![]() Perché gridare “al lupo” con lo Stato Maggiore israeliano? Si fa molto caso al fatto che, già da qualche giorno, uno squadra americana ha attraversato il Canale di Suez in direzione del Mar Rosso. La portaerei Truman e una dozzina di navi di scorta, fra cui un lancia missili israeliano, si dirigono verso il Golfo Persico, a quanto scrive lo stesso giornale Haaretz, con notizie di prima mano in provenienza dallo Stato Maggiore israeliano (1). Nel frattempo ufficiali dell’armata israeliana, sempre loro, informavano il Sunday Times di Londra, dell’accordo con l’Arabia Saudita, per un uso offensivo del suo spazio aereo, in previsione di un attacco israeliano imminente contro i centri di ricerca nucleare iraniani. Di fronte ad un’immediata smentita formale ed ufficiale dell’Arabia Saudita, i venditori di voci si sono fatti suggerire come via alternativa sia la Giordania, che l’Irak o il Kuwait, sotto occupazione americana (2), che sarebbero il nuovo corridoio dell’attacco imminente contro l’Iran. Bombe da varie tonnellate di peso, le anti-bunkers Blu-117, sarebbero inviate verso la base americana di Diego Garcia e verso i depositi di sicurezza americani in Israele. Gli aerei americani B-2, capaci di bucare le difese anti-aeree iraniane, sarebbero pronti a decollare per attaccare l’Iran, senza contare qualche sottomarino nucleare Dolphin, fornito dalla Germania ad Israele, che sarebbe in immersione nel Golfo Persico. Come se questo scenario apocalittico non fosse sufficiente, il giornale il Manifesto, fornisce un’informazione molto precisa, anch’essa proveniente dallo Stato Maggiore israeliano: truppe aerotrasportate e marines farebbero parte della squadra che ha attraversato il canale di Suez. Il misterioso ufficiale dello Stato Maggiore israeliano ha rifiutato, tuttavia, di svelare la data e l’ora precise dell’attacco contro le centrali nucleari iraniane di Bushehr. Ci si meraviglia di una tale mancanza di cortesia dalla parte di un ufficiale tanto prolisso (3) Per Michel Chossudovsky l’ultima risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU, che autorizza delle sanzioni aggravate contro l’Iran, non sarebbe niente altro che un semaforo verde dell’ONU, ad un attacco preventivo americano-israeliano contro l’Iran. Il signor Chossudovsky conclude che “La risoluzione del Consiglio di sicurezza trasforma l’Iran in una facile preda”. (4) Nessuna risoluzione dell’ONU può trasformare l’Iran in una facile preda per l’imperialismo americano. Gli Stati Uniti lo hanno già provato al momento dell’invasione dell’Irak, fanno a meno delle risoluzioni dell’ONU, quando decidono d’aggredire e d’invadere uno Stato libero ed indipendente. Gli Stati Uniti non hanno assolutamente necessità degli aerei F-16 di cui hanno fornito gli israeliani, come anche della nave porta missili e ancora meno del sottomarino nucleare israeliano, di seconda mano, per effettuare una tale aggressione, contro i centri di ricerca nucleare iraniani. Al momento dell’attacco contro l’Afganistan, come anche al momento dell’invasione dell’Irak , ufficialmente, le truppe israeliane erano state tenute lontano dal teatro delle operazioni. Se aerei B-2 sono stati localizzati a Diego Garcia, possono effettuare il lavoro di distruzione, ed è inutile implicarci gli aerei americani pilotati dagli israeliani, è totalmente ridicolo portare una portaerei americana nel Golfo Persico per renderla preda della contro-offensiva iraniana e per eventualmente bloccarla, con tutta la sua squadra in questo piccolo mare interno, nel caso della chiusura dello stretto di Ormuz. Infine, gli Stati Uniti, si sarebbero ridotti a prospettare l’utilizzo dell’arma atomica contro l’Iran? No, sicuramente non ancora. Ultimo argomento, dopo il crollo irakeno dal quale gli americani non sono ancora usciti, ma dal quale sperano di uscire prossimamente, grazie alla collaborazione dell’Iran sciita, e del suo appello alla calma, rivolto ai resistenti sciiti irakeni, è assolutamente escluso che gli Stati Uniti possano prospettarsi uno sbarco e un’invasione terrestre dell’Iran. Siamo seri, un milione di soldati irakeni sono stati tenuti sotto scacco dall’Iran khoomeinista. Quanti soldati americani sarebbero necessari per occupare il territorio iraniano? Senza contare che le truppe della NATO affondano sempre più nella palude afgana, dove sono poste sotto scacco dalla resistenza afgana, non beneficiante affatto del sostegno iraniano, ma solamente del sostegno dei loro fratelli d’armi del Pakistan, dove gli attacchi aerei americani fanno numerose vittime civili, senza peraltro, marcare alcun successo militare. Immaginate qualche istante l’avvenire delle truppe della NATO in questa parte del mondo se l’Iran sostenesse la resistenza afgana, la resistenza pakistana, e se lanciasse la resistenza sciita irakena, contro i collaboratori kurdi e contro i collaboratori irakeni! Dopo tutti questi disastri militari americani, chi crederà veramente che gli Stati Uniti si preparano ad aprire un nuovo fronte militare contro l’Iran? La Risoluzione 1929 dell’ONU Cosa dice la risoluzione 1929, che presenta tutta una nuova raffica di sanzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 9 giugno scorso? “Il Consiglio di sicurezza ha votato l’imposizione di una quarta serie di ampie sanzioni contro la Repubblica islamica dell’Iran, che comprendono un embargo sulle armi come anche dei: controlli finanziari più severi”. Il presidente Ahmadinejad ha, da parte sua, qualificato la risoluzione del Consiglio di carta sporca senza valore (5). Contrariamente a M. Chossudovsky noi non crediamo che tale risoluzione fornisca “semaforo verde all’alleanza militare Stati-Uniti-NATO-Israele per minacciare l’Iran di un attacco nucleare preventivo e punitivo, corroborato dal sigillo del Consiglio di sicurezza dell’ONU.” (6) E’ d’altronde la ragione che spiega perché gli alleati dell’Iran, la Russia e la Cina, hanno preferito votare a favore di questa ingiusta risoluzione, iniqua ma in pratica inoffensiva, che entrambe queste potenze non hanno affatto l’intenzione di rispettare, come sospetta il signor Chossudovsky: “se essa fosse pienamente applicata, non solamente la risoluzione invaliderebbe gli accordi bilaterali di cooperazione militare con l’Iran, ma creerebbe una breccia nell’Organizzazione della cooperazione di Shangai (OCS)”. (7) Buona conclusione signor Chossudovsky. E’ pericoloso per i democratici del mondo e per i popoli intrisi di pace e di giustizia, speculare sulle alleanze imperialiste e proporre d’appoggiare un’alleanza aggressiva (l’OCS) contro un’altra alleanza aggressiva (la NATO) come suggerisce l’autore dell’analisi: “La Federazione Russa e la Repubblica popolare