07 marzo 2011

L’immunità: un pasticcio bipartisan






Ennesima contraddizione del Pd. Da un lato promuove l’inutile raccolta di firme per cacciare Berlusconi. Dall’altro sottoscrive una proposta di legge per reintrodurre il vecchio articolo 68 della Costituzione. In una versione ancora più favorevole ai parlamentari inquisiti


Chi può arrivare a pensare di garantire l’impunità non solo al plurinquisito capo del governo, ma all’intera casta parlamentare? Ma il Partito Democratico, naturalmente. La sedicente opposizione raccoglie dieci milioni di firme (gulp!) contro l’odiato Berlusconi, e a Roma presenta una proposta di legge assieme al Pdl per ripristinare l’immunità parlamentare. Anzi, precisiamo: confezionandone una aggiornata ai tempi, estrema, l’ultima frontiera del privilegio. In cui, cioè, non si torna allo scudo voluto dai padri costituenti onde evitare il fumus persecutionis, ma si cancella la possibilità di indagare a prescindere, salvando coloro che dovrebbero essere chiamati col loro nome: delinquenti comuni. Ancorché eletti dal popolo.

La pensata porta la firma bipartisan di Franca Chiaromonte (Pd) e Luigi Compagna (Pdl), appoggiati dai democratici Sircana e Morando e dall’Udc D’Alia. Prevede che al termine delle indagini, per rinviare a giudizio un parlamentare, il giudice dovrebbe chiedere il permesso alla Camera di appartenenza, che avrebbe 90 giorni per bloccare il processo. Per qualsiasi tipo di reato contestato, senza eccezioni. Nella vecchia immunità modificata nel 1993 sull’onda di Tangentopoli, invece, le Camere potevano negare l’autorizzazione a procedere solo in casi eccezionali, là dove non ci fosse notizia di reato e l’ostilità del magistrato inquirente fosse acclarata (il “fumus persecutionis”, appunto). Nel 1948 quando venne promulgata la Carta costituzionale, infatti, si veniva da vent’anni di fascismo e l’urgenza unanimemente sentita era quella di mettere al riparo la politica da eventuali attacchi giudiziari che volessero colpire l’espressione, magari troppo forte e al limite del lecito, delle opinioni. Ripeto: opinioni, ossia tutto ciò che aveva a che fare con l’attività politica legata alla funzione di deputato o senatore. Non intendevano certo, i padri costituenti oggi fin troppo citati, assicurare un colpo di spugna preventivo per i crimini.

Nel momento in cui, sotto il diluvio di inchieste di Mani Pulite, ci si arrese all’evidenza che la “persecuzione politica” era un argomento pretestuoso che lorsignori agitavano sistematicamente per giustificare l’abuso dell’istituto immunitario, si eliminò la necessità dell’autorizzazione a procedere che di fatto era stata snaturata. Senza fare gli esterofili obbligati, si noti che nelle altre democrazie occidentali un tale sistema di autodifesa corporativa non c’è. In Inghilterra non esiste alcuna immunità parlamentare. In Germania, seppur prevista, viene di fatto annullata in quanto all’inizio di ogni legislatura il parlamento autorizza automaticamente eventuali indagini a carico dei suoi membri. Lo stesso in Spagna, dove, eccetto in un caso, mai in trent’anni le Cortes hanno negato un’autorizzazione a procedere.

Ma la Chiaromonte del Pd vive in un mondo tutto suo e dichiara con sommo sprezzo del pericolo: «Punto chiave della proposta di legge 1942 è quello di ripristinare i principi ed i valori della Carta Costituzionale secondo lo spirito dei padri costituenti, gli stessi contenuti nell'abrogato articolo 68 della Costituzione, laddove infatti si proponeva l'immunità parlamentare dei membri delle due camere, previo autorizzazione a procedere del Parlamento nei casi gravi. In questa maniera si garantiva, e si garantirebbe nel caso passasse la mia proposta, non l'impunità dei membri del Parlamento, ma la necessaria separazione dei compiti tra organi politici ed organi della magistratura».

Domanda: quali sarebbero questi rispettivi compiti? Costituzione alla mano, la magistratura dovrebbe indagare i cittadini, parlamentari compresi, se accusati di aver compiuto un reato (potere giudiziario), e i politici dal canto loro dovrebbero legiferare (potere legislativo) e, se al governo, governare (potere esecutivo). È il buon vecchio Montesquieu. La dottrina Chiaromonte, invece, segue la vulgata Berlusconi-Alfano, come noto due insigni giuristi e filosofi della politica, secondo i quali la divisione dei poteri contempla l’ingiudicabilità di chi siede in parlamento e la corrispettiva genuflessione dei pm. Un diritto speciale per i rappresentanti del popolo, che per il fatto di essere tali sono superiori ai normali cittadini anche se corrotti, malversatori e mafiosi.

