Ho pochi lettori, ma dio sa se sono esigenti.
È da dieci giorni che mi martellano per sapere che penso della vicenda osée che vede coinvolto il nostro presidente del Consiglio.
Se volessi fare l’antipatica, risponderei che siccome pensare è faticoso preferisco affaticarmi su ciò di cui valga la pena — per esempio l’ultimo sfavillante saggio di Pietro Citati dedicato a Leopardi, o il concettoso studio sulla civiltà dell’empatia di Rifkin, per non dire di altri studi più personali che mi assorbono ultimamente.
Ma comprendo di non potermi esimere dall’esprimere un parere sulla questione che ormai è contemporaneamente politica, sociologica, istituzionale, etica e financo antropologica. L’estetica stavolta la lascio fuori, perché accostarla a questo bordello (mai termine fu più appropriato) mi sembra oltraggioso.
Dunque, miei fidi rari nantes, abbiate pazienza se mi limito a qualche considerazione sparsa, e non vogliatemene se mi astraggo un po’ troppo.
Il privato è politico?
Partiamo dalla puntata di Anno Zero andata in onda l’altra sera. Si ha un bel parlare di estrapolazioni, manipolazioni, strumentalizzazioni eccetera: resta che ci sono alcuni fatti, spiacevoli e imbarazzanti quanto si vuole, ma fatti. E non mi riferisco alle tristissime trascrizioni delle telefonate o all’incredibile show della ex escort (ma se dico prostituta che succede?) intervistata da un costernato Sandro Ruotolo: parlo, invece, del fatto che è emersa — al di là di ogni ragionevole dubbio — la sconcertante facilità con cui una certa categoria di persone può accedere alle stanze del presidente del Consiglio. Che sono, piaccia o non piaccia, le stanze del potere. Del pari, è emersa l’altrettanto sconcertante leggerezza con cui il presidente del Consiglio ammette una certa categoria di persone nelle sue stanze. Che sono — repetita juvant — le stanze del potere.
È questo, mi pare, e non altro, che dovrebbe inquietare: ovvero la pericolosa sovrapposizione fra pubblico e privato, due ambiti che Silvio Berlusconi apparentemente non riesce più a distinguere né a tenere separati.
Carità pelosa
Come che sia, a giudicare da quel che si è visto e sentito sull’argomento da qualche giorno a questa parte, sembra che funzioni così: una (io, per esempio) che si presentasse al rag. Spinelli dicendo “buongiorno, sono la dottoressa X.Y., laureata in filosofia, pubblicista, moglie e madre; potrei incontrare l’on. Berlusconi così, tanto per parlare del più e del meno?” non dico che Spinelli la farebbe mettere alla porta ma probabilmente le riderebbe in faccia. Invece una che si presentasse nello stesso posto dicendo “ciao, mi chiamo Pussy e la dò via facile, posso vedere Papi?” più probabilmente verrebbe fatta accomodare. Almeno questa è l’impressione che sembra di poter ricavare dalla faccenda, la quale tutto è fuorché edificante.
Spinelli difende se stesso e il suo datore di lavoro sostenendo che tutto quel giro di soldi fosse di pura beneficenza: «Noi diamo aiuti a persone che hanno dei problemi. … Non ha idea di quante persone abbiamo sempre aiutato».
Ora, tutto ciò è meritorio e lodevole. Tuttavia mi chiedo perché gli oggetti di tanta filantropia siano figliole men che trentenni, di bell’aspetto, idee chiare e confusa moralità. Finché non salteranno fuori consistenti aiuti elargiti a una casalinga sovrappeso con marito invalido e due figli a carico, o a un giovane disoccupato con insufficienza toracica ma di preclare doti intellettuali, io continuerò a mantenere le mie riserve sul fumoso concetto di beneficenza che traspare da questa storia.
“La vagina ha la donna”
L’altra sera ho ascoltato con interesse Concita De Gregorio, della quale potrei sottoscrivere ogni parola e il cui pacatamente reiterato “non strilli” rivolto a Madamin Sans-Gêne mi resterà inciso godibilmente nella memoria. In particolare, a un certo punto De Gregorio definisce le allegre comari di Arcore “povere, poverissime ragazze”: ecco, al momento qui non mi sono sentita per niente d’accordo con lei, parendomi che una figliola di coscia lesta inorridita al pensiero di dover campare con “un lavoro da mille euro” abbisognerebbe più di una rieducazione polpottiana che di una busta piena di soldi. Ragionandoci bene, però, mi sono resa conto che queste ragazzotte sono autenticamente figlie del loro tempo. Sono nate e cresciute nella seconda metà degli anni Ottanta, all’indomani dell’ingresso sulla scena di un certo tipo di tv commerciale che ha largamente contribuito alla (de)formazione dell’immaginario nostrano — e mi fermo qui, ché hanno già spiegato la cosa Eco (nel 2003 e nel 2007) e Zanardo, con grande chiarezza.
Complotti in saldo
Gira da qualche giorno in rete l’ipotesi che Ruby Rubacuori potrebbe essere un’agente del Mossad nota come Karima, e che tutta la faccenda sarebbe una montatura di Israele per togliere di mezzo Berlusconi, considerato non più affidabile eccetera. A volerci credere, o la signorina Ruby è assai più che diciottenne, o è Nikita.
Ora, io non sono un’esperta di certe cose: ma sono fermamente convinta che il Mossad possa essere accusato di tutto tranne che di scarsa professionalità. Pertanto, che in rete possano girare liberamente documenti riservati dello stesso, perdipiù contenenti dati relativi ad agenti segreti — Le donne del Mossad —, mi sembra piuttosto improbabile. Tanto più che il sito di provenienza del gustoso materiale è americano, di orientamento cristiano-fondamentalista e marcatamente antisemita. Mi permetto quindi di dubitare della sua attendibilità.
Aggiungo che notare e far notare la somiglianza (ma davvero? Io non l’ho mica trovata) fra la “nostra” Ruby e la “loro” Karima sulla base di un paio di primi piani mi pare veramente assai azzardato: un po’ perché i programmi di morphing fanno miracoli, e un po’ perché magari bisognerebbe prendere in considerazioni parametri antropometrici non del tutto secondari come la statura, la conformazione scheletrico-muscolare eccetera. Però, se c’è ancora gente che si diverte con i complotti in stile Ottocento francese, chi sono io per guastargli il divertimento?
Quando arriva l’età ultima?
Non so come vadano le cose a sinistra, però so che a destra c’è un sacco di gente che si affanna a trovare a Berlusconi ogni e qualsiasi giustificazione — forse c’entra il riflesso di un anticomunismo d’antan, forse un malinteso e un po’ tafazziano residuo di “lotta al Sistema”, forse l’illusione di un entrismo capace perfino di far strame di antichi ideali. Fatto sta che sono in molti, a destra, a battersi strenuamente a difesa del Cavaliere. Come diceva Catullo, de meo ligurrire libidost.
Per quanto mi riguarda, se è vero che in larghissima parte gli oppositori di Berlusconi sono peggio di lui, è ancora più vero che non vedo nulla che meriti di essere salvato in questo sciagurato Paese suddito. Di conseguenza, la prospettiva che esso vada a puttane a immagine e somiglianza del suo premier mi lascia indifferente in modo particolare. Si scrive apolitìa, si pronuncia Kali-Yuga.
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