Cinese hanno ceduto alle pressioni americane e hanno votato a favore di una risoluzione, che non è solo pregiudizievole per la sicurezza dell’Iran, ma che indebolisce seriamente e sabota il loro ruolo strategico come potenziali potenze mondiali rivali sullo scacchiere geopolitica eurasiatico”. (8) Cosa ha guadagnato il mondo dal rinforzarsi delle potenze rivali russa e cinese? La guerra fra potenze rivali? Come prova, che nessuno conta di rispettare questa nuova raffica di sanzioni adottata dal Consiglio di sicurezza, pochi giorni dopo l’adozione della Risoluzione 1929, il Pakistan firmava un accordo d’approvvigionamento di gas con l’Iran e apriva la porta all’approvvigionamento cinese tramite un oleodotto, che evita il tanto minacciato Stretto di Ormuz. Questo ultimo punto è di natura tale da indisporre fortemente gli americani (9) che perdono così un potente mezzo di pressione sull’economia cinese. Noi l’abbiamo già scritto, gli americani non fanno la guerra in questa parte del mondo per costruire degli oleodotti ed assicurare l’approvvigionamento in idrocarburi, ma per ostacolare la costruzione d’oleodotti e l’approvvigionamento dei loro concorrenti commerciali in petrolio e in gas a prezzi economici (10). Gli americani desiderano, in questo momento storico, perturbare l’approvvigionamento di petrolio e di gas dei loro alleati europei e giapponesi, come dei loro concorrenti e fornitori indiani e cinesi? Non lo crediamo. Un aumento drastico del prezzo delle energie fossili, trascinerebbe l’economia americana e mondiale in una crisi indescrivibile, mentre essa non si è ancora rimessa dalla crisi speculativa conto l’euro (11). Chi è minacciato dalla portaerei americana e dai suoi complici israeliani? E’ vero che il lupo americano morde in queste contrade e che prepara un’aggressione a grande scala, ma non è con l’Iran, che se la prenderà questa volta. I popoli del Pakistan e del sud dell’Afganistan corrono immensi pericoli e ci si può aspettare dei bombardamenti massicci e dei massacri di massa in queste due regioni. Quelli che desiderano comprendere le ragioni del movimento a favore del combattimento in Medio-Oriente, devono guardare all’espulsione del generale in capo delle truppe d’occupazione americane in Afganistan, il generale McChrystal, “dimissionato” per aver rifiutato di condurre una nuova sanguinosa offensiva assassina nella provincia del Kandahar (12). Non si deve gridare al lupo, non appena una portaerei americana si sposta – si spostano in continuazione – ma è necessario analizzare la situazione, senza lasciarsi ingannare dagli ufficiali dello Stato Maggiore israeliano, senza una tale prudenza elementare, l’analista diventa il loro portavoce, ed il loro “papagaio” (pappagallo). Si deve denunciare l’aggressione imminente delle forze combinate della NATO, d’Israele e degli Stati Uniti contro la resistenza e contro i popoli del nord del Pakistan e del sud dell’Afganistan. Robert Bibeau |
01 luglio 2010
Un attacco imminente contro il Pakistan
30 giugno 2010
Banche intoccabili
Nel momento in cui Francia, Germania e Gran Bretagna annunciano l’intenzione di presentare al prossimo G20 di Toronto la proposta di una tassa basata sugli utili delle banche, da applicare con caratteristiche diverse a seconda delle condizioni economiche e dei sistemi fiscali di ciascun Paese, e l’Unione Europea esplora addirittura la possibilità di un’imposta “globale” sulle transazioni finanziarie, può essere utile fare il punto della situazione sugli interventi pubblici a favore delle banche e degli istituti finanziari durante gli scorsi due anni, in Europa e negli Stati Uniti, basandosi sull’ultimo dei rapporti semestrali elaborati da RS-Mediobanca (http://www.mbres.it/ita/download/rs_piani_di_stabilizzazione_finanziaria.pdf).
Da esso risulta che il totale di aiuti, in termini di iniezioni di capitale e di prestazione di garanzie, ammonta a 1.518,7 miliardi (di euro) per l’Europa ed a 2.593,2 miliardi (di dollari) oltreoceano. Nel dettaglio, è interessante notare come nel Vecchio Continente i più colpiti dalla crisi finanziaria siano state Germania e Gran Bretagna, con rispettivamente 362,5 e 792,5 miliardi di euro di aiuti erogati, con la seconda protagonista anche della nazionalizzazione di due banche, Northern Rock e
The Bradford & Bingley. Considerando inoltre le ingenti sottoscrizioni di capitale azionario realizzate dal governo britannico a favore di Royal Bank of Scotland e Lloyds TSB Group (per un ammontare complessivo vicino ai 700 miliardi di euro), parlare di libero mercato nella patria di Adam Smith e David Ricardo, fondatori dell’economia politica, oggi appare davvero surreale.
Negli Stati Uniti, gli aiuti pubblici si sono invece concentrati su cinque grandi gruppi finanziari, i colossi del credito immobiliare Fanni Mae e Freddie Mac, Aig, Bank of America e Citigroup.
Ai primi due, posti in amministrazione controllata a partire da settembre 2008, sono stati concessi sostegni diretti pari a 200 miliardi e garanzie per ben 1.450 miliardi di dollari. Aig, ora denominato Aiu, può vantare quasi 70 miliardi di aiuti in qualità di sottoscrizione di capitale, mentre Bank of America e Citigroup rappresentano gli unici casi significativi di liquidità (47 miliardi) e garanzie (419) restituiti quasi integralmente al governo, rispettivamente a settembre e dicembre 2009.
Più che gli esborsi complessivi, a differenziare la situazione dell’Europa da quella statunitense è il numero di istituti finanziari e di credito coinvolti nei piani di salvataggio, dove nella prima ammontano a 115 (di cui 4 in Italia per “soli” 4,1 miliardi di euro) mentre negli Stati Uniti sono ben 1.095, dato che testimonia una crisi generalizzata e profonda di tutto il settore.
Nel frattempo, la Federal Reserve ha completato uno studio sui comportamenti di 28 tra le maggiori banche americane, concludendo che incentivi e bonus riconosciuti ai dirigenti rimangono ai livelli esorbitanti di prima e che i gestori delle operazioni speculative ad alto rischio continuano ad operare come sempre. Peccato che tale rapporto probabilmente non sarà reso pubblico prima dell’anno prossimo, mentre a fine 2009 la bolla dei prodotti finanziari derivati, dopo un ridimensionamento nelle fasi iniziali della crisi, è arrivata a 213 trilioni di dollari (615 trilioni a livello mondiale, con un aumento annuo del 12%). La paura di nuove insolvenze sta minando la fiducia tra le stesse banche che stentano persino a farsi credito tra loro, prova ne sia l’aumento costante e progressivo del LIBOR, il tasso di riferimento per i crediti a breve tra gli istituti di credito.
di Federico Roberti
I terroristi del deficit colpiscono nel Regno Unito.

