07 luglio 2010

Tassa su tassa. E’ l’Italia che va?


Dice il tasso a un altro tasso, indicando uno stupendo esemplare di femmina della stessa specie: «Dì un po’, ma tu le paghi le tasse?». E’ una celebre illustrazione tratta dal Diariovitt di Jacovitti, il grande vignettista che riusciva a far sorridere la gente anche satireggiando su un argomento ostico come quello fiscale. Ed effettivamente è assai difficile, oggigiorno, trovare qualcuno disposto a ironizzare sullo spauracchio delle imposte. Questo territorio, almeno per gli italiani, rimane assolutamente verboten allo humour. Le gabelle infatti anno dopo anno sono diventate sempre più pesanti e numerose, tanto da indurre l’opinione pubblica a individuare nella leva fiscale uno strumento ingiustamente vessatorio, punitivo in particolar modo nei confronti di chi, come il popolo del reddito fisso, non può nascondere nulla all’ufficio esattoriale, venendo considerato alla stregua di “mucche da mungere” e favorendo il fugone oltralpe di un fiume di denaro non dichiarato.

E’ di questi giorni la notizia che la spesa pubblica italiana, durante lo scorso anno, ha sfiorato la barriera degli 800 miliardi di euro, attestandosi precisamente a 798.864 mld, risultando così in crescita per il terzo anno consecutivo, superando in percentuale oltre la metà del Pil nazionale. Il valore totale delle uscite, insomma, è tornato a incidere sul Pil italiano in misura analoga a quella registrata nel 1996, quando il rapporto spesa-Pil ammontava al 52,6%. In confronto agli altri nostri partner dell’Ue la partita in uscita dell’Italia in relazione al Pil è stata infatti più alta di 1,2 punti percentuali rispetto alla media dei paesi dell’Unione. Evidentemente nel portafogli dell’erario, alle nostre latitudini, hanno pesato, e molto, i costi degli ammortizzatori sociali elargiti dal governo per consentire alle famiglie di far fronte alla crisi che ha colpito i mercati finanziari, e quindi l’economia mondiale.

Sarà. Comunque, ammortizzatori o meno, anche “prima” del 2008 non è che vivessimo in un paradiso fiscale. Il fatto increscioso è che questa esagerata mole d’impieghi deve per forza di cose essere “finanziata”. E da chi? Ma da tutti noi, è ovvio. E come? Tramite la leva tributaria, of course. Tutto questo “generoso” scialo di risorse, cioè, si traduce, in soldoni, in una valanga di balzelli a nostro carico. Uno tsunami che opprime lo sfortunato contribuente del Bel Paese tanto pesantemente da offrire un formidabile assist al già nutrito popolo degli evasori, che individua appunto nell’evasione, piuttosto che un reato, una legittima difesa, seppure estrema, dalla smodata bulimia di Stato. Il si salvi chi può da parte dei furbacchioni che hanno trasferito all’estero i loro tesoretti ha preso la stura proprio da questa bramosia. Una bramosia tale che nel 2009 l’onere fiscale sul Pil ha registrato il 43,2%, facendo schizzare il nostro paese al V posto in Europa per voracità tributaria, in condominio con la Francia e subito dopo Austria, Belgio, Danimarca e Svezia, quando nel 2008 si era piazzato al settimo posto.

Insomma, paghiamo come la Svezia per avere servizi degni del Burundi. Si è trattato della peggiore performance dal 1997. Un esito, secondo l’Istat, dovuto a una flessione del Pil maggiore di quella fatta registrare dal «gettito fiscale e parafiscale, la cui dinamica negativa (-2,3%) è stata attenuata da quella, in forte aumento, delle imposte di carattere straordinario, cresciute in valore assoluto di quasi 12 miliardi di euro». Va sottolineato che nel novero delle “imposte straordinarie” vanno considerati i fiumi di cash affluiti in Italia dai forzieri esteri grazie allo scudo fiscale, calcolati in 5 miliardi di euro.

E meno male che lo scudo c’è, si potrebbe parafrasare, in quanto durante il 2009 la maggior parte delle voci d’entrata dell’erario hanno registrato invece una marcata flessione. Le imposte indirette infatti l’anno scorso sono calate del 4,2% dopo avere già perduto il 4,9 nel 2008. Quelle dirette sono affondate del 7,1% e i contributi sociali dello 0,5%. La contrazione delle dirette è da scrivere prevalentemente al collasso dell’Ires (-23%), mentre le indirette hanno accusato la picchiata dell’Iva (-6,7%) e dell’Irap (-13%). Molto più contenuto è stato il calo dei contributi sociali, che hanno risentito della sostanziale tenuta degli stipendi, un fenomeno da ascrivere al lievitare dell’ammontare medio pro capite, che è andato a compensare il marcato flop occupazionale. Ma la doccia fredda è nascosta là dove meno te l’aspetti. Vale a dire nelle valutazioni fornite dai commercialisti, secondo i quali, in quanto a pressione fiscale, l’Italia è sostanzialmente al top delle classifiche della rapina tributaria ai danni della collettività.

«Quello del 2009 è un record negativo assoluto», hanno sostenuto gli esperti del ramo. Lo scorso anno, infatti, per l’ufficio studi del Consiglio dei commercialisti, la pressione fiscale autentica, quella avvertita sulla propria pelle dalla cittadinanza tutta, era in realtà al 51,6%. «Un record negativo assoluto» rispetto al 50,8% del 2008. «Questo perché la componente di economia sommersa stimata in Italia è percentualmente più rilevante di quella di tutti gli altri paesi europei, esclusa la sola Grecia», ha concluso il presidente dei commercialisti Siciliotti. Economia sommersa sta per “nero”. Un deprecabile iceberg la cui superficie visibile è soltanto una parte infinitesimale della montagna celata sotto il mare dell’illecito. Un volume di “evaso” che avrebbe portato la reale pressione fiscale nel 2009 a un valore che più o meno oscillerebbe attorno al 52%. Una considerazione suffragata anche dalla Cgia di Mestre. «Se storniamo dalla ricchezza prodotta la quota addebitabile al sommerso economico, il Pil diminuisce – quindi si contrae anche il denominatore – e, pertanto, aumenta il risultato che emerge dal rapporto. Ovvero, la pressione fiscale», hanno sostenuto gli artigiani di Mestre.

Anche Confindustria ha lanciato l’allarme: «La pressione fiscale è un problema di cui parliamo da sempre. Oggi è ai massimi, quindi è un problema per la crescita», ha affermato Emma Marcegaglia. «Da tempo – ha ricordato la presidentessa degli industriali italiani – stiamo chiedendo al ministro Tremonti di aprire un tavolo sul fisco, come promesso».

