03 settembre 2010

Nessun complottismo ma sul Club Bilderberg serve chiarezza






http://revista-amauta.org/wp-content/uploads/2009/05/bilderberg2.jpg

Questa è la storia di un piccolo, significativo equivoco. Riguarda un’associazione di cui la maggior parte dei lettori non conosce nemmeno l’esistenza: il Bilderberg Group. Sul Corriere della Sera di ieri, Alberto Melloni, recensendo il bel libro di Andrea Tornielli e Paolo Rodari Attacco a Ratzinger (Piemme), mi ha accusato di aver sostenuto tesi complottiste ovvero che la campagna mediatica contro il Papa sia stata orchestrata dal Bilderberg Group.
L’accusa è ingiustificata e fuorviante. Per ragioni che non riesco nemmeno ad immaginare, Melloni ha estrapolato una mia citazione, pubblicata nel saggio di Tornielli e Rodari, senza contestualizzarla e omettendo altre citazioni, più significative. Ad esempio quella in cui, sostengo che è impossibile valutare le tesi sul Bilderberg in quanto «mancano studi credibili su questo misterioso gruppo». L’ho scritto e lo ribadisco: non credo all’esistenza di un Grande Fratello.
Ma non posso non osservare che non appena si affronta l’argomento del Bilderberg scattano dei meccanismi quasi pavloviani. Da un lato c’è chi si esalta nella persuasione di aver scoperto il governo occulto del mondo; d’altro canto c’è chi si indigna e alza muri preventivi, talvolta senza nemmeno sapere cosa sia davvero il Bilderberg e nella presunzione che le élite politiche, finanziarie ed economiche siano composte solo da persone integerrime, disinteressate, esemplari nella difesa delle istituzioni.
La realtà è molto complessa. La globalizzazione provoca la continua erosione della sovranità degli Stati e di istituzioni antiche come la Chiesa cattolica. In quale misura questi fenomeni sono indotti e in quale provocati? Non lo sappiamo. Negli anni Novanta due studiosi cinesi pubblicarono un saggio, Guerra senza limiti, segnalato dal generale Fabio Mini, in cui spiegavano l’importanza cruciale delle «guerre asimmetriche» ovvero del terrorismo, della pirateria sul web e dell’arte di influenzare i media. Chi vuol fare buon giornalismo deve conoscere lo spin, ovvero le tecniche di comunicazione capaci di condizionare non un giornale, ma l’insieme dei mezzi di informazione. Nel saggio Gli stregoni della notizia (Guerini editore, 2006), sostengo la tesi che i giornalisti non sono preparati per capire e neutralizzare lo spin. Per questo Tornielli e Rodari mi hanno interpellato. Una penna autorevole come Nick Davies del Guardian, nel suo Flat Earth news, sostiene la stessa tesi.
Né Davies, né io condividiamo le tesi cospirazioniste. Ma non possiamo nemmeno chiudere gli occhi. Ricordate il Millenium bug? E l’influenza suina? E l’aviaria? False notizie (tra tante altre) che hanno condizionato il mondo, pur essendo montate ad arte. Chi le ha orchestrate? Ancora oggi non lo sappiamo. Ma interrogarsi è doveroso.
Lo stesso approccio dovrebbe valere per il Bilderberg, un club fondato nel 1954 dalla famiglia Rockefeller e che riunisce una volta all’anno alte personalità americane ed europee del mondo della politica, dell’economia e della finanza per analizzare la situazione internazionale. Nulla di anomalo, altre organizzazioni fanno altrettanto. Ma il Bilderberg ha una particolarità: opera nel segreto assoluto. Per cinquant’anni non si è saputo nemmeno che esistesse. Solo di recente ha aperto un sito, anodino peraltro. Non si conoscono le sue finalità, i suoi membri, curiosamente, non vantano l’appartenenza nei curriculum vitae. E quando il Club si riunisce in seduta plenaria i giornalisti che tentano di avvicinarsi vengono cacciati brutalmente.
Sia chiaro: l’ipotesi che sia il vero centro del potere mondiale non regge. È improbabile che circa 150 leader decidano le sorti del pianeta vedendosi una volta all’anno. Ma nell’era della comunicazione non si può nemmeno credere che ministri, banchieri centrali, finanzieri, grandi manager, opinon leader si riuniscano per bere il tè assieme.
È verosimile che il Bilderberg serva soprattutto a creare una rete di contatti tra chi promuove e ha interesse nella globalizzazione. Ma la riservatezza maniacale alimenta il sospetto. E il mistero. Che in democrazia è malsano. È davvero così scandaloso, in un’ottica autenticamente liberale, chiedere di saperne di più?

