13 agosto 2010

Crisi economica ed epoca di trapasso

Il mondo è in viaggio verso una destinazione instabile, attraverso un territorio sconosciuto, su una strada dissestata, e l’aspetto più preoccupante è che ha già utilizzato la ruota di scorta”. Con questa immagine PIMCO (uno dei fondi d’investimento americani più grandi al mondo), a margine dei lavori del Secular Forum 2010, ha tracciato i contorni della crisi - la più grave dopo lo storico default del 1929 - che ha fatto letteralmente saltare i pilastri del sistema economico mondiale. Ma più interessante ancora è quello che sostengono gli esperti del provider finanziario a proposito della trasfigurazione che il capitalismo (americano ed internazionale) subirà in seguito al passaggio di questa tempesta di proporzioni non ancora definite. Come dopo ogni uragano potremmo non riconoscere più il paesaggio nel quale eravamo abituati a vivere. La mano invisibile del mercato è già stata spazzata via dal pugno visibile dei governi i quali, con i loro provvedimenti anticrisi, hanno scavato la fossa ai principi, alle logiche e all’ideologia del libero scambio.


La fine della deregolamentazione, dell’autoregolamentazione e dell’indebitamento illimitato del settore privato ha scosso pesantemente le certezze di tutti e ha aperto scenari che non offrono punti di riferimento adeguati. Adam Smith è al tappeto…mentre Kyenes è già stato sepolto. Si tratta, in sostanza, di un’inversione di tendenza secolare, che ridisegna le linee dei mercati i quali, da adesso in avanti, saranno costretti ad operare portando al collo le poderose catene dei vincoli imposti dagli Stati per “risanare” le proprie finanze impazzite.



Il condizionamento crescente dei programmi statali, orientati a ristabilire livelli di debito e di deficit più accettabili, sanzionerà la morte definitiva degli animal spirits mercatisti. La “Nuova Normalità” inseguita dai decisori politici avrà, tuttavia, peculiarità non inquadrabili in profili di scelte e di governance riconoscibili e consolidati: “stiamo attraversando un’epoca di grandi cambiamenti per l’economia globale dove alcuni parametri certi stanno diventando variabili. E’ un periodo di tensioni, collisioni, e rinnovamento, un percorso verso un mondo meno indebitato e più regolamentato, con una crescita più debole nei paesi industriali, un mondo in cui la politica è meno favorevole alla globalizzazione e alla mancanza di regole sui mercati”. Resta ad ogni modo da capire chi disporrà della forza per imporre queste regole considerato che le stesse non piovono dal cielo per iniziativa dello spirito santo ma sono il portato di rapporti di forza dispiegantisi tra aree geografiche e paesi sullo scacchiere internazionale.



Nello sforzo riorientativo occorrerà pertanto liberarsi, il prima possibile, delle zavorre ideologiche, nonché dei paradigmi economici, politici, sociali dell’epoca storica appena trascorsa, poiché questi non aiutano a comprendere le modificazioni in atto né le traiettorie delle dinamiche a venire. La “Nuova Normalità”, di cui parla PIMCO, è solo un possibile punto d’attracco che sarà comunque caratterizzato da una crescita mondiale sotto tono, dalla costante necessità di un risanamento patrimoniale, dalla costante migrazione della crescita, e dalla ricchezza verso le economie emergenti di importanza sistemica e da una governance globale relativamente debole. La Nuova normalità è anche caratterizzata da un forte coinvolgimento governativo nella convergenza tra i paesi importanti da un punto di vista sistemico che conduce a quel che potremo definire un “capitalismo di stato”. Approdo estemporaneo dunque, ma non porto riparato e sicuro. In questo ragionamento, che è centrale nell’analisi finanziaria di PIMCO, c’è quanto da noi immaginato e teorizzato circa il passaggio dal capitalismo dei funzionari del capitale di matrice americana ad un altro tipo di configurazione sociale, attualmente in gestazione. Il Centro regolatore statunitense ha esaurito la spinta e la capacità di sintetizzare, secondo le proprie convenienze, le istanze dei diversi protagonisti mondiali. Questa crisi è l’avvisaglia di un sisma ben più profondo che non scombina esclusivamente i circuiti mercantili e quelli finanziari ma che metamorfosa, in maniera decisamente più cogente, la stessa natura del sistema capitalistico globale. Le risposte che i diversi player nazionali daranno alla crisi faranno crescere differenziazioni e divaricazioni tra singole formazioni particolari componenti la formazione capitalistica mondiale. Di tutte queste trasformazioni palingenetiche saremo testimoni (ed anche vittime) nei prossimi anni. L’accentuamento delle lotte per l'egemonia tra gruppi dominanti di paesi e aree più o meno omogenee approfondirà lo sviluppo ineguale di dette società. I barbagli all’orizzonte segnalano la presenza di queste inevitabili tendenze storiche. E’ iniziata l’era multipolare che sta portando in auge potenze a lungo restate ai margini del consesso mondiale (Cina, India, Brasile) e potenze troppo precocemente escluse dalla stanza dei bottoni planetaria (Russia). Tale caotica scenografia è solo l’antipasto di un prossimo periodo di maggiori tumulti che cortocircuiterà irrimediabilmente i meccanismi economici sul piano finanziario e su quello “reale”; e ciò finché non emergerà un altro centro gravitazionale in grado di rimettere ordine nel mondo. Del resto, è una sequenza evenemenziale, che mutatis mutandis, abbiamo già riscontrato in età di transizione anteriori alla nostra (come nel periodo di dissoluzione del capitalismo borghese, nato in Inghilterra nell'800 ed estesosi in tutto l'occidente, ma successivamente surclassato dalla migliore performatività del capitalismo statunitense).



