15 maggio 2010

Attacco al Comune di Camigliano: "Lasciate i rifiuti o rischiate il commissariamento"


comuni virtuosi
I Comuni Virtuosi sono Comuni i cui primi cittadini intendono il loro incarico come servizio ai cittadini e alla comunità, con risultati molto evidenti
I Comuni Virtuosi - chi segue la nostra testata ne ha sentito parlare spesso - sono quelli i cui primi cittadini intendono il loro incarico come servizio ai cittadini e alla comunità, con risultati molto evidenti.

Questo spaventa chi invece ha della politica un'idea opposta. La politica come opportunità di ottenere vantaggi personali, la politica delle poltrone, del potere, del controllo del consenso. Questa politica comincia ad avere paura dell'esempio dei Comuni virtuosi e lo dimostra quanto sta accadendo al Comune virtuoso di Camigliano (CE) guidato dal sindaco Vincenzo Cenname.

Camigliano è un comune con il 65% di raccolta differenziata, è un comune che fa il compostaggio domestico e ha abbassato la tassa rifiuti ai cittadini oltre ad inserire i pannolini lavabili negli asili nido e a recuperare gli oli esausti.

Ma non basta. Camigliano ha smesso di erodere il proprio territorio, di cementificarlo e ha anche messo lampade a basso consumo nel cimitero. Piccole ma grandi cose - soprattutto se fatte in Provincia di Caserta dove camorra e politica governano spesso insieme - tutte volte a migliorare la vita dei cittadini nel rispetto dell'ambiente in cui si è scelto di vivere.

Ecco, in una situazione come questa, succede che il prefetto di Caserta Ezio Monaco diffidi il sindaco Cenname affinché trasmetta alla società provinciale che gestisce la raccolta rifiuti gli archivi di Tarsu e Tia, pena il commissariamento e lo scioglimento del consiglio comunale.

La "gestione" dei rifiuti è da sempre una delle chiavi di potere e di guadagno della camorra, non stupisce quindi che la gestione autonoma ed efficiente del sindaco di Camigliano disturbi qualche potente. Cenname, ovviamente, difende la propria scelta: "Ha garantito il raggiungimento di notevoli percentuali di rifiuti differenziati. Un risultato eccellente, nonostante le mille difficoltà di portare fuori regione, e quindi con costi notevoli, la frazione umida dei rifiuti” - ma nonostante questo, continua il sindaco - "E' ormai da 4 anni che la tarsu non subisce aumenti e per di più tutte le spettanze sono state liquidate senza che siano stati accumulati debiti".

Una gestione economica ed efficiente quindi, come ha anche certificato il Tar della Campania che ha avvallato la scelta indipendentista del Comune respingendo il ricorso della provincia. Cosa che però, evidentemente, non ha fermato il prefetto dall'inviare quella raccomandata che suona più che altro come una minaccia. "Qualora la politica - ha scritto Cenname in risposta al prefetto - dovesse essere esautorata di quel poco potere decisionale che ha circa l'implementazione di servizi come la raccolta differenziata, allora non avrà più senso l'esistenza di alcun organo politico comunale e per questo, considerato che la politica non costituisce affatto un mestiere, sono pronto a consegnare il mio mandato amministrativo".

Speriamo che questo non accada, speriamo che Cenname resista e vinca la sua battaglia. Il solo fatto che accadano queste cose e che nessuno, non un giornale, non una televisione, ne parli, ci fa pensare - come scrive Marco Boschini - che stiamo vincendo, che hanno paura, che cominciano a reagire scompostamente dimostrando così tutta la loro debolezza e falsità e che alla lunga cittadini sempre più consapevoli faranno scelte che cambieranno davvero le cose, come hanno fatto gli abitanti dei comuni virtuosi.

di Andrea Boretti

14 maggio 2010

I supercomputer provocano il "crash automatico della borsa"
















Le screditate “agenzie di valutazione del credito” - rappresentate dalla triade dell’oligopolio anglosassone Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch – hanno assestato in modo selettivo un colpo devastante alla Grecia e all’euro (senza sfiorare gli Stati Uniti né la Gran Bretagna, tecnicamente in una situazione peggiore), e questo ha accelerato la seconda ondata di caos finanziario globale.

L’afflitto cancelliere tedesco Angela Merkel, che pecca di ingenuità infinita e affronta una elezione cruciale nel Nord Reno-Westfalia, ha fustigato il “perfido (sic) mercato” sregolato delle banche, degli hedge funds (fondi di copertura di rischio), gli speculatori e le agenzie di valutazione di credito (Bloomberg, 6/5/10).

Con la ovvia eccezione dell’arcipelago britannico, nell’Europa continentale sono piovute critiche contro la sbilanciata prestazione della triade anglosassone delle “agenzie di valutazione di credito”, che godono di un potere inusuale che urge addomesticare.

