11 ottobre 2010

La cambiale, il titolo non voluto dall’usura bancaria


La cambiale, l’amata e odiata vecchia farfalla, titolo finanziario considerato vetusto, impiegata a volte dai cravattari di borgata come garanzia sul rientro del capitale, è ormai raramente utilizzata come normale mezzo di pagamento commerciale.
Stranamente lo strumento base su cui si fonda il concetto di titolo di credito, banconote ed assegni compresi, è stato quasi completamente abbandonato, nonostante abbia aiutato nel recente passato a rimettere in piedi l’economia dell’Italia devastata dalla guerra. La cambiale, il titolo derivato dalla famosa “lettera di cambio”, pare sia stata inventata nel Celeste Impero più di mille anni fa, e nel medioevo sia stata importata in Europa dai mercanti.
Praticamente, attraverso un ordine scritto e sottoscritto ove è indicata la data di scadenza, il luogo del pagamento ed il debitore, si “cartolarizza” un credito certo derivato da un qualunque contratto, rendendolo liquido ed impiegandolo direttamente per pagare un proprio debito senza l’impiego del denaro. Il beneficiario possessore del titolo potrà a sua volta utilizzarlo per pagare ciò che deve ad un terzo.
Il Regio Decreto 1669 del 1933, conosciuto meglio come “Legge Cambiale”, ancora in vigore, ha riordinato le norme di questi titoli di credito, imponendo anche la tassa del 12 per 1000 sull’importo esposto. La normale cambiale, chiamata anche “cambiale tratta” o anche semplicemente “tratta”, è lo strumento finanziario direttamente derivato dalla lettera di cambio, emessa dal creditore, traente, a fronte di un credito certo di un debitore, trattario, il quale, se accetta l’impegno sul titolo sottoscrivendolo, diviene accettante. Nel vaglia cambiario invece, comunemente chiamato “cambiale”, il traente ed il trattario sono unificati nella figura dell’emittente, risultando colui che chiama se stesso al pagamento. Quando è battuta la tratta, nell’ordine esposto compare la parola “pagherete”, mentre invece è indicato con “pagherò”. È possibile garantire il credito della cambiale con avalli, pegni e, come avviene di rado con una particolare procedura, anche con ipoteca immobiliare. La cambiale può essere emessa anche “non all’ordine”, assumendo la forma di cessione di credito.
Il titolo non onorato deve essere depositato presso un pubblico ufficiale di zona appositamente incaricato, che effettuerà le dovute ricerche ed in mancanza di pagamento lo restituirà al beneficiario congiuntamente all’atto contro il trattario, l’accettante o l’emittente detto “protesto”: gli estremi dei protesti contro l’accettante e contro l’emittente saranno riportati sul pubblico “bollettino dei protesti”. È possibile dispensare il debitore dal protesto apponendo sul davanti del titolo la clausola “senza spese”, ma, nel caso di cambiale insoluta, questa manterrà la forza di titolo esecutivo. Qualche anno fa, a fronte del dilagare del numero dei protestati, alcune norme in materia sono state alleggerite.
Con la Legge 43 del 1994 è stato istituito un titolo denominato “cambiale finanziaria”, emessa in serie solo da soggetti autorizzati recanti notevoli garanzie, nel taglio minimo di 100 milioni di lire (euro 51.645,69), da utilizzarsi principalmente per la dilazione di grosse transazioni naturalmente precluse alla stragrande maggioranza di imprese e privati.
Come mai allora questo strumento di credito semplice, e per certi versi dovutamente garantito, sta andando in disuso? È l’impresa o il privato che non ne hanno più bisogno, oppure toglie ai professionisti dell’usura una grossa fetta di mercato?
La cambiale non può non essere resa intrasferibile per concetto, dato che è nata proprio per la movimentazione del credito, e non può essere inchiodata per legge ad un solo passaggio come è stato fatto di recente per il normale assegno bancario, quel particolare titolo cambiario nel quale il pagamento a vista della somma è ordinato incondizionatamente, poiché coperto da una provvista depositata anticipatamente dal traente su un conto presso uno stabilimento della banca trattaria.
È evidente che con un mezzo come l’assegno, sicuramente più comodo, non è possibile operare senza istituti di credito, e non è possibile usufruire direttamente delle proprie spettanze se non quando queste siano maturate. Salvo che non si venga tentati di ricorrere all’ombrello della fideiussione bancaria, solitamente accordata con fuori il sole e tolta alla prima pioggerellina. Con la cambiale invece la banca non è un obbligo ma una scelta, e chi possiede la forza o la volontà di farne a meno, sicuramente risparmia nei movimenti. Difatti nel caso di girata ad un creditore si eliminano completamente gli oneri finanziari, si riducono le esposizioni e si mantiene la possibilità di operare anche se già protestati. Inoltre, a differenza degli assegni in cui il trattario è la banca, per ridurre i disguidi nei pagamenti delle cambiali, l’ufficiale incaricato, prima di elevare il protesto, deve eseguire le ricerche e tentare di incassare la somma presso i debitori, accertandosi in mancanza delle cause di insolvenza. È questa libertà ed affidabilità che infastidisce gli strozzini legalizzati. Meno passaggi, significano meno fidi, meno taglieggio e meno controllo sulla produzione e sul commercio.
