'Unità (quindi nel 1890) il tenore di vita nel Sud era allo stesso livello del Nord (ricordiamoci che prima del 1860 era nettamente superiore) ...

Solo nel 1920 i "nordisti" riuscirono a fare arretrare il Sud del 15% (rispetto al nord); poi arrivò Mussolini e compì il capolavoro ... quel poco di Industria che era rimasta lo trasferì al Nord ... e ai meridionali promise un ... "posto al sole" in Africa.

La differenza tra Nord e Sud si amplificò ... e così rimase fino ai giorni nostri.

Ora capitemi bene: a tutti quelli (mi riferisco ai leghisti dichiarati e a quelli "in pectore") che vanno ripetendo il famoso ritornello che i meridionali sono "geneticamente" inferiori ... che sanno solo lamentarsi e che non sanno darsi da fare ... si può solo rispondere che l'unica cosa che è geneticamente certa ... è la loro ignoranza.

Hanno impiegato gli ultimi 150 anni a coltivarla e nutrirla e, oggi, primeggiano a livello mondiale.

Un meridionale serio ed intelligente, con tremila anni di patrimonio culturale in dotazione genetica, non si "berrebbe" mai le minchiate dei 100 000 fucili bergamaschi pronti a sparare, delle sacre acque del Po dove ci sarebbe lo spirito (celtico?) del Nord, e tutto l'armamentario di supercazzole che solo una grande ignoranza può alimentare e nutrire ... li occorre la stupidità di chi, da secoli, non è abituato a pensare, né a leggere ... men che meno a ragionare.

Andatevi a leggere cosa gli austriaci pensavano dei sudditi "lombardi": ... "chiagni e fotti" ... eterni piagnoni, lavativi, ladri ed inaffidabili ... Esattamente ciò che i lombardi oggi pensano degli extracomunitari.

Si può fare una stima (approssimata per difetto) della "rapina" ai danni del Sud?

Certo: l'oro che i "piemontesi" prelevarono dalle Banche del Sud ammontava a circa 1500 miliardi di euro di oggi. I beni confiscati (immobili, terreni, macchinari, etc..) circa 1300 miliardi di euro e gli altri beni immateriali (brevetti, know how, etc..) circa 200 miliardi di euro. Totale: 3000 miliardi di euro; il doppio del Pil italiano odierno e poco meno del doppio del debito pubblico.

In parole povere: i piemontesi che erano con le pezze al culo come lo Stato italiano di oggi (debito pubblico superiore al Pil), ripianarono quel loro immenso debito e gli restarono molti altri piccioli per fare altre guerre e per investire "pesantemente" nel famoso triangolo industriale (Genova, Torino, Milano) ... che, finalmente, decollò.

Non solo: dal 1860 in poi, il Sud (che abbiamo visto aveva il sistema fiscale più leggero d'Europa) fu sovraccaricato di tasse che, di fatto, vennero tutte dirottate al Nord .... (le spese statali a Napoli erano 200 volte inferiori che a Milano, ma le tasse erano maggiori).

Il Sud, dunque, fu "spogliato" delle sue ricchezze subito, e caricato di tasse per gli anni a venire. Praticamente: fu prima "annientato" nel suo capitale umano, quindi "derubato" di tutte le sue ricchezze accumulate, e poi "sfruttato e spremuto" come uno schiavo.

Com'era la storia di ... Roma ladrona??

La verità storica e che le vere "ladrone" furono Torino (sede dei delinquenti che "idearono" quella rapina) e Milano (dove i soldi, in massima parte, furono investiti).

Ed è, francamente, ridicolo che i ladroni storici conclamati ... si lamentino (oggi) esattamente della stessa cosa che loro hanno già fatto (allora) ed a cui devono la propria fortuna.

Picciotti .... un po di pudore per piacere ....!!

A chi fosse interessato ad approfondire l'argomento, suggerisco: "Terroni" di Pino Aprile ... è l'ultimo uscito ed è meticolosamente documentato e ben scritto. Se conoscete qualche leghista (di quelli pateticamente ignoranti), suggeritegli di leggerlo: gli risparmierete di continuare a fare le figure del cazzo che sistematicamente fa quando, restando serio, spara quelle sue solite, colossali minchiate.

g.migliorino

01 aprile 2010

Il fenomeno Grillo, ma per chi?

I blog al posto delle sezioni Grillo-boys, rifugio dei delusi
Alle prime proiezioni "spaventose, incredibili", il bolognese Giovanni Favia, il grillino più votato d'Italia, è corso a comprarsi una cravatta nera: "ora devo essere elegante". Il grande momento è giunto. Il partito cinque-stelle passa dal folclore alla storia, dove c'erano sfottò ora c'è timoroso rispetto, anche paura. Sette per cento in Emilia Romagna, 4 in Piemonte, 400 mila voti in cinque regioni, quattro consiglieri eletti. Increduli loro per primi. "Per non montarci la testa andremo avanti a testa bassa". Dal V-day agli emicicli in soli tre anni: l'incubo dell'"antipolitica" si materializza, i ruba-consensi terrorizzano la sinistra. La Bresso recrimina: "erano voti nostri", Bersani apocalittico: "sono la cupio dissolvi della sinistra". E Beppe Grillo se li mangia con un marameo: "Bersani delira, rimuovetelo da segretario" commenta al telefono, tono più trionfale che aggressivo, "questi partiti sono anime morte, vagano in attesa di scomparire. I danni se li fanno da soli, e non hanno capito ancora niente di noi. "Grillo chi è?" diceva Veltroni, che per il Pd è stato come il meteorite per i dinosauri. Ora loro sono in estinzione e noi siamo il futuro".

Alt, fermi, non facciamo l'errore. Il profilo del comico genovese è potente, ma il nuovo sta nascosto nella sua ombra. Il "MoVimento 5 stelle" (la V maiuscola e rossa è quella del vaffa) non vuole essere il partito di un solo uomo: "Grillo è solo il detonatore, la dinamite siamo noi", rivendica Favia. E neppure il megafono dell'esasperazione, "se c'è qualcuno che fa marketing dell'urlo non siamo noi" (questa è per Di Pietro); e se gli parli di "voto di protesta" Favia si spazientisce, "protesta è il 10% di astensionismo, noi abbiamo portato voti alla democrazia". No, dal cappello delle urne è uscito un coniglio più carnoso del previsto. Una novità antropologica nella politica italiana che può travolgere chi la sottovaluta. I "grillini" esistono, guardate le loro foto sui loro siti Internet, leggete le loro date di nascita, tante post-1970, sbirciate le loro biografie, i loro mestieri urbani e terziario-avanzati, con un'eccedenza di quelli tecno-informatici. Da dove vengono? Chi va sui cinquant'anni esibisce qualche medagliere militante (radicali, noglobal, post-comunisti), ma quelli sotto i trenta sono una strabiliante antologia di micro-cause: la battaglia per il latte crudo, l'associazione "Novaresi attivi", il comitato "Vittime del metrobus", gli anti-inceneritore, quelli che fanno "guerrilla gardening" o la dieta a km zero... Sono, forse, ciò che i Verdi italiani non sono mai riusciti ad essere: pensatori globali e agitatori locali.