La settimana scorsa il nuovo governo inglese ha dichiarato che avrebbe abbandonato i piani di incentivi del governo precedente e che avrebbe introdotto le misure di austerità richieste per ripagare i debiti stimati in circa 1.000 miliardi di dollari. Questo equivale al taglio della spesa pubblica, al licenziamento dei dipendenti, alla riduzione dei consumi e all’aumento della disoccupazione e dei fallimenti. Ed equivale anche alla riduzione dell’offerta monetaria, in quanto tutto il “denaro” odierno ha origine in pratica sotto forma di prestiti o di debito. La riduzione dei debiti insoluti farà diminuire la quantità di denaro disponibile per pagare i lavoratori ed acquistare le merci, aggravando la depressione e portando altre sofferenze all’economia.
Il settore finanziario a volte è stato accusato di ridurre di proposito l’offerta monetaria, allo scopo di aumentare la domanda per i propri prodotti. I banchieri lavorano nel business del debito e se venisse concesso ai governi di creare abbastanza denaro per tenersi alla larga dai debiti – i governi stessi e i loro elettori – i prestatori fallirebbero. Le banche centrali, che hanno la responsabilità di mantenere il business bancario, insistono dunque su una “moneta stabile” a tutti costi, anche se questo significa il taglio dei servizi, il licenziamento dei dipendenti e l’aumento del debito e degli interessi. Affinché il business finanziario possa continuare a prosperare, ai governi non deve essere permesso di battere moneta, sia stampandola integralmente che prendendola a prestito dalle banche centrali di proprietà dello stato.
Oggi questo obiettivo finanziario è stato ampiamente raggiunto. Nella maggior parte dei paesi, più del 95% dell’offerta monetaria viene creata dalle banche sotto forma di prestiti (o “credito”). La piccola parte generata dal governo viene di solito creata solamente per sostituire banconote o monete metalliche perse o usurate dal tempo, e non per finanziare nuovi programmi di governo. All’inizio del ventesimo secolo, più o meno il 30% della valuta britannica veniva emessa dal governo come sotto forma di sterline cartacee o di monete, contro solamente il 3% di oggi. Negli Stati Uniti, attualmente solo le monete metalliche vengono emesse dal governo. Le banconote di dollari (Banconote della Federal Reserve) sono emesse dalla Federal Reserve, che è di proprietà di un consorzio di banche private.
Le banche anticipano il capitale ma non l’interesse necessario per ripagare i loro prestiti – e dato che i prestiti bancari sono ora praticamente l’unica fonte di nuovo denaro nell’economia, l’interesse può derivare solamente da altri debiti. Per le banche, questo significa che il business continua ad andare a gonfie vele ma per il resto dell’economia questo equivale a tagliare, stringere la cinghia e austerità. Dato che si paga sempre di più di quanto fosse stato anticipato, il sistema è intrinsecamente instabile. Quando la bolla del debito diventa troppo grande da sostenere, viene fatta arrivare una recessione o una depressione che spazza via una grossa parte del debito consentendo al processo di ricominciare da capo. Tutto questo viene definito “ciclo economico” e provoca un forte ondeggiamento dei mercati, permettendo alle classi capitalistiche che hanno dato il via al ciclo di raccogliere a buon mercato il patrimonio immobiliare ed altri beni nell’ondata di flessione.
Il settore finanziario, che controlla l’offerta monetaria e può facilmente impadronirsi dei media, riesce a persuadere il popolino a sottomersi vendendo il proprio programma come un “bilancio equilibrato”, come una “responsabilità fiscale” che risparmia alle future generazioni un enorme carico di debiti se si applicano oggi le misure di austerità. Bill Mitchell, docente di economia all’Università di New Castle in Australia, definisce tutto questo “terrorismo del deficit”. Il debito creato dalle banche diventa più importante delle scuole, dell’assistenza sanitaria o delle infrastrutture. Invece di “pensare al benessere generale”, lo scopo del governo diventa quello di mantenere il valore degli investimenti dei creditori del governo stesso.
L’Inghilterra indossa il cilicio
La nuova coalizione di governo in Inghilterra ha appena adottato questo programma, imponendo a sé stesso lo stesso genere di austerità fiscale che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha imposto da tempo ai paesi del Terzo Mondo, e che più di recente ha imposto ai paesi europei, tra cui Lettonia, Islanda, Irlanda e Grecia. Anche se quei paesi sono stati obbligati a sottomettersi ai loro creditori, l’Inghilterra ha dato spontaneamente un giro di vite, avendo ceduto sulla questione che deve ripagare i propri debiti per mantenere attivi i mercati per i propri titoli di stato.
I falchi del deficit puntano il dito minacciosamente verso la Grecia, che è stata praticamente estromessa del mercato privato delle obbligazioni perché nessuno vuole più i suoi titoli di stato. La Grecia è stata costretta a prendere a prestito soldi dal FMI e dall’Unione Monetaria Europea, che hanno imposto misure di austerità draconiane come condizione per i prestiti. Come un paese del Terzo Mondo che ha debiti contratti in una valuta straniera, la Grecia non può stampare euro né prenderli a prestito dalla propria banca centrale dato che queste alternative sono vietate dalle norme dell’Unione Monetaria Europea. In un tentativo disperato di salvare l’euro, la Banca Centrale Europa ha recentemente fatto uno strappo alla regola acquistando titoli greci sul mercato secondario invece che prestarli direttamento al governo di Atene, ma la BCE ha dichiarato che avrebbe “sterilizzato” gli acquisti fatti ritirando dal mercato una quantità equivalente di liquidità, rendendo l’accordo senza un nulla di fatto.
La Grecia è bloccata nella trappola del debito ma il Regno Unito non fa parte dell’Unione Monetaria Europea. E anche se appartiene all’Unione Europea, opera nella propria valuta nazionale che ha potere di emettere direttamente o di prendere a prestito dalla propria banca centrale. Come tutte le banche centrali, la Banca d’Inghilterra è un “prestatore di ultima istanza” il che significa che può creare denaro sui propri registri contabili senza doverlo prendere a prestito. La Banca d’Inghilterra è di proprietà del governo e dunque i prestiti dalla banca al governo dovrebbero essere in effetti esenti da interesse. Finché la Banca d’Inghilterra è disposta a comprare titoli che non vengono venduti sul mercato privato, non bisogna temere alcun crollo del valore dei titoli britannici.
Tuttavia i “terroristi del deficit” non capiscono questa soluzione ovvia, apparentemente a causa della loro paura dell’”iperinflazione”. Il 9 giugno scorso un commento da parte di “Cameroni” sul sito web finanziario di Rick Ackerman ha preso questa posizione. Intitolato “La Gran Bretagna diventa la prima a scegliere la deflazione”, inizia così:
Iperinflazione o deflazione?