Nonostante qualcuno continui a confondere fenomeni ed epifenomeni, cause ed effetti, l’origine di tutto il caos dei nostri tempi è da rinvenirsi, in primo luogo, nel riacutizzarsi, sul palcoscenico mondiale, della disputa tra potenze che puntano all’allargamento della propria sfera egemonica dopo il collasso della leadership stellestrice. Questo conflitto per la predominanza, attraversando più stadi, condurrà ad una ridefinizione degli stessi rapporti sociali e di forza tra gruppi di potere, tanto all’esterno che all’interno dei singoli paesi. Sulle ceneri del predominio americano sta nascendo qualcosa di inedito sul quale non possiamo dire molto, se non appunto che la politica e gli Stati hanno preso in mano il comando delle operazioni.



Quindi, la crisi economica è esito di questi processi indicanti il persistere di un passaggio d’epoca che sarà ancora duro e laborioso. L’elaborazione di PIMCO, pur essendo ancorata ad una visione economicistica, si incontra con le nostre previsioni circa il dilatamento temporale della debacle sistemica che si risolverà, tra alti e bassi, riprese e ricadute, solo allorquando il mondo avrà trovato un perno di stabilizzazione geopolitica (un’area con uno o due paesi guida). Questo polo potrebbe avere particolarità politiche, sociali, economiche e persino culturali opposte a quelle del regime occidentale che ha improntato di sé novecento e primo scorcio di XXI secolo. Tornando alla metafora iniziale di PIMCO si può ben dire che il mondo viaggia ormai lungo strade impervie senza ruota di scorta, ma occorrerebbe anche aggiungere dell’altro. Per esempio che il mezzo di locomozione utilizzato potrebbe essere inadatto allo scopo. Le distanze da coprire saranno fuori dalla portata di veicoli che non hanno un adeguato propulsore politico e che non sono capaci di proiettarsi nello spazio planetario proteggendo i propri interessi nazionali. Parafrasando una frase del Film di Zemeckis Ritorno al futuro potremmo dire che dove stiamo andando forse non ci sono strade né segnaletica, ma comunque arrivare alla meta prima degli altri e con le idee un po' più chiare sarà questione di vita o di morte.