Intanto, per l’Eurostat, l’Italia domina anche le classifiche dei paesi a più alto onere fiscale a carico del lavoro. Nel 2008, infatti, esso è stato pari al 42,8%: di gran lunga maggiore rispetto a quello della media Ue, pari al 34,2%. Solo le accise sui consumi da noi sono le più soft: 16,4% contro una media di Ue del 20,8%. Come si può facilmente constatare, siamo veramente ridotti a raschiare il fondo del barile. Un barile ormai disseccato dalle dissennate politiche erariali portate avanti negli anni spensierati dello sperpero facile e dello spreco istituzionalizzato.

Con l’avvento degli esecutivi a guida berlusconiana sembrava essere arrivati a un salutare rinsavimento. Insomma, pareva proprio che la deprecabile abitudine di tosare il parco buoi dei contribuenti impossibilitati ad evadere, come i salariati, gli stipendiati, la pubblica amministrazione, a vantaggio dei soliti noti, fosse sul punto di subire un salutare ripensamento. Invece, il default greco, il temuto crack spagnolo e portoghese, il collasso ungherese e romeno, lo sforamento irlandese, e inglese, e italiano, e francese hanno mandato tutto a ramengo. Le buone intenzioni del premier hanno insomma dovuto decampare davanti al pessimo esempio gestionale fornito in blocco dagli stati continentali, i quali, tranne forse la sola Germania, invece di essere una comunità di formiche s’è rivelata una masnada di cicale.

Cicale gelose delle proprie prerogative, dei propri privilegi, delle proprie autonomie, abituate a vivere al disopra delle loro possibilità ma prontissime a bussare alla porta di Bruxelles al primo cenno di bancarotta, quando per finanziare le loro (una volta) allegre economie sono state costrette a ricorrere agli usurai. L’esito fatale di tutta questa dispendiosa cuccagna sarà una severa politica di austerithy a livello continentale, con un nuovo giro di vite sul fronte delle gabelle.

Certo, l’alternativa, almeno dalle nostre parti, ci sarebbe, eccome. Basterebbe tagliare le spese superflue. Ma a giudicare dalle orecchie che dovrebbero recepire il messaggio, sono in tanti in Italia a dover ricorrere alla Maico. Tremonti, infatti, ci ha pure provato a proporre il machete contro i rami secchi dello stato e del parastato, secchi di prestazioni ma irroratissimi quanto a linfa vitale dissipata. I suoi colleghi di governo, invece, remando contro, gli hanno dapprima ipotizzato le cesoie per poi promettergli le forbicine e consegnargli in concreto le limette per le unghie. Il risultato è che le Province non si possono tagliare perché non lo vuole Bossi. Le Regioni non si possono alleggerire perché non lo vuole Formigoni. La Pubblica Amministrazione non si può snellire perché non lo vuole Fini. La Difesa non si può toccare sennò s’incazza La Russa. La cultura? Subito scendono sul piede di guerra nani, guitti, ballerine e guzzantine varie. La Sanità? Peggio di così…La scuola? Idem. I magistrati? E’ un golpe. I calciatori? Ma va là. Sono così bravi e competenti, in Sud Africa hanno dato tanto lustro alla Patria… Gli unici che corrono il rischio di essere soppressi sono i prefetti, in quanto non costano nulla, servono a molto e non godono di appoggi presso i poteri forti.

Così ci siamo ridotti a dissertare se il Grande Raccordo Anulare della Capitale sia a rischio pedaggio o meno. Naturalmente, a usare un po’ più di parsimonia nell’uso delle auto blu, delle scorte, dei rimborsi spese, insomma, a sfoltire il ginepraio di privilegi goduti, quelli della casta non ci pensano nemmeno. Perciò, per non incappare in una prospettiva greca, sempre più probabile vista l’aria che tira - “una fazzia una razzia” – toccherà rassegnarsi a versare almeno 24 miliardi di euro nel buco nero di Pantalone, secondo i dettami della manovra tremontiana, e risolversi a votare contro i partiti governativi alle prossime elezioni politiche.

Ma anche qui c’è poco da stare allegri. La parola d’ordine lanciata in questi giorni dagli scranni dell’opposizione infatti è “contromanovra”. Detta così suona alquanto bene, ma se uno si prendesse la briga di andare a leggersi con attenzione le sterminate lenzuolate stilate da Bersani & Co. Si avrebbero delle sconcertanti sorprese. Antonio Di Pietro infatti nelle sue elucubrazioni al mulino bianco propone maggiori introiti per 65 miliardi di euro tramite la reintroduzione dell’Ici e l’istituzione di un “redditometro a riscossione immediata”. Vale a dire: intanto paghi subito, e poi si vedrà. Insomma, Stalin, messo a paragone con Di Pietro, era un genio dell’economia di mercato.

Sorvolando pietosamente sull’aria fritta ventilata dai Soloni dell’Api rutelliana, il faldone elaborato dal Pd sollecita l’eliminazione della «protezione dai controlli fiscali per i 200.000 grandi evasori che hanno approfittato dello scudo a prezzi stracciati». Immaginatevi il fuggi fuggi generale verso i lidi esteri di tutti quelli che hanno riportato i loro tesoretti di nuovo all’interno dei confini patrii confidando nello scudo governativo. L’esodo riprenderebbe come prima e più forte di prima, con grave nocumento per le nostre casse. Insomma, sfoltito dell’enciclopedica messe di critiche sollevate contro la manovra governativa, di propositivo nel grimorio democratico c’è soltanto una striminzita paginetta di escamotage operativi tutti accuratamente privi d’indicazioni sulla copertura finanziaria. Sennò si sarebbe corso il rischio di proporre qualcosa di logico.

Naturalmente i vessilliferi del progresso propongono, in aggiunta a tutta questa futuristica dovizia di arzigogoli, l’abbandono del progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, tagli alla difesa, e l’ampliamento dell’accesso del fisco alle informazioni bancarie. Siamo alle solite. I nipotini di Orwell, orfani del Grande Fratello sovietico, sono sempre all’eterna, disperata ricerca di un sostituto. Non potendo più materialmente trasformare la società in un gulag, ripiegano per il Panoptikon di benthamiana memoria. Tutti sorvegliati e contenti. La privacy? Roba da evasori…

di Angelo Spaziano

05 luglio 2010

Michio Kaku e la nostra civiltà di tipo zero


Michio Kaku è un fisico teorico nippo-americano specializzato nello studio
della teoria delle stringhe. Se lo si ascoltasse per qualche minuto si
capirebbe subito che, con il suo modo di parlare, cerca di rendere il mondo
complesso e spesso incomprensibile della fisica teorica il più semplice
possibile, per raggiungere il più ampio ventaglio di ascoltatori e rendere
alla portata di tutti concetti spiegabili e dimostrabili con complicate
formule matematiche.
Il suo mentore è stato Edward Teller, noto nella storia come "il padre della
bomba all'idrogeno" e per aver partecipato attivamente al programma nucleare
americano come membro del Progetto Manhattan.
Michio Kaku si è laureato in fisica "summa cum laude" ad Harvard, primo fra
tutti nella classe di fisica. Ha gestito il Berkeley Radiation Laboratory,
ottenendo il titolo di "Doctor of Philosophy". Ha scritto un importante
capitolo della teoria delle stringhe, ed è attivamente coinvolto nella
ricerca sulla "Teoria del Tutto".
Al suo attivo ha oltre 170 articoli sulla fisica teorica (superstringhe,
supersimmetria, supergravità), 12 libri tra i quali il best-seller "Fisica
dell'Impossibile", diverse trasmissioni televisive e radiofoniche sulla
scienza e sul futuro dell' umanità.