di Marcello Foa

I servizi segreti israeliani infiltrati in tutto il governo libanese

I servizi segreti israeliani infiltrati in tutto il governo libanese


WMR ha appreso dalle sue fonti d’intelligence libanese, che il governo libanese sta arrivando a capire che la penetrazione dell’intelligence israeliana di tutti i gruppi politici del paese, è peggiore di quanto inizialmente creduto.

Il Mossad d’Israele, una volta soddisfatta di penetrare le parti cristiana e drusa del paese, ha ora ben completamente infiltrato, ai massimi livelli, i partiti sunniti e sciiti. Recentemente, il Libano ha accusato il generale a riposo Fayez Karam, un alto membro del Movimento Libero Patriottico del generale a riposo Michel Aoun, alleato di Hezbollah, di spionaggio per conto del Mossad.

Tra i partiti politici penetrati dai servizi segreti israeliani, vi è il Movimento per il Futuro del Primo Ministro Saad Hariri, figlio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri, assassinato da un’autobomba a Beirut nel 2005. Il tribunale speciale delle Nazioni Unite per il Libano (STL), avrebbe previsto di accusare assai presto dell’assassinio, l’Hezbollah libanese. Tuttavia, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha annunciato di recente che il gruppo ha avuto la prova video dei droni israeliani, che mostra la Israeli Defense Force monitorare Hariri prima del suo assassinio.

Il procuratore capo del STL, Daniel Bellemare del Canada, ha richiesto le prove di Hezbollah. Tuttavia, WMR ha appreso che Bellemare è sospettato dai servizi segreti libanesi di avere stretti contatti con gli agenti precedente sia della CIA che Mossad. WMR ha precedentemente riferito che Bellemare è sospettato di avere consentito e introdotto prove contro Hezbollah sull’assassinio di Hariri, manipolando intercettazioni delle chiamate al cellulare che imputano la “pistola fumante” a Hezbollah. Si teme che Bellemare potrebbe dare le prova di Hezbollah al Mossad, affinché gli israeliani determinino l’origine della fuga dei video classificati.

Il Mossad avrebbe anche preso di mira il successore del leader politico sciita libanese Nabih Berri, attuale speaker del parlamento libanese. L’operazione del Mossad è sostenuta attivamente, da dietro le quinte, dall’Arabia Saudita, un paese che sta rapidamente diventando un sempre più segreto “di Pulcinella” alleato d’Israele in Medio Oriente.

Secondo fonti del WMR in Libano, una rete di Israele e degli Stati Uniti, che può contare sul sostegno delle Nazioni Unite, dopo la prevista incriminazione di Hezbollah per l’assassinio di Hariri, è una rete sunnita nella valle della Bekaa, in Libano. Incluso un membro della stessa famiglia di Ziad al-Jarrah, uno dei presunti dirottatori del volo United 93 dell’11 settembre 2001.

L’intelligence libanese ha collegato Ziad al-Jarrah, che opera dalla Valle della Bekaa, a una rete Salafita supportata dai sauditi, che include affiliati di “al-Qaida” che sarebbero utilizzati per inseguire gli sciiti in tutto il Libano, a seguito delle accuse di Bellemare contro Hezbollah. L’intelligence libanese ha scoperto che i membri di questa stessa rete Salafita/al-Qaida, supportata dal Mossad, anche per obiettivo ti principali leader sciiti in Iraq. WMR ha appreso che Ziad al-Jarrah è stato utilizzato dal Mossad, dalla CIA e dall’intelligence saudita come una “Patsy” del complotto 9/11, così come simili “zimbelli” sono utilizzati in Iraq e altrove, per aiutare a mantenere il mito di “al-Qaida” e di Usama bin Ladin vivo.