di Gianni Petrosillo

12 agosto 2010

I Signori del signoraggio in crisi

http://insomniaco.files.wordpress.com/2008/01/usura.jpg


Help! Qualcosa non va nel mondo dell’usura atlantica...
Dopo aver smerciato banconote-cambiali dal 1695, e aver imposto al 95 per cento del globo terraqueo il proprio sistema di indebitamento, la Old Lady dell’usura, la Banca d’Inghilterra, naviga in acque agitate. E anche la sua consorella (ex) coloniale, la Federal Reserve nordamericana, accusa qualche problemino.
Andiamo per ordine.
Cominciamo da oltre-Atlantico. La Fed del mecenate Shalom ben Bernanke ha deciso di comprarsi il debito Usa.
Nulla di nuovo. Tale manovra è parte integrante del “sistemino” inventato nella vecchia Londra, in quanto emergente potenza neo-schiavista e neo-coloniale, lo conoscono tutti gli addetti ai lavori.
Vi ricordate? Le Banche centrali tutte - compresa la Banca d’Italia e la Bce, of course - hanno da secoli rapinato agli Stati il diritto di battere moneta. La emettono direttamente loro. Tali istituti centrali - che qualcuno dichiara eufemisticamente “istituzioni” dello Stato - sono in realtà al servizio delle potenti banche d’affari internazionali e delle grandi assicurazioni (e riassicurazioni). Se la Bce è in realtà, scava scava, una dependance delle banche d’affari anglo-americane pur nascondendosi dietro il paravento della spettrale Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, in Italia tale anomalia è addirittura più palese che altrove. La Banca di via Nazionale è palesemente “privata” e di proprietà delle maggiori banche italiane (e straniere).
Per battere moneta, impongono una sorta di tassa, detta signoraggio. E gli Stati pagano questo vergognoso signoraggio.
Gli Stati hanno bisogno di liquidità e tale liquidità, prima a volte, adesso di regola, viene loro versata in cambio di obbligazioni o titoli di debito vari. Tutti caricati ad usura. In cima a questa piramide il Regolatore per antonomasia è il Fmi, che presta a strozzo agli Stati (il caso Grecia è recente e noto, ma la prassi è generalizzata, in queste ore dalla Romania alla Spagna, dal Portogallo all’Ungheria) il denaro per ripianare i debiti e per strangolare perpetuamente le varie economie nazionali. Pretendendo, in sovrappiù, una vergognosa serie di tagli sociali a danno dei cittadini, per essere sicuri - loro i Signori del denaro - di lucrare tutto il lucrabile senza... “spese superflue”.
Ecco, detto questo, gira e rigira, a forza di bolle speculative, di crisi finanziarie e di interventi degli Stati (Usa in testa) a sostegno delle banche e della speculazione della grande finanza, stiamo per assistere ad un suicidio finanziario degli stessi Stati promotori del “sistemino” di usura globale: il tumore sta attaccando, infatti, anche gli stessi Stati Uniti e Gran Bretagna.
Eh, già. Negli Usa non c’è oggi un presidente, ma un “esecutore” della volontà dei Regolatori. Nessun ospite della Casa Bianca vuol fare la fine di J. F. Kennedy, che, poco prima di Dallas, aveva deciso di far emettere direttamente i dollari dal tesoro Usa, bypassando l’usura della Federal Reserve. Con assassinio, dunque, prevedibile, assicurato e consumato.
E anche al di qua dell’Atlantico, per i profitti della Banca Madre, le cose non vanno bene. Nonostante il calo del tasso di usura (lo chiamano tasso primario) praticato dalla Old Lady, le imprese e i cittadini britannici sono assai riluttanti a contrarre nuovi mutui o nuovi prestiti.
Ma così - dicono i Signori del signoraggio - tutto va in bordello! Di questo passo, tali blasonate “istituzioni” non possono più strangolare nessuno!
Che jattura.
E che interessante prospettiva per i popoli del mondo.

di Ugo Gaudenzi

11 agosto 2010

Quei 100 milioni da Berlusconi alla mafia


Il quotidiano di via Solferino rivela: Massimo Ciancimino ha consegnato ai giudici un 'pizzino' del 2001 del padre Vito che documenterebbe passaggi di contante da distribuire ai vertici di Cosa Nostra


Cento milioni di vecchie lire versati da Silvio Berlusconi alla mafia nel 2001. La relazione pericolosa per il premier sarebbe documentata in un pizzino consegnato da Massimo Ciancimino ai magistrati, secondo quanto rivelato oggi dal Corriere della Sera. Nel foglio dattiloscritto ma accompagnato da annotazioni autografe di don Vito che si riferisce al boss Bernardo Provenzano con l’appellativo di ragioniere, si fa esplicitamente il nome del presidente del Consiglio.