La terribile minaccia di iperinflazione è invariabilmente esibita per rigettare le proposte per risolvere la crisi dei bilanci governativi emettendo semplicemente i fondi necessari, sia come debito (obbligazioni) che come valuta. Quello che in genere i terroristi del deficit non dicono è che prima che un’economia possa essere minacciata di iperinflazione, deve passare attraverso un periodo di semplice inflazione, e ovunque i governi oggi non sono riusciti ad arrivare a questa fase, anche se ci stanno disperatamente provando. Cameroni osserva:
In effetti, l’offerta monetaria si sta riducendo ad un ritmo allarmante. In un articolo del 26 maggio sul Financial Times dal titolo “L’offerta monetaria degli Stati Uniti precipita ai livelli degli anni Trenta mentre Obama pensa a nuovi incentivi”, Ambrose Evans-Pritchard scrive:
“E’ preoccupante”, ha detto il professor Tim Congdon dell’International Monetary Research. “La diminuzione dell’M3 non ha precedenti dalla Grande Depressione. La ragione prevalente è che i regolatori di tutto il mondo stiano esercitando pressioni sulle banche per aumentare i livelli dei capitali e per ridurre i loro beni di rischio. E’ questa la ragione per la quale gli Stati Uniti non si stanno riprendendo come dovrebbero”.
Difficilmente potrebbe essere stato iniettato troppo denaro in un’economia nella quale l’offerta monetaria si sta riducendo. Ma Cameroni conclude dicendo che visto che gli incentivi non sono riusciti a riportare il denaro necessario nell’offerta monetaria, i programmi di incentivi dovrebbero essere abbandonati a favore del loro esatto contrario – la più totale austerità. Cameroni ammette però che il risultato sarebbe devastante:
Ma “ne vale la pena” dice Cameroni, perché prevale sull’inevitabile alternativa iperinflazionistica, che “è troppo sconvolgente da tenere in considerazione”.
L’iperinflazione, tuttavia, è un falso problema e prima di rigettare l’idea degli incentivi, dovremmo chiederci perché questi programmi hanno fallito. Forse perché erano incentivi elargiti al settore sbagliato dell’economia, l’intermediario finanziario improduttivo che per primo ha fatto precipitare la crisi. I governi hanno cercato di “rigonfiare” le loro economie fiacche riversando soldi alle banche che hanno avuto effetti rovinosi sui bilanci, ma le banche non si sono nemmeno degnate di dare quei fondi alle imprese e ai consumatori sotto forma di prestiti. Invece, hanno utilizzato quei finanziamenti a buon mercato per speculare, per acquistare banche più piccole, e per acquistare dei titoli governativi sicuri, riscuotendo un cospiscuo interesse da quegli stessi contribuenti che avevano dato loro i soldi del salvataggio. Sicuramente alle banche, in base al loro modello di business, viene chiesto di raggiungere quei profitti con prestiti rischiosi. Come tutte le aziende private, non sono là per fare l’interesse pubblico ma di guadagnare soldi per i loro azionisti.
In cerca di soluzioni
L’alternativa a riversare enormi quantità di denaro alle banche non è quella di far morire di fame e punire oltremodo e le imprese e i cittadini ma di foraggiarli direttamente con qualche incentivo, con progetti pubblici che forniscano i servizi necessari creando nel contempo posti di lavoro. Esistono numerosi precedenti di successo con questo approccio, tra cui i programmi di opere pubbliche compiuti in Inghilterra, Canada, Australia e Nuova Zelanda negli anni Trenta, Quaranta e Cinquant e che furono finanziati con denaro emesso dal governo, sia preso a prestito dalle loro banche centrali che stampato direttamente. La Banca d’Inghilterra è stata nazionalizzata nel 1946 nel corso di un forte governo laburista che fondò anche il Servizio Sanitario Nazionale, le ferrovie nazionali e che sviluppò molti altri programmi pubblici dal costo contenuto che giovarono all’economia per decenni.
In Australia, nel corso della crisi attuale, un pacchetto di incentivi sotto forma di contributo in denaro contante è stato dato direttamente alla popolazione come misura temporanea, e non si è avuta alcuna crescita negativa (recessione) per due trimestri e la disoccupazione si è mantenuta stabile al 5%. Il governo, tuttavia, ha preso a prestito questi soldi straordinari in maniera privata invece che emetterlo pubblicamente, sviato dalla paura dell’iperinflazione. Meglio sarebbe stato dare credito esente da interesse attraverso la banca centrale di proprietà dello stato ai cittadini e alle imprese, che erano d’accordo nell’investire il denaro in maniera produttiva.
I cinesi hanno fatto di meglio, espandendo la loro economia di oltre il 9% nel corso della crisi creando denaro aggiuntivo che è stato investito principalmente in infrastrutture pubbliche.
I paesi dell’Unione Monetaria Europea sono intrappolati in uno schema piramidale mortale, perché hanno abbandonato le loro valute sovrane per un euro controllato dalla BCE. I loro deficit possono essere finanziati solamente con altro debito, gravato da interesse, e quindi si deve sempre restituire più di quanto si fosse preso a prestito. La BCE potrebbe fornire un po’ di assistenza impegnandosi in un “alleggerimento quantitativo” (creando nuovi euro) ma ha insistito dicendo che l’avrebbe fatto solamente con la “sterilizzazione” – togliendo dal sistema l’equivalente dei soldi che venivano introdotti. Il modello dell’Unione Monetaria Europea è matematicamente insostenibile e destinato a fallire a meno che in qualche modo venga modificato, o ridando la sovranità economica ai propri paesi membri o consolidandoli in un unico paese con un unico governo.
Una terza possibilità, suggerita dai professori Randall Wray e Jan Kregel, sarebbe quella di assegnare alla BCE il ruolo di “datore di lavoro di ultima istanza”, utilizzando l’”alleggerimento quantitativo” per assumere i disoccupati ad uno stipendio minimo.
Una quarta possibilità sarebbe quella per i paesi membri di costituire delle “banche per lo sviluppo” di proprietà pubblica sulla base del modello cinese. Queste banche potrebbero emettere credito in euro per le opere pubbliche, creando posti di lavoro ed allargando l’offerta monetaria esattamente come fanno ogni giorno le banche private quando erogano dei prestiti. Oggi le banche private sono limitate nel loro potenziale di generazione di prestiti dal requisito sul capitale, da registri contabili infarciti di titoli tossici, da una mancanza di mutuatari cui si può fare credito e un modello di business che antepone il profitto degli azionisti all’interesse pubblico. Le banche di proprietà pubblica avrebbero i beni dello stato per tirare su il capitale, registri contabili puliti, un mandato per essere al servizio della gente e un mutuatario cui si può dare credito perché si tratta della nazione stessa, sostenuta dalla forza di riscossione delle imposte.