La stessa rete salafita/al-Qaida in Libano, mentre era ancora in fase embrionale, è stata utilizzata dal Mossad e dalla CIA per spiare i gruppi palestinesi in Libano, negli anni ‘80 e ’90, così come la Siria, durante la sua occupazione del Libano.

La rete di spionaggio israeliana si estende anche alla Siria. Secondo fonti libanesi, l’ex vice presidente siriano Abdel Halim Khaddam, che ha accusato il presidente siriano Bashar al Assad di aver ordinato l’assassinio di Rafik Harir, è tatticamente sostenuto da Israele e Stati Uniti. Khaddam, che dirige dall’esilio il Fronte di Salvezza Nazionale (NSF), sta cercando di rovesciare Assad. La NSF riceve non solo il sostegno dell’intelligence di Israele e degli Stati Uniti, ma anche dai servizi segreti francesi e tedeschi. La NSF ha sedi a Bruxelles, Berlino, Parigi e Washington DC, ed è sospettato di lavorare dietro le quinte con Bellemare per accusare Hezbollah dell’assassinio di Hariri. Tuttavia, i tentativi precedenti di accusare Assad e i generali libanesi filo-siriani dell’attentato, sono falliti a causa della mancanza di una qualsiasi prova credibile.
Wayne Madsen è un giornalista investigativo, autore e redattore di Washington DC. Ha scritto per diversi giornali e blog rinomati.

di Wayne Madsen

Fonte: Global Research, 25 agosto 2010 – Opinion Maker
http://globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=20759

02 settembre 2010

Negli Stati Uniti il lobbismo dell’industria petrolifera sta massacrando la green economy

Oltre 200 milioni di dollari: è la cifra stanziata dall’apparato industriale americano per proteggere i propri interessi e contrastare le ambizioni degli ambientalisti

Nell’anno del peggior disastro ecologico della storia americana i lobbisti Usa hanno saputo incidere come non mai nella politica nazionale mobilitando attivisti e fondi per un ammontare da record. Lo rivela in questi giorni il Center for Responsive Politics (Crp), un ente di ricerca indipendente di Washington che da quasi trent’anni analizza l’operato delle lobby nella politica statunitense. Un attivismo, quello condotto dall’industria del petrolio e del gas naturale, capace di proteggere il settore da qualsiasi progetto di riforma ma anche – e non è una conseguenza da poco – di vanificare gli sforzi tutt’altro che modesti profusi dai gruppi ambientalisti.

Dal gennaio 2009 ad oggi, gli attivisti e i fautori della green economy hanno mobilitato 500 lobbisti sborsando qualcosa come 33 milioni di dollari. Cifre significative, certo, ma non abbastanza consistenti da contrastare efficacemente l’opera dei rivali. Già, perché nello stesso periodo l’apparato industriale gas-petrolio ha ingaggiato 874 operatori e di milioni, tanto per andare sul sicuro, ne ha tirati fuori quasi 250. Uno sforzo da record sul quale la crisi finanziaria non ha inciso minimamente.

Per i lobbisti “fossili”, quest’ultimo annus mirabilis costituisce il punto d’arrivo di una strategia consolidata che da tempo rimpingua le casse dei politici più influenti a colpi di contributi elettorali. Un sistema ampiamente collaudato di cui hanno beneficiato soprattutto i repubblicani. Secondo i dati di Crp, infatti, sono ben nove gli esponenti conservatori nella Top ten dei contributi “oil-gas” dell’ultimo ventennio. L’ex candidato presidenziale John McCain svetta nella graduatoria con oltre 2,7 milioni di dollari incassati dal 1989 ad oggi. La senatrice della Lousiania Mary Landrieu, ottava in classifica generale e prima tra gli esponenti democratici, ha dovuto accontentarsi, si fa per dire, di 828 mila biglietti verdi.