Sono, certo, un ceto politico, siedono già in decine di consigli comunali, spesso piccoli centri. Ma sfuggono ai profili tradizionali, sono corpi bionici della politica, ibridi di vecchio e nuovo. Non si incontrano in sezione ma in un blog, però non vedono l'ora di scendere in piazza; si contano orgogliosi come nei vecchi partiti (Grillo: "sessantamila ora, duecentomila fra due anni"), ma iscriversi è facile come fare un log-in al sito, la tessera è una password e non costa nulla perché "la gratuità rende bella la politica". Credono nella Rete come mito catartico: lo scrigno della verità che smaschera ogni complotto. Sono un incrocio di boy-scout e cyber-secchioni, volontari e computer-dipendenti. Grillo si fa semiologo: "È un movimento wiki". Come Wikipedia, l'enciclopedia online che chiunque può scrivere e modificare. L''assemblearismo ora è "contenuto generato dall'utente". La delega elettorale, "mandato partecipativo", l'eletto promette di essere solo il "terminale istituzionale" che inietta in consiglio le opinioni del movimento. "Abbiamo eletto ben due virus!", esulta il piemontese Vittorio Bertola, ed è ovvio che non pensa al bacillo influenzale ma ai virus informatici, che mandano in tilt un intero sistema operativo. "È qui che siamo avanti", Grillo si anima, "con noi non governa un consigliere, governa un network; con tutto il rispetto per la serata bolognese di Santoro non siamo un anchorman in tivù, siamo una rete di persone".

Le stelle grilline, però, sono spesso stelle comete, il loro impegno brucia intensamente e per poco, il ricambio è altissimo, ma se qualcuno ci dà dentro si vede: dietro il record del 28% di Bussoleno, ad esempio, c'è la lotta anti-Tav. Ma il vero salto di qualità che fa paura a Bersani è avvenuto proprio là dove i grillini non ci sono. Nell'hinterland bolognese, a Granarolo o Castenaso dove strappano il 10%, nessuno li ha mai incontrati di persona, neanche chi li ha votati. Chiedi perché l'hanno fatto, rispondono "Perché il Pd...". Rifugio dei delusi, ultima risorsa prima dell'astensione, messaggio di protesta senza rischio: "votare Lega non ci riesco, loro invece...". La loro presenza ha bucato i media. Gli elettori li conoscono. Leggete le interminabili liste di commenti dei loro blog, ce n'è una quantità che cominciano come Paolo: "Da anni non votavo...". E anche tanti che vibrano di un'eccitazione dimenticata, come Alessio: "Per la prima volta ho votato con gioia". Ho visto anche degli elettori felici: di questi tempi, da non crederci.

di MICHELE SMARGIASSI


31 marzo 2010

Elezioni e finanza

1. Farò solo qualche battuta sulle ultime elezioni regionali (per poi parlar d’altro) che sembrano aver rafforzato il governo di Centro-Destra, sebbene con l’ingombro della Lega divenuta un soggetto politico sempre più pesante all’interno della coalizione guidata da Berlusconi.
L’ultima tornata elettorale può essere ben definita quella del “pisello”, a sinistra come a destra. A sinistra, viene in evidenza quello floscio e un po’ sibilante (inteso come difetto di pronuncia) di Vendola che si riconferma governatore della Puglia nonostante la tempesta giudiziaria abbattutasi sulla sanità della regione adriatica e in barba al tiro “mancino” giocatogli da D’Alema, il quale avrebbe preferito vedere Nichi a capo dell’arcigay ma non del suo feudo. A destra prevale il pisello inturgidito e agitato come un bastone nell’aria padana (e ora anche oltre) della Lega che conquista le grandi regioni del Nord dove, ha già detto, metterà in pratica quel federalismo economico e sociale i cui strumenti di attuazione sono stati ampiamente forniti dal Governo.
Certo, controllando il Veneto e il Piemonte, facendo valere tutta la sua forza in Lombardia, il partito di Bossi alzerà la voce, e di molto, in Conferenza Stato-Regioni dando maggiore concretezza a quella parte del suo programma orientata alla devoluzione territoriale che da Roma hanno sempre mal digerito e, a volte, ostacolato.
Quanto alla valutazione sui singoli partiti, il PDL perde qualche consenso pagando così le brutte figure di Roma e le liti interne tra Berlusconi e Fini; il PD sembra reggere nonostante il suo anonimo segretario “intortellinato” dai capibastone delle varie correnti che lo tengono in pugno; purtroppo si conferma e si rafforza l’IDV del torbido spione Di Pietro; il Grillo parlante col suo movimento di esaltati a 5 stelle ottiene una insperata affermazione e ci fa il favore di togliere il Piemonte al Centro-Sinistra; per finire, facciamo le ennesime esequie della sinistra estrema divenuta ormai lo spettro di sé stessa (non quello del comunismo che faceva rabbrividire l’Europa) senza le lacrime di nessuno, nemmeno le nostre.
Per chiudere, il dato sull’astensione che cresce ma mai abbastanza per screditare definitivamente una classe politica che da nord a sud, da sinistra a destra, da un estremo all’altro sta portando il Paese alla rovina per incompetenza e assenza di una prospettiva storica degna di tale nome. Questa, in una epitome certamente non esaustiva, la situazione italiana dopo la chiusura delle urne.