Nel tempo, per scoraggiare gli indecisi, costoro hanno adottato la soluzione di moltiplicare le spese per l’incasso delle cambiali, di aumentare i giorni precedenti alla scadenza per la loro presentazione, di allungare i tempi per l’accredito della somma incassata o per la restituzione materiale di quelle respinte, sempre corredate da vergognose addizionali di spesa sul protesto. Per non parlare del fatto che chi utilizza questo titolo viene considerato come un parvenu senza garanzie e con clienti scadenti. In pratica si è fatto di tutto, qualche volta facendo elevare anche ingiusti protesti, per inculcare nell’immaginario collettivo che non bisogna operare con le cambiali.
Non si può non notare che l’unica novità di una legge concepita 80 anni fa per un’Italia in larga parte agricola, è stata quella di introdurre una cambiale seriale il cui pezzo minimo corrisponde grossomodo al valore di un piccolo appartamento.
Ma cosa ha fatto l’attuale classe politica per garantire e migliorare l’utilizzo della cambiale. Nulla, anzi, nel tempo ha favorito la riduzione della sua applicazione. Basti pensare, tanto per fare un esempio, che questi titoli sono lavorabili anche attraverso il canale postale, ma i potentati bancari hanno imposto dei termini all’allora ente pubblico rendendo estremamente difficoltosa la procedura d’incasso. Oggi non è possibile lavorare le cambiali direttamente sul conto corrente postale o con il libretto di risparmio, ma bisogna avviarle, singolarmente e nel misero termine di 10/15 giorni prima della scadenza, solo attraverso la separata e complicata procedura di riscossione, neppure esposta sui listini, sconosciuta alla maggior parte degli impiegati postali, limitante l’importo a qualche migliaio di euro. Per contro, gli incassi postali risultano più veloci ed economici di quelli bancari. Attenzione: “Sono state le associazioni bancarie che hanno stabilito come doveva comportarsi un comparto dello Stato, non l’opposto. Pazzesco!”
Sarebbe stato semplice, invece, con una legge a tutela del credito aziendale (stiamo parlando di eresie e di fantapolitica), impostare una cambiale ad uso esclusivamente commerciale, sia tratta che vaglia, protestabile o senza spese, con emissione e trasferibilità riservata a tutte le aziende di produzione, vendita e somministrazione di beni e servizi non finanziari, impostabile esclusivamente per crediti netti esclusi da spese ed interessi, con scadenza minima di tre mesi, compilabile su un modello indicante la tipologia aziendale, il nome, la residenza e il domicilio, la data di costituzione, e tutti i codici di riferimento di ogni soggetto interveniente, sia esso trattario, traente, emittente o giratario. La trasferibilità dovrà permettersi esclusivamente con girata pro-solvenda o con cessione pro-soluta, e l’incasso dovrà essere permesso per qualsiasi importo anche dai servizi di riscossione. Per completare la cambiale si potrà indicare del credito, oltre all’importo, tutti i riferimenti contabili, e del soggetto debitore alcune notizie sull’affidabilità come il monte titoli emessi ed i protesti risultanti alla verifica. Pubblici ufficiali incaricati potranno autenticare le sottoscrizioni e, pure in fase successiva all’emissione del titolo, certificare le notizie inserite. Nel caso il titolo non abbia i requisiti di cambiale commerciale, ma mantenga quelli del modello ordinario, non sarà annullata, ma subirà solo un automatico declassamento alla certificazione o alla presentazione. Onde non causare danni maggiori del previsto e altri disguidi, dovrà esserci un unico ufficio protesti di zona, predisposto per il deposito della provvista, totale o parziale, con cui garantire anticipatamente il pagamento dei titoli emessi. Il bollettino dei protesti di questi titoli dovrà essere consultabile esclusivamente da operatori commerciali. Il recupero del credito insoluto esposto su questa cambiale dovrà essere garantito nel più breve termine giudiziale in esenzione di spesa.
Solo completandole nella tipologia, garantendo maggiormente i soggetti a cui vengono trasferite, si potrà veramente ritornare ad operare con le “farfalle”, per il buon funzionamento di ogni azienda, e per dispetto di chi sfrutta il lavoro di queste ultime da decenni. Ieri, chi vendeva il denaro era considerato un essere immondo, oggi condiziona la vita di tutti. La sottomissione totale delle genti sta continuando. Lentamente ma inesorabilmente.
di Pierluigi Pagliughi