A differenza dei paesi dell’Unione Monetaria Europea, i governi di Inghilterra, Stati Uniti e altre nazioni sovrane possono ancora prendere denaro a prestito dalle proprie banche centrali, finanziando i programmi di cui si ha bisogno sostanzialmente esenti da interesse. Possono ma probabilmente non lo faranno, perché sono state ingannate a cedere quel potere sovrano ad un settore finanziario bugiardo che è volto a controllare i sistemi monetari mondiali in modo privato e autocratico. Il professor Carroll Quigley, un addetto ai lavori allevato dai banchieri internazionali, ha svelato questo piano nel 1966, scrivendo “Tragedy and Hope”:
Proprio quando l’Unione Monetaria Europea sembrava essere sul punto di raggiungere quell’obiettivo, ha iniziato a cadere a pezzi. La sovranità potrebbe ancora prevalere.
di Ellen Brown
01 luglio 2010
Un attacco imminente contro il Pakistan
![]() Perché gridare “al lupo” con lo Stato Maggiore israeliano? Si fa molto caso al fatto che, già da qualche giorno, uno squadra americana ha attraversato il Canale di Suez in direzione del Mar Rosso. La portaerei Truman e una dozzina di navi di scorta, fra cui un lancia missili israeliano, si dirigono verso il Golfo Persico, a quanto scrive lo stesso giornale Haaretz, con notizie di prima mano in provenienza dallo Stato Maggiore israeliano (1). Nel frattempo ufficiali dell’armata israeliana, sempre loro, informavano il Sunday Times di Londra, dell’accordo con l’Arabia Saudita, per un uso offensivo del suo spazio aereo, in previsione di un attacco israeliano imminente contro i centri di ricerca nucleare iraniani. Di fronte ad un’immediata smentita formale ed ufficiale dell’Arabia Saudita, i venditori di voci si sono fatti suggerire come via alternativa sia la Giordania, che l’Irak o il Kuwait, sotto occupazione americana (2), che sarebbero il nuovo corridoio dell’attacco imminente contro l’Iran. Bombe da varie tonnellate di peso, le anti-bunkers Blu-117, sarebbero inviate verso la base americana di Diego Garcia e verso i depositi di sicurezza americani in Israele. Gli aerei americani B-2, capaci di bucare le difese anti-aeree iraniane, sarebbero pronti a decollare per attaccare l’Iran, senza contare qualche sottomarino nucleare Dolphin, fornito dalla Germania ad Israele, che sarebbe in immersione nel Golfo Persico. Come se questo scenario apocalittico non fosse sufficiente, il giornale il Manifesto, fornisce un’informazione molto precisa, anch’essa proveniente dallo Stato Maggiore israeliano: truppe aerotrasportate e marines farebbero parte della squadra che ha attraversato il canale di Suez. Il misterioso ufficiale dello Stato Maggiore israeliano ha rifiutato, tuttavia, di svelare la data e l’ora precise dell’attacco contro le centrali nucleari iraniane di Bushehr. Ci si meraviglia di una tale mancanza di cortesia dalla parte di un ufficiale tanto prolisso (3) Per Michel Chossudovsky l’ultima risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU, che autorizza delle sanzioni aggravate contro l’Iran, non sarebbe niente altro che un semaforo verde dell’ONU, ad un attacco preventivo americano-israeliano contro l’Iran. Il signor Chossudovsky conclude che “La risoluzione del Consiglio di sicurezza trasforma l’Iran in una facile preda”. (4) Nessuna risoluzione dell’ONU può trasformare l’Iran in una facile preda per l’imperialismo americano. Gli Stati Uniti lo hanno già provato al momento dell’invasione dell’Irak, fanno a meno delle risoluzioni dell’ONU, quando decidono d’aggredire e d’invadere uno Stato libero ed indipendente. Gli Stati Uniti non hanno assolutamente necessità degli aerei F-16 di cui hanno fornito gli israeliani, come anche della nave porta missili e ancora meno del sottomarino nucleare israeliano, di seconda mano, per effettuare una tale aggressione, contro i centri di ricerca nucleare iraniani. Al momento dell’attacco contro l’Afganistan, come anche al momento dell’invasione dell’Irak , ufficialmente, le truppe israeliane erano state tenute lontano dal teatro delle operazioni. Se aerei B-2 sono stati localizzati a Diego Garcia, possono effettuare il lavoro di distruzione, ed è inutile implicarci gli aerei americani pilotati dagli israeliani, è totalmente ridicolo portare una portaerei americana nel Golfo Persico per renderla preda della contro-offensiva iraniana e per eventualmente bloccarla, con tutta la sua squadra in questo piccolo mare interno, nel caso della chiusura dello stretto di Ormuz. Infine, gli Stati Uniti, si sarebbero ridotti a prospettare l’utilizzo dell’arma atomica contro l’Iran? No, sicuramente non ancora. Ultimo argomento, dopo il crollo irakeno dal quale gli americani non sono ancora usciti, ma dal quale sperano di uscire prossimamente, grazie alla collaborazione dell’Iran sciita, e del suo appello alla calma, rivolto ai resistenti sciiti irakeni, è assolutamente escluso che gli Stati Uniti possano prospettarsi uno sbarco e un’invasione terrestre dell’Iran. Siamo seri, un milione di soldati irakeni sono stati tenuti sotto scacco dall’Iran khoomeinista. Quanti soldati americani sarebbero necessari per occupare il territorio iraniano? Senza contare che le truppe della NATO affondano sempre più nella palude afgana, dove sono poste sotto scacco dalla resistenza afgana, non beneficiante affatto del sostegno iraniano, ma solamente del sostegno dei loro fratelli d’armi del Pakistan, dove gli attacchi aerei americani fanno numerose vittime civili, senza peraltro, marcare alcun successo militare. Immaginate qualche istante l’avvenire delle truppe della NATO in questa parte del mondo se l’Iran sostenesse la resistenza afgana, la resistenza pakistana, e se lanciasse la resistenza sciita irakena, contro i collaboratori kurdi e contro i collaboratori irakeni! Dopo tutti questi disastri militari americani, chi crederà veramente che gli Stati Uniti si preparano ad aprire un nuovo fronte militare contro l’Iran? La Risoluzione 1929 dell’ONU Cosa dice la risoluzione 1929, che presenta tutta una nuova raffica di sanzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 9 giugno scorso? “Il Consiglio di sicurezza ha votato l’imposizione di una quarta serie di ampie sanzioni contro la Repubblica islamica dell’Iran, che comprendono un embargo sulle armi come anche dei: controlli finanziari più severi”. Il presidente Ahmadinejad ha, da parte sua, qualificato la risoluzione del Consiglio di carta sporca senza valore (5). Contrariamente a M. Chossudovsky noi non crediamo che tale risoluzione fornisca “semaforo verde all’alleanza militare Stati-Uniti-NATO-Israele per minacciare l’Iran di un attacco nucleare preventivo e punitivo, corroborato dal sigillo del Consiglio di sicurezza dell’ONU.” (6) E’ d’altronde la ragione che spiega perché gli alleati dell’Iran, la Russia e la Cina, hanno preferito votare a favore di questa ingiusta risoluzione, iniqua ma in pratica inoffensiva, che entrambe queste potenze non hanno affatto l’intenzione di rispettare, come sospetta il signor Chossudovsky: “se essa fosse pienamente applicata, non solamente la risoluzione invaliderebbe gli accordi bilaterali di