2. Vorrei invece tornare sulla faccenda delle Assicurazioni Generali, in particolar modo sulla nomina del suo nuovo Presidente, rispetto alla quale ci siamo esposti per primi cercando di spiegare quali programmi ci fossero dietro la partita a scacchi dei poteri marci, in lotta per l’individuazione del successore di Bernheim sul Leone alato. Mentre i giornali di regime - questi fogliacci che sono lo specchio del mercimonio delle idee scadute nel fango e nella merda di un paese inabissatosi culturalmente - relegavano la notizia in fondo al loro baratro disinformativo, noi abbiamo cercato di leggere tra le righe e di dare un’interpretazione meno di banale di quello che stava accadendo.
Con le poche informazioni a nostra disposizione, compulsando gli articoli dei vari “esperti” come Giannini, Pons, Panerai, Porro (il migliore tra quelli citati, dipendente non di un padrone, per il quale muovere a comando la propria penna come il resto della compagnia, ma della sua stessa ideologia liberista che gli impedisce di andare oltre il velo economicistico delle cose) abbiamo detto la nostra e alla fine crediamo di non esserci allontanati molto dalla verità.
Certezze che vengono confermate dal sito Dagospia (l’articolo è riprodotto alla fine di questo pezzo) il quale, vivendo della scoperta dei sotterfugi e delle trame che accompagnano quasi sempre le ammucchiate orgiastiche del potere, giochi finanziari inclusi, ne ha fornito una versione meno obnubilata dalla patinatura servile di cui si fregia e ci sfregia l’informazione cammellata nazionale. Un solo mestiere contende al giornalismo la palma di lavoro più sporco e nauseabondo del mondo: il meretricio. Forse a quest'ultimo possiamo riconoscere delle attenuati sociali che al primo, per i danni che causa alla collettività, non dobbiamo nemmeno minimamente sollevare. Ecco cosa scriveva Balzac nel suo magnifico romanzo “Le illusioni perdute” sul verminaio di lacchè senza morale e senza pudore che affolla la carta stampata: “Il giornalismo, invece di essere un sacerdozio, è divenuto uno strumento per i partiti; da strumento si è fatto commercio; e, come tutti i commerci, è senza fede né legge. Ogni giornale è una bottega ove si vendono al pubblico parole del colore ch'egli richiede. Se esistesse un giornale dei gobbi, esso proverebbe dal mattino alla sera la bellezza, la bontà, la necessità dei gobbi. Un giornale non è più fatto per illuminare, bensì per blandire le opinioni. Così, tutti i giornali saranno, in un dato spazio di tempo, vili, ipocriti, infami, bugiardi, assassini; uccideranno le idee, i sistemi, gli uomini, e perciò stesso saranno fiorenti. Essi avranno i vantaggi di tutti gli esseri ragionevoli: il male sarà fatto senza che alcuno ne sia colpevole...Napoleone ha dato la ragione di questo fenomeno morale o immorale, come più vi piaccia, con una frase sublime che gli hanno dettato i suoi studi sulla Convenzione: i delitti collettivi non impegnano nessuno.” Per chi vuol capire che razza di luridume sia la professione giornalistica si rivolga all’intero lavoro del letterato francese, non per niente Engels diceva di aver imparato di più dal reazionario Balzac che da tutti gli economisti messi insieme.
Con la nomina di Geronzi alla guida della compagnia triestina qualcosa dunque cambia nel panorama economico nazionale, in virtù di uno sbilanciamento dei precedenti assetti di potere che iniziano a scricchiolare e a far emergere degli equilibri meno sfavorevoli a Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere e Letta hanno indubbiamente interpretato una parte in questa scalata geronziana benché le loro dichiarazioni pubbliche non siano mai scivolate verso alcuna partigianeria definita. La blindatura di Rcs quotidiani con l’entrata nel cda in prima persona di Giovanni Bazoli, Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, Cesare Geronzi, Piergaetano Marchetti, Antonello Perricone, Giampiero Pesenti e Marco Tronchetti Provera, ci dice però che i poteri putridi si preparano a darsele di santa ragione perché con l’aria che tira nell’agone politico, con la crisi economica che avanza, qualcuno ci rimetterà le penne.

3. Per concludere vorrei segnalare una intervista pubblicata dall’Unità al filosofo Slavoj Žižek che parla ancora di sinistra e di comunismo, nonché della possibilità per gli antisistemici di poter uscire dalla pesante crisi d’identità nella quale sono sprofondati. Žižek propone alla sinistra di essere conservatrice e moralista al fine togliere terreno ai suoi avversari e attaccarli in casa propria, sui temi dove questi irrobustiscono il loro consenso. L’intellettuale sloveno, ultimamente resosi compartecipe di appelli a favore dell’onda verde iraniana, più che conservatore sta divenendo un vero e proprio reazionario filo statunitense. Inoltre, di fogna moralistica, anticamera della corruzione, nella sinistra italiana ne troverà in abbondanza con la conseguenza che i sedicenti progressisti e riformisti del Bel Paese sono i peggiori servi della superpotenza Usa e della sua affermazione in Europa.
In realtà, avremmo bisogno di inventare un’altra morale, di ripercorrere la nostra storia e le nostre differenti identità politiche per costruire ben altro soggetto politico appoggiato ad un solido blocco sociale capace di fare strame di tutta la vecchia merda di destra e di sinistra. Ma questo per Žižek, evidentemente, non è abbastanza intellettualoide e non serve a sfondare nel panorama editoriale.
Qui finisce il nostro requiem per Žižek e per quelli come lui.

LO STRANO ASSE CORRIERE-REPUBBLICA
"Accordo su Generali: Geronzi verso la presidenza. Pagliaro a Mediobanca". Il Corriere delle banche richiama la notizia in prima pagina con un francobollino, poi però la fionda a pagina 50 perché trattasi di roba squisitamente tecnico-finanziaria, priva di qualunque ricaduta politica e di potere.

A babbo morto, Daniele Manca scopre finalmente l'arte del retroscena (tanto i manovratori hanno già manovrato) e critica: "i nostri bizantinismi che un investitore internazionale non capirebbe"; "un percorso simile al totonomine della politica", "un metodo davvero singolare per la definizione dell'assetto di comando della prima compagnia assicurativa e tra le prime tre in Europa". Tutto bene, tutto giusto. Ma a Manca manca il coraggio di estendere le sue osservazioni al metodo che ha portato Pagliaro alla presidenza di Mediobanca. Molto diverso da quello che issato Geronzi sul Leone?
Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi Antoine Bernheim Generali con Cesare Geronzi Mediobanca

Su Repubblica, giornale partecipato dalle Generali e da Unicredit, il vicedirettore Massimo Giannini mastica amaro: "Dal Leone al Gattopardo, così si Blinda la Galassia del Nord". Una lunga articolessa per ribadire che lo sbarco di Gero-vital Geronzi al posto del ragazzino Bernheim "è legato ai guai giudiziari del banchiere a all'intreccio con la politica" e che quindi siamo di fronte a uno scenario di inaudito allarme sociale.

Ok, anche i curatori di questa modesta rassegna sono più o meno d'accordo, ma allora perché affannarsi per le restanti tre colonne a spiegare agli incolpevoli lettori di Ri-pubblica che tanto la presidenza delle Generali è priva di delegehe operative e, insomma, Cesaron deì Cesaroni va a Trieste a svernare e fare un cazzo? (p.15). Che, forse l'ingegner Debenedettoni c'è rimasto un po' male?

Il Giornale di Feltrusconi, che in Mediobanca conta parecchio attraverso Doris e Marina B., e può contare su un ambasciatore di eccezione come Tarak Ben Ammar, si affida a Nicola Porro ("Così Trieste diventa capitale della finanza"). Pezzo intelligente e senza tesi precostituite, che pone l'accento sulla questione chiave: con Geronzi, le Generali diventeranno più autonome da Mediobanca? "Nel tempo si capirà quanto il diffuso azionariato delle Generali si sarà coagulato in mani amiche. Del nuovo presidente", osserva Porro Seduto.