10 ottobre 2010

Tele-comando

http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcT6ey9yviqvcDBYWRIkMIVGrHR4jpwrSuQ2mZhyb-6JYT1H2so&t=1&usg=__5GS18j9UuhytI1NeCTgIjKO3PaQ=


L’Italia è un paese pieno di problemi che rischia di finire stritolato nella morsa della pesante fase economica e politica. Giriamo in un vortice di preoccupazioni e di inquietudini dal quale non siamo in grado di uscire e ci facciamo prendere dalla spossatezza, dal panico, dalla sfiducia.
Oppure, ancor peggio, siamo indotti alla distrazione e all’accaloramento su aspetti inessenziali che finiscono coll’aggravare la situazione sospingendoci ancora più a fondo. La crisi economica internazionale, la mancanza di iniziativa politica, l’assenza di progettualità economica, l’incapacità di gestire i rapporti internazionali, la disoccupazione, la rabbia, precarietà e spappolamento sociale ecc. ecc. Pensate, come me, che siano queste le grandi difficoltà dell’Italia? Se è così pensate male e sarete costretti a ricredervi perché secondo Repubblica, giornale oracolare e infallibile fondato da barbapapà Scalfari, ed oggi in mano a “telenonscriventerifilatallostato” De Benedetti i nostri drammi sono di tutt’altro tenore. Ancora qualche giorno fa il quotidiano della tessera n.1 del Pd riproponeva, con una delle sue penne più importanti (Massimo Giannini), la solita tiritera sull’Italia ridotta ad una tycoonlandia soggiogata da un cavaliere nero col vizio di importunare le fatine e le veline.
In questa valle di lacrime, dove piove sventura come grandine dura, la vera disgrazia viaggia nell’aria ed è perciò stesso eterea ed evanescente come l’ eccitazione di queste cassandre della carta stampata. Nell’ex Belpaese governa sua Emittenza e questo genera intermittenza nella democrazia. Viviamo nella dittatura trash-televisiva di Mediaset che spadroneggia dal tubo catodico e dal parlamento con un palinsesto totalitario di tipo populistico e monotematico. Non c’è scampo nemmeno sul satellite, i berlusconidi, mutanti blu ipnopedizzati dalla TV, sono dappertutto ed armati di telecomando blandiscono le coscienze per risucchiare la massa grigia dei nostri cervelli. Costoro hanno occupato persino il digitale terrestre oscurando lo Sky dal quale gli dei stavano calando in nostro soccorso lo squalo Murdoch, come un tempo fu il serpente per i gracchianti abitanti dello stagno di Fedro. Il travicello nell’occhio ciclopico dei perbenisti si mimetizza meglio di qualsiasi pagliuzza altrui. Satrapi, insomma, sono sempre gli altri, cioè quelli che ti impediscono di realizzare il tuo sogno integrale di comandare e di fare le stesse cose che fanno loro ma con diverso vantaggio personale. E’ una brutta soap a puntate che abbiamo già visto. Lo zapping governativo, da uno schieramento all’altro, da un gruppo di potere a quello contrario, non ha portato alcuna novità e vantaggio al Paese da quasi vent’anni. Da parte nostra, speriamo sempre di vedere sullo schermo quel teleromanzo dove a piangere sono i ricchi e non la povera gente, ma siccome nessuno di questi registi dell'orrore assetati di sangue lo metterà in onda dovremo girarlo da noi in presa diretta nella vita reale.


di Gianni Petrosillo

09 ottobre 2010

Slot machine, una voragine di nero: 88 miliardi in nero.

Lunedì alla Corte dei conti l'udienza sull'evasione fiscale. Secondo i giudici il danno errariale è enorme. Nel mirino nell'indagine anche i rapporti con politica e mafia
Ottantotto miliardi di euro. L’equivalente di quattro manovre finanziarie. Il grande scandalo delle slot machine arriva alla svolta. Lunedì alla Corte dei Conti comincia l’udienza decisiva. Entro sessanta giorni il giudice stabilirà se nelle casse dello Stato dovranno rientrare 88 miliardi o pochi spiccioli. O addirittura nulla. In ballo la mega penale che, secondo la Procura della Corte dei Conti, le società concessionarie delle slot dovrebbero allo Stato per non aver rispettato le condizioni delle concessioni.

Il condizionale è d’obbligo. Non solo perché la Corte deve ancora decidere. Il punto è un altro: intorno al mondo dei giochi ruotano interessi immensi e non sempre confessabili. Quelli delle società concessionarie, ma anche dei partiti che sui giochi hanno scommesso molto. E poi, convitato di pietra, c’è la criminalità organizzata che vede nelle macchinette una nuova miniera d’oro. La grandezza della somma è inversamente proporzionale alla pubblicità che la vicenda ha avuto. È il 2005 quando il Gat (Gruppo Antifrodi Tecnologiche) della Finanza comincia a occuparsi della storia. Decine di migliaia di slot machine non sono collegate alla rete che registra le giocate. Addirittura in un locale di Riposto (Catania) risultano depositate 26.858 slot in 50 metri quadrati. È solo l’inizio. Quando gli agenti tentano una stima della penale non credono ai loro occhi: si sfiorano i novanta miliardi.