Scrive l’inviato Felice Cavallaro: il testo è top secret ma chi lo ha letto così sintetizza evocando conteggi in vecchie lire: ‘dei 100 milioni ricevuti da Berlusconi, 75 a Benedetto Spera e 25 a mio figlio Massimo’. E poi: ‘Caro rag. Bisogna dire ai nostri amici di non continuare a fare minchiate … e di risolvere i problemi giudiziari”. Il pizzino sarebbe stato scritto dal padre, secondo Massimo Ciancimino, nella seconda metà del 2001, dopo il voto del 13 maggio per le elezioni nazionali e del 24 giugno per la Regione siciliana con la doppia vittoria schiacciante di Silvio Berlusconi e di Totò Cuffaro. Don Vito chiede al capo della mafia di intervenire sui politici usciti vittoriosi dalle elezioni chiedendo di “non fare minchiate” ingiustificate alla luce dei “numeri” della vittoria: 61 seggi a zero per il centrodestra in Sicilia.

Massimo Ciancimino ha consegnato il pizzino insieme a una cartellina piena di lettere e documenti che sarebbe stata trovata a casa della madre, la signora Epifania. Mamma e figlio sono stati sentiti nei giorni scorsi dai pm Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo sul contenuto del pizzino e in particolare la signora Ciancimino avrebbe inserito questa novità in un rapporto consolidato che risaliva a trenta anni prima: “mio marito si incontrava negli anni settanta con Berlusconi a Milano”, avrebbe detto la signora aggiungendo con un pizzico di disappunto: “ma alla fine Vito si sentì tradito dal Cavaliere”.

Il rapporto Ciancimino-Berlusconi non è una novità assoluta delle indagini palermitane. Le prime tracce risalgono a una serie di relazioni della Polizia degli anni ’80 in cui si descrive la figura di Marcello Dell’Utri e il suo legame con un collaboratore di Ciancimino, l’ingegner Francesco Paolo Alamia. Mentre già nel 2004, in una telefonata intercettata dalla Procura di Palermo tra Massimo Cinacimino e la sorella Luciana, il figlio di don Vito sosteneva che esistesse un assegno di 25 milioni di lire da parte di Silvio Berlusconi a beneficio del padre.

Anche su questo punto Massimo Ciancimino ha offerto nuovi chiarimenti ai pm nei giorni scorsi: si sarebbe trattato in realtà di soldi in contanti che lui stesso avrebbe ritirato da un amico del braccio destro di Provenzano, Pino Lipari.

Il fatto che Massimo Ciancimino abbia in due occasioni ricevuto decine di milioni di lire dal boss Provenzano o dai suoi amici sta modificando la posizione giuridica del “testimone assistito”. Probabilmente la Procura di Palermo sta valutando la sua iscrizione sul registro degli indagati per favoreggiamento. Un elemento che però paradossalmente rafforza la credibilità delle sue affermazioni autoindizianti.

I rapporti tra il gruppo Berlusconi e la mafia comunque non sono una novità assoluta. A parte la condanna nel processo di appello contro Marcello Dell’Utri (nel quale comunque le dichiarazioni del figlio di don Vito non sono state recepite perché considerate contraddittorie e a rate) già nelle indagini degli anni novanta sulla famiglia mafiosa di San Lorenzo erano emerse le prove documentali dei versamenti della Fininvest a titolo di “regalo” ai boss. Nel libro mastro del pizzo, sequestrato al clan, era stata trovata la dicitura “Can 5 5milioni reg”.

I collaboratori di giustizia avevano spiegato che a partire dagli anni ’70, prima attraverso Vittorio Mangano e poi per tramite dell’amico di Dell‘Utri, Gaetano Cinà, ogni anno il Cavaliere faceva arrivare soldi alla mafia.

Non si trattava però di tangenti, ma di doni fatti per mantenere i buoni rapporti. Il boss di Porta Nuova, Salvatore Cancemi, aveva aggiunto di aver visto il contante proveniente da Arcore ancora nel 1992. La trafila del denaro allora prevedeva che i soldi di Berlusconi finissero nelle mani dell’allora capo dei capi Totò Riina per poi essere suddivisi tra le varie famiglie mafiose.