Michio Kaku è incredibilmente bravo nel rendere semplici alcuni concetti
estremamente complicati. Specialmente quando si tratta di spiegare il futuro
dell' umanità secondo il suo punto di vista.
Secondo Kaku, l'umanità è destinata ad evolversi o a scomparire, seguendo un
modello di sviluppo che ci porterebbe verso l'espansione nello spazio, o
verso una tragica fine senza alcuna menzione nella storia della nostra
galassia.

Quando Kaku parla di livelli di civiltà si riferisce essenzialmente allo
sviluppo energetico. Anche se accenna a discorsi come lingue globali,
culture universali e via dicendo, secondo lui la distinzione netta che si
può fare tra diversi livelli di civiltà è l'osservazione delle fonti di
energia che vengono sfruttate per la sopravvivenza della civiltà stessa.

Abbiamo così 4 livelli di base di civiltà:

- Civiltà di Tipo 0: siamo noi, esseri umani, ma potrebbe esserlo una
qualunque altra civiltà che abbia raggiunto il nostro livello tecnologico o
che sia diversi passi indietro rispetto all'essere umano. La civiltà di Tipo
0 si caratterizza essenzialmente per il fatto di essere frammentaria nella
sua cultura, e per l'utilizzo di fonti di energia esauribili e scarsamente
efficienti come i combustibili fossili. Una civiltà di Tipo 0 ha raggiunto
capacità di esplorazione dello spazio limitate.
- Tipo 1: una civiltà di Tipo 1 è, secondo Kaku, il futuro prossimo
dell'umanità. Secondo il fisico, siamo al livello di transizione tra Tipo 0
e Tipo 1: cultura sempre più globale, nuove fonti energetiche in via di
sviluppo, e via dicendo. Una civiltà di Tipo 1 ha il controllo di tutti gli
elementi del proprio pianeta di origine: è in grado di controllarne il
clima, sfruttarne le risorse energetiche in maniera efficace senza tuttavia
portare all'esaurimento le risorse disponibili. Una civiltà di Tipo 1 è
inoltre in grado di far viaggiare individui nello spazio superando distanze
di minuti, ore o addirittura giorni-luce senza dover impiegare anni per il
raggiungimento di una meta interplanetaria.
- Tipo 2: il vero salto di qualità. Secondo Kaku, una civiltà di tipo 2 è
virtualmente immortale, sia per quanto riguarda l'individuo che per quanto
riguarda l'insieme. C'è un problema sul pianeta di origine? Lo si risolve
senza troppi problemi, anche se significasse spostare il pianeta dalla
propria orbita. Problemi di natura energetica? Non esistono in una civiltà
di tipo 2: questo tipo di evoluzione consentirebbe di estrarre energia
direttamente dagli astri, sfruttare in modo efficace l'antimateria,
esplorare diversi sistemi solari senza problemi di tempo o di distanze.
- Tipo 3: l'evoluzione del tipo 2 è una civiltà che ha il dominio di tutte
le leggi della fisica, e di conseguenza il controllo sullo spazio e
sull'energia prodotta da migliaia, se non milioni di stelle. Esplora la
galassia senza problemi, visita pianeti sfruttando intelligenze robotiche e
macchine di Von Neumann, può eseguire viaggi di migliaia di anni luce nello
stesso tempo che impieghiamo noi per arrivare sulla Luna.

Se tutto questo sembra fantascienza, per Michio Kaku non lo è affatto, è
solo la visione di un futuro sempre più vicino. Secondo lui, molti di questi
processi sono già stati scritti a livello teorico nella fisica, mancano solo
i meccanismi pratici per metterli in atto.
Sappiamo ad esempio che l'antimateria potrebbe fornirci energia pressochè
illimitata ed ultra-efficiente, in grado di farci viaggiare nello spazio a
velocità impensabili, ma ora come ora riusciamo a produrne solo qualche
miliardesimo di grammo attraverso i più potenti acceleratori di particelle
al mondo, niente che possa avere un utilizzo pratico.

Michio Kaku inoltre non esclude la possibilità che, attorno al nostro
Sistema Solare, fioriscano civiltà di tipo 0-1-2-3 senza che ce ne rendiamo
conto.
Un esempio potrebbe essere il seguente:
- Tipo 0: potrebbero esserci migliaia di civiltà di tipo 0 nella sola Via
Lattea. Che siano alla scoperta del fuoco o alla creazione del transistor
poco importa, le possibilità di intercettare messaggi dallo spazio emessi da
civiltà di livello superiore sono pressochè nulle. Le probabilità inoltre
che si possa comunicare nello spazio tra due civiltà di tipo 0 sono
scarsissime, in quanto utilizzano tecnologie inefficaci per le comunicazioni
interplanetarie.
- Tipo 1: le civiltà di tipo 1 hanno superato la fase più critica,
evolvendosi da un livello di tecnologia (tipo 0) che può portare ad un
"nuovo rinascimento" come alla distruzione totale di un'intera civiltà. E'
possibile che solo una parte di civiltà di tipo 0 possano evolversi in tipo
1 invece di autodistruggersi. Le civiltà di tipo 1 inoltre hanno imparato
che per inviare messaggi nello spazio il metodo più efficace è quello di
spedirli lungo una gamma completa di frequenze, spezzandoli in "pacchetti"
ricomposti una volta giunti a destinazione. Questo limita una civiltà di
tipo 0 nell'intercettazione di messaggi: per esempio, il genere umano è in
ascolto su una sola frequenza, aspettandosi un messaggio completo che
probabilmente non intercetterà mai.
- Tipo 2: una volta raggiunto il tipo 1, è solo questione di tempo (e di
fortuna) prima che si arrivi al tipo 2. Una società di tipo 1 può essere
fermata solo da disastri di tipo cosmico o da grossolani errori di
valutazione nello sfruttamento delle risorse planetarie disponibili, ma la
probabilità di distruzione è comunque inferiore al tipo 0. Il tipo 2 invece
è un livello di sviluppo raggiunbibile a tutte le civiltà di tipo 1,
aspettando il giusto tempo per approfondire le dinamiche cosmiche.
Probabilmente i metodi di comunicazione sono oltre l'utilizzo del laser, il
che esclude una civiltà come la nostra, di Tipo 0, dal solo immaginare quale
tecnologia utilizzino per comunicare nello spazio.
- Tipo 3: le civiltà di tipo 2, virtualmene immortali, che non hanno
raggiunto il tipo 3 hanno soltanto bisogno di altro tempo per evolversi, ma
il raggiungimento di questo stadio è la naturale conseguenza del viaggio
interstellare e dello studio sempre più approfondito delle meccaniche
celesti. Una civiltà di tipo 3, in gradi di esplorare intere galassie,
utilizza metodi di comunicazione che di certo civiltà di tipo 0 e 1 non sono
in grado di comprendere, e che forse civiltà di tipo 2 stanno sviluppando a
livello sperimentale.