Intanto una commissione di esperti guidata dall’allora sottosegretario all’Economia, Alfiero Grandi (Pd), e dal generale delle Finanza Castore Palmerini produce un documento: una bomba che però non esplode. In troppi sono interessati a disinnescarla. È soltanto grazie all’opinione pubblica, alle inchieste giornalistiche, se il lavoro della Commissione, del Gat e di alcuni magistrati coraggiosi della Corte dei Conti non finisce sotto silenzio. Le slot sono una miniera per tanti. E le conclusioni dei pm sono un terremoto per un settore senza controlli. La Procura inizialmente parla di penali per 31 miliardi e 390 milioni per il concessionario Atlantis World. A seguire Cogetech con 9 miliardi e 394 milioni, Snai con 8 miliardi e 176 milioni, Lottomatica con 7 miliardi e 690 milioni, Hbg con 7 miliardi e 82 milioni, Cirsa con 7 miliardi e 51 milioni, Codere con 6 miliardi e 853 milioni, Sisal con 4 miliardi e 459 milioni, Gmatica con 3 miliardi e 167 milioni e infine Gamenet con 2 miliardi e 873 milioni. In totale, 88 miliardi.

Emergono i contatti di alcune società con la politica. A cominciare da quella che fu An, proprio con i finiani. Amedeo Laboccetta, ex plenipotenziario di Fini a Napoli era amministratore di Atlantis Italia (oggi è in Parlamento, vicino a Berlusconi e giura di non avere più niente a che fare con le slot). Già, proprio la Atlantis di cui ha parlato nei giorni scorsi Il Fatto. La Atlantis World Nv, con base alle Antille olandesi, è controllata da una lunga catena di off-shore e trust che sarebbe riferibile a Francesco Corallo, figlio di Gaetano, condannato a sette anni e mezzo per associazione a delinquere. Ma nell’universo dell’Atlantis si trovano altri nomi: come James Walfenzao che compare anche nelle società off-shore dell’appartamento di Montecarlo. Come ha ricordato Il Secolo XIX, a occuparsi degli affari di Atlantis in Italia ci sarebbe stato anche Giancarlo Lanna, già commissario napoletano di An scelto dal ministro Adolfo Urso come presidente della Simest – finanziaria a controllo pubblico – e oggi è approdato a FareFuturo.

Ds e Lega a suo tempo si erano buttati, senza fortuna, nel Bingo, mentre An aveva puntato sulle slot. Non è un caso che la delega per i giochi nei governi berlusconiani sia andata a uomini di An. Una delle poltrone chiave dei Monopoli dello Stato era andata a Gabriella Alemanno, sorella del sindaco di Roma. Così, mentre la Procura della Corte dei Conti conduceva in solitudine l’inchiesta, i Monopoli guidati all’epoca da Giorgio Tino non esigevano le penali. I pm hanno chiesto 1,3 miliardi di danni a Tino, nel frattempo nominato vicepresidente di Equitalia Gerit.

Intanto lo Stato rinegoziava le convenzioni stabilendo nuove penali irrisorie. Dagli atti parlamentari dell’audizione di Tino emergono le posizioni degli onorevoli. Gianfranco Conte (Forza Italia) disse: “Chi è esperto del settore si è accorto della stupidità della Commissione (gli esperti che denunciarono lo scandalo, ndr). Romano Prodi, sommerso da migliaia di mail, promise: “Non ci sarà un colpo di spugna”. Silvio Berlusconi ha sempre taciuto.

Nel frattempo, il Consiglio di Stato in un parere dei giorni scorsi accenna a una “rimodulazione” delle penali. Bisognerebbe tenere conto delle nuove concessioni che sono infinitamente più indulgenti delle precedenti per la gioia dei privati. E poi ci sarebbe il rischio di mettere in ginocchio un settore economico. Insomma, da 88 miliardi si scenderebbe a un millesimo. Ma davvero i concessionari che hanno incassato 15 miliardi nei primi 6 mesi del 2010 non possono pagare la penale?