In un sistema che accetta e incoraggia le attività di lobbying purché condotte in condizioni di trasparenza, gli ambientalisti non sono certo stati a guardare (il democratico Mark Udall, principale beneficiario del fronte green, ha intascato mezzo milione di dollari negli ultimi due decenni), ma il confronto con la mobilitazione nemica si è mantenuto impietoso. E i risultati sono venuti di conseguenza. Quando Obama e i suoi hanno messo in agenda la celebre proposta di legge sui limiti alle emissioni, gli ambientalisti hanno sborsato la cifra record di 22,4 milioni, cinque in meno di quelli messi in campo sul fronte opposto dalla sola ExxonMobil. L’armata degli oppositori, nel frattempo, ha fatto piovere su Washington un maxi finanziamento da 175 milioni tanto per chiarire, una volta per tutte, chi comandasse davvero. E così l’emendamento ambientalista promosso dalla fidata coppia John Kerry/Joe Lieberman si è incagliato in Senato.

Non tutti gli esponenti politici, è bene ricordarlo, si sono adeguati al trend e negli ultimi tempi non sono mancate le crisi di coscienza. Almeno dodici parlamentari, ha sottolineato il Crp, rifiutano tuttora qualsiasi contributo dalla lobby gas/petrolio e qualcuno, come il deputato texano Charles González e la candidata repubblicana al Senato Carly Fiorina, ha promesso di rifiutare in futuro qualsiasi contributo dalla famigerata Bp. Ma nella sostanza la macchina da guerra dei lobbisti può continuare ad operare con efficacia proteggendo i propri interessi e minando quelli della controparte. L’Associazione Americana per l’Energia Eolica (AWEA) ha denunciato in questi giorni il “sabotaggio” di decine di progetti da parte del ministero della Difesa e della Federal Aviation Administration. La capacità energetica delle installazioni eoliche Usa, ha affermato l’Awea, si è ridotta del 71% rispetto al 2008.
di Matteo Cavallito