I mandarini del Pd, naturalmente, non si sono esposti nell’operazione di soccorso alla maggioranza. Nessun Bersani, D’Alema o Veltroni c’ha messo la faccia. Hanno lasciato che andasse avanti una peone, la Chiaromonte, in modo da poterla scaricare se la mossa dovesse rivelarsi non più utile. Perché è palese che un principio di dignità basilare come l’uguaglianza di fronte alla legge è maneggiata dagli “oppositori” di Silvio come merce di scambio e di trattativa: tu dai l’immunità a me, io concedo qualcos’altro a te. E se così non fosse, l’escamotage può sempre tornar buono per mostrarsi all’opinione pubblica come disponibili al dialogo, il famigerato e becero dialogo. Di riffa o di raffa, la suprema Carta che tutti hanno in bocca viene usata come uno straccio per quello sporco lavoro di inciucio che corre parallelo alle roboanti campagne di protesta anti-berlusconiana. E la chiamano opposizione.

di Alessio Mannino

06 marzo 2011

I risparmi, le banche e l’attuale regime monetario


Nino Galloni, economista, ha recentemente pubblicato un libro provocatorio dal titolo che è tutto un programma: “Prendi i tuoi soldi e scappa?” ci ha rilasciato una interessante intervista, dove ci dice che, molto probabilmente è l’euro a scappare via da noi

Prendi i tuoi soldi e scappa: fa veramente tanta paura questa crisi economica?
Più che una crisi che perdura preferirei parlare di “sindrome” per significare che questo tipo di modello unico dell’economia internazionale sta semplicemente collassando.

Nascondiamo i nostri soldi sotto il materasso come dice l’economista Eugenio Benetazzo, oppure “scappiamo” dall’euro?
Credo più probabile che sia l’euro a scappare da noi: perché la politica monetaria europea è gestita in modo di trattare l’euro come se fosse oro, rendendolo esageratamente ed artificiosamente troppo scarso nelle nostre tasche; perché non si fa abbastanza per separare le attività speculative delle banche da una sana gestione del credito finalizzato allo sviluppo.

Perché l’economista Paolo Savona propone il contrario?
Anzi Savona ha lanciato una provocazione sensata dicendo che sarebbe meglio uscirne
credo che la finalità sia stata quella di sondare e contare il “partito” dei non-euro!

Cosa fanno i governi europei per uscire dalla crisi?
Niente.
Più che parlare di crisi assistiamo ad un sistema produttivo che non regge più, infatti, l’economia ci costringe a produrre più ‘oggetti’ di quelli che in effetti abbiamo bisogno per le nostre esigenze?
Si tratta di due problematiche diverse. Oggi le tecnologie disponibili, se ben utilizzate, consentirebbero a tutta l’umanità di campare benone, ma ci sono interessi dei poteri finanziari che temono i cambiamenti nei rapporti di forza e la crescita della consapevolezza degli esseri umani. Per questo si
inventano analisi e teorie che servono solo a giustificare la penuria di mezzi destinabili allo sviluppo, lo spauracchio delle crisi ambientali (che si aggravano proprio per la mancanza e non per l’eccesso di sviluppo e progresso) e quello della sovrappopolazione, un concetto che ha senso solo in riferimento alle capacità produttive, non in astratto: senza tecnologie, ad esempio, su dieci km quadrati potrà sopravvivere solo una ventina di individui, viceversa con le attuali tecnologie tutto appare diverso e più governabile…

Agli inizi degli anni ‘70 e ‘80 l’Italia aveva una valenza per quando riguarda la tecnologia politica industriale e produzione manifatturiera per cui sarebbe stata meglio una scelta diversa da quella che ci ha portato all’euro?
Certo! Negli anni ’50, ’60, ’70 si credeva in un modello “misto” dove il massimo sostenibile di libertà di impresa non impediva allo Stato di possedere partecipazioni industriali all’avanguardia; poi si è deciso di svendere tutto con danno strategico, occupazionale e sociale e grandi vantaggi solo per pochi.

In Sudamerica come è ripartita l’economia?
Con la sinergia tra ripresa dello Stato Nazionale e monete complementari che consentissero di controllare la recuperata sovranità monetaria senza sacrificare lo sviluppo interno/locale

La moneta complementare che ruolo potrebbe avere in questa crisi economica?
Notevole, soprattutto per l’economia tradizionale che andrebbe ri-territorializzata; ma per il resto –comparti innovativi, nicchie e prodotti di avanguardia – occorrerebbero un euro moneta e non oro, un dollaro per lo sviluppo e non per le guerre, un accordo internazionale – soprattutto con la Cina – per una valuta creditizia internazionale che sterilizzi e neutralizzi l’ingente presenza di titoli tossici e speculativi pericolosamente sospesi.
di Giovanna Canzano

04 marzo 2011

La chiarezza di Chavez sull'ipocrisia USA


Non ha usato mezzi termini, come suo solito, il presidente venezuelano per mettere a fuoco la situazione della politica internazionale in merito alle prese di posizione su quanto sta avvenendo in Libia. Chavez, tra le altre cose, ha il pregio di rendere la diplomazia comprensibile ai più in occasioni del genere. Il presidente è “sicuro che gli Stati Uniti stanno esagerando le cose per giustificare una invasione in Libia", e ancora che "sono impazziti per il petrolio libico”.