Un membro della Commissione che sollevò il velo sullo scandalo slot commenta amaro: “Un cittadino che non rispetta un contratto deve pagare la penale. Altro che “rimodulazione”, gli vanno a pignorare la tv”.
Lunedì sarà il momento della verità. Le concessionarie presenteranno istanze di nullità, di rinvio. Ma la Procura non farà un passo indietro: chiederà oltre 80 miliardi di euro.
di ferruccio Sansa

11 ottobre 2010

La cambiale, il titolo non voluto dall’usura bancaria


La cambiale, l’amata e odiata vecchia farfalla, titolo finanziario considerato vetusto, impiegata a volte dai cravattari di borgata come garanzia sul rientro del capitale, è ormai raramente utilizzata come normale mezzo di pagamento commerciale.
Stranamente lo strumento base su cui si fonda il concetto di titolo di credito, banconote ed assegni compresi, è stato quasi completamente abbandonato, nonostante abbia aiutato nel recente passato a rimettere in piedi l’economia dell’Italia devastata dalla guerra. La cambiale, il titolo derivato dalla famosa “lettera di cambio”, pare sia stata inventata nel Celeste Impero più di mille anni fa, e nel medioevo sia stata importata in Europa dai mercanti.
Praticamente, attraverso un ordine scritto e sottoscritto ove è indicata la data di scadenza, il luogo del pagamento ed il debitore, si “cartolarizza” un credito certo derivato da un qualunque contratto, rendendolo liquido ed impiegandolo direttamente per pagare un proprio debito senza l’impiego del denaro. Il beneficiario possessore del titolo potrà a sua volta utilizzarlo per pagare ciò che deve ad un terzo.
Il Regio Decreto 1669 del 1933, conosciuto meglio come “Legge Cambiale”, ancora in vigore, ha riordinato le norme di questi titoli di credito, imponendo anche la tassa del 12 per 1000 sull’importo esposto. La normale cambiale, chiamata anche “cambiale tratta” o anche semplicemente “tratta”, è lo strumento finanziario direttamente derivato dalla lettera di cambio, emessa dal creditore, traente, a fronte di un credito certo di un debitore, trattario, il quale, se accetta l’impegno sul titolo sottoscrivendolo, diviene accettante. Nel vaglia cambiario invece, comunemente chiamato “cambiale”, il traente ed il trattario sono unificati nella figura dell’emittente, risultando colui che chiama se stesso al pagamento. Quando è battuta la tratta, nell’ordine esposto compare la parola “pagherete”, mentre invece è indicato con “pagherò”. È possibile garantire il credito della cambiale con avalli, pegni e, come avviene di rado con una particolare procedura, anche con ipoteca immobiliare. La cambiale può essere emessa anche “non all’ordine”, assumendo la forma di cessione di credito.
Il titolo non onorato deve essere depositato presso un pubblico ufficiale di zona appositamente incaricato, che effettuerà le dovute ricerche ed in mancanza di pagamento lo restituirà al beneficiario congiuntamente all’atto contro il trattario, l’accettante o l’emittente detto “protesto”: gli estremi dei protesti contro l’accettante e contro l’emittente saranno riportati sul pubblico “bollettino dei protesti”. È possibile dispensare il debitore dal protesto apponendo sul davanti del titolo la clausola “senza spese”, ma, nel caso di cambiale insoluta, questa manterrà la forza di titolo esecutivo. Qualche anno fa, a fronte del dilagare del numero dei protestati, alcune norme in materia sono state alleggerite.
Con la Legge 43 del 1994 è stato istituito un titolo denominato “cambiale finanziaria”, emessa in serie solo da soggetti autorizzati recanti notevoli garanzie, nel taglio minimo di 100 milioni di lire (euro 51.645,69), da utilizzarsi principalmente per la dilazione di grosse transazioni naturalmente precluse alla stragrande maggioranza di imprese e privati.
Come mai allora questo strumento di credito semplice, e per certi versi dovutamente garantito, sta andando in disuso? È l’impresa o il privato che non ne hanno più bisogno, oppure toglie ai professionisti dell’usura una grossa fetta di mercato?
La cambiale non può non essere resa intrasferibile per concetto, dato che è nata proprio per la movimentazione del credito, e non può essere inchiodata per legge ad un solo passaggio come è stato fatto di recente per il normale assegno bancario, quel particolare titolo cambiario nel quale il pagamento a vista della somma è ordinato incondizionatamente, poiché coperto da una provvista depositata anticipatamente dal traente su un conto presso uno stabilimento della banca trattaria.