Michio Kaku non esclude inoltre che possiamo essere stati visitati, ed
esserlo tutt'ora, da civiltà extraterrestri. Il problema che pone, però, è
quello dello scarso interesse che una civiltà di tipo 2 o 3 possa avere nei
confronti di una civiltà di tipo 0.
L'esempio che si può fare è quello di una formica in relazione con l'essere
umano: che vantaggi deriverebbero all'essere umano dall'insegnare alla
formica a costruire un computer? Che interesse potrebbe avere la formica nel
costruire un computer quando la sua sola logica concepibile è quella di
lavorare per la colonia accumulando cibo?
Allo stesso modo, che interesse potrebbero avere delle civiltà
extraterrestri così evolute nel favorire la nostra evoluzione intervenendo
in un processo che potrebbe farci rinascere come farci autodistruggere per
la nostra incapacità di gestire quest processo di maturazione? E che
interesse potrebbe avere la maggior parte del genere umano, che ha come
unica preoccupazione (ben comprensibile, sia chiaro) quella di sopravvivere
alle problematiche che la sua stessa specie crea di continuo?

Le "visioni" di Michio Kaku in realtà sono molto più complesse di semplici
idee futuristiche: basandosi sulla fisica quantistica, sulla teoria delle
stringhe e la "Teoria del Tutto", le sue previsioni sono sia a breve che a
lungo termine, e contemplano teletrasporto, invisibilità, intelligenza
artificiale, viaggi spaziali, temporali ed dimensionali.

E' altrettanto vero tuttavia che la fisica teorica è spesso molto distante
dall'applicazione pratica delle sue formule, e che molti dei meccanismi che
regolano il nostro universo sono ben lungi dall'essere svelati.
Leggere i suoi libri e le sue idee sul futuro dell' umanità rimane però
un'interessante viaggio ai confini di ciò che riteniamo possibile e la
fantascienza, ci fanno capire che il viaggio evolutivo dell'essere umano è
solo all'inizio, e che le opportunità che la fisica espone nella sua
continua ricerca delle meccaniche universali sono pressochè illimitate.

04 luglio 2010

L'impero britannico organizzò la prima e la seconda guerra mondiale

Il 22 giugno, il 69esimo anniversario dell'Operazione Barbarossa, l'invasione nazista dell'Unione Sovietica, il Prof. Igor Panarin ha aumentato gli attacchi pubblici contro l'impero britannico come avversario storico "e contemporaneo" della Russia. "Ritengo che sia necessario ripetere nuovamente oggi" ha dichiarato Panarin in un'intervista a KM.ru "che i leader dell'impero britannico dovrebbero confessare di aver organizzato sia la prima che la seconda guerra mondiale, e di indire un tribunale pubblico per stabilire che organizzò la prima e la seconda guerra mondiale, e perché". Un simile tribunale verrebbe giustificato per via dell'"olocausto del popolo sovietico" che ne seguì.

Il prof. Panarin è preside della Facoltà di Storia all'Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri russo, ed è rinomato per i suoi pronostici sulla frammentazione degli Stati Uniti. Pochi resoconti rilevano tuttavia il fatto che Panarin attribuisce tale piano anti USA ad un gruppo di finanzieri con sede a Londra.

Ha dichiarato a KM.ru: "Il 22 giugno è una data tragica nella nostra storia. Ma ritengo che l'attacco improvviso all'Unione Sovietica da parte della Germania non sia stato ordito soltanto dalla Germania fascista, ma anche dall'Impero britannico. Potrebbe sembrare un paradosso, perché i due paesi erano avversari in quel momento. Ma è strano solo di primo acchito". Il professore prosegue con l'argomentazione che alcuni bolscevichi, come Leon Trotzky, erano "agenti dei servizi britannici" (come ha documentato in un recente video, in cui evidenzia il rapporti tra Trotzky e le spie britanniche Bruce Lockhart e Sidney Reilly) che furono soppressi da Stalin. Incapace di ottenere il controllo che voleva sull'Unione Sovietica, continua Panarin "l'Impero britannico decise di preparare la seconda guerra mondiale, in cui la Germania fascista avrebbe agito come forza d'attacco in un attacco contro l'Unione Sovietica. Non è un segreto che furono i britannici (la Banca d'Inghilterra, in particolare) a finanziare il Partito Nazista…"

Le formulazioni dell'intervista di Panarin, che chiama l'Impero britannico sul banco degli imputati, bisticciano con l'opinione erronea generale secondo cui i britannici sono solo un partner degli Stati Uniti. Si noti il fatto che i discorsi e articoli di LaRouche sull'Impero britannico (anzi, brutannico) ed i suoi agenti al Cremino quali il consigliere Arkadi Dvorkovich e gran parte della delegazione che ha accompagnato il Presidente Dmitri Medvedev nel suo viaggio a Silicon Valley, la Stanford University e Washington, circolano ampiamente tradotti in russo.

Durante la webcast di LaRouche del 26 giugno un esponente russo gli ha chiesto che ne pensasse del punto di vista di Panarin. LaRouche ha esordito dicendo che Rosa Luxemburg fu l'unica personalità del secolo scorso che comprese correttamente l'Impero britannico. Dopo aver sviluppato il concetto di impero, ha aggiunto che "l'impero britannico non è un'espressione del popolo britannico. È un'imposizione sul popolo britannico da parte di un'organizzazione che assunse la forma della Compagnia Britannica delle Indie Orientali". Un impero sopravvive inducendo altre potenziali nazioni a distruggersi l'un l'altra in guerra, ha proseguito. Lo stato di guerra permanente tra Israele ed i paesi arabi è un esempio di questo. Così come la guerra in Afghanistan, condotta da quell'idiota di Obama e che è "un'operazione di droga da parte dell'Impero britannico".

by Movisol

07 luglio 2010

Tassa su tassa. E’ l’Italia che va?