Sulla stessa linea l'interpretazione di Francesco Pallacorda, sulla Stampa (p.27): "Così cambia il Leone con Cesare in sella". "Con 400 miliardi di attivi il ruolo della compagnia può diventare più incisivo. Ma Piazzetta Cuccia vuole mantenere il controllo sulla partecipata".

Smaccata invece la festa di Panerai-ahi-ahi! su Milano Finanza: parte ricordando che da ragazzo Cesare Geronzi manifestò per Trieste libera e va avanti sul filo della liberazione delle Generali da Mediobanca. Poi mette le mani avanti: "i due amministratori delegati hanno bisogno di un consistente supporto e anche i manager di Mediobanca sono d'accordo che al futuro presidente Geronzi siano assegnate, nella tradizione di un potere esecutivo anche del numero uno della compagnia, le deleghe su finanza e partecipazioni".

Cioè, se ha ragione l'Innominabile, due cosette da niente. E nel dubbio il suo lettore non avesse capito da che parte si deve stare, una chiusa patriottica: questa presidenza piena di poteri sarebbe "un presidio da cui garantire l'indipendenza di Generali-Trieste sarà assai più facile".

Gode anche il Sole 24 Ore, che affida a Guido Gentili (p.1) un commento compassato ma felice: "Roma-Trieste passando per il mondo". L'ex direttore salmonato spiega che la doppia presidenza Pagliaro-Geronzi è una "soluzione di sistema" e non dimentica di indicare chi sono i grandi vecchi di questo "sistema" che "alla fine ha tenuto più di altri di fronte alla crisi": Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi.

Alla fine, per trovare due giornali che non abbiano interesse alcuno su questa partita, visto il loro azionariato "puro", bisogna prendere il Cetriolo Quotidiano e il Secolo XIX.
Il quotidiano diretto da Antonio Padellaro, tutto distratto da Santoro & Friends, sottovaluta pericolosamente la notizia ficcandola a pagina 11 e titolandola così: "E' fatta: Geronzi al vertice delle Generali" (p.11). Nel suo pezzo, dopo uno degli attacchi più farraginosi della storia del giornalismo, Alessandro Faieta azzecca però un punto fondamentale: "il nodo non è più lo sbarco o meno di Geronzi a Trieste, ma chi guiderò il patto di sindacato di Mediobanca".
berlusconi silvio debenedetti carlo imago

Anche il giornale genovese, diretto da Umberto La Rocca, non degna la notizia di alcun richiamo in prima, ma pubblica un retroscena dell'ex cetriolista Francesco Bonazzi (p. 15) il cui succo è: i francesi non si sono fidati di Geronzone, e per dargli il via libera formale su Generali volevano essere sicuri di avere in cambio una soluzione negoziata sulla successione in Mediobanca.
G. Petrosillo

02 aprile 2010

La Storia non si dimentica, si subisce. Il caso della Lega

In tutta la gloriosa guerra garibaldina per la "liberazione delle due Sicilie" (... che suona come l'esportazione della democrazia dell'America di Bush in Iraq ... cioè una palla confezionata su misura per i tanti idioti incapaci di pensare in proprio ...), in tutte le mitiche battaglie (Calatafimi, Milazzo, etc..) in cui i "liberatori" si trovarono al cospetto dei difensori borbonici, questi ultimi, un moderno esercito di centomila uomini, subirono otto morti e diciotto feriti ....

Si, avete capito bene: otto morti e diciotto feriti in tutti quegli scontri che i libri di storia ci raccontano essere stati all'ultimo sangue ...

Nelle battaglie vere (ad esempio a Solferino e San Martino), i morti si contavano a migliaia ... i campi restavano allagati dal sangue dei caduti per giorni e, proprio a San Martino, fu tale l'orrore per i numerosissimi morti e feriti, che si decise di istituire la Croce Rossa: un organismo super-partes che si incaricasse delle migliaia di caduti.

Non nelle epiche battaglie garibaldine ... li si vinceva a tavolino ...

Voglio dire che, se uno non è proprio completamente cretino, capisce da solo che l'esercito borbonico non ha combattuto ... e quando i garibaldini le stavano "per prendere", i generali borbonici facevano suonare le trombe della ritirata ... e Garibaldi vinceva ...

La barzelletta che circolava, difatti, era che più di Garibaldi, poterono i trombettieri borbonici a sconfiggere l'esercito di Francesco II.

Perché, dunque, i generali "sudisti" preferirono "perdere"?

Per soldi ... per promesse di futuri benefici ... per mafia.

Cavour, uno spericolato intrallazzatore e speculatore di Borsa, mandò i suoi agenti segreti a ... trattare con la nascente mafia ... iniziando una pratica che, da allora, non si è mai fermata: appoggiarsi alla criminalità organizzata del Sud per "acquisire" consenso e potere da spendere al Nord (basti pensare ai nostri ultimi 17 anni, dal 1993 ad oggi).

E grazie alle generose "provviste" di denaro messe a disposizioni dagli inglesi e dai massoni, gli agenti di Cavour comprarono quasi tutti i generali "nemici" ... che consentirono a Garibaldi di passare alla storia come un grande condottiero ... lui, un ladro di cavalli che portava i capelli lunghi per nascondere l'orecchio mozzato in Sud America ... dalla polizia locale che l'aveva preso con le mani nel sacco (a rubare cavalli) ...

Ma com'era il Sud prima dell'invasione del 1960?

Alla fiera di Parigi del 1856, il regno delle due Sicilie fu "riconosciuto" essere la terza "nazione" più ricca del mondo ... già, una "nazione" ... da ben 14 secoli. Dalla caduta dell'Impero romano, gli stati del Sud Italia erano "nazione" ... e insieme all'Inghilterra erano la più antica "nazione" europea. La prima "costituzione democratica" del mondo, fu promulgata proprio nella "nazione Sud Italia".

Il centro-nord Italia, invece, nello stesso periodo, era stato sempre frantumato in piccoli staterelli.

Napoli era la seconda città europea per abitanti ed eccelleva nelle arti, nell'industria, nella marina (la marina mercantile era la seconda al mondo e quella militare la terza) e ... nell'economia.

A Napoli nacque la prima scuola Universitaria di economia del mondo ... la famosa scuola napoletana che avrebbe influenzato l'intero pensiero economico mondiale.

La Borsa delle merci era la seconda in Europa e quella valori la terza ... e già allora, i nobili si "occupavano" di investimenti e trading ...

I titoli di stato del Sud quotavano 120 (rispetto al valore nominale di 100), mentre quelli piemontesi 70 (sempre rispetto ad un nominale di 100) ... e questo, meglio di ogni altro indicatore, la dice lunga sullo stato dell'economia e della finanza al Sud ed al Nord.