cooperazione militare con l’Iran, ma creerebbe una breccia nell’Organizzazione della cooperazione di Shangai (OCS)”. (7) Buona conclusione signor Chossudovsky. E’ pericoloso per i democratici del mondo e per i popoli intrisi di pace e di giustizia, speculare sulle alleanze imperialiste e proporre d’appoggiare un’alleanza aggressiva (l’OCS) contro un’altra alleanza aggressiva (la NATO) come suggerisce l’autore dell’analisi: “La Federazione Russa e la Repubblica popolare Cinese hanno ceduto alle pressioni americane e hanno votato a favore di una risoluzione, che non è solo pregiudizievole per la sicurezza dell’Iran, ma che indebolisce seriamente e sabota il loro ruolo strategico come potenziali potenze mondiali rivali sullo scacchiere geopolitica eurasiatico”. (8) Cosa ha guadagnato il mondo dal rinforzarsi delle potenze rivali russa e cinese? La guerra fra potenze rivali? Come prova, che nessuno conta di rispettare questa nuova raffica di sanzioni adottata dal Consiglio di sicurezza, pochi giorni dopo l’adozione della Risoluzione 1929, il Pakistan firmava un accordo d’approvvigionamento di gas con l’Iran e apriva la porta all’approvvigionamento cinese tramite un oleodotto, che evita il tanto minacciato Stretto di Ormuz. Questo ultimo punto è di natura tale da indisporre fortemente gli americani (9) che perdono così un potente mezzo di pressione sull’economia cinese. Noi l’abbiamo già scritto, gli americani non fanno la guerra in questa parte del mondo per costruire degli oleodotti ed assicurare l’approvvigionamento in idrocarburi, ma per ostacolare la costruzione d’oleodotti e l’approvvigionamento dei loro concorrenti commerciali in petrolio e in gas a prezzi economici (10). Gli americani desiderano, in questo momento storico, perturbare l’approvvigionamento di petrolio e di gas dei loro alleati europei e giapponesi, come dei loro concorrenti e fornitori indiani e cinesi? Non lo crediamo. Un aumento drastico del prezzo delle energie fossili, trascinerebbe l’economia americana e mondiale in una crisi indescrivibile, mentre essa non si è ancora rimessa dalla crisi speculativa conto l’euro (11). Chi è minacciato dalla portaerei americana e dai suoi complici israeliani? E’ vero che il lupo americano morde in queste contrade e che prepara un’aggressione a grande scala, ma non è con l’Iran, che se la prenderà questa volta. I popoli del Pakistan e del sud dell’Afganistan corrono immensi pericoli e ci si può aspettare dei bombardamenti massicci e dei massacri di massa in queste due regioni. Quelli che desiderano comprendere le ragioni del movimento a favore del combattimento in Medio-Oriente, devono guardare all’espulsione del generale in capo delle truppe d’occupazione americane in Afganistan, il generale McChrystal, “dimissionato” per aver rifiutato di condurre una nuova sanguinosa offensiva assassina nella provincia del Kandahar (12). Non si deve gridare al lupo, non appena una portaerei americana si sposta – si spostano in continuazione – ma è necessario analizzare la situazione, senza lasciarsi ingannare dagli ufficiali dello Stato Maggiore israeliano, senza una tale prudenza elementare, l’analista diventa il loro portavoce, ed il loro “papagaio” (pappagallo). Si deve denunciare l’aggressione imminente delle forze combinate della NATO, d’Israele e degli Stati Uniti contro la resistenza e contro i popoli del nord del Pakistan e del sud dell’Afganistan. Robert Bibeau |
30 giugno 2010
Banche intoccabili
Nel momento in cui Francia, Germania e Gran Bretagna annunciano l’intenzione di presentare al prossimo G20 di Toronto la proposta di una tassa basata sugli utili delle banche, da applicare con caratteristiche diverse a seconda delle condizioni economiche e dei sistemi fiscali di ciascun Paese, e l’Unione Europea esplora addirittura la possibilità di un’imposta “globale” sulle transazioni finanziarie, può essere utile fare il punto della situazione sugli interventi pubblici a favore delle banche e degli istituti finanziari durante gli scorsi due anni, in Europa e negli Stati Uniti, basandosi sull’ultimo dei rapporti semestrali elaborati da RS-Mediobanca (http://www.mbres.it/ita/download/rs_piani_di_stabilizzazione_finanziaria.pdf).
Da esso risulta che il totale di aiuti, in termini di iniezioni di capitale e di prestazione di garanzie, ammonta a 1.518,7 miliardi (di euro) per l’Europa ed a 2.593,2 miliardi (di dollari) oltreoceano. Nel dettaglio, è interessante notare come nel Vecchio Continente i più colpiti dalla crisi finanziaria siano state Germania e Gran Bretagna, con rispettivamente 362,5 e 792,5 miliardi di euro di aiuti erogati, con la seconda protagonista anche della nazionalizzazione di due banche, Northern Rock e
The Bradford & Bingley. Considerando inoltre le ingenti sottoscrizioni di capitale azionario realizzate dal governo britannico a favore di Royal Bank of Scotland e Lloyds TSB Group (per un ammontare complessivo vicino ai 700 miliardi di euro), parlare di libero mercato nella patria di Adam Smith e David Ricardo, fondatori dell’economia politica, oggi appare davvero surreale.
Negli Stati Uniti, gli aiuti pubblici si sono invece concentrati su cinque grandi gruppi finanziari, i colossi del credito immobiliare Fanni Mae e Freddie Mac, Aig, Bank of America e Citigroup.
Ai primi due, posti in amministrazione controllata a partire da settembre 2008, sono stati concessi sostegni diretti pari a 200 miliardi e garanzie per ben 1.450 miliardi di dollari. Aig, ora denominato Aiu, può vantare quasi 70 miliardi di aiuti in qualità di sottoscrizione di capitale, mentre Bank of America e Citigroup rappresentano gli unici casi significativi di liquidità (47 miliardi) e garanzie (419) restituiti quasi integralmente al governo, rispettivamente a settembre e dicembre 2009.
Più che gli esborsi complessivi, a differenziare la situazione dell’Europa da quella statunitense è il numero di istituti finanziari e di credito coinvolti nei piani di salvataggio, dove nella prima ammontano a 115 (di cui 4 in Italia per “soli” 4,1 miliardi di euro) mentre negli Stati Uniti sono ben 1.095, dato che testimonia una crisi generalizzata e profonda di tutto il settore.
Nel frattempo, la Federal Reserve ha completato uno studio sui comportamenti di 28 tra le maggiori banche americane, concludendo che incentivi e bonus riconosciuti ai dirigenti rimangono ai livelli esorbitanti di prima e che i gestori delle operazioni speculative ad alto rischio continuano ad operare come sempre. Peccato che tale rapporto probabilmente non sarà reso pubblico prima dell’anno prossimo, mentre a fine 2009 la bolla dei prodotti finanziari derivati, dopo un ridimensionamento nelle fasi iniziali della crisi, è arrivata a 213 trilioni di dollari (615 trilioni a livello mondiale, con un aumento annuo del 12%). La paura di nuove insolvenze sta minando la fiducia tra le stesse banche che stentano persino a farsi credito tra loro, prova ne sia l’aumento costante e progressivo del LIBOR, il tasso di riferimento per i crediti a breve tra gli istituti di credito.
di Federico Roberti
I terroristi del deficit colpiscono nel Regno Unito.