Dice il tasso a un altro tasso, indicando uno stupendo esemplare di femmina della stessa specie: «Dì un po’, ma tu le paghi le tasse?». E’ una celebre illustrazione tratta dal Diariovitt di Jacovitti, il grande vignettista che riusciva a far sorridere la gente anche satireggiando su un argomento ostico come quello fiscale. Ed effettivamente è assai difficile, oggigiorno, trovare qualcuno disposto a ironizzare sullo spauracchio delle imposte. Questo territorio, almeno per gli italiani, rimane assolutamente verboten allo humour. Le gabelle infatti anno dopo anno sono diventate sempre più pesanti e numerose, tanto da indurre l’opinione pubblica a individuare nella leva fiscale uno strumento ingiustamente vessatorio, punitivo in particolar modo nei confronti di chi, come il popolo del reddito fisso, non può nascondere nulla all’ufficio esattoriale, venendo considerato alla stregua di “mucche da mungere” e favorendo il fugone oltralpe di un fiume di denaro non dichiarato.

E’ di questi giorni la notizia che la spesa pubblica italiana, durante lo scorso anno, ha sfiorato la barriera degli 800 miliardi di euro, attestandosi precisamente a 798.864 mld, risultando così in crescita per il terzo anno consecutivo, superando in percentuale oltre la metà del Pil nazionale. Il valore totale delle uscite, insomma, è tornato a incidere sul Pil italiano in misura analoga a quella registrata nel 1996, quando il rapporto spesa-Pil ammontava al 52,6%. In confronto agli altri nostri partner dell’Ue la partita in uscita dell’Italia in relazione al Pil è stata infatti più alta di 1,2 punti percentuali rispetto alla media dei paesi dell’Unione. Evidentemente nel portafogli dell’erario, alle nostre latitudini, hanno pesato, e molto, i costi degli ammortizzatori sociali elargiti dal governo per consentire alle famiglie di far fronte alla crisi che ha colpito i mercati finanziari, e quindi l’economia mondiale.

Sarà. Comunque, ammortizzatori o meno, anche “prima” del 2008 non è che vivessimo in un paradiso fiscale. Il fatto increscioso è che questa esagerata mole d’impieghi deve per forza di cose essere “finanziata”. E da chi? Ma da tutti noi, è ovvio. E come? Tramite la leva tributaria, of course. Tutto questo “generoso” scialo di risorse, cioè, si traduce, in soldoni, in una valanga di balzelli a nostro carico. Uno tsunami che opprime lo sfortunato contribuente del Bel Paese tanto pesantemente da offrire un formidabile assist al già nutrito popolo degli evasori, che individua appunto nell’evasione, piuttosto che un reato, una legittima difesa, seppure estrema, dalla smodata bulimia di Stato. Il si salvi chi può da parte dei furbacchioni che hanno trasferito all’estero i loro tesoretti ha preso la stura proprio da questa bramosia. Una bramosia tale che nel 2009 l’onere fiscale sul Pil ha registrato il 43,2%, facendo schizzare il nostro paese al V posto in Europa per voracità tributaria, in condominio con la Francia e subito dopo Austria, Belgio, Danimarca e Svezia, quando nel 2008 si era piazzato al settimo posto.

Insomma, paghiamo come la Svezia per avere servizi degni del Burundi. Si è trattato della peggiore performance dal 1997. Un esito, secondo l’Istat, dovuto a una flessione del Pil maggiore di quella fatta registrare dal «gettito fiscale e parafiscale, la cui dinamica negativa (-2,3%) è stata attenuata da quella, in forte aumento, delle imposte di carattere straordinario, cresciute in valore assoluto di quasi 12 miliardi di euro». Va sottolineato che nel novero delle “imposte straordinarie” vanno considerati i fiumi di cash affluiti in Italia dai forzieri esteri grazie allo scudo fiscale, calcolati in 5 miliardi di euro.

E meno male che lo scudo c’è, si potrebbe parafrasare, in quanto durante il 2009 la maggior parte delle voci d’entrata dell’erario hanno registrato invece una marcata flessione. Le imposte indirette infatti l’anno scorso sono calate del 4,2% dopo avere già perduto il 4,9 nel 2008. Quelle dirette sono affondate del 7,1% e i contributi sociali dello 0,5%. La contrazione delle dirette è da scrivere prevalentemente al collasso dell’Ires (-23%), mentre le indirette hanno accusato la picchiata dell’Iva (-6,7%) e dell’Irap (-13%). Molto più contenuto è stato il calo dei contributi sociali, che hanno risentito della sostanziale tenuta degli stipendi, un fenomeno da ascrivere al lievitare dell’ammontare medio pro capite, che è andato a compensare il marcato flop occupazionale. Ma la doccia fredda è nascosta là dove meno te l’aspetti. Vale a dire nelle valutazioni fornite dai commercialisti, secondo i quali, in quanto a pressione fiscale, l’Italia è sostanzialmente al top delle classifiche della rapina tributaria ai danni della collettività.

«Quello del 2009 è un record negativo assoluto», hanno sostenuto gli esperti del ramo. Lo scorso anno, infatti, per l’ufficio studi del Consiglio dei commercialisti, la pressione fiscale autentica, quella avvertita sulla propria pelle dalla cittadinanza tutta, era in realtà al 51,6%. «Un record negativo assoluto» rispetto al 50,8% del 2008. «Questo perché la componente di economia sommersa stimata in Italia è percentualmente più rilevante di quella di tutti gli altri paesi europei, esclusa la sola Grecia», ha concluso il presidente dei commercialisti Siciliotti. Economia sommersa sta per “nero”. Un deprecabile iceberg la cui superficie visibile è soltanto una parte infinitesimale della montagna celata sotto il mare dell’illecito. Un volume di “evaso” che avrebbe portato la reale pressione fiscale nel 2009 a un valore che più o meno oscillerebbe attorno al 52%. Una considerazione suffragata anche dalla Cgia di Mestre. «Se storniamo dalla ricchezza prodotta la quota addebitabile al sommerso economico, il Pil diminuisce – quindi si contrae anche il denominatore – e, pertanto, aumenta il risultato che emerge dal rapporto. Ovvero, la pressione fiscale», hanno sostenuto gli artigiani di Mestre.

Anche Confindustria ha lanciato l’allarme: «La pressione fiscale è un problema di cui parliamo da sempre. Oggi è ai massimi, quindi è un problema per la crescita», ha affermato Emma Marcegaglia. «Da tempo – ha ricordato la presidentessa degli industriali italiani – stiamo chiedendo al ministro Tremonti di aprire un tavolo sul fisco, come promesso».