Le tasse al Sud erano le più basse d'Europa (20% in meno di quelle francesi e 30% in meno delle inglesi), mentre al nord, i Savoia imponevano tasse altissime (le più alte d'Europa) per finanziare le tante guerre perse, e per potere ... rubare di più (forse non loro direttamente, ma certamente i loro "cortigiani" e "soci").

Ma sapevano i Borboni dell'imminente invasione?

Certo, non erano mica cretini ... tutti lo sapevano: la notizia circolava da tempo anche sui giornali.

Mandarono i loro ambasciatori a chiedere aiuto in tutta Europa e ottennero promesse, impegni, alleanze ... ma nessuno si mosse quando Garibaldi sbarcò a Marsala ... anzi, si mossero gli inglesi ... ma per aiutare gli "italiani" del Nord.

E non solo gli inglesi: tra le file degli "invasori" si contavano migliaia di ungheresi, boemi, marocchini, serbi, francesi, spagnoli, olandesi ... c'era pure qualche scandinavo ... mancavano solo gli ... italiani ... se si escludono gli avanzi di galera al seguito di Garibaldi.

Erano tutti li per inseguire il miraggio della ricchezza ... saccheggiavano tutto ciò su cui potevano mettere le mani ... portavano via anche le posate ... i piatti ... le lenzuola. E naturalmente stupravano le donne.

Il miraggio dell'Unità d'Italia, se c'era, interessava una piccola minoranza di "romantici" ... tutti gli altri erano volgari ladri.

Francesco II, capì subito che era tutto perso quando la sua flotta, la terza d'Europa, non "fermò" i tre piroscafi garibaldini.

E perché sbarcarono a Marsala?

Perché a Marsala abitavano più inglesi che siciliani: gli piaceva quel vino carico di zuccheri arricchiti dal sole, e adoravano i piccioli che facevano con il commercio di zolfo di cui quella terra era ricca.

I Borboni gli avevano fatto causa (perché volevano fargli "pagare" parte dei profitti) ... loro la vinsero e se la legarono al dito ...

Quando Cavour gli comunicò che il Piemonte non poteva rimborsare i titoli del debito pubblico in mano inglese ... lo incoraggiarono a "impadronirsi" dell'oro dei Borboni (un po come hanno fatto le Banche italiane con Callisto Tanzi). E per essere certi che i Savoia non facessero casini (avevano perso tutte le guerre e, quindi, non davano molto affidamento) misero la loro flotta a disposizione, fornirono il denaro necessario per corrompere i generali borbonici e si incaricarono di arruolare "schiere" di avventurieri in ogni angolo d'Europa.

Francesco II, dunque, sapeva ... tutti lo sapevano ... anche se i cugini "piemontesi" (i Borboni ed i Savoia erano cugini) negarono fino all'ultimo di essere coinvolti in quella "vile aggressione" (furono queste le parole testuali usate da Vittorio Emanuele II).

Prima del 1860, dunque, il tenore di vita al Sud era molto più alto del Nord ... le industrie meridionali erano all'avanguardia in molti settori e facevano una concorrenza spietata (e vincente) a quelle settentrionali.

Vinte a tavolino le "epiche" battaglie garibaldine e fatta l'Unita d'Italia, finalmente i Savoia si manifestarono mandando i loro "sbirri" a "civilizzare" il meridione ...

Le fabbriche furono distrutte ... gli operai fucilati ... e tutto ciò che c'era di buono ed all'avanguardia fu trasportato al Nord. In un colpo solo si eliminarono dei temibili concorrenti e ci si appropriò delle loro ricchezze materiali ed intellettuali.

L'industria del Nord, che non era mai riuscita a decollare, finalmente decollò.

Come vi sembra questa "verità storica" al cospetto della "minchiata" che è circolata negli ultimi 150 anni che il Sud è indietro perché i meridionali non sanno fare un cazzo ...?? Quante volte avete sentito questa stronzata (da bambini mongoloidi) che la miseria del Sud risale addirittura alla caduta dell'Impero romano ...??

La verità documentata è che il Sud è stato prima derubato e poi (per evitare possibili concorrenze) mantenuto DELIBERATAMENTE in condizione di inferiorità ...

Nonostante le rapine ... il milione di morti ... i cinque milioni di emigrati ... ancora 30 anni dopo l'Unità (quindi nel 1890) il tenore di vita nel Sud era allo stesso livello del Nord (ricordiamoci che prima del 1860 era nettamente superiore) ...

Solo nel 1920 i "nordisti" riuscirono a fare arretrare il Sud del 15% (rispetto al nord); poi arrivò Mussolini e compì il capolavoro ... quel poco di Industria che era rimasta lo trasferì al Nord ... e ai meridionali promise un ... "posto al sole" in Africa.

La differenza tra Nord e Sud si amplificò ... e così rimase fino ai giorni nostri.

Ora capitemi bene: a tutti quelli (mi riferisco ai leghisti dichiarati e a quelli "in pectore") che vanno ripetendo il famoso ritornello che i meridionali sono "geneticamente" inferiori ... che sanno solo lamentarsi e che non sanno darsi da fare ... si può solo rispondere che l'unica cosa che è geneticamente certa ... è la loro ignoranza.

Hanno impiegato gli ultimi 150 anni a coltivarla e nutrirla e, oggi, primeggiano a livello mondiale.

Un meridionale serio ed intelligente, con tremila anni di patrimonio culturale in dotazione genetica, non si "berrebbe" mai le minchiate dei 100 000 fucili bergamaschi pronti a sparare, delle sacre acque del Po dove ci sarebbe lo spirito (celtico?) del Nord, e tutto l'armamentario di supercazzole che solo una grande ignoranza può alimentare e nutrire ... li occorre la stupidità di chi, da secoli, non è abituato a pensare, né a leggere ... men che meno a ragionare.

Andatevi a leggere cosa gli austriaci pensavano dei sudditi "lombardi": ... "chiagni e fotti" ... eterni piagnoni, lavativi, ladri ed inaffidabili ... Esattamente ciò che i lombardi oggi pensano degli extracomunitari.

Si può fare una stima (approssimata per difetto) della "rapina" ai danni del Sud?

Certo: l'oro che i "piemontesi" prelevarono dalle Banche del Sud ammontava a circa 1500 miliardi di euro di oggi. I beni confiscati (immobili, terreni, macchinari, etc..) circa 1300 miliardi di euro e gli altri beni immateriali (brevetti, know how, etc..) circa 200 miliardi di euro. Totale: 3000 miliardi di euro; il doppio del Pil italiano odierno e poco meno del doppio del debito pubblico.

In parole povere: i piemontesi che erano con le pezze al culo come lo Stato italiano di oggi (debito pubblico superiore al Pil), ripianarono quel loro immenso debito e gli restarono molti altri piccioli per fare altre guerre e per investire "pesantemente" nel famoso triangolo industriale (Genova, Torino, Milano) ... che, finalmente, decollò.