Michael Mackenzie, del The Financial Times ( 7/5/10) commenta che l’istantaneo crollo del pomeriggio del giovedì 6 maggio nelle borse degli Stati Uniti per il valore di un miliardo di dollari – equivalente al Pil del Messico-, e che ha avuto conseguenze sul mondo intero, rimane “tuttora un mistero (sic)”.

Varie versioni si susseguono: dal “pollice” di un operatore di borsa che ha sbagliato tasto nel fare il suo ordine di compravendita, passando per “l’effetto greco”, fino all’eventualità di un “sabotaggio” ipotizzato da Obama (Sam Youngman, The Hill, 7/5/10).

A quale hacker cinese, russo, nordcoreano o iraniano pretendono attribuire la colpa dei guasti inerenti lo sregolato modello neoliberista?

A giudizio di Michael Mackenzie l’improvvisa caduta che si è avviata nell”Indice S&P 500” è stata esacerbata dai supercomputer che “servono per vincolare i mercati e il cui panico si è diffuso ai mercati delle divise e dei buoni”.

Contro tutte le leggi suppostamente immutabili del “libero (sic) mercato”, i “quattro grandi luoghi” delle quotazioni delle azioni di borsa degli Stati uniti – NYSE Euronext, Nasdaq, BATS e Direct Edge- hanno cancellato le loro operazioni durante 20 minuti.

Negli Stati Uniti “cadono i sistemi”, come continuamente accade, in modo più primitivo, nelle elezioni presidenziali in Messico.

Il crack della borsa di New York del 1987 era stato attribuito a “programmi” che avevano esacerbato le cadute improvvise.

Le quotazioni finite irrimediabilmente al suolo si sono trasformate in sostanza essendo state superate dagli scambi di borsa di “alta frequenza” dei supercomputer, che usano algoritmi specializzati (“algos”) e che si realizzano simultaneamente in altre piazze annesse alle sedi conosciute.

Per i fondamentalisti del neoliberismo il “commercio algoritmico” (gli “algos”) attraverso i supercomputer ha reso più “efficienti (sic)” e più “liquidi” i mercati grazie al progresso tecnologico.

Lo stesso errore degli algoritmi dei supercomputer era capitato tre anni fa nella borsa di New York NYSE con le operazioni di Crédit Suisse.

Questi algoritmi sono “programmi di software” che “decidono quando, come e dove negoziare certi strumenti finanziari senza il bisogno di alcun intervento umano” (“Il fantasma nelle macchine”, The Financial Times, 17/2/10).

Oggi i “mercati” praticamente automatizzati sono dominati dai “mercanti di alta frequenza” (intorno al 60% di tutte le operazioni), che sfruttano la congiunzione tecnologica e l’ultravelocità che sorpassa gli astanti, per non parlare degli scommettitori, nell’acquisto di affari in alcuni microsecondi. Uff!

Parallelamente, esiste una tecnologia separata che scrutina le notizie per dare agli algoritmi la sua “direzionalità” (il suo senso).

Jeremy Grant analizza i conseguimenti del “commercio algoritmico” di alta frequenza che ha perturbato ( e scombussolato, come è avvenuto l’infausto giovedì) gli scambi borsistici (The Financial Times, 7/5/10): “oggi i mercati borsistici sono diretti in modo schiacciante da algoritmi matematici programmati per entrare ed uscire dai mercati quasi alla velocità della luce, nella frenetica ricerca di affari che risultino in facili guadagni”.

A giudizio di Jeremy Grant, il “commercio algoritmico” serve “gli interessi dei mercanti a breve termine, che usano la più recente magia computazionale”.

Oggi più della metà degli affari di borsa negli Stati Uniti “coinvolge l’uso del commercio algoritmico” dato che le quotazioni non si realizzano unicamente nelle conosciute borse di New York e Nasdaq bensì “in altre piattaforme pletoriche (sic)”, che includono “zone oscure (sic)” – dark pools – e “sistemi operati dagli stessi mercanti”. Ora “meno del 35 per cento delle quotazioni si realizza nella borsa di New York” (NYSE, sigla in inglese), poiché “esistono sistemi che sono riusciti a fare transazioni in soli 16 microsecondi.

Si tratta di borse di valori tecnologiche senza umani o disumanizzate?

L’impressionante verità è che “la maggioranza delle azioni cambiano di proprietario nei centri con dati vasti”. Uno dei centri di dati, construito da NYSE Euronext a Basildon (Gran Bretagna) – “proprietario” della borsa di New York -, misura l’equivalente di tre campi di calcio.

Nonostante la sconcertante “rivoluzione tecnologica”, Jeremy Grant questiona “ gli esistenti sistemi di gestione di rischio per prevenire algoritmi fallaci”.