Intanto, per l’Eurostat, l’Italia domina anche le classifiche dei paesi a più alto onere fiscale a carico del lavoro. Nel 2008, infatti, esso è stato pari al 42,8%: di gran lunga maggiore rispetto a quello della media Ue, pari al 34,2%. Solo le accise sui consumi da noi sono le più soft: 16,4% contro una media di Ue del 20,8%. Come si può facilmente constatare, siamo veramente ridotti a raschiare il fondo del barile. Un barile ormai disseccato dalle dissennate politiche erariali portate avanti negli anni spensierati dello sperpero facile e dello spreco istituzionalizzato.

Con l’avvento degli esecutivi a guida berlusconiana sembrava essere arrivati a un salutare rinsavimento. Insomma, pareva proprio che la deprecabile abitudine di tosare il parco buoi dei contribuenti impossibilitati ad evadere, come i salariati, gli stipendiati, la pubblica amministrazione, a vantaggio dei soliti noti, fosse sul punto di subire un salutare ripensamento. Invece, il default greco, il temuto crack spagnolo e portoghese, il collasso ungherese e romeno, lo sforamento irlandese, e inglese, e italiano, e francese hanno mandato tutto a ramengo. Le buone intenzioni del premier hanno insomma dovuto decampare davanti al pessimo esempio gestionale fornito in blocco dagli stati continentali, i quali, tranne forse la sola Germania, invece di essere una comunità di formiche s’è rivelata una masnada di cicale.

Cicale gelose delle proprie prerogative, dei propri privilegi, delle proprie autonomie, abituate a vivere al disopra delle loro possibilità ma prontissime a bussare alla porta di Bruxelles al primo cenno di bancarotta, quando per finanziare le loro (una volta) allegre economie sono state costrette a ricorrere agli usurai. L’esito fatale di tutta questa dispendiosa cuccagna sarà una severa politica di austerithy a livello continentale, con un nuovo giro di vite sul fronte delle gabelle.

Certo, l’alternativa, almeno dalle nostre parti, ci sarebbe, eccome. Basterebbe tagliare le spese superflue. Ma a giudicare dalle orecchie che dovrebbero recepire il messaggio, sono in tanti in Italia a dover ricorrere alla Maico. Tremonti, infatti, ci ha pure provato a proporre il machete contro i rami secchi dello stato e del parastato, secchi di prestazioni ma irroratissimi quanto a linfa vitale dissipata. I suoi colleghi di governo, invece, remando contro, gli hanno dapprima ipotizzato le cesoie per poi promettergli le forbicine e consegnargli in concreto le limette per le unghie. Il risultato è che le Province non si possono tagliare perché non lo vuole Bossi. Le Regioni non si possono alleggerire perché non lo vuole Formigoni. La Pubblica Amministrazione non si può snellire perché non lo vuole Fini. La Difesa non si può toccare sennò s’incazza La Russa. La cultura? Subito scendono sul piede di guerra nani, guitti, ballerine e guzzantine varie. La Sanità? Peggio di così…La scuola? Idem. I magistrati? E’ un golpe. I calciatori? Ma va là. Sono così bravi e competenti, in Sud Africa hanno dato tanto lustro alla Patria… Gli unici che corrono il rischio di essere soppressi sono i prefetti, in quanto non costano nulla, servono a molto e non godono di appoggi presso i poteri forti.

Così ci siamo ridotti a dissertare se il Grande Raccordo Anulare della Capitale sia a rischio pedaggio o meno. Naturalmente, a usare un po’ più di parsimonia nell’uso delle auto blu, delle scorte, dei rimborsi spese, insomma, a sfoltire il ginepraio di privilegi goduti, quelli della casta non ci pensano nemmeno. Perciò, per non incappare in una prospettiva greca, sempre più probabile vista l’aria che tira - “una fazzia una razzia” – toccherà rassegnarsi a versare almeno 24 miliardi di euro nel buco nero di Pantalone, secondo i dettami della manovra tremontiana, e risolversi a votare contro i partiti governativi alle prossime elezioni politiche.

Ma anche qui c’è poco da stare allegri. La parola d’ordine lanciata in questi giorni dagli scranni dell’opposizione infatti è “contromanovra”. Detta così suona alquanto bene, ma se uno si prendesse la briga di andare a leggersi con attenzione le sterminate lenzuolate stilate da Bersani & Co. Si avrebbero delle sconcertanti sorprese. Antonio Di Pietro infatti nelle sue elucubrazioni al mulino bianco propone maggiori introiti per 65 miliardi di euro tramite la reintroduzione dell’Ici e l’istituzione di un “redditometro a riscossione immediata”. Vale a dire: intanto paghi subito, e poi si vedrà. Insomma, Stalin, messo a paragone con Di Pietro, era un genio dell’economia di mercato.

Sorvolando pietosamente sull’aria fritta ventilata dai Soloni dell’Api rutelliana, il faldone elaborato dal Pd sollecita l’eliminazione della «protezione dai controlli fiscali per i 200.000 grandi evasori che hanno approfittato dello scudo a prezzi stracciati». Immaginatevi il fuggi fuggi generale verso i lidi esteri di tutti quelli che hanno riportato i loro tesoretti di nuovo all’interno dei confini patrii confidando nello scudo governativo. L’esodo riprenderebbe come prima e più forte di prima, con grave nocumento per le nostre casse. Insomma, sfoltito dell’enciclopedica messe di critiche sollevate contro la manovra governativa, di propositivo nel grimorio democratico c’è soltanto una striminzita paginetta di escamotage operativi tutti accuratamente privi d’indicazioni sulla copertura finanziaria. Sennò si sarebbe corso il rischio di proporre qualcosa di logico.

Naturalmente i vessilliferi del progresso propongono, in aggiunta a tutta questa futuristica dovizia di arzigogoli, l’abbandono del progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, tagli alla difesa, e l’ampliamento dell’accesso del fisco alle informazioni bancarie. Siamo alle solite. I nipotini di Orwell, orfani del Grande Fratello sovietico, sono sempre all’eterna, disperata ricerca di un sostituto. Non potendo più materialmente trasformare la società in un gulag, ripiegano per il Panoptikon di benthamiana memoria. Tutti sorvegliati e contenti. La privacy? Roba da evasori…

di Angelo Spaziano

05 luglio 2010

Michio Kaku e la nostra civiltà di tipo zero


Michio Kaku è un fisico teorico nippo-americano specializzato nello studio
della teoria delle stringhe. Se lo si ascoltasse per qualche minuto si
capirebbe subito che, con il suo modo di parlare, cerca di rendere il mondo
complesso e spesso incomprensibile della fisica teorica il più semplice
possibile, per raggiungere il più ampio ventaglio di ascoltatori e rendere
alla portata di tutti concetti spiegabili e dimostrabili con complicate
formule matematiche.
Il suo mentore è stato Edward Teller, noto nella storia come "il padre della
bomba all'idrogeno" e per aver partecipato attivamente al programma nucleare
americano come membro del Progetto Manhattan.
Michio Kaku si è laureato in fisica "summa cum laude" ad Harvard, primo fra
tutti nella classe di fisica. Ha gestito il Berkeley Radiation Laboratory,
ottenendo il titolo di "Doctor of Philosophy". Ha scritto un importante
capitolo della teoria delle stringhe, ed è attivamente coinvolto nella
ricerca sulla "Teoria del Tutto".
Al suo attivo ha oltre 170 articoli sulla fisica teorica (superstringhe,
supersimmetria, supergravità), 12 libri tra i quali il best-seller "Fisica
dell'Impossibile", diverse trasmissioni televisive e radiofoniche sulla
scienza e sul futuro dell' umanità.