03 settembre 2010

Nessun complottismo ma sul Club Bilderberg serve chiarezza






http://revista-amauta.org/wp-content/uploads/2009/05/bilderberg2.jpg

Questa è la storia di un piccolo, significativo equivoco. Riguarda un’associazione di cui la maggior parte dei lettori non conosce nemmeno l’esistenza: il Bilderberg Group. Sul Corriere della Sera di ieri, Alberto Melloni, recensendo il bel libro di Andrea Tornielli e Paolo Rodari Attacco a Ratzinger (Piemme), mi ha accusato di aver sostenuto tesi complottiste ovvero che la campagna mediatica contro il Papa sia stata orchestrata dal Bilderberg Group.
L’accusa è ingiustificata e fuorviante. Per ragioni che non riesco nemmeno ad immaginare, Melloni ha estrapolato una mia citazione, pubblicata nel saggio di Tornielli e Rodari, senza contestualizzarla e omettendo altre citazioni, più significative. Ad esempio quella in cui, sostengo che è impossibile valutare le tesi sul Bilderberg in quanto «mancano studi credibili su questo misterioso gruppo». L’ho scritto e lo ribadisco: non credo all’esistenza di un Grande Fratello.
Ma non posso non osservare che non appena si affronta l’argomento del Bilderberg scattano dei meccanismi quasi pavloviani. Da un lato c’è chi si esalta nella persuasione di aver scoperto il governo occulto del mondo; d’altro canto c’è chi si indigna e alza muri preventivi, talvolta senza nemmeno sapere cosa sia davvero il Bilderberg e nella presunzione che le élite politiche, finanziarie ed economiche siano composte solo da persone integerrime, disinteressate, esemplari nella difesa delle istituzioni.
La realtà è molto complessa. La globalizzazione provoca la continua erosione della sovranità degli Stati e di istituzioni antiche come la Chiesa cattolica. In quale misura questi fenomeni sono indotti e in quale provocati? Non lo sappiamo. Negli anni Novanta due studiosi cinesi pubblicarono un saggio, Guerra senza limiti, segnalato dal generale Fabio Mini, in cui spiegavano l’importanza cruciale delle «guerre asimmetriche» ovvero del terrorismo, della pirateria sul web e dell’arte di influenzare i media. Chi vuol fare buon giornalismo deve conoscere lo spin, ovvero le tecniche di comunicazione capaci di condizionare non un giornale, ma l’insieme dei mezzi di informazione. Nel saggio Gli stregoni della notizia (Guerini editore, 2006), sostengo la tesi che i giornalisti non sono preparati per capire e neutralizzare lo spin. Per questo Tornielli e Rodari mi hanno interpellato. Una penna autorevole come Nick Davies del Guardian, nel suo Flat Earth news, sostiene la stessa tesi.
Né Davies, né io condividiamo le tesi cospirazioniste. Ma non possiamo nemmeno chiudere gli occhi. Ricordate il Millenium bug? E l’influenza suina? E l’aviaria? False notizie (tra tante altre) che hanno condizionato il mondo, pur essendo montate ad arte. Chi le ha orchestrate? Ancora oggi non lo sappiamo. Ma interrogarsi è doveroso.
Lo stesso approccio dovrebbe valere per il Bilderberg, un club fondato nel 1954 dalla famiglia Rockefeller e che riunisce una volta all’anno alte personalità americane ed europee del mondo della politica, dell’economia e della finanza per analizzare la situazione internazionale. Nulla di anomalo, altre organizzazioni fanno altrettanto. Ma il Bilderberg ha una particolarità: opera nel segreto assoluto. Per cinquant’anni non si è saputo nemmeno che esistesse. Solo di recente ha aperto un sito, anodino peraltro. Non si conoscono le sue finalità, i suoi membri, curiosamente, non vantano l’appartenenza nei curriculum vitae. E quando il Club si riunisce in seduta plenaria i giornalisti che tentano di avvicinarsi vengono cacciati brutalmente.
Sia chiaro: l’ipotesi che sia il vero centro del potere mondiale non regge. È improbabile che circa 150 leader decidano le sorti del pianeta vedendosi una volta all’anno. Ma nell’era della comunicazione non si può nemmeno credere che ministri, banchieri centrali, finanzieri, grandi manager, opinon leader si riuniscano per bere il tè assieme.
È verosimile che il Bilderberg serva soprattutto a creare una rete di contatti tra chi promuove e ha interesse nella globalizzazione. Ma la riservatezza maniacale alimenta il sospetto. E il mistero. Che in democrazia è malsano. È davvero così scandaloso, in un’ottica autenticamente liberale, chiedere di saperne di più?

di Marcello Foa

I servizi segreti israeliani infiltrati in tutto il governo libanese

I servizi segreti israeliani infiltrati in tutto il governo libanese


WMR ha appreso dalle sue fonti d’intelligence libanese, che il governo libanese sta arrivando a capire che la penetrazione dell’intelligence israeliana di tutti i gruppi politici del paese, è peggiore di quanto inizialmente creduto.

Il Mossad d’Israele, una volta soddisfatta di penetrare le parti cristiana e drusa del paese, ha ora ben completamente infiltrato, ai massimi livelli, i partiti sunniti e sciiti. Recentemente, il Libano ha accusato il generale a riposo Fayez Karam, un alto membro del Movimento Libero Patriottico del generale a riposo Michel Aoun, alleato di Hezbollah, di spionaggio per conto del Mossad.

Tra i partiti politici penetrati dai servizi segreti israeliani, vi è il Movimento per il Futuro del Primo Ministro Saad Hariri, figlio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri, assassinato da un’autobomba a Beirut nel 2005. Il tribunale speciale delle Nazioni Unite per il Libano (STL), avrebbe previsto di accusare assai presto dell’assassinio, l’Hezbollah libanese. Tuttavia, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha annunciato di recente che il gruppo ha avuto la prova video dei droni israeliani, che mostra la Israeli Defense Force monitorare Hariri prima del suo assassinio.