A quanto pare, il giovedì pomeriggio quei sistemi operati da macchine sono stati sul punto di portare il mondo ad una catastrofe borsistica.

Rimane assodato che la tecnologia guidata dai supercomputer ha trasformato il modo in cui si gestiscono i “mercati” che si trovano nelle mani di poche entità finanziarie globali, di per sè oligopolistiche, che dispongono dei nuovi strumenti di navigazione borsistica che hanno messo fuori gioco gli “investitori ordinari” ( leggasi: praticamente tutto il mondo, con l’eccezione della banca israelo-anglosassone).

Le catastrofi tanto deliberate quanto tecniche della sregolata globalizzazione finanziaria obbligano al ripensamento del dominio e gestione del denaro mondiale, così come de “l’arbitraggio” delle sue screditate “agenzie di valutazione del credito”, dalla plutocrazia della banca israelo-anglosassone che ha portato il suo controllo a livelli intollerabili per tutti gli abitanti del pianeta.

Oggi la vera liberazione del genere umano è anzitutto finanziaria.

Un primo passo per i paesi colpiti – ovvero la stragrande maggioranza meno tre, come è rimasto assodato dopo la deliberata balcanizzazione e vulcanizzazione dell’eurozona – consiste nello stabilire sistemi propri di emissione di moneta (che includano la puntellatura con materie prime strategiche) e di gestione del credito, con autonomia regolatoria nazionale (non trasnazionale), e nell’uscita il prima possibile – prima di rimanere passivamente annichiliti – dal perverso gioco finanziario delle piazze delle borse di New York e Londra (in realtà, dei suoi supercomputer e dei suoi “algos” controllati dalla banca israelo-anglosassone). Questa è la maggiore sfida che l’umanità affronta oggi.

di Alfredo Jalife-Rahme

Fonte: http://www.jornada.unam.mx/

13 maggio 2010

Un piano di 750 miliardi per difendere l’euro

L’Europa e il Fondo monetario internazionale si sono accordati per un piano di 750 miliardi di aiuti per “salvare l’euro dalla speculazione”. Ben 250 miliardi verranno dal Fmi mentre gli altri 500 dai Paesi europei. Di questi, 60 miliardi verranno stanziati dalla Commissione europea e gli altri 440 saranno costituiti da prestiti e garanzie fornite dai Paesi membri del sistema dell’euro. I ministri delle Finanze dei 27 Paesi membri, recita un comunicato, “hanno deciso un pacchetto comprensivo di misure per preservare la stabilità finanziaria in Europa, compreso un meccanismo di stabilizzazione finanziaria”.
La concessione di fondi ai Paesi che dovessero averne bisogno sarà associata a “condizioni rigorose” e con un sistema che è molto simile a quello stabilito per la Grecia. Mentre la Banca centrale europea e la Bundesbank si sono dette pronte ad acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà.
Trovare un accordo è stato molto faticoso sia perché si metterà in campo una cifra di risorse imponente sia per l’impegno che tutto questo comporterà in termini squisitamente finanziari ma anche politici. Basti pensare che il piano di aiuti triennali di 110 miliardi a favore della Grecia, da parte della UE e del FMI, con un impegno tedesco di oltre 22 miliardi, è costato al Cancelliere tedesco Angela Merkel (nella foto) la sconfitta nelle elezioni regionali nel Nord Reno-Westfalia. In una fase di crisi come questa, nella quale i governi e gli organismi finanziari internazionali invitano a fare sacrifici e a stringere la cinghia, nessun cittadino è infatti disposto a vedersi oberato di nuovi impegni, peraltro originati dai buchi di bilancio degli altri Paesi. Con tanti saluti alla solidarietà europea.
Nonostante la risposta più che positiva delle Borse, quello che comunque appare assurdo è che i governi europei si pongano l’obiettivo di porre in essere misure per vanificare gli effetti della speculazione e nessuno di essi vada al cuore del problema. Nessuno quindi che si ponga di eliminare la speculazione finanziaria in quanto tale sia in Europa che sugli altri mercati, ad incominciare da quello statunitense. Nessuno che si ponga il problema che è necessario stabilire regole internazionali che impongano che non si possono investire i soldi che non si hanno, che è poi il principio base della speculazione. Nessuno che chieda a Barack Hussein Obama, il maggiordomo dell’Alta Finanza Usa, di impedire ai gangster di Wall Street di agire indisturbati. Se l’euro è sotto pressione è perché criminali del calibro di George Soros e John Paulson, o i dirigenti di banche tipo la Goldman Sachs, possono continuare a raccogliere denaro virtuale sui mercati, cioè soldi che non possiedono, e poi puntarlo contro i titoli di Stato greci e domani su quelli italiani, per guadagnarci sul breve termine e per affossare il sistema dell’euro sul lungo termine.
L’altro assurdo è che la speculazione venga da un Paese, come gli Stati Uniti, che da decenni vive alle spalle degli altri Paesi in conseguenza del suo enorme deficit commerciale e dell’altrettanto enorme debito pubblico. Due peculiarità che fanno sì che il dollaro non sia altro che carta straccia. Da parte sua, Obama si è limitato ad incoraggiare per telefono la Merkel ad adottare azioni decise in difesa della stabilità finanziaria dell'Europa, perché si è reso conto che un'azione speculativa a largo spettro contro l'euro, organizzata dai suoi padroni, avrebbe rischiato di avere effetti dirompenti sulle esportazioni degli stessi Stati Uniti. La realtà è quindi che l’Europa è impotente nei confronti degli speculatori, dal ministro svedese Anders Borg definiti “sciacalli”, e che le uniche misure che è in grado di varare sono quelle di contenimento e di difesa. Siamo in grado di difendere l’euro dagli speculatori, ha garantito la Merkel. Ma non di impedirgli di speculare.