Ora, se autentico, il nuovo pizzino conferma che quell’abitudine non finì con la discesa in campo del Cavaliere. Tanto che altri regali in contanti sarebbero arrivati al successore di Riina. Un fatto che, se provato, spiega bene perché Berlusconi nel 2006 fu l’unica carica istituzionale italiana a non complimentarsi per la cattura di Provenzano.
di marco Lillo

13 agosto 2010

Crisi economica ed epoca di trapasso

Il mondo è in viaggio verso una destinazione instabile, attraverso un territorio sconosciuto, su una strada dissestata, e l’aspetto più preoccupante è che ha già utilizzato la ruota di scorta”. Con questa immagine PIMCO (uno dei fondi d’investimento americani più grandi al mondo), a margine dei lavori del Secular Forum 2010, ha tracciato i contorni della crisi - la più grave dopo lo storico default del 1929 - che ha fatto letteralmente saltare i pilastri del sistema economico mondiale. Ma più interessante ancora è quello che sostengono gli esperti del provider finanziario a proposito della trasfigurazione che il capitalismo (americano ed internazionale) subirà in seguito al passaggio di questa tempesta di proporzioni non ancora definite. Come dopo ogni uragano potremmo non riconoscere più il paesaggio nel quale eravamo abituati a vivere. La mano invisibile del mercato è già stata spazzata via dal pugno visibile dei governi i quali, con i loro provvedimenti anticrisi, hanno scavato la fossa ai principi, alle logiche e all’ideologia del libero scambio.


La fine della deregolamentazione, dell’autoregolamentazione e dell’indebitamento illimitato del settore privato ha scosso pesantemente le certezze di tutti e ha aperto scenari che non offrono punti di riferimento adeguati. Adam Smith è al tappeto…mentre Kyenes è già stato sepolto. Si tratta, in sostanza, di un’inversione di tendenza secolare, che ridisegna le linee dei mercati i quali, da adesso in avanti, saranno costretti ad operare portando al collo le poderose catene dei vincoli imposti dagli Stati per “risanare” le proprie finanze impazzite.



Il condizionamento crescente dei programmi statali, orientati a ristabilire livelli di debito e di deficit più accettabili, sanzionerà la morte definitiva degli animal spirits mercatisti. La “Nuova Normalità” inseguita dai decisori politici avrà, tuttavia, peculiarità non inquadrabili in profili di scelte e di governance riconoscibili e consolidati: “stiamo attraversando un’epoca di grandi cambiamenti per l’economia globale dove alcuni parametri certi stanno diventando variabili. E’ un periodo di tensioni, collisioni, e rinnovamento, un percorso verso un mondo meno indebitato e più regolamentato, con una crescita più debole nei paesi industriali, un mondo in cui la politica è meno favorevole alla globalizzazione e alla mancanza di regole sui mercati”. Resta ad ogni modo da capire chi disporrà della forza per imporre queste regole considerato che le stesse non piovono dal cielo per iniziativa dello spirito santo ma sono il portato di rapporti di forza dispiegantisi tra aree geografiche e paesi sullo scacchiere internazionale.



Nello sforzo riorientativo occorrerà pertanto liberarsi, il prima possibile, delle zavorre ideologiche, nonché dei paradigmi economici, politici, sociali dell’epoca storica appena trascorsa, poiché questi non aiutano a comprendere le modificazioni in atto né le traiettorie delle dinamiche a venire. La “Nuova Normalità”, di cui parla PIMCO, è solo un possibile punto d’attracco che sarà comunque caratterizzato da una crescita mondiale sotto tono, dalla costante necessità di un risanamento patrimoniale, dalla costante migrazione della crescita, e dalla ricchezza verso le economie emergenti di importanza sistemica e da una governance globale relativamente debole. La Nuova normalità è anche caratterizzata da un forte coinvolgimento governativo nella convergenza tra i paesi importanti da un punto di vista sistemico che conduce a quel che potremo definire un “capitalismo di stato”. Approdo estemporaneo dunque, ma non porto riparato e sicuro. In questo ragionamento, che è centrale nell’analisi finanziaria di PIMCO, c’è quanto da noi immaginato e teorizzato circa il passaggio dal capitalismo dei funzionari del capitale di matrice americana ad un altro tipo di configurazione sociale, attualmente in gestazione. Il Centro regolatore statunitense ha esaurito la spinta e la capacità di sintetizzare, secondo le proprie convenienze, le istanze dei diversi protagonisti mondiali. Questa crisi è l’avvisaglia di un sisma ben più profondo che non scombina esclusivamente i circuiti mercantili e quelli finanziari ma che metamorfosa, in maniera decisamente più cogente, la stessa natura del sistema capitalistico globale. Le risposte che i diversi player nazionali daranno alla crisi faranno crescere differenziazioni e divaricazioni tra singole formazioni particolari componenti la formazione capitalistica mondiale. Di tutte queste trasformazioni palingenetiche saremo testimoni (ed anche vittime) nei prossimi anni. L’accentuamento delle lotte per l'egemonia tra gruppi dominanti di paesi e aree più o meno omogenee approfondirà lo sviluppo ineguale di dette società. I barbagli all’orizzonte segnalano la presenza di queste inevitabili tendenze storiche. E’ iniziata l’era multipolare che sta portando in auge potenze a lungo restate ai margini del consesso mondiale (Cina, India, Brasile) e potenze troppo precocemente escluse dalla stanza dei bottoni planetaria (Russia). Tale caotica scenografia è solo l’antipasto di un prossimo periodo di maggiori tumulti che cortocircuiterà irrimediabilmente i meccanismi economici sul piano finanziario e su quello “reale”; e ciò finché non emergerà un altro centro gravitazionale in grado di rimettere ordine nel mondo. Del resto, è una sequenza evenemenziale, che mutatis mutandis, abbiamo già riscontrato in età di transizione anteriori alla nostra (come nel periodo di dissoluzione del capitalismo borghese, nato in Inghilterra nell'800 ed estesosi in tutto l'occidente, ma successivamente surclassato dalla migliore performatività del capitalismo statunitense).