Michio Kaku è incredibilmente bravo nel rendere semplici alcuni concetti
estremamente complicati. Specialmente quando si tratta di spiegare il futuro
dell' umanità secondo il suo punto di vista.
Secondo Kaku, l'umanità è destinata ad evolversi o a scomparire, seguendo un
modello di sviluppo che ci porterebbe verso l'espansione nello spazio, o
verso una tragica fine senza alcuna menzione nella storia della nostra
galassia.

Quando Kaku parla di livelli di civiltà si riferisce essenzialmente allo
sviluppo energetico. Anche se accenna a discorsi come lingue globali,
culture universali e via dicendo, secondo lui la distinzione netta che si
può fare tra diversi livelli di civiltà è l'osservazione delle fonti di
energia che vengono sfruttate per la sopravvivenza della civiltà stessa.

Abbiamo così 4 livelli di base di civiltà:

- Civiltà di Tipo 0: siamo noi, esseri umani, ma potrebbe esserlo una
qualunque altra civiltà che abbia raggiunto il nostro livello tecnologico o
che sia diversi passi indietro rispetto all'essere umano. La civiltà di Tipo
0 si caratterizza essenzialmente per il fatto di essere frammentaria nella
sua cultura, e per l'utilizzo di fonti di energia esauribili e scarsamente
efficienti come i combustibili fossili. Una civiltà di Tipo 0 ha raggiunto
capacità di esplorazione dello spazio limitate.
- Tipo 1: una civiltà di Tipo 1 è, secondo Kaku, il futuro prossimo
dell'umanità. Secondo il fisico, siamo al livello di transizione tra Tipo 0
e Tipo 1: cultura sempre più globale, nuove fonti energetiche in via di
sviluppo, e via dicendo. Una civiltà di Tipo 1 ha il controllo di tutti gli
elementi del proprio pianeta di origine: è in grado di controllarne il
clima, sfruttarne le risorse energetiche in maniera efficace senza tuttavia
portare all'esaurimento le risorse disponibili. Una civiltà di Tipo 1 è
inoltre in grado di far viaggiare individui nello spazio superando distanze
di minuti, ore o addirittura giorni-luce senza dover impiegare anni per il
raggiungimento di una meta interplanetaria.
- Tipo 2: il vero salto di qualità. Secondo Kaku, una civiltà di tipo 2 è
virtualmente immortale, sia per quanto riguarda l'individuo che per quanto
riguarda l'insieme. C'è un problema sul pianeta di origine? Lo si risolve
senza troppi problemi, anche se significasse spostare il pianeta dalla
propria orbita. Problemi di natura energetica? Non esistono in una civiltà
di tipo 2: questo tipo di evoluzione consentirebbe di estrarre energia
direttamente dagli astri, sfruttare in modo efficace l'antimateria,
esplorare diversi sistemi solari senza problemi di tempo o di distanze.
- Tipo 3: l'evoluzione del tipo 2 è una civiltà che ha il dominio di tutte
le leggi della fisica, e di conseguenza il controllo sullo spazio e
sull'energia prodotta da migliaia, se non milioni di stelle. Esplora la
galassia senza problemi, visita pianeti sfruttando intelligenze robotiche e
macchine di Von Neumann, può eseguire viaggi di migliaia di anni luce nello
stesso tempo che impieghiamo noi per arrivare sulla Luna.

Se tutto questo sembra fantascienza, per Michio Kaku non lo è affatto, è
solo la visione di un futuro sempre più vicino. Secondo lui, molti di questi
processi sono già stati scritti a livello teorico nella fisica, mancano solo
i meccanismi pratici per metterli in atto.
Sappiamo ad esempio che l'antimateria potrebbe fornirci energia pressochè
illimitata ed ultra-efficiente, in grado di farci viaggiare nello spazio a
velocità impensabili, ma ora come ora riusciamo a produrne solo qualche
miliardesimo di grammo attraverso i più potenti acceleratori di particelle
al mondo, niente che possa avere un utilizzo pratico.

Michio Kaku inoltre non esclude la possibilità che, attorno al nostro
Sistema Solare, fioriscano civiltà di tipo 0-1-2-3 senza che ce ne rendiamo
conto.
Un esempio potrebbe essere il seguente:
- Tipo 0: potrebbero esserci migliaia di civiltà di tipo 0 nella sola Via
Lattea. Che siano alla scoperta del fuoco o alla creazione del transistor
poco importa, le possibilità di intercettare messaggi dallo spazio emessi da
civiltà di livello superiore sono pressochè nulle. Le probabilità inoltre
che si possa comunicare nello spazio tra due civiltà di tipo 0 sono
scarsissime, in quanto utilizzano tecnologie inefficaci per le comunicazioni
interplanetarie.
- Tipo 1: le civiltà di tipo 1 hanno superato la fase più critica,
evolvendosi da un livello di tecnologia (tipo 0) che può portare ad un
"nuovo rinascimento" come alla distruzione totale di un'intera civiltà. E'
possibile che solo una parte di civiltà di tipo 0 possano evolversi in tipo
1 invece di autodistruggersi. Le civiltà di tipo 1 inoltre hanno imparato
che per inviare messaggi nello spazio il metodo più efficace è quello di
spedirli lungo una gamma completa di frequenze, spezzandoli in "pacchetti"
ricomposti una volta giunti a destinazione. Questo limita una civiltà di
tipo 0 nell'intercettazione di messaggi: per esempio, il genere umano è in
ascolto su una sola frequenza, aspettandosi un messaggio completo che
probabilmente non intercetterà mai.
- Tipo 2: una volta raggiunto il tipo 1, è solo questione di tempo (e di
fortuna) prima che si arrivi al tipo 2. Una società di tipo 1 può essere
fermata solo da disastri di tipo cosmico o da grossolani errori di
valutazione nello sfruttamento delle risorse planetarie disponibili, ma la
probabilità di distruzione è comunque inferiore al tipo 0. Il tipo 2 invece
è un livello di sviluppo raggiunbibile a tutte le civiltà di tipo 1,
aspettando il giusto tempo per approfondire le dinamiche cosmiche.
Probabilmente i metodi di comunicazione sono oltre l'utilizzo del laser, il
che esclude una civiltà come la nostra, di Tipo 0, dal solo immaginare quale
tecnologia utilizzino per comunicare nello spazio.
- Tipo 3: le civiltà di tipo 2, virtualmene immortali, che non hanno
raggiunto il tipo 3 hanno soltanto bisogno di altro tempo per evolversi, ma
il raggiungimento di questo stadio è la naturale conseguenza del viaggio
interstellare e dello studio sempre più approfondito delle meccaniche
celesti. Una civiltà di tipo 3, in gradi di esplorare intere galassie,
utilizza metodi di comunicazione che di certo civiltà di tipo 0 e 1 non sono
in grado di comprendere, e che forse civiltà di tipo 2 stanno sviluppando a
livello sperimentale.