Londra va per conto suo
Un altro aspetto che è emerso dalla riunione dell’Ecofin di Bruxelles è stato il no di Londra al piano di difesa dell’euro. Un no che era prevedibile non fosse altro che la Gran Bretagna non fa parte dell’euro e continua ad essere tenacemente attaccata alla sterlina. Ma soprattutto perché la Gran Bretagna ha svolto un ruolo determinante nel fare scoppiare la crisi finanziaria a cavallo tra il 2007 e il 2008. La finanza britannica ha infatti una forte impronta speculativa ed è proprio sullo sviluppo della finanza che i governi laburisti di Blair e Brown hanno impostato la loro politica economica negli ultimi 15 anni e che ha comportato un enorme piano di aiuti per salvare le banche che avevano massicciamente speculato. Proporzionalmente, forse più delle stesse banche americane. Una politica economica che ha comportato una non indifferente deindustrializzazione del Paese e che ora la Gran Bretagna sta pagando pesantemente con una crisi economica devastante, con il disavanzo pubblico ad oltre il 12%, con una disoccupazione di massa e una povertà crescente e con il valore della sterlina in caduta libera.

Nuove regole in arrivo
Resta in ogni caso la realtà di un Europa che di fatto è nata intorno ad un progetto di mercato unico e con un disegno politico messo in secondo piano e al servizio di quello. E’ da questa impostazione di partenza, nella quale i governi e la politica hanno accettato di essere sovrastrutture dell’economia e della finanza, che nasce l’impotenza nei riguardi della speculazione con l’adozione di misure che sono palliativi perché non vanno alla radice del problema, Adesso le prossime tappe saranno l’adozione da parte dei Paesi più a rischio, come Spagna e Portogallo, di misure di contenimento della spesa pubblica con tutto ciò che questo comporterà in settori come le pensioni e l’assistenza sanitaria. Poi il prossimo 21 maggio ci sarà la prima riunione del comitato per la riforma del Patto di stabilità. Da parte sua, il presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso, ha affermato che, dopo le decisioni prese domenica notte, ogni tentativo della speculazione di indebolire la stabilità delle economie dell'euro è destinato a fallire. Sulla stessa linea il ministro degli Esteri, Franco Frattini che ha affermato che dopo aver spento l'incendio che rischiava di propagarsi a tutta la casa comune europea, si deve riflettere sulle regole che governano l’economia e la finanza, e rivedere i meccanismi di allerta sugli squilibri in atto e il peso e il ruolo delle agenzie di rating.

S&P promuove il piano
Giudizi positivi, e questo dovrebbe essere preoccupante, sono arrivati proprio da una agenzia di rating Usa, come Standard&Poor’s, che ha sottolineato che il piano europeo di sostegno all’euro, rappresenta una soluzione positiva sul lungo periodo perché fornisce un sistema di difesa e di protezione sul lungo periodo nei confronti dei Paesi più vulnerabili al rischio contagio. Si tratta di un piano di grande portata, ha detto un dirigenti di S&P. Per alcune settimane, ha sostenuto, l'Europa è stata severamente criticata dai mercati per i ritardi nel fornire risposte e così il piano avrebbe approvato ha recepito queste perplessità. Dubbi che in realtà erano quelli delle stesse società di rating che stavano di fatto facendo il gioco degli speculatori declassando l’affidabilità dei titoli del debito pubblico di diversi Stati, come l’Italia, e di conseguenza affossando la stabilità dell’euro. Per S&P, in ogni caso non ci sarebbe alcuna ragione per temere che qualche Paese europeo sia obbligato a lasciare il sistema dell’euro.