Non solo: dal 1860 in poi, il Sud (che abbiamo visto aveva il sistema fiscale più leggero d'Europa) fu sovraccaricato di tasse che, di fatto, vennero tutte dirottate al Nord .... (le spese statali a Napoli erano 200 volte inferiori che a Milano, ma le tasse erano maggiori).

Il Sud, dunque, fu "spogliato" delle sue ricchezze subito, e caricato di tasse per gli anni a venire. Praticamente: fu prima "annientato" nel suo capitale umano, quindi "derubato" di tutte le sue ricchezze accumulate, e poi "sfruttato e spremuto" come uno schiavo.

Com'era la storia di ... Roma ladrona??

La verità storica e che le vere "ladrone" furono Torino (sede dei delinquenti che "idearono" quella rapina) e Milano (dove i soldi, in massima parte, furono investiti).

Ed è, francamente, ridicolo che i ladroni storici conclamati ... si lamentino (oggi) esattamente della stessa cosa che loro hanno già fatto (allora) ed a cui devono la propria fortuna.

Picciotti .... un po di pudore per piacere ....!!

A chi fosse interessato ad approfondire l'argomento, suggerisco: "Terroni" di Pino Aprile ... è l'ultimo uscito ed è meticolosamente documentato e ben scritto. Se conoscete qualche leghista (di quelli pateticamente ignoranti), suggeritegli di leggerlo: gli risparmierete di continuare a fare le figure del cazzo che sistematicamente fa quando, restando serio, spara quelle sue solite, colossali minchiate.

g.migliorino

01 aprile 2010

Il fenomeno Grillo, ma per chi?

I blog al posto delle sezioni Grillo-boys, rifugio dei delusi
Alle prime proiezioni "spaventose, incredibili", il bolognese Giovanni Favia, il grillino più votato d'Italia, è corso a comprarsi una cravatta nera: "ora devo essere elegante". Il grande momento è giunto. Il partito cinque-stelle passa dal folclore alla storia, dove c'erano sfottò ora c'è timoroso rispetto, anche paura. Sette per cento in Emilia Romagna, 4 in Piemonte, 400 mila voti in cinque regioni, quattro consiglieri eletti. Increduli loro per primi. "Per non montarci la testa andremo avanti a testa bassa". Dal V-day agli emicicli in soli tre anni: l'incubo dell'"antipolitica" si materializza, i ruba-consensi terrorizzano la sinistra. La Bresso recrimina: "erano voti nostri", Bersani apocalittico: "sono la cupio dissolvi della sinistra". E Beppe Grillo se li mangia con un marameo: "Bersani delira, rimuovetelo da segretario" commenta al telefono, tono più trionfale che aggressivo, "questi partiti sono anime morte, vagano in attesa di scomparire. I danni se li fanno da soli, e non hanno capito ancora niente di noi. "Grillo chi è?" diceva Veltroni, che per il Pd è stato come il meteorite per i dinosauri. Ora loro sono in estinzione e noi siamo il futuro".

Alt, fermi, non facciamo l'errore. Il profilo del comico genovese è potente, ma il nuovo sta nascosto nella sua ombra. Il "MoVimento 5 stelle" (la V maiuscola e rossa è quella del vaffa) non vuole essere il partito di un solo uomo: "Grillo è solo il detonatore, la dinamite siamo noi", rivendica Favia. E neppure il megafono dell'esasperazione, "se c'è qualcuno che fa marketing dell'urlo non siamo noi" (questa è per Di Pietro); e se gli parli di "voto di protesta" Favia si spazientisce, "protesta è il 10% di astensionismo, noi abbiamo portato voti alla democrazia". No, dal cappello delle urne è uscito un coniglio più carnoso del previsto. Una novità antropologica nella politica italiana che può travolgere chi la sottovaluta. I "grillini" esistono, guardate le loro foto sui loro siti Internet, leggete le loro date di nascita, tante post-1970, sbirciate le loro biografie, i loro mestieri urbani e terziario-avanzati, con un'eccedenza di quelli tecno-informatici. Da dove vengono? Chi va sui cinquant'anni esibisce qualche medagliere militante (radicali, noglobal, post-comunisti), ma quelli sotto i trenta sono una strabiliante antologia di micro-cause: la battaglia per il latte crudo, l'associazione "Novaresi attivi", il comitato "Vittime del metrobus", gli anti-inceneritore, quelli che fanno "guerrilla gardening" o la dieta a km zero... Sono, forse, ciò che i Verdi italiani non sono mai riusciti ad essere: pensatori globali e agitatori locali.


Sono, certo, un ceto politico, siedono già in decine di consigli comunali, spesso piccoli centri. Ma sfuggono ai profili tradizionali, sono corpi bionici della politica, ibridi di vecchio e nuovo. Non si incontrano in sezione ma in un blog, però non vedono l'ora di scendere in piazza; si contano orgogliosi come nei vecchi partiti (Grillo: "sessantamila ora, duecentomila fra due anni"), ma iscriversi è facile come fare un log-in al sito, la tessera è una password e non costa nulla perché "la gratuità rende bella la politica". Credono nella Rete come mito catartico: lo scrigno della verità che smaschera ogni complotto. Sono un incrocio di boy-scout e cyber-secchioni, volontari e computer-dipendenti. Grillo si fa semiologo: "È un movimento wiki". Come Wikipedia, l'enciclopedia online che chiunque può scrivere e modificare. L''assemblearismo ora è "contenuto generato dall'utente". La delega elettorale, "mandato partecipativo", l'eletto promette di essere solo il "terminale istituzionale" che inietta in consiglio le opinioni del movimento. "Abbiamo eletto ben due virus!", esulta il piemontese Vittorio Bertola, ed è ovvio che non pensa al bacillo influenzale ma ai virus informatici, che mandano in tilt un intero sistema operativo. "È qui che siamo avanti", Grillo si anima, "con noi non governa un consigliere, governa un network; con tutto il rispetto per la serata bolognese di Santoro non siamo un anchorman in tivù, siamo una rete di persone".