Il procuratore capo del STL, Daniel Bellemare del Canada, ha richiesto le prove di Hezbollah. Tuttavia, WMR ha appreso che Bellemare è sospettato dai servizi segreti libanesi di avere stretti contatti con gli agenti precedente sia della CIA che Mossad. WMR ha precedentemente riferito che Bellemare è sospettato di avere consentito e introdotto prove contro Hezbollah sull’assassinio di Hariri, manipolando intercettazioni delle chiamate al cellulare che imputano la “pistola fumante” a Hezbollah. Si teme che Bellemare potrebbe dare le prova di Hezbollah al Mossad, affinché gli israeliani determinino l’origine della fuga dei video classificati.

Il Mossad avrebbe anche preso di mira il successore del leader politico sciita libanese Nabih Berri, attuale speaker del parlamento libanese. L’operazione del Mossad è sostenuta attivamente, da dietro le quinte, dall’Arabia Saudita, un paese che sta rapidamente diventando un sempre più segreto “di Pulcinella” alleato d’Israele in Medio Oriente.

Secondo fonti del WMR in Libano, una rete di Israele e degli Stati Uniti, che può contare sul sostegno delle Nazioni Unite, dopo la prevista incriminazione di Hezbollah per l’assassinio di Hariri, è una rete sunnita nella valle della Bekaa, in Libano. Incluso un membro della stessa famiglia di Ziad al-Jarrah, uno dei presunti dirottatori del volo United 93 dell’11 settembre 2001.

L’intelligence libanese ha collegato Ziad al-Jarrah, che opera dalla Valle della Bekaa, a una rete Salafita supportata dai sauditi, che include affiliati di “al-Qaida” che sarebbero utilizzati per inseguire gli sciiti in tutto il Libano, a seguito delle accuse di Bellemare contro Hezbollah. L’intelligence libanese ha scoperto che i membri di questa stessa rete Salafita/al-Qaida, supportata dal Mossad, anche per obiettivo ti principali leader sciiti in Iraq. WMR ha appreso che Ziad al-Jarrah è stato utilizzato dal Mossad, dalla CIA e dall’intelligence saudita come una “Patsy” del complotto 9/11, così come simili “zimbelli” sono utilizzati in Iraq e altrove, per aiutare a mantenere il mito di “al-Qaida” e di Usama bin Ladin vivo.

La stessa rete salafita/al-Qaida in Libano, mentre era ancora in fase embrionale, è stata utilizzata dal Mossad e dalla CIA per spiare i gruppi palestinesi in Libano, negli anni ‘80 e ’90, così come la Siria, durante la sua occupazione del Libano.

La rete di spionaggio israeliana si estende anche alla Siria. Secondo fonti libanesi, l’ex vice presidente siriano Abdel Halim Khaddam, che ha accusato il presidente siriano Bashar al Assad di aver ordinato l’assassinio di Rafik Harir, è tatticamente sostenuto da Israele e Stati Uniti. Khaddam, che dirige dall’esilio il Fronte di Salvezza Nazionale (NSF), sta cercando di rovesciare Assad. La NSF riceve non solo il sostegno dell’intelligence di Israele e degli Stati Uniti, ma anche dai servizi segreti francesi e tedeschi. La NSF ha sedi a Bruxelles, Berlino, Parigi e Washington DC, ed è sospettato di lavorare dietro le quinte con Bellemare per accusare Hezbollah dell’assassinio di Hariri. Tuttavia, i tentativi precedenti di accusare Assad e i generali libanesi filo-siriani dell’attentato, sono falliti a causa della mancanza di una qualsiasi prova credibile.
Wayne Madsen è un giornalista investigativo, autore e redattore di Washington DC. Ha scritto per diversi giornali e blog rinomati.

di Wayne Madsen

Fonte: Global Research, 25 agosto 2010 – Opinion Maker
http://globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=20759

02 settembre 2010

Negli Stati Uniti il lobbismo dell’industria petrolifera sta massacrando la green economy

Oltre 200 milioni di dollari: è la cifra stanziata dall’apparato industriale americano per proteggere i propri interessi e contrastare le ambizioni degli ambientalisti