Nonostante qualcuno continui a confondere fenomeni ed epifenomeni, cause ed effetti, l’origine di tutto il caos dei nostri tempi è da rinvenirsi, in primo luogo, nel riacutizzarsi, sul palcoscenico mondiale, della disputa tra potenze che puntano all’allargamento della propria sfera egemonica dopo il collasso della leadership stellestrice. Questo conflitto per la predominanza, attraversando più stadi, condurrà ad una ridefinizione degli stessi rapporti sociali e di forza tra gruppi di potere, tanto all’esterno che all’interno dei singoli paesi. Sulle ceneri del predominio americano sta nascendo qualcosa di inedito sul quale non possiamo dire molto, se non appunto che la politica e gli Stati hanno preso in mano il comando delle operazioni.



Quindi, la crisi economica è esito di questi processi indicanti il persistere di un passaggio d’epoca che sarà ancora duro e laborioso. L’elaborazione di PIMCO, pur essendo ancorata ad una visione economicistica, si incontra con le nostre previsioni circa il dilatamento temporale della debacle sistemica che si risolverà, tra alti e bassi, riprese e ricadute, solo allorquando il mondo avrà trovato un perno di stabilizzazione geopolitica (un’area con uno o due paesi guida). Questo polo potrebbe avere particolarità politiche, sociali, economiche e persino culturali opposte a quelle del regime occidentale che ha improntato di sé novecento e primo scorcio di XXI secolo. Tornando alla metafora iniziale di PIMCO si può ben dire che il mondo viaggia ormai lungo strade impervie senza ruota di scorta, ma occorrerebbe anche aggiungere dell’altro. Per esempio che il mezzo di locomozione utilizzato potrebbe essere inadatto allo scopo. Le distanze da coprire saranno fuori dalla portata di veicoli che non hanno un adeguato propulsore politico e che non sono capaci di proiettarsi nello spazio planetario proteggendo i propri interessi nazionali. Parafrasando una frase del Film di Zemeckis Ritorno al futuro potremmo dire che dove stiamo andando forse non ci sono strade né segnaletica, ma comunque arrivare alla meta prima degli altri e con le idee un po' più chiare sarà questione di vita o di morte.