Le stelle grilline, però, sono spesso stelle comete, il loro impegno brucia intensamente e per poco, il ricambio è altissimo, ma se qualcuno ci dà dentro si vede: dietro il record del 28% di Bussoleno, ad esempio, c'è la lotta anti-Tav. Ma il vero salto di qualità che fa paura a Bersani è avvenuto proprio là dove i grillini non ci sono. Nell'hinterland bolognese, a Granarolo o Castenaso dove strappano il 10%, nessuno li ha mai incontrati di persona, neanche chi li ha votati. Chiedi perché l'hanno fatto, rispondono "Perché il Pd...". Rifugio dei delusi, ultima risorsa prima dell'astensione, messaggio di protesta senza rischio: "votare Lega non ci riesco, loro invece...". La loro presenza ha bucato i media. Gli elettori li conoscono. Leggete le interminabili liste di commenti dei loro blog, ce n'è una quantità che cominciano come Paolo: "Da anni non votavo...". E anche tanti che vibrano di un'eccitazione dimenticata, come Alessio: "Per la prima volta ho votato con gioia". Ho visto anche degli elettori felici: di questi tempi, da non crederci.

di MICHELE SMARGIASSI


31 marzo 2010

Elezioni e finanza

1. Farò solo qualche battuta sulle ultime elezioni regionali (per poi parlar d’altro) che sembrano aver rafforzato il governo di Centro-Destra, sebbene con l’ingombro della Lega divenuta un soggetto politico sempre più pesante all’interno della coalizione guidata da Berlusconi.
L’ultima tornata elettorale può essere ben definita quella del “pisello”, a sinistra come a destra. A sinistra, viene in evidenza quello floscio e un po’ sibilante (inteso come difetto di pronuncia) di Vendola che si riconferma governatore della Puglia nonostante la tempesta giudiziaria abbattutasi sulla sanità della regione adriatica e in barba al tiro “mancino” giocatogli da D’Alema, il quale avrebbe preferito vedere Nichi a capo dell’arcigay ma non del suo feudo. A destra prevale il pisello inturgidito e agitato come un bastone nell’aria padana (e ora anche oltre) della Lega che conquista le grandi regioni del Nord dove, ha già detto, metterà in pratica quel federalismo economico e sociale i cui strumenti di attuazione sono stati ampiamente forniti dal Governo.
Certo, controllando il Veneto e il Piemonte, facendo valere tutta la sua forza in Lombardia, il partito di Bossi alzerà la voce, e di molto, in Conferenza Stato-Regioni dando maggiore concretezza a quella parte del suo programma orientata alla devoluzione territoriale che da Roma hanno sempre mal digerito e, a volte, ostacolato.
Quanto alla valutazione sui singoli partiti, il PDL perde qualche consenso pagando così le brutte figure di Roma e le liti interne tra Berlusconi e Fini; il PD sembra reggere nonostante il suo anonimo segretario “intortellinato” dai capibastone delle varie correnti che lo tengono in pugno; purtroppo si conferma e si rafforza l’IDV del torbido spione Di Pietro; il Grillo parlante col suo movimento di esaltati a 5 stelle ottiene una insperata affermazione e ci fa il favore di togliere il Piemonte al Centro-Sinistra; per finire, facciamo le ennesime esequie della sinistra estrema divenuta ormai lo spettro di sé stessa (non quello del comunismo che faceva rabbrividire l’Europa) senza le lacrime di nessuno, nemmeno le nostre.
Per chiudere, il dato sull’astensione che cresce ma mai abbastanza per screditare definitivamente una classe politica che da nord a sud, da sinistra a destra, da un estremo all’altro sta portando il Paese alla rovina per incompetenza e assenza di una prospettiva storica degna di tale nome. Questa, in una epitome certamente non esaustiva, la situazione italiana dopo la chiusura delle urne.

2. Vorrei invece tornare sulla faccenda delle Assicurazioni Generali, in particolar modo sulla nomina del suo nuovo Presidente, rispetto alla quale ci siamo esposti per primi cercando di spiegare quali programmi ci fossero dietro la partita a scacchi dei poteri marci, in lotta per l’individuazione del successore di Bernheim sul Leone alato. Mentre i giornali di regime - questi fogliacci che sono lo specchio del mercimonio delle idee scadute nel fango e nella merda di un paese inabissatosi culturalmente - relegavano la notizia in fondo al loro baratro disinformativo, noi abbiamo cercato di leggere tra le righe e di dare un’interpretazione meno di banale di quello che stava accadendo.
Con le poche informazioni a nostra disposizione, compulsando gli articoli dei vari “esperti” come Giannini, Pons, Panerai, Porro (il migliore tra quelli citati, dipendente non di un padrone, per il quale muovere a comando la propria penna come il resto della compagnia, ma della sua stessa ideologia liberista che gli impedisce di andare oltre il velo economicistico delle cose) abbiamo detto la nostra e alla fine crediamo di non esserci allontanati molto dalla verità.
Certezze che vengono confermate dal sito Dagospia (l’articolo è riprodotto alla fine di questo pezzo) il quale, vivendo della scoperta dei sotterfugi e delle trame che accompagnano quasi sempre le ammucchiate orgiastiche del potere, giochi finanziari inclusi, ne ha fornito una versione meno obnubilata dalla patinatura servile di cui si fregia e ci sfregia l’informazione cammellata nazionale. Un solo mestiere contende al giornalismo la palma di lavoro più sporco e nauseabondo del mondo: il meretricio. Forse a quest'ultimo possiamo riconoscere delle attenuati sociali che al primo, per i danni che causa alla collettività, non dobbiamo nemmeno minimamente sollevare. Ecco cosa scriveva Balzac nel suo magnifico romanzo “Le illusioni perdute” sul verminaio di lacchè senza morale e senza pudore che affolla la carta stampata: “Il giornalismo, invece di essere un sacerdozio, è divenuto uno strumento per i partiti; da strumento si è fatto commercio; e, come tutti i commerci, è senza fede né legge. Ogni giornale è una bottega ove si vendono al pubblico parole del colore ch'egli richiede. Se esistesse un giornale dei gobbi, esso proverebbe dal mattino alla sera la bellezza, la bontà, la necessità dei gobbi. Un giornale non è più fatto per illuminare, bensì per blandire le opinioni. Così, tutti i giornali saranno, in un dato spazio di tempo, vili, ipocriti, infami, bugiardi, assassini; uccideranno le idee, i sistemi, gli uomini, e perciò stesso saranno fiorenti. Essi avranno i vantaggi di tutti gli esseri ragionevoli: il male sarà fatto senza che alcuno ne sia colpevole...Napoleone ha dato la ragione di questo fenomeno morale o immorale, come più vi piaccia, con una frase sublime che gli hanno dettato i suoi studi sulla Convenzione: i delitti collettivi non impegnano nessuno.” Per chi vuol capire che razza di luridume sia la professione giornalistica si rivolga all’intero lavoro del letterato francese, non per niente Engels diceva di aver imparato di più dal reazionario Balzac che da tutti gli economisti messi insieme.
Con la nomina di Geronzi alla guida della compagnia triestina qualcosa dunque cambia nel panorama economico nazionale, in virtù di uno sbilanciamento dei precedenti assetti di potere che iniziano a scricchiolare e a far emergere degli equilibri meno sfavorevoli a Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere e Letta hanno indubbiamente interpretato una parte in questa scalata geronziana benché le loro dichiarazioni pubbliche non siano mai scivolate verso alcuna partigianeria definita. La blindatura di Rcs quotidiani con l’entrata nel cda in prima persona di Giovanni Bazoli, Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, Cesare Geronzi, Piergaetano Marchetti, Antonello Perricone, Giampiero Pesenti e Marco Tronchetti Provera, ci dice però che i poteri putridi si preparano a darsele di santa ragione perché con l’aria che tira nell’agone politico, con la crisi economica che avanza, qualcuno ci rimetterà le penne.