È evidente che con un mezzo come l’assegno, sicuramente più comodo, non è possibile operare senza istituti di credito, e non è possibile usufruire direttamente delle proprie spettanze se non quando queste siano maturate. Salvo che non si venga tentati di ricorrere all’ombrello della fideiussione bancaria, solitamente accordata con fuori il sole e tolta alla prima pioggerellina. Con la cambiale invece la banca non è un obbligo ma una scelta, e chi possiede la forza o la volontà di farne a meno, sicuramente risparmia nei movimenti. Difatti nel caso di girata ad un creditore si eliminano completamente gli oneri finanziari, si riducono le esposizioni e si mantiene la possibilità di operare anche se già protestati. Inoltre, a differenza degli assegni in cui il trattario è la banca, per ridurre i disguidi nei pagamenti delle cambiali, l’ufficiale incaricato, prima di elevare il protesto, deve eseguire le ricerche e tentare di incassare la somma presso i debitori, accertandosi in mancanza delle cause di insolvenza. È questa libertà ed affidabilità che infastidisce gli strozzini legalizzati. Meno passaggi, significano meno fidi, meno taglieggio e meno controllo sulla produzione e sul commercio.
Nel tempo, per scoraggiare gli indecisi, costoro hanno adottato la soluzione di moltiplicare le spese per l’incasso delle cambiali, di aumentare i giorni precedenti alla scadenza per la loro presentazione, di allungare i tempi per l’accredito della somma incassata o per la restituzione materiale di quelle respinte, sempre corredate da vergognose addizionali di spesa sul protesto. Per non parlare del fatto che chi utilizza questo titolo viene considerato come un parvenu senza garanzie e con clienti scadenti. In pratica si è fatto di tutto, qualche volta facendo elevare anche ingiusti protesti, per inculcare nell’immaginario collettivo che non bisogna operare con le cambiali.
Non si può non notare che l’unica novità di una legge concepita 80 anni fa per un’Italia in larga parte agricola, è stata quella di introdurre una cambiale seriale il cui pezzo minimo corrisponde grossomodo al valore di un piccolo appartamento.
Ma cosa ha fatto l’attuale classe politica per garantire e migliorare l’utilizzo della cambiale. Nulla, anzi, nel tempo ha favorito la riduzione della sua applicazione. Basti pensare, tanto per fare un esempio, che questi titoli sono lavorabili anche attraverso il canale postale, ma i potentati bancari hanno imposto dei termini all’allora ente pubblico rendendo estremamente difficoltosa la procedura d’incasso. Oggi non è possibile lavorare le cambiali direttamente sul conto corrente postale o con il libretto di risparmio, ma bisogna avviarle, singolarmente e nel misero termine di 10/15 giorni prima della scadenza, solo attraverso la separata e complicata procedura di riscossione, neppure esposta sui listini, sconosciuta alla maggior parte degli impiegati postali, limitante l’importo a qualche migliaio di euro. Per contro, gli incassi postali risultano più veloci ed economici di quelli bancari. Attenzione: “Sono state le associazioni bancarie che hanno stabilito come doveva comportarsi un comparto dello Stato, non l’opposto. Pazzesco!”
Sarebbe stato semplice, invece, con una legge a tutela del credito aziendale (stiamo parlando di eresie e di fantapolitica), impostare una cambiale ad uso esclusivamente commerciale, sia tratta che vaglia, protestabile o senza spese, con emissione e trasferibilità riservata a tutte le aziende di produzione, vendita e somministrazione di beni e servizi non finanziari, impostabile esclusivamente per crediti netti esclusi da spese ed interessi, con scadenza minima di tre mesi, compilabile su un modello indicante la tipologia aziendale, il nome, la residenza e il domicilio, la data di costituzione, e tutti i codici di riferimento di ogni soggetto interveniente, sia esso trattario, traente, emittente o giratario. La trasferibilità dovrà permettersi esclusivamente con girata pro-solvenda o con cessione pro-soluta, e l’incasso dovrà essere permesso per qualsiasi importo anche dai servizi di riscossione. Per completare la cambiale si potrà indicare del credito, oltre all’importo, tutti i riferimenti contabili, e del soggetto debitore alcune notizie sull’affidabilità come il monte titoli emessi ed i protesti risultanti alla verifica. Pubblici ufficiali incaricati potranno autenticare le sottoscrizioni e, pure in fase successiva all’emissione del titolo, certificare le notizie inserite. Nel caso il titolo non abbia i requisiti di cambiale commerciale, ma mantenga quelli del modello ordinario, non sarà annullata, ma subirà solo un automatico declassamento alla certificazione o alla presentazione. Onde non causare danni maggiori del previsto e altri disguidi, dovrà esserci un unico ufficio protesti di zona, predisposto per il deposito della provvista, totale o parziale, con cui garantire anticipatamente il pagamento dei titoli emessi. Il bollettino dei protesti di questi titoli dovrà essere consultabile esclusivamente da operatori commerciali. Il recupero del credito insoluto esposto su questa cambiale dovrà essere garantito nel più breve termine giudiziale in esenzione di spesa.
Solo completandole nella tipologia, garantendo maggiormente i soggetti a cui vengono trasferite, si potrà veramente ritornare ad operare con le “farfalle”, per il buon funzionamento di ogni azienda, e per dispetto di chi sfrutta il lavoro di queste ultime da decenni. Ieri, chi vendeva il denaro era considerato un essere immondo, oggi condiziona la vita di tutti. La sottomissione totale delle genti sta continuando. Lentamente ma inesorabilmente.
di Pierluigi Pagliughi