La settimana scorsa il nuovo governo inglese ha dichiarato che avrebbe abbandonato i piani di incentivi del governo precedente e che avrebbe introdotto le misure di austerità richieste per ripagare i debiti stimati in circa 1.000 miliardi di dollari. Questo equivale al taglio della spesa pubblica, al licenziamento dei dipendenti, alla riduzione dei consumi e all’aumento della disoccupazione e dei fallimenti. Ed equivale anche alla riduzione dell’offerta monetaria, in quanto tutto il “denaro” odierno ha origine in pratica sotto forma di prestiti o di debito. La riduzione dei debiti insoluti farà diminuire la quantità di denaro disponibile per pagare i lavoratori ed acquistare le merci, aggravando la depressione e portando altre sofferenze all’economia.
Il settore finanziario a volte è stato accusato di ridurre di proposito l’offerta monetaria, allo scopo di aumentare la domanda per i propri prodotti. I banchieri lavorano nel business del debito e se venisse concesso ai governi di creare abbastanza denaro per tenersi alla larga dai debiti – i governi stessi e i loro elettori – i prestatori fallirebbero. Le banche centrali, che hanno la responsabilità di mantenere il business bancario, insistono dunque su una “moneta stabile” a tutti costi, anche se questo significa il taglio dei servizi, il licenziamento dei dipendenti e l’aumento del debito e degli interessi. Affinché il business finanziario possa continuare a prosperare, ai governi non deve essere permesso di battere moneta, sia stampandola integralmente che prendendola a prestito dalle banche centrali di proprietà dello stato.
Oggi questo obiettivo finanziario è stato ampiamente raggiunto. Nella maggior parte dei paesi, più del 95% dell’offerta monetaria viene creata dalle banche sotto forma di prestiti (o “credito”). La piccola parte generata dal governo viene di solito creata solamente per sostituire banconote o monete metalliche perse o usurate dal tempo, e non per finanziare nuovi programmi di governo. All’inizio del ventesimo secolo, più o meno il 30% della valuta britannica veniva emessa dal governo come sotto forma di sterline cartacee o di monete, contro solamente il 3% di oggi. Negli Stati Uniti, attualmente solo le monete metalliche vengono emesse dal governo. Le banconote di dollari (Banconote della Federal Reserve) sono emesse dalla Federal Reserve, che è di proprietà di un consorzio di banche private.
Le banche anticipano il capitale ma non l’interesse necessario per ripagare i loro prestiti – e dato che i prestiti bancari sono ora praticamente l’unica fonte di nuovo denaro nell’economia, l’interesse può derivare solamente da altri debiti. Per le banche, questo significa che il business continua ad andare a gonfie vele ma per il resto dell’economia questo equivale a tagliare, stringere la cinghia e austerità. Dato che si paga sempre di più di quanto fosse stato anticipato, il sistema è intrinsecamente instabile. Quando la bolla del debito diventa troppo grande da sostenere, viene fatta arrivare una recessione o una depressione che spazza via una grossa parte del debito consentendo al processo di ricominciare da capo. Tutto questo viene definito “ciclo economico” e provoca un forte ondeggiamento dei mercati, permettendo alle classi capitalistiche che hanno dato il via al ciclo di raccogliere a buon mercato il patrimonio immobiliare ed altri beni nell’ondata di flessione.
Il settore finanziario, che controlla l’offerta monetaria e può facilmente impadronirsi dei media, riesce a persuadere il popolino a sottomersi vendendo il proprio programma come un “bilancio equilibrato”, come una “responsabilità fiscale” che risparmia alle future generazioni un enorme carico di debiti se si applicano oggi le misure di austerità. Bill Mitchell, docente di economia all’Università di New Castle in Australia, definisce tutto questo “terrorismo del deficit”. Il debito creato dalle banche diventa più importante delle scuole, dell’assistenza sanitaria o delle infrastrutture. Invece di “pensare al benessere generale”, lo scopo del governo diventa quello di mantenere il valore degli investimenti dei creditori del governo stesso.
L’Inghilterra indossa il cilicio
La nuova coalizione di governo in Inghilterra ha appena adottato questo programma, imponendo a sé stesso lo stesso genere di austerità fiscale che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha imposto da tempo ai paesi del Terzo Mondo, e che più di recente ha imposto ai paesi europei, tra cui Lettonia, Islanda, Irlanda e Grecia. Anche se quei paesi sono stati obbligati a sottomettersi ai loro creditori, l’Inghilterra ha dato spontaneamente un giro di vite, avendo ceduto sulla questione che deve ripagare i propri debiti per mantenere attivi i mercati per i propri titoli di stato.
I falchi del deficit puntano il dito minacciosamente verso la Grecia, che è stata praticamente estromessa del mercato privato delle obbligazioni perché nessuno vuole più i suoi titoli di stato. La Grecia è stata costretta a prendere a prestito soldi dal FMI e dall’Unione Monetaria Europea, che hanno imposto misure di austerità draconiane come condizione per i prestiti. Come un paese del Terzo Mondo che ha debiti contratti in una valuta straniera, la Grecia non può stampare euro né prenderli a prestito dalla propria banca centrale dato che queste alternative sono vietate dalle norme dell’Unione Monetaria Europea. In un tentativo disperato di salvare l’euro, la Banca Centrale Europa ha recentemente fatto uno strappo alla regola acquistando titoli greci sul mercato secondario invece che prestarli direttamento al governo di Atene, ma la BCE ha dichiarato che avrebbe “sterilizzato” gli acquisti fatti ritirando dal mercato una quantità equivalente di liquidità, rendendo l’accordo senza un nulla di fatto.
La Grecia è bloccata nella trappola del debito ma il Regno Unito non fa parte dell’Unione Monetaria Europea. E anche se appartiene all’Unione Europea, opera nella propria valuta nazionale che ha potere di emettere direttamente o di prendere a prestito dalla propria banca centrale. Come tutte le banche centrali, la Banca d’Inghilterra è un “prestatore di ultima istanza” il che significa che può creare denaro sui propri registri contabili senza doverlo prendere a prestito. La Banca d’Inghilterra è di proprietà del governo e dunque i prestiti dalla banca al governo dovrebbero essere in effetti esenti da interesse. Finché la Banca d’Inghilterra è disposta a comprare titoli che non vengono venduti sul mercato privato, non bisogna temere alcun crollo del valore dei titoli britannici.
Tuttavia i “terroristi del deficit” non capiscono questa soluzione ovvia, apparentemente a causa della loro paura dell’”iperinflazione”. Il 9 giugno scorso un commento da parte di “Cameroni” sul sito web finanziario di Rick Ackerman ha preso questa posizione. Intitolato “La Gran Bretagna diventa la prima a scegliere la deflazione”, inizia così:
Iperinflazione o deflazione?