15 maggio 2010

Attacco al Comune di Camigliano: "Lasciate i rifiuti o rischiate il commissariamento"


comuni virtuosi
I Comuni Virtuosi sono Comuni i cui primi cittadini intendono il loro incarico come servizio ai cittadini e alla comunità, con risultati molto evidenti
I Comuni Virtuosi - chi segue la nostra testata ne ha sentito parlare spesso - sono quelli i cui primi cittadini intendono il loro incarico come servizio ai cittadini e alla comunità, con risultati molto evidenti.

Questo spaventa chi invece ha della politica un'idea opposta. La politica come opportunità di ottenere vantaggi personali, la politica delle poltrone, del potere, del controllo del consenso. Questa politica comincia ad avere paura dell'esempio dei Comuni virtuosi e lo dimostra quanto sta accadendo al Comune virtuoso di Camigliano (CE) guidato dal sindaco Vincenzo Cenname.

Camigliano è un comune con il 65% di raccolta differenziata, è un comune che fa il compostaggio domestico e ha abbassato la tassa rifiuti ai cittadini oltre ad inserire i pannolini lavabili negli asili nido e a recuperare gli oli esausti.

Ma non basta. Camigliano ha smesso di erodere il proprio territorio, di cementificarlo e ha anche messo lampade a basso consumo nel cimitero. Piccole ma grandi cose - soprattutto se fatte in Provincia di Caserta dove camorra e politica governano spesso insieme - tutte volte a migliorare la vita dei cittadini nel rispetto dell'ambiente in cui si è scelto di vivere.

Ecco, in una situazione come questa, succede che il prefetto di Caserta Ezio Monaco diffidi il sindaco Cenname affinché trasmetta alla società provinciale che gestisce la raccolta rifiuti gli archivi di Tarsu e Tia, pena il commissariamento e lo scioglimento del consiglio comunale.

La "gestione" dei rifiuti è da sempre una delle chiavi di potere e di guadagno della camorra, non stupisce quindi che la gestione autonoma ed efficiente del sindaco di Camigliano disturbi qualche potente. Cenname, ovviamente, difende la propria scelta: "Ha garantito il raggiungimento di notevoli percentuali di rifiuti differenziati. Un risultato eccellente, nonostante le mille difficoltà di portare fuori regione, e quindi con costi notevoli, la frazione umida dei rifiuti” - ma nonostante questo, continua il sindaco - "E' ormai da 4 anni che la tarsu non subisce aumenti e per di più tutte le spettanze sono state liquidate senza che siano stati accumulati debiti".

Una gestione economica ed efficiente quindi, come ha anche certificato il Tar della Campania che ha avvallato la scelta indipendentista del Comune respingendo il ricorso della provincia. Cosa che però, evidentemente, non ha fermato il prefetto dall'inviare quella raccomandata che suona più che altro come una minaccia. "Qualora la politica - ha scritto Cenname in risposta al prefetto - dovesse essere esautorata di quel poco potere decisionale che ha circa l'implementazione di servizi come la raccolta differenziata, allora non avrà più senso l'esistenza di alcun organo politico comunale e per questo, considerato che la politica non costituisce affatto un mestiere, sono pronto a consegnare il mio mandato amministrativo".

Speriamo che questo non accada, speriamo che Cenname resista e vinca la sua battaglia. Il solo fatto che accadano queste cose e che nessuno, non un giornale, non una televisione, ne parli, ci fa pensare - come scrive Marco Boschini - che stiamo vincendo, che hanno paura, che cominciano a reagire scompostamente dimostrando così tutta la loro debolezza e falsità e che alla lunga cittadini sempre più consapevoli faranno scelte che cambieranno davvero le cose, come hanno fatto gli abitanti dei comuni virtuosi.

di Andrea Boretti

14 maggio 2010

I supercomputer provocano il "crash automatico della borsa"
















Le screditate “agenzie di valutazione del credito” - rappresentate dalla triade dell’oligopolio anglosassone Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch – hanno assestato in modo selettivo un colpo devastante alla Grecia e all’euro (senza sfiorare gli Stati Uniti né la Gran Bretagna, tecnicamente in una situazione peggiore), e questo ha accelerato la seconda ondata di caos finanziario globale.

L’afflitto cancelliere tedesco Angela Merkel, che pecca di ingenuità infinita e affronta una elezione cruciale nel Nord Reno-Westfalia, ha fustigato il “perfido (sic) mercato” sregolato delle banche, degli hedge funds (fondi di copertura di rischio), gli speculatori e le agenzie di valutazione di credito (Bloomberg, 6/5/10).

Con la ovvia eccezione dell’arcipelago britannico, nell’Europa continentale sono piovute critiche contro la sbilanciata prestazione della triade anglosassone delle “agenzie di valutazione di credito”, che godono di un potere inusuale che urge addomesticare.