di Gianni Petrosillo

12 agosto 2010

I Signori del signoraggio in crisi

http://insomniaco.files.wordpress.com/2008/01/usura.jpg


Help! Qualcosa non va nel mondo dell’usura atlantica...
Dopo aver smerciato banconote-cambiali dal 1695, e aver imposto al 95 per cento del globo terraqueo il proprio sistema di indebitamento, la Old Lady dell’usura, la Banca d’Inghilterra, naviga in acque agitate. E anche la sua consorella (ex) coloniale, la Federal Reserve nordamericana, accusa qualche problemino.
Andiamo per ordine.
Cominciamo da oltre-Atlantico. La Fed del mecenate Shalom ben Bernanke ha deciso di comprarsi il debito Usa.
Nulla di nuovo. Tale manovra è parte integrante del “sistemino” inventato nella vecchia Londra, in quanto emergente potenza neo-schiavista e neo-coloniale, lo conoscono tutti gli addetti ai lavori.
Vi ricordate? Le Banche centrali tutte - compresa la Banca d’Italia e la Bce, of course - hanno da secoli rapinato agli Stati il diritto di battere moneta. La emettono direttamente loro. Tali istituti centrali - che qualcuno dichiara eufemisticamente “istituzioni” dello Stato - sono in realtà al servizio delle potenti banche d’affari internazionali e delle grandi assicurazioni (e riassicurazioni). Se la Bce è in realtà, scava scava, una dependance delle banche d’affari anglo-americane pur nascondendosi dietro il paravento della spettrale Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, in Italia tale anomalia è addirittura più palese che altrove. La Banca di via Nazionale è palesemente “privata” e di proprietà delle maggiori banche italiane (e straniere).
Per battere moneta, impongono una sorta di tassa, detta signoraggio. E gli Stati pagano questo vergognoso signoraggio.
Gli Stati hanno bisogno di liquidità e tale liquidità, prima a volte, adesso di regola, viene loro versata in cambio di obbligazioni o titoli di debito vari. Tutti caricati ad usura. In cima a questa piramide il Regolatore per antonomasia è il Fmi, che presta a strozzo agli Stati (il caso Grecia è recente e noto, ma la prassi è generalizzata, in queste ore dalla Romania alla Spagna, dal Portogallo all’Ungheria) il denaro per ripianare i debiti e per strangolare perpetuamente le varie economie nazionali. Pretendendo, in sovrappiù, una vergognosa serie di tagli sociali a danno dei cittadini, per essere sicuri - loro i Signori del denaro - di lucrare tutto il lucrabile senza... “spese superflue”.
Ecco, detto questo, gira e rigira, a forza di bolle speculative, di crisi finanziarie e di interventi degli Stati (Usa in testa) a sostegno delle banche e della speculazione della grande finanza, stiamo per assistere ad un suicidio finanziario degli stessi Stati promotori del “sistemino” di usura globale: il tumore sta attaccando, infatti, anche gli stessi Stati Uniti e Gran Bretagna.
Eh, già. Negli Usa non c’è oggi un presidente, ma un “esecutore” della volontà dei Regolatori. Nessun ospite della Casa Bianca vuol fare la fine di J. F. Kennedy, che, poco prima di Dallas, aveva deciso di far emettere direttamente i dollari dal tesoro Usa, bypassando l’usura della Federal Reserve. Con assassinio, dunque, prevedibile, assicurato e consumato.
E anche al di qua dell’Atlantico, per i profitti della Banca Madre, le cose non vanno bene. Nonostante il calo del tasso di usura (lo chiamano tasso primario) praticato dalla Old Lady, le imprese e i cittadini britannici sono assai riluttanti a contrarre nuovi mutui o nuovi prestiti.
Ma così - dicono i Signori del signoraggio - tutto va in bordello! Di questo passo, tali blasonate “istituzioni” non possono più strangolare nessuno!
Che jattura.
E che interessante prospettiva per i popoli del mondo.

di Ugo Gaudenzi

11 agosto 2010

Quei 100 milioni da Berlusconi alla mafia


Il quotidiano di via Solferino rivela: Massimo Ciancimino ha consegnato ai giudici un 'pizzino' del 2001 del padre Vito che documenterebbe passaggi di contante da distribuire ai vertici di Cosa Nostra


Cento milioni di vecchie lire versati da Silvio Berlusconi alla mafia nel 2001. La relazione pericolosa per il premier sarebbe documentata in un pizzino consegnato da Massimo Ciancimino ai magistrati, secondo quanto rivelato oggi dal Corriere della Sera. Nel foglio dattiloscritto ma accompagnato da annotazioni autografe di don Vito che si riferisce al boss Bernardo Provenzano con l’appellativo di ragioniere, si fa esplicitamente il nome del presidente del Consiglio.