10 ottobre 2010

Tele-comando

http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcT6ey9yviqvcDBYWRIkMIVGrHR4jpwrSuQ2mZhyb-6JYT1H2so&t=1&usg=__5GS18j9UuhytI1NeCTgIjKO3PaQ=


L’Italia è un paese pieno di problemi che rischia di finire stritolato nella morsa della pesante fase economica e politica. Giriamo in un vortice di preoccupazioni e di inquietudini dal quale non siamo in grado di uscire e ci facciamo prendere dalla spossatezza, dal panico, dalla sfiducia.
Oppure, ancor peggio, siamo indotti alla distrazione e all’accaloramento su aspetti inessenziali che finiscono coll’aggravare la situazione sospingendoci ancora più a fondo. La crisi economica internazionale, la mancanza di iniziativa politica, l’assenza di progettualità economica, l’incapacità di gestire i rapporti internazionali, la disoccupazione, la rabbia, precarietà e spappolamento sociale ecc. ecc. Pensate, come me, che siano queste le grandi difficoltà dell’Italia? Se è così pensate male e sarete costretti a ricredervi perché secondo Repubblica, giornale oracolare e infallibile fondato da barbapapà Scalfari, ed oggi in mano a “telenonscriventerifilatallostato” De Benedetti i nostri drammi sono di tutt’altro tenore. Ancora qualche giorno fa il quotidiano della tessera n.1 del Pd riproponeva, con una delle sue penne più importanti (Massimo Giannini), la solita tiritera sull’Italia ridotta ad una tycoonlandia soggiogata da un cavaliere nero col vizio di importunare le fatine e le veline.
In questa valle di lacrime, dove piove sventura come grandine dura, la vera disgrazia viaggia nell’aria ed è perciò stesso eterea ed evanescente come l’ eccitazione di queste cassandre della carta stampata. Nell’ex Belpaese governa sua Emittenza e questo genera intermittenza nella democrazia. Viviamo nella dittatura trash-televisiva di Mediaset che spadroneggia dal tubo catodico e dal parlamento con un palinsesto totalitario di tipo populistico e monotematico. Non c’è scampo nemmeno sul satellite, i berlusconidi, mutanti blu ipnopedizzati dalla TV, sono dappertutto ed armati di telecomando blandiscono le coscienze per risucchiare la massa grigia dei nostri cervelli. Costoro hanno occupato persino il digitale terrestre oscurando lo Sky dal quale gli dei stavano calando in nostro soccorso lo squalo Murdoch, come un tempo fu il serpente per i gracchianti abitanti dello stagno di Fedro. Il travicello nell’occhio ciclopico dei perbenisti si mimetizza meglio di qualsiasi pagliuzza altrui. Satrapi, insomma, sono sempre gli altri, cioè quelli che ti impediscono di realizzare il tuo sogno integrale di comandare e di fare le stesse cose che fanno loro ma con diverso vantaggio personale. E’ una brutta soap a puntate che abbiamo già visto. Lo zapping governativo, da uno schieramento all’altro, da un gruppo di potere a quello contrario, non ha portato alcuna novità e vantaggio al Paese da quasi vent’anni. Da parte nostra, speriamo sempre di vedere sullo schermo quel teleromanzo dove a piangere sono i ricchi e non la povera gente, ma siccome nessuno di questi registi dell'orrore assetati di sangue lo metterà in onda dovremo girarlo da noi in presa diretta nella vita reale.


di Gianni Petrosillo

09 ottobre 2010

Slot machine, una voragine di nero: 88 miliardi in nero.

Lunedì alla Corte dei conti l'udienza sull'evasione fiscale. Secondo i giudici il danno errariale è enorme. Nel mirino nell'indagine anche i rapporti con politica e mafia
Ottantotto miliardi di euro. L’equivalente di quattro manovre finanziarie. Il grande scandalo delle slot machine arriva alla svolta. Lunedì alla Corte dei Conti comincia l’udienza decisiva. Entro sessanta giorni il giudice stabilirà se nelle casse dello Stato dovranno rientrare 88 miliardi o pochi spiccioli. O addirittura nulla. In ballo la mega penale che, secondo la Procura della Corte dei Conti, le società concessionarie delle slot dovrebbero allo Stato per non aver rispettato le condizioni delle concessioni.

Il condizionale è d’obbligo. Non solo perché la Corte deve ancora decidere. Il punto è un altro: intorno al mondo dei giochi ruotano interessi immensi e non sempre confessabili. Quelli delle società concessionarie, ma anche dei partiti che sui giochi hanno scommesso molto. E poi, convitato di pietra, c’è la criminalità organizzata che vede nelle macchinette una nuova miniera d’oro. La grandezza della somma è inversamente proporzionale alla pubblicità che la vicenda ha avuto. È il 2005 quando il Gat (Gruppo Antifrodi Tecnologiche) della Finanza comincia a occuparsi della storia. Decine di migliaia di slot machine non sono collegate alla rete che registra le giocate. Addirittura in un locale di Riposto (Catania) risultano depositate 26.858 slot in 50 metri quadrati. È solo l’inizio. Quando gli agenti tentano una stima della penale non credono ai loro occhi: si sfiorano i novanta miliardi.