Michael Mackenzie, del The Financial Times ( 7/5/10) commenta che l’istantaneo crollo del pomeriggio del giovedì 6 maggio nelle borse degli Stati Uniti per il valore di un miliardo di dollari – equivalente al Pil del Messico-, e che ha avuto conseguenze sul mondo intero, rimane “tuttora un mistero (sic)”.

Varie versioni si susseguono: dal “pollice” di un operatore di borsa che ha sbagliato tasto nel fare il suo ordine di compravendita, passando per “l’effetto greco”, fino all’eventualità di un “sabotaggio” ipotizzato da Obama (Sam Youngman, The Hill, 7/5/10).

A quale hacker cinese, russo, nordcoreano o iraniano pretendono attribuire la colpa dei guasti inerenti lo sregolato modello neoliberista?

A giudizio di Michael Mackenzie l’improvvisa caduta che si è avviata nell”Indice S&P 500” è stata esacerbata dai supercomputer che “servono per vincolare i mercati e il cui panico si è diffuso ai mercati delle divise e dei buoni”.

Contro tutte le leggi suppostamente immutabili del “libero (sic) mercato”, i “quattro grandi luoghi” delle quotazioni delle azioni di borsa degli Stati uniti – NYSE Euronext, Nasdaq, BATS e Direct Edge- hanno cancellato le loro operazioni durante 20 minuti.

Negli Stati Uniti “cadono i sistemi”, come continuamente accade, in modo più primitivo, nelle elezioni presidenziali in Messico.

Il crack della borsa di New York del 1987 era stato attribuito a “programmi” che avevano esacerbato le cadute improvvise.

Le quotazioni finite irrimediabilmente al suolo si sono trasformate in sostanza essendo state superate dagli scambi di borsa di “alta frequenza” dei supercomputer, che usano algoritmi specializzati (“algos”) e che si realizzano simultaneamente in altre piazze annesse alle sedi conosciute.

Per i fondamentalisti del neoliberismo il “commercio algoritmico” (gli “algos”) attraverso i supercomputer ha reso più “efficienti (sic)” e più “liquidi” i mercati grazie al progresso tecnologico.

Lo stesso errore degli algoritmi dei supercomputer era capitato tre anni fa nella borsa di New York NYSE con le operazioni di Crédit Suisse.

Questi algoritmi sono “programmi di software” che “decidono quando, come e dove negoziare certi strumenti finanziari senza il bisogno di alcun intervento umano” (“Il fantasma nelle macchine”, The Financial Times, 17/2/10).

Oggi i “mercati” praticamente automatizzati sono dominati dai “mercanti di alta frequenza” (intorno al 60% di tutte le operazioni), che sfruttano la congiunzione tecnologica e l’ultravelocità che sorpassa gli astanti, per non parlare degli scommettitori, nell’acquisto di affari in alcuni microsecondi. Uff!

Parallelamente, esiste una tecnologia separata che scrutina le notizie per dare agli algoritmi la sua “direzionalità” (il suo senso).

Jeremy Grant analizza i conseguimenti del “commercio algoritmico” di alta frequenza che ha perturbato ( e scombussolato, come è avvenuto l’infausto giovedì) gli scambi borsistici (The Financial Times, 7/5/10): “oggi i mercati borsistici sono diretti in modo schiacciante da algoritmi matematici programmati per entrare ed uscire dai mercati quasi alla velocità della luce, nella frenetica ricerca di affari che risultino in facili guadagni”.

A giudizio di Jeremy Grant, il “commercio algoritmico” serve “gli interessi dei mercanti a breve termine, che usano la più recente magia computazionale”.

Oggi più della metà degli affari di borsa negli Stati Uniti “coinvolge l’uso del commercio algoritmico” dato che le quotazioni non si realizzano unicamente nelle conosciute borse di New York e Nasdaq bensì “in altre piattaforme pletoriche (sic)”, che includono “zone oscure (sic)” – dark pools – e “sistemi operati dagli stessi mercanti”. Ora “meno del 35 per cento delle quotazioni si realizza nella borsa di New York” (NYSE, sigla in inglese), poiché “esistono sistemi che sono riusciti a fare transazioni in soli 16 microsecondi.

Si tratta di borse di valori tecnologiche senza umani o disumanizzate?

L’impressionante verità è che “la maggioranza delle azioni cambiano di proprietario nei centri con dati vasti”. Uno dei centri di dati, construito da NYSE Euronext a Basildon (Gran Bretagna) – “proprietario” della borsa di New York -, misura l’equivalente di tre campi di calcio.

Nonostante la sconcertante “rivoluzione tecnologica”, Jeremy Grant questiona “ gli esistenti sistemi di gestione di rischio per prevenire algoritmi fallaci”.