Scrive l’inviato Felice Cavallaro: il testo è top secret ma chi lo ha letto così sintetizza evocando conteggi in vecchie lire: ‘dei 100 milioni ricevuti da Berlusconi, 75 a Benedetto Spera e 25 a mio figlio Massimo’. E poi: ‘Caro rag. Bisogna dire ai nostri amici di non continuare a fare minchiate … e di risolvere i problemi giudiziari”. Il pizzino sarebbe stato scritto dal padre, secondo Massimo Ciancimino, nella seconda metà del 2001, dopo il voto del 13 maggio per le elezioni nazionali e del 24 giugno per la Regione siciliana con la doppia vittoria schiacciante di Silvio Berlusconi e di Totò Cuffaro. Don Vito chiede al capo della mafia di intervenire sui politici usciti vittoriosi dalle elezioni chiedendo di “non fare minchiate” ingiustificate alla luce dei “numeri” della vittoria: 61 seggi a zero per il centrodestra in Sicilia.

Massimo Ciancimino ha consegnato il pizzino insieme a una cartellina piena di lettere e documenti che sarebbe stata trovata a casa della madre, la signora Epifania. Mamma e figlio sono stati sentiti nei giorni scorsi dai pm Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo sul contenuto del pizzino e in particolare la signora Ciancimino avrebbe inserito questa novità in un rapporto consolidato che risaliva a trenta anni prima: “mio marito si incontrava negli anni settanta con Berlusconi a Milano”, avrebbe detto la signora aggiungendo con un pizzico di disappunto: “ma alla fine Vito si sentì tradito dal Cavaliere”.

Il rapporto Ciancimino-Berlusconi non è una novità assoluta delle indagini palermitane. Le prime tracce risalgono a una serie di relazioni della Polizia degli anni ’80 in cui si descrive la figura di Marcello Dell’Utri e il suo legame con un collaboratore di Ciancimino, l’ingegner Francesco Paolo Alamia. Mentre già nel 2004, in una telefonata intercettata dalla Procura di Palermo tra Massimo Cinacimino e la sorella Luciana, il figlio di don Vito sosteneva che esistesse un assegno di 25 milioni di lire da parte di Silvio Berlusconi a beneficio del padre.

Anche su questo punto Massimo Ciancimino ha offerto nuovi chiarimenti ai pm nei giorni scorsi: si sarebbe trattato in realtà di soldi in contanti che lui stesso avrebbe ritirato da un amico del braccio destro di Provenzano, Pino Lipari.

Il fatto che Massimo Ciancimino abbia in due occasioni ricevuto decine di milioni di lire dal boss Provenzano o dai suoi amici sta modificando la posizione giuridica del “testimone assistito”. Probabilmente la Procura di Palermo sta valutando la sua iscrizione sul registro degli indagati per favoreggiamento. Un elemento che però paradossalmente rafforza la credibilità delle sue affermazioni autoindizianti.

I rapporti tra il gruppo Berlusconi e la mafia comunque non sono una novità assoluta. A parte la condanna nel processo di appello contro Marcello Dell’Utri (nel quale comunque le dichiarazioni del figlio di don Vito non sono state recepite perché considerate contraddittorie e a rate) già nelle indagini degli anni novanta sulla famiglia mafiosa di San Lorenzo erano emerse le prove documentali dei versamenti della Fininvest a titolo di “regalo” ai boss. Nel libro mastro del pizzo, sequestrato al clan, era stata trovata la dicitura “Can 5 5milioni reg”.

I collaboratori di giustizia avevano spiegato che a partire dagli anni ’70, prima attraverso Vittorio Mangano e poi per tramite dell’amico di Dell‘Utri, Gaetano Cinà, ogni anno il Cavaliere faceva arrivare soldi alla mafia.

Non si trattava però di tangenti, ma di doni fatti per mantenere i buoni rapporti. Il boss di Porta Nuova, Salvatore Cancemi, aveva aggiunto di aver visto il contante proveniente da Arcore ancora nel 1992. La trafila del denaro allora prevedeva che i soldi di Berlusconi finissero nelle mani dell’allora capo dei capi Totò Riina per poi essere suddivisi tra le varie famiglie mafiose.

Ora, se autentico, il nuovo pizzino conferma che quell’abitudine non finì con la discesa in campo del Cavaliere. Tanto che altri regali in contanti sarebbero arrivati al successore di Riina. Un fatto che, se provato, spiega bene perché Berlusconi nel 2006 fu l’unica carica istituzionale italiana a non complimentarsi per la cattura di Provenzano.
di marco Lillo