Michio Kaku non esclude inoltre che possiamo essere stati visitati, ed
esserlo tutt'ora, da civiltà extraterrestri. Il problema che pone, però, è
quello dello scarso interesse che una civiltà di tipo 2 o 3 possa avere nei
confronti di una civiltà di tipo 0.
L'esempio che si può fare è quello di una formica in relazione con l'essere
umano: che vantaggi deriverebbero all'essere umano dall'insegnare alla
formica a costruire un computer? Che interesse potrebbe avere la formica nel
costruire un computer quando la sua sola logica concepibile è quella di
lavorare per la colonia accumulando cibo?
Allo stesso modo, che interesse potrebbero avere delle civiltà
extraterrestri così evolute nel favorire la nostra evoluzione intervenendo
in un processo che potrebbe farci rinascere come farci autodistruggere per
la nostra incapacità di gestire quest processo di maturazione? E che
interesse potrebbe avere la maggior parte del genere umano, che ha come
unica preoccupazione (ben comprensibile, sia chiaro) quella di sopravvivere
alle problematiche che la sua stessa specie crea di continuo?

Le "visioni" di Michio Kaku in realtà sono molto più complesse di semplici
idee futuristiche: basandosi sulla fisica quantistica, sulla teoria delle
stringhe e la "Teoria del Tutto", le sue previsioni sono sia a breve che a
lungo termine, e contemplano teletrasporto, invisibilità, intelligenza
artificiale, viaggi spaziali, temporali ed dimensionali.

E' altrettanto vero tuttavia che la fisica teorica è spesso molto distante
dall'applicazione pratica delle sue formule, e che molti dei meccanismi che
regolano il nostro universo sono ben lungi dall'essere svelati.
Leggere i suoi libri e le sue idee sul futuro dell' umanità rimane però
un'interessante viaggio ai confini di ciò che riteniamo possibile e la
fantascienza, ci fanno capire che il viaggio evolutivo dell'essere umano è
solo all'inizio, e che le opportunità che la fisica espone nella sua
continua ricerca delle meccaniche universali sono pressochè illimitate.

04 luglio 2010

L'impero britannico organizzò la prima e la seconda guerra mondiale

Il 22 giugno, il 69esimo anniversario dell'Operazione Barbarossa, l'invasione nazista dell'Unione Sovietica, il Prof. Igor Panarin ha aumentato gli attacchi pubblici contro l'impero britannico come avversario storico "e contemporaneo" della Russia. "Ritengo che sia necessario ripetere nuovamente oggi" ha dichiarato Panarin in un'intervista a KM.ru "che i leader dell'impero britannico dovrebbero confessare di aver organizzato sia la prima che la seconda guerra mondiale, e di indire un tribunale pubblico per stabilire che organizzò la prima e la seconda guerra mondiale, e perché". Un simile tribunale verrebbe giustificato per via dell'"olocausto del popolo sovietico" che ne seguì.

Il prof. Panarin è preside della Facoltà di Storia all'Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri russo, ed è rinomato per i suoi pronostici sulla frammentazione degli Stati Uniti. Pochi resoconti rilevano tuttavia il fatto che Panarin attribuisce tale piano anti USA ad un gruppo di finanzieri con sede a Londra.

Ha dichiarato a KM.ru: "Il 22 giugno è una data tragica nella nostra storia. Ma ritengo che l'attacco improvviso all'Unione Sovietica da parte della Germania non sia stato ordito soltanto dalla Germania fascista, ma anche dall'Impero britannico. Potrebbe sembrare un paradosso, perché i due paesi erano avversari in quel momento. Ma è strano solo di primo acchito". Il professore prosegue con l'argomentazione che alcuni bolscevichi, come Leon Trotzky, erano "agenti dei servizi britannici" (come ha documentato in un recente video, in cui evidenzia il rapporti tra Trotzky e le spie britanniche Bruce Lockhart e Sidney Reilly) che furono soppressi da Stalin. Incapace di ottenere il controllo che voleva sull'Unione Sovietica, continua Panarin "l'Impero britannico decise di preparare la seconda guerra mondiale, in cui la Germania fascista avrebbe agito come forza d'attacco in un attacco contro l'Unione Sovietica. Non è un segreto che furono i britannici (la Banca d'Inghilterra, in particolare) a finanziare il Partito Nazista…"

Le formulazioni dell'intervista di Panarin, che chiama l'Impero britannico sul banco degli imputati, bisticciano con l'opinione erronea generale secondo cui i britannici sono solo un partner degli Stati Uniti. Si noti il fatto che i discorsi e articoli di LaRouche sull'Impero britannico (anzi, brutannico) ed i suoi agenti al Cremino quali il consigliere Arkadi Dvorkovich e gran parte della delegazione che ha accompagnato il Presidente Dmitri Medvedev nel suo viaggio a Silicon Valley, la Stanford University e Washington, circolano ampiamente tradotti in russo.

Durante la webcast di LaRouche del 26 giugno un esponente russo gli ha chiesto che ne pensasse del punto di vista di Panarin. LaRouche ha esordito dicendo che Rosa Luxemburg fu l'unica personalità del secolo scorso che comprese correttamente l'Impero britannico. Dopo aver sviluppato il concetto di impero, ha aggiunto che "l'impero britannico non è un'espressione del popolo britannico. È un'imposizione sul popolo britannico da parte di un'organizzazione che assunse la forma della Compagnia Britannica delle Indie Orientali". Un impero sopravvive inducendo altre potenziali nazioni a distruggersi l'un l'altra in guerra, ha proseguito. Lo stato di guerra permanente tra Israele ed i paesi arabi è un esempio di questo. Così come la guerra in Afghanistan, condotta da quell'idiota di Obama e che è "un'operazione di droga da parte dell'Impero britannico".

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