A quanto pare, il giovedì pomeriggio quei sistemi operati da macchine sono stati sul punto di portare il mondo ad una catastrofe borsistica.

Rimane assodato che la tecnologia guidata dai supercomputer ha trasformato il modo in cui si gestiscono i “mercati” che si trovano nelle mani di poche entità finanziarie globali, di per sè oligopolistiche, che dispongono dei nuovi strumenti di navigazione borsistica che hanno messo fuori gioco gli “investitori ordinari” ( leggasi: praticamente tutto il mondo, con l’eccezione della banca israelo-anglosassone).

Le catastrofi tanto deliberate quanto tecniche della sregolata globalizzazione finanziaria obbligano al ripensamento del dominio e gestione del denaro mondiale, così come de “l’arbitraggio” delle sue screditate “agenzie di valutazione del credito”, dalla plutocrazia della banca israelo-anglosassone che ha portato il suo controllo a livelli intollerabili per tutti gli abitanti del pianeta.

Oggi la vera liberazione del genere umano è anzitutto finanziaria.

Un primo passo per i paesi colpiti – ovvero la stragrande maggioranza meno tre, come è rimasto assodato dopo la deliberata balcanizzazione e vulcanizzazione dell’eurozona – consiste nello stabilire sistemi propri di emissione di moneta (che includano la puntellatura con materie prime strategiche) e di gestione del credito, con autonomia regolatoria nazionale (non trasnazionale), e nell’uscita il prima possibile – prima di rimanere passivamente annichiliti – dal perverso gioco finanziario delle piazze delle borse di New York e Londra (in realtà, dei suoi supercomputer e dei suoi “algos” controllati dalla banca israelo-anglosassone). Questa è la maggiore sfida che l’umanità affronta oggi.

di Alfredo Jalife-Rahme

Fonte: http://www.jornada.unam.mx/

13 maggio 2010

Un piano di 750 miliardi per difendere l’euro

L’Europa e il Fondo monetario internazionale si sono accordati per un piano di 750 miliardi di aiuti per “salvare l’euro dalla speculazione”. Ben 250 miliardi verranno dal Fmi mentre gli altri 500 dai Paesi europei. Di questi, 60 miliardi verranno stanziati dalla Commissione europea e gli altri 440 saranno costituiti da prestiti e garanzie fornite dai Paesi membri del sistema dell’euro. I ministri delle Finanze dei 27 Paesi membri, recita un comunicato, “hanno deciso un pacchetto comprensivo di misure per preservare la stabilità finanziaria in Europa, compreso un meccanismo di stabilizzazione finanziaria”.
La concessione di fondi ai Paesi che dovessero averne bisogno sarà associata a “condizioni rigorose” e con un sistema che è molto simile a quello stabilito per la Grecia. Mentre la Banca centrale europea e la Bundesbank si sono dette pronte ad acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà.
Trovare un accordo è stato molto faticoso sia perché si metterà in campo una cifra di risorse imponente sia per l’impegno che tutto questo comporterà in termini squisitamente finanziari ma anche politici. Basti pensare che il piano di aiuti triennali di 110 miliardi a favore della Grecia, da parte della UE e del FMI, con un impegno tedesco di oltre 22 miliardi, è costato al Cancelliere tedesco Angela Merkel (nella foto) la sconfitta nelle elezioni regionali nel Nord Reno-Westfalia. In una fase di crisi come questa, nella quale i governi e gli organismi finanziari internazionali invitano a fare sacrifici e a stringere la cinghia, nessun cittadino è infatti disposto a vedersi oberato di nuovi impegni, peraltro originati dai buchi di bilancio degli altri Paesi. Con tanti saluti alla solidarietà europea.
Nonostante la risposta più che positiva delle Borse, quello che comunque appare assurdo è che i governi europei si pongano l’obiettivo di porre in essere misure per vanificare gli effetti della speculazione e nessuno di essi vada al cuore del problema. Nessuno quindi che si ponga di eliminare la speculazione finanziaria in quanto tale sia in Europa che sugli altri mercati, ad incominciare da quello statunitense. Nessuno che si ponga il problema che è necessario stabilire regole internazionali che impongano che non si possono investire i soldi che non si hanno, che è poi il principio base della speculazione. Nessuno che chieda a Barack Hussein Obama, il maggiordomo dell’Alta Finanza Usa, di impedire ai gangster di Wall Street di agire indisturbati. Se l’euro è sotto pressione è perché criminali del calibro di George Soros e John Paulson, o i dirigenti di banche tipo la Goldman Sachs, possono continuare a raccogliere denaro virtuale sui mercati, cioè soldi che non possiedono, e poi puntarlo contro i titoli di Stato greci e domani su quelli italiani, per guadagnarci sul breve termine e per affossare il sistema dell’euro sul lungo termine.
L’altro assurdo è che la speculazione venga da un Paese, come gli Stati Uniti, che da decenni vive alle spalle degli altri Paesi in conseguenza del suo enorme deficit commerciale e dell’altrettanto enorme debito pubblico. Due peculiarità che fanno sì che il dollaro non sia altro che carta straccia. Da parte sua, Obama si è limitato ad incoraggiare per telefono la Merkel ad adottare azioni decise in difesa della stabilità finanziaria dell'Europa, perché si è reso conto che un'azione speculativa a largo spettro contro l'euro, organizzata dai suoi padroni, avrebbe rischiato di avere effetti dirompenti sulle esportazioni degli stessi Stati Uniti. La realtà è quindi che l’Europa è impotente nei confronti degli speculatori, dal ministro svedese Anders Borg definiti “sciacalli”, e che le uniche misure che è in grado di varare sono quelle di contenimento e di difesa. Siamo in grado di difendere l’euro dagli speculatori, ha garantito la Merkel. Ma non di impedirgli di speculare.