3. Per concludere vorrei segnalare una intervista pubblicata dall’Unità al filosofo Slavoj Žižek che parla ancora di sinistra e di comunismo, nonché della possibilità per gli antisistemici di poter uscire dalla pesante crisi d’identità nella quale sono sprofondati. Žižek propone alla sinistra di essere conservatrice e moralista al fine togliere terreno ai suoi avversari e attaccarli in casa propria, sui temi dove questi irrobustiscono il loro consenso. L’intellettuale sloveno, ultimamente resosi compartecipe di appelli a favore dell’onda verde iraniana, più che conservatore sta divenendo un vero e proprio reazionario filo statunitense. Inoltre, di fogna moralistica, anticamera della corruzione, nella sinistra italiana ne troverà in abbondanza con la conseguenza che i sedicenti progressisti e riformisti del Bel Paese sono i peggiori servi della superpotenza Usa e della sua affermazione in Europa.
In realtà, avremmo bisogno di inventare un’altra morale, di ripercorrere la nostra storia e le nostre differenti identità politiche per costruire ben altro soggetto politico appoggiato ad un solido blocco sociale capace di fare strame di tutta la vecchia merda di destra e di sinistra. Ma questo per Žižek, evidentemente, non è abbastanza intellettualoide e non serve a sfondare nel panorama editoriale.
Qui finisce il nostro requiem per Žižek e per quelli come lui.

LO STRANO ASSE CORRIERE-REPUBBLICA
"Accordo su Generali: Geronzi verso la presidenza. Pagliaro a Mediobanca". Il Corriere delle banche richiama la notizia in prima pagina con un francobollino, poi però la fionda a pagina 50 perché trattasi di roba squisitamente tecnico-finanziaria, priva di qualunque ricaduta politica e di potere.

A babbo morto, Daniele Manca scopre finalmente l'arte del retroscena (tanto i manovratori hanno già manovrato) e critica: "i nostri bizantinismi che un investitore internazionale non capirebbe"; "un percorso simile al totonomine della politica", "un metodo davvero singolare per la definizione dell'assetto di comando della prima compagnia assicurativa e tra le prime tre in Europa". Tutto bene, tutto giusto. Ma a Manca manca il coraggio di estendere le sue osservazioni al metodo che ha portato Pagliaro alla presidenza di Mediobanca. Molto diverso da quello che issato Geronzi sul Leone?
Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi Antoine Bernheim Generali con Cesare Geronzi Mediobanca

Su Repubblica, giornale partecipato dalle Generali e da Unicredit, il vicedirettore Massimo Giannini mastica amaro: "Dal Leone al Gattopardo, così si Blinda la Galassia del Nord". Una lunga articolessa per ribadire che lo sbarco di Gero-vital Geronzi al posto del ragazzino Bernheim "è legato ai guai giudiziari del banchiere a all'intreccio con la politica" e che quindi siamo di fronte a uno scenario di inaudito allarme sociale.

Ok, anche i curatori di questa modesta rassegna sono più o meno d'accordo, ma allora perché affannarsi per le restanti tre colonne a spiegare agli incolpevoli lettori di Ri-pubblica che tanto la presidenza delle Generali è priva di delegehe operative e, insomma, Cesaron deì Cesaroni va a Trieste a svernare e fare un cazzo? (p.15). Che, forse l'ingegner Debenedettoni c'è rimasto un po' male?

Il Giornale di Feltrusconi, che in Mediobanca conta parecchio attraverso Doris e Marina B., e può contare su un ambasciatore di eccezione come Tarak Ben Ammar, si affida a Nicola Porro ("Così Trieste diventa capitale della finanza"). Pezzo intelligente e senza tesi precostituite, che pone l'accento sulla questione chiave: con Geronzi, le Generali diventeranno più autonome da Mediobanca? "Nel tempo si capirà quanto il diffuso azionariato delle Generali si sarà coagulato in mani amiche. Del nuovo presidente", osserva Porro Seduto.

Sulla stessa linea l'interpretazione di Francesco Pallacorda, sulla Stampa (p.27): "Così cambia il Leone con Cesare in sella". "Con 400 miliardi di attivi il ruolo della compagnia può diventare più incisivo. Ma Piazzetta Cuccia vuole mantenere il controllo sulla partecipata".

Smaccata invece la festa di Panerai-ahi-ahi! su Milano Finanza: parte ricordando che da ragazzo Cesare Geronzi manifestò per Trieste libera e va avanti sul filo della liberazione delle Generali da Mediobanca. Poi mette le mani avanti: "i due amministratori delegati hanno bisogno di un consistente supporto e anche i manager di Mediobanca sono d'accordo che al futuro presidente Geronzi siano assegnate, nella tradizione di un potere esecutivo anche del numero uno della compagnia, le deleghe su finanza e partecipazioni".

Cioè, se ha ragione l'Innominabile, due cosette da niente. E nel dubbio il suo lettore non avesse capito da che parte si deve stare, una chiusa patriottica: questa presidenza piena di poteri sarebbe "un presidio da cui garantire l'indipendenza di Generali-Trieste sarà assai più facile".

Gode anche il Sole 24 Ore, che affida a Guido Gentili (p.1) un commento compassato ma felice: "Roma-Trieste passando per il mondo". L'ex direttore salmonato spiega che la doppia presidenza Pagliaro-Geronzi è una "soluzione di sistema" e non dimentica di indicare chi sono i grandi vecchi di questo "sistema" che "alla fine ha tenuto più di altri di fronte alla crisi": Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi.

Alla fine, per trovare due giornali che non abbiano interesse alcuno su questa partita, visto il loro azionariato "puro", bisogna prendere il Cetriolo Quotidiano e il Secolo XIX.
Il quotidiano diretto da Antonio Padellaro, tutto distratto da Santoro & Friends, sottovaluta pericolosamente la notizia ficcandola a pagina 11 e titolandola così: "E' fatta: Geronzi al vertice delle Generali" (p.11). Nel suo pezzo, dopo uno degli attacchi più farraginosi della storia del giornalismo, Alessandro Faieta azzecca però un punto fondamentale: "il nodo non è più lo sbarco o meno di Geronzi a Trieste, ma chi guiderò il patto di sindacato di Mediobanca".
berlusconi silvio debenedetti carlo imago

Anche il giornale genovese, diretto da Umberto La Rocca, non degna la notizia di alcun richiamo in prima, ma pubblica un retroscena dell'ex cetriolista Francesco Bonazzi (p. 15) il cui succo è: i francesi non si sono fidati di Geronzone, e per dargli il via libera formale su Generali volevano essere sicuri di avere in cambio una soluzione negoziata sulla successione in Mediobanca.
G. Petrosillo