Intanto una commissione di esperti guidata dall’allora sottosegretario all’Economia, Alfiero Grandi (Pd), e dal generale delle Finanza Castore Palmerini produce un documento: una bomba che però non esplode. In troppi sono interessati a disinnescarla. È soltanto grazie all’opinione pubblica, alle inchieste giornalistiche, se il lavoro della Commissione, del Gat e di alcuni magistrati coraggiosi della Corte dei Conti non finisce sotto silenzio. Le slot sono una miniera per tanti. E le conclusioni dei pm sono un terremoto per un settore senza controlli. La Procura inizialmente parla di penali per 31 miliardi e 390 milioni per il concessionario Atlantis World. A seguire Cogetech con 9 miliardi e 394 milioni, Snai con 8 miliardi e 176 milioni, Lottomatica con 7 miliardi e 690 milioni, Hbg con 7 miliardi e 82 milioni, Cirsa con 7 miliardi e 51 milioni, Codere con 6 miliardi e 853 milioni, Sisal con 4 miliardi e 459 milioni, Gmatica con 3 miliardi e 167 milioni e infine Gamenet con 2 miliardi e 873 milioni. In totale, 88 miliardi.

Emergono i contatti di alcune società con la politica. A cominciare da quella che fu An, proprio con i finiani. Amedeo Laboccetta, ex plenipotenziario di Fini a Napoli era amministratore di Atlantis Italia (oggi è in Parlamento, vicino a Berlusconi e giura di non avere più niente a che fare con le slot). Già, proprio la Atlantis di cui ha parlato nei giorni scorsi Il Fatto. La Atlantis World Nv, con base alle Antille olandesi, è controllata da una lunga catena di off-shore e trust che sarebbe riferibile a Francesco Corallo, figlio di Gaetano, condannato a sette anni e mezzo per associazione a delinquere. Ma nell’universo dell’Atlantis si trovano altri nomi: come James Walfenzao che compare anche nelle società off-shore dell’appartamento di Montecarlo. Come ha ricordato Il Secolo XIX, a occuparsi degli affari di Atlantis in Italia ci sarebbe stato anche Giancarlo Lanna, già commissario napoletano di An scelto dal ministro Adolfo Urso come presidente della Simest – finanziaria a controllo pubblico – e oggi è approdato a FareFuturo.

Ds e Lega a suo tempo si erano buttati, senza fortuna, nel Bingo, mentre An aveva puntato sulle slot. Non è un caso che la delega per i giochi nei governi berlusconiani sia andata a uomini di An. Una delle poltrone chiave dei Monopoli dello Stato era andata a Gabriella Alemanno, sorella del sindaco di Roma. Così, mentre la Procura della Corte dei Conti conduceva in solitudine l’inchiesta, i Monopoli guidati all’epoca da Giorgio Tino non esigevano le penali. I pm hanno chiesto 1,3 miliardi di danni a Tino, nel frattempo nominato vicepresidente di Equitalia Gerit.

Intanto lo Stato rinegoziava le convenzioni stabilendo nuove penali irrisorie. Dagli atti parlamentari dell’audizione di Tino emergono le posizioni degli onorevoli. Gianfranco Conte (Forza Italia) disse: “Chi è esperto del settore si è accorto della stupidità della Commissione (gli esperti che denunciarono lo scandalo, ndr). Romano Prodi, sommerso da migliaia di mail, promise: “Non ci sarà un colpo di spugna”. Silvio Berlusconi ha sempre taciuto.

Nel frattempo, il Consiglio di Stato in un parere dei giorni scorsi accenna a una “rimodulazione” delle penali. Bisognerebbe tenere conto delle nuove concessioni che sono infinitamente più indulgenti delle precedenti per la gioia dei privati. E poi ci sarebbe il rischio di mettere in ginocchio un settore economico. Insomma, da 88 miliardi si scenderebbe a un millesimo. Ma davvero i concessionari che hanno incassato 15 miliardi nei primi 6 mesi del 2010 non possono pagare la penale?

Un membro della Commissione che sollevò il velo sullo scandalo slot commenta amaro: “Un cittadino che non rispetta un contratto deve pagare la penale. Altro che “rimodulazione”, gli vanno a pignorare la tv”.
Lunedì sarà il momento della verità. Le concessionarie presenteranno istanze di nullità, di rinvio. Ma la Procura non farà un passo indietro: chiederà oltre 80 miliardi di euro.
di ferruccio Sansa