Londra va per conto suo
Un altro aspetto che è emerso dalla riunione dell’Ecofin di Bruxelles è stato il no di Londra al piano di difesa dell’euro. Un no che era prevedibile non fosse altro che la Gran Bretagna non fa parte dell’euro e continua ad essere tenacemente attaccata alla sterlina. Ma soprattutto perché la Gran Bretagna ha svolto un ruolo determinante nel fare scoppiare la crisi finanziaria a cavallo tra il 2007 e il 2008. La finanza britannica ha infatti una forte impronta speculativa ed è proprio sullo sviluppo della finanza che i governi laburisti di Blair e Brown hanno impostato la loro politica economica negli ultimi 15 anni e che ha comportato un enorme piano di aiuti per salvare le banche che avevano massicciamente speculato. Proporzionalmente, forse più delle stesse banche americane. Una politica economica che ha comportato una non indifferente deindustrializzazione del Paese e che ora la Gran Bretagna sta pagando pesantemente con una crisi economica devastante, con il disavanzo pubblico ad oltre il 12%, con una disoccupazione di massa e una povertà crescente e con il valore della sterlina in caduta libera.

Nuove regole in arrivo
Resta in ogni caso la realtà di un Europa che di fatto è nata intorno ad un progetto di mercato unico e con un disegno politico messo in secondo piano e al servizio di quello. E’ da questa impostazione di partenza, nella quale i governi e la politica hanno accettato di essere sovrastrutture dell’economia e della finanza, che nasce l’impotenza nei riguardi della speculazione con l’adozione di misure che sono palliativi perché non vanno alla radice del problema, Adesso le prossime tappe saranno l’adozione da parte dei Paesi più a rischio, come Spagna e Portogallo, di misure di contenimento della spesa pubblica con tutto ciò che questo comporterà in settori come le pensioni e l’assistenza sanitaria. Poi il prossimo 21 maggio ci sarà la prima riunione del comitato per la riforma del Patto di stabilità. Da parte sua, il presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso, ha affermato che, dopo le decisioni prese domenica notte, ogni tentativo della speculazione di indebolire la stabilità delle economie dell'euro è destinato a fallire. Sulla stessa linea il ministro degli Esteri, Franco Frattini che ha affermato che dopo aver spento l'incendio che rischiava di propagarsi a tutta la casa comune europea, si deve riflettere sulle regole che governano l’economia e la finanza, e rivedere i meccanismi di allerta sugli squilibri in atto e il peso e il ruolo delle agenzie di rating.

S&P promuove il piano
Giudizi positivi, e questo dovrebbe essere preoccupante, sono arrivati proprio da una agenzia di rating Usa, come Standard&Poor’s, che ha sottolineato che il piano europeo di sostegno all’euro, rappresenta una soluzione positiva sul lungo periodo perché fornisce un sistema di difesa e di protezione sul lungo periodo nei confronti dei Paesi più vulnerabili al rischio contagio. Si tratta di un piano di grande portata, ha detto un dirigenti di S&P. Per alcune settimane, ha sostenuto, l'Europa è stata severamente criticata dai mercati per i ritardi nel fornire risposte e così il piano avrebbe approvato ha recepito queste perplessità. Dubbi che in realtà erano quelli delle stesse società di rating che stavano di fatto facendo il gioco degli speculatori declassando l’affidabilità dei titoli del debito pubblico di diversi Stati, come l’Italia, e di conseguenza affossando la stabilità dell’euro. Per S&P, in ogni caso non ci sarebbe alcuna ragione per temere che qualche Paese europeo sia obbligato a lasciare il sistema dell’euro.