Nell’anno del peggior disastro ecologico della storia americana i lobbisti Usa hanno saputo incidere come non mai nella politica nazionale mobilitando attivisti e fondi per un ammontare da record. Lo rivela in questi giorni il Center for Responsive Politics (Crp), un ente di ricerca indipendente di Washington che da quasi trent’anni analizza l’operato delle lobby nella politica statunitense. Un attivismo, quello condotto dall’industria del petrolio e del gas naturale, capace di proteggere il settore da qualsiasi progetto di riforma ma anche – e non è una conseguenza da poco – di vanificare gli sforzi tutt’altro che modesti profusi dai gruppi ambientalisti.

Dal gennaio 2009 ad oggi, gli attivisti e i fautori della green economy hanno mobilitato 500 lobbisti sborsando qualcosa come 33 milioni di dollari. Cifre significative, certo, ma non abbastanza consistenti da contrastare efficacemente l’opera dei rivali. Già, perché nello stesso periodo l’apparato industriale gas-petrolio ha ingaggiato 874 operatori e di milioni, tanto per andare sul sicuro, ne ha tirati fuori quasi 250. Uno sforzo da record sul quale la crisi finanziaria non ha inciso minimamente.

Per i lobbisti “fossili”, quest’ultimo annus mirabilis costituisce il punto d’arrivo di una strategia consolidata che da tempo rimpingua le casse dei politici più influenti a colpi di contributi elettorali. Un sistema ampiamente collaudato di cui hanno beneficiato soprattutto i repubblicani. Secondo i dati di Crp, infatti, sono ben nove gli esponenti conservatori nella Top ten dei contributi “oil-gas” dell’ultimo ventennio. L’ex candidato presidenziale John McCain svetta nella graduatoria con oltre 2,7 milioni di dollari incassati dal 1989 ad oggi. La senatrice della Lousiania Mary Landrieu, ottava in classifica generale e prima tra gli esponenti democratici, ha dovuto accontentarsi, si fa per dire, di 828 mila biglietti verdi.

In un sistema che accetta e incoraggia le attività di lobbying purché condotte in condizioni di trasparenza, gli ambientalisti non sono certo stati a guardare (il democratico Mark Udall, principale beneficiario del fronte green, ha intascato mezzo milione di dollari negli ultimi due decenni), ma il confronto con la mobilitazione nemica si è mantenuto impietoso. E i risultati sono venuti di conseguenza. Quando Obama e i suoi hanno messo in agenda la celebre proposta di legge sui limiti alle emissioni, gli ambientalisti hanno sborsato la cifra record di 22,4 milioni, cinque in meno di quelli messi in campo sul fronte opposto dalla sola ExxonMobil. L’armata degli oppositori, nel frattempo, ha fatto piovere su Washington un maxi finanziamento da 175 milioni tanto per chiarire, una volta per tutte, chi comandasse davvero. E così l’emendamento ambientalista promosso dalla fidata coppia John Kerry/Joe Lieberman si è incagliato in Senato.

Non tutti gli esponenti politici, è bene ricordarlo, si sono adeguati al trend e negli ultimi tempi non sono mancate le crisi di coscienza. Almeno dodici parlamentari, ha sottolineato il Crp, rifiutano tuttora qualsiasi contributo dalla lobby gas/petrolio e qualcuno, come il deputato texano Charles González e la candidata repubblicana al Senato Carly Fiorina, ha promesso di rifiutare in futuro qualsiasi contributo dalla famigerata Bp. Ma nella sostanza la macchina da guerra dei lobbisti può continuare ad operare con efficacia proteggendo i propri interessi e minando quelli della controparte. L’Associazione Americana per l’Energia Eolica (AWEA) ha denunciato in questi giorni il “sabotaggio” di decine di progetti da parte del ministero della Difesa e della Federal Aviation Administration. La capacità energetica delle installazioni eoliche Usa, ha affermato l’Awea, si è ridotta del 71% rispetto al 2008.
di Matteo Cavallito