La terribile minaccia di iperinflazione è invariabilmente esibita per rigettare le proposte per risolvere la crisi dei bilanci governativi emettendo semplicemente i fondi necessari, sia come debito (obbligazioni) che come valuta. Quello che in genere i terroristi del deficit non dicono è che prima che un’economia possa essere minacciata di iperinflazione, deve passare attraverso un periodo di semplice inflazione, e ovunque i governi oggi non sono riusciti ad arrivare a questa fase, anche se ci stanno disperatamente provando. Cameroni osserva:
In effetti, l’offerta monetaria si sta riducendo ad un ritmo allarmante. In un articolo del 26 maggio sul Financial Times dal titolo “L’offerta monetaria degli Stati Uniti precipita ai livelli degli anni Trenta mentre Obama pensa a nuovi incentivi”, Ambrose Evans-Pritchard scrive:
“E’ preoccupante”, ha detto il professor Tim Congdon dell’International Monetary Research. “La diminuzione dell’M3 non ha precedenti dalla Grande Depressione. La ragione prevalente è che i regolatori di tutto il mondo stiano esercitando pressioni sulle banche per aumentare i livelli dei capitali e per ridurre i loro beni di rischio. E’ questa la ragione per la quale gli Stati Uniti non si stanno riprendendo come dovrebbero”.
Difficilmente potrebbe essere stato iniettato troppo denaro in un’economia nella quale l’offerta monetaria si sta riducendo. Ma Cameroni conclude dicendo che visto che gli incentivi non sono riusciti a riportare il denaro necessario nell’offerta monetaria, i programmi di incentivi dovrebbero essere abbandonati a favore del loro esatto contrario – la più totale austerità. Cameroni ammette però che il risultato sarebbe devastante:
Ma “ne vale la pena” dice Cameroni, perché prevale sull’inevitabile alternativa iperinflazionistica, che “è troppo sconvolgente da tenere in considerazione”.
L’iperinflazione, tuttavia, è un falso problema e prima di rigettare l’idea degli incentivi, dovremmo chiederci perché questi programmi hanno fallito. Forse perché erano incentivi elargiti al settore sbagliato dell’economia, l’intermediario finanziario improduttivo che per primo ha fatto precipitare la crisi. I governi hanno cercato di “rigonfiare” le loro economie fiacche riversando soldi alle banche che hanno avuto effetti rovinosi sui bilanci, ma le banche non si sono nemmeno degnate di dare quei fondi alle imprese e ai consumatori sotto forma di prestiti. Invece, hanno utilizzato quei finanziamenti a buon mercato per speculare, per acquistare banche più piccole, e per acquistare dei titoli governativi sicuri, riscuotendo un cospiscuo interesse da quegli stessi contribuenti che avevano dato loro i soldi del salvataggio. Sicuramente alle banche, in base al loro modello di business, viene chiesto di raggiungere quei profitti con prestiti rischiosi. Come tutte le aziende private, non sono là per fare l’interesse pubblico ma di guadagnare soldi per i loro azionisti.
In cerca di soluzioni
L’alternativa a riversare enormi quantità di denaro alle banche non è quella di far morire di fame e punire oltremodo e le imprese e i cittadini ma di foraggiarli direttamente con qualche incentivo, con progetti pubblici che forniscano i servizi necessari creando nel contempo posti di lavoro. Esistono numerosi precedenti di successo con questo approccio, tra cui i programmi di opere pubbliche compiuti in Inghilterra, Canada, Australia e Nuova Zelanda negli anni Trenta, Quaranta e Cinquant e che furono finanziati con denaro emesso dal governo, sia preso a prestito dalle loro banche centrali che stampato direttamente. La Banca d’Inghilterra è stata nazionalizzata nel 1946 nel corso di un forte governo laburista che fondò anche il Servizio Sanitario Nazionale, le ferrovie nazionali e che sviluppò molti altri programmi pubblici dal costo contenuto che giovarono all’economia per decenni.
In Australia, nel corso della crisi attuale, un pacchetto di incentivi sotto forma di contributo in denaro contante è stato dato direttamente alla popolazione come misura temporanea, e non si è avuta alcuna crescita negativa (recessione) per due trimestri e la disoccupazione si è mantenuta stabile al 5%. Il governo, tuttavia, ha preso a prestito questi soldi straordinari in maniera privata invece che emetterlo pubblicamente, sviato dalla paura dell’iperinflazione. Meglio sarebbe stato dare credito esente da interesse attraverso la banca centrale di proprietà dello stato ai cittadini e alle imprese, che erano d’accordo nell’investire il denaro in maniera produttiva.
I cinesi hanno fatto di meglio, espandendo la loro economia di oltre il 9% nel corso della crisi creando denaro aggiuntivo che è stato investito principalmente in infrastrutture pubbliche.
I paesi dell’Unione Monetaria Europea sono intrappolati in uno schema piramidale mortale, perché hanno abbandonato le loro valute sovrane per un euro controllato dalla BCE. I loro deficit possono essere finanziati solamente con altro debito, gravato da interesse, e quindi si deve sempre restituire più di quanto si fosse preso a prestito. La BCE potrebbe fornire un po’ di assistenza impegnandosi in un “alleggerimento quantitativo” (creando nuovi euro) ma ha insistito dicendo che l’avrebbe fatto solamente con la “sterilizzazione” – togliendo dal sistema l’equivalente dei soldi che venivano introdotti. Il modello dell’Unione Monetaria Europea è matematicamente insostenibile e destinato a fallire a meno che in qualche modo venga modificato, o ridando la sovranità economica ai propri paesi membri o consolidandoli in un unico paese con un unico governo.
Una terza possibilità, suggerita dai professori Randall Wray e Jan Kregel, sarebbe quella di assegnare alla BCE il ruolo di “datore di lavoro di ultima istanza”, utilizzando l’”alleggerimento quantitativo” per assumere i disoccupati ad uno stipendio minimo.
Una quarta possibilità sarebbe quella per i paesi membri di costituire delle “banche per lo sviluppo” di proprietà pubblica sulla base del modello cinese. Queste banche potrebbero emettere credito in euro per le opere pubbliche, creando posti di lavoro ed allargando l’offerta monetaria esattamente come fanno ogni giorno le banche private quando erogano dei prestiti. Oggi le banche private sono limitate nel loro potenziale di generazione di prestiti dal requisito sul capitale, da registri contabili infarciti di titoli tossici, da una mancanza di mutuatari cui si può fare credito e un modello di business che antepone il profitto degli azionisti all’interesse pubblico. Le banche di proprietà pubblica avrebbero i beni dello stato per tirare su il capitale, registri contabili puliti, un mandato per essere al servizio della gente e un mutuatario cui si può dare credito perché si tratta della nazione stessa, sostenuta dalla forza di riscossione delle imposte.
A differenza dei paesi dell’Unione Monetaria Europea, i governi di Inghilterra, Stati Uniti e altre nazioni sovrane possono ancora prendere denaro a prestito dalle proprie banche centrali, finanziando i programmi di cui si ha bisogno sostanzialmente esenti da interesse. Possono ma probabilmente non lo faranno, perché sono state ingannate a cedere quel potere sovrano ad un settore finanziario bugiardo che è volto a controllare i sistemi monetari mondiali in modo privato e autocratico. Il professor Carroll Quigley, un addetto ai lavori allevato dai banchieri internazionali, ha svelato questo piano nel 1966, scrivendo “Tragedy and Hope”:
Proprio quando l’Unione Monetaria Europea sembrava essere sul punto di raggiungere quell’obiettivo, ha iniziato a cadere a pezzi. La sovranità potrebbe ancora prevalere.
di Ellen Brown