Si riferisce naturalmente alla neanche tanto velata volontà, da parte dell'Occidente e in primo luogo degli Usa, di iniziare una ennesima missione umanitaria in Libia.

Le dichiarazioni della Clinton dei giorni scorsi, volte a posizionare gli Stati Uniti al fianco dei ribelli, sono da considerarsi in tal senso, con una ulteriore precisazione, naturalmente, ben oltre l'ipocrisia di un governo, quello Usa, che praticamente in ogni dove nel mondo vi siano risorse da sfruttare e capi di governo da insediare al proprio soldo per perpetrare i propri affari non si tirano indietro per nessun motivo al mondo. Così come non badano a spese, e a coinvolgere l'Europa, per affrontare campagne militari dietro la falsa e bieca motivazione dell'impegno umanitario.

Dell'umanità, bisogna pure che qualcuno lo dica, agli Stati Uniti non importa un fico secco. Anche perché altrimenti non si spiega il motivo per il quale la stessa Amministrazione non si tiri certo indietro, in merito a bombardamenti dall'alto sulla popolazione inerme, nel caso in cui gli interessi siano marcati a stelle e strisce.

Anche in questo caso, tornano utilissime le parole di Chavez, che se da una parte, sia chiaro, ci tiene a precisare che "non sostiene Gheddafi", dall'altro lato rammenta che "quelli che hanno condannato immediatamente la Libia, erano stati muti di fronte ai bombardamenti israeliani causa di migliaia e migliaia di morti, compresi bambini, donne, intere famiglie; sono stati zitti di fronte ai bombardamenti e ai massacri in Iraq, in Afghanistan”.

Ad ogni modo, sulla Libia si stanno preparando a fare carne di porco. Le navi statunitensi stanno riposizionandosi sui mari e iniziano a incrociare a distanza utile per un intervento imminente. In Europa, oltre alla risoluzione Onu e al congelamento dei beni di Gheddafi, si paventa l'istituzione di una no fly zone nello stesso momento in cui dalla Russia si definisce il rais libico come un "cadavere politico" e dove anche la Cina, solitamente restia, dal punto di vista diplomatico, a rilasciare dichiarazioni pesanti, in questo caso ha fatto sentire la sua voce di concerto con tutte le altre provenienti dall'Occidente (soprassediamo, per carità verso il lettore, sulle dichiarazioni dei nostri Frattini e Berlusconi…).

Il punto insomma dovrebbe essere ormai chiaro: Tripoli è assediata ma non solo dai ribelli, e se da una parte è certa la fine politica di Gheddafi, è parimenti certo il fatto che, sebbene ancora timidamente, ovvero senza scoprirsi troppo, tutti i paesi del mondo, in pratica, stiano girando come avvoltoi per piantare la propria bandierina, e i propri pozzi, direttamente o mediante un nuovo governo fantoccio, sulla Libia.

Tutto è nelle mani, come in Egitto, dei popoli che stanno conducendo la rivolta. Perché il rischio più grande, in questo caso come in altri, risiede nel fatto che una volta liberatisi - giustamente, se lo ritengono necessario - del rais di turno, potrebbero trovarsi sotto la dittatura, dolce, melliflua e corrompente, del nostro modello di sviluppo.

Vale la pena chiarire che in Libia il reddito pro capite è circa il triplo rispetto a quello delle altre regioni del Nord Africa, e che dunque, anche se la componente economica è stata certamente una fra quelle determinanti per far scattare la rivolta, non è affatto detto che la molla della fame sia l'unica a essere caricata nelle menti della gente in piazza. Potrebbero esserci anche altre e ben più importanti motivazioni, per esempio di carattere squisitamente politico e ideologico, ad aver fatto muovere i ribelli contro Gheddafi. Così come nelle rivolte d'Egitto.

Il che rappresenta il vero e proprio incubo nelle notti di Washington. Ma di questo, un'altra volta.

Per ora basti tenere la luce accesa sul fatto che, come sempre, i motivi per i quali si paventano interventi da parte dell'Occidente sono ovviamente del tutto avulsi da motivazioni umanitarie, ma rappresentano interessi di due tipologie ben precise: materie prime e basi geopolitiche.

Ovvero petrolio e controllo di luoghi strategici in una delle parti più importanti, a tal fine, del mondo.

Intanto, di passaggio, per capire la più alta posta in gioco nello scacchiere mediorientale, registriamo, e comunichiamo, che la Borsa dell'Arabia Saudita, in soli quattro giorni, ha perso il 16%.

Che ne dite, ci sarà un intervento o lasceranno Egitto e Libia a fare la propria storia da sé come è giusto che sia?
di Valerio Lo Monaco

07 marzo 2011

L’immunità: un pasticcio bipartisan






Ennesima contraddizione del Pd. Da un lato promuove l’inutile raccolta di firme per cacciare Berlusconi. Dall’altro sottoscrive una proposta di legge per reintrodurre il vecchio articolo 68 della Costituzione. In una versione ancora più favorevole ai parlamentari inquisiti


Chi può arrivare a pensare di garantire l’impunità non solo al plurinquisito capo del governo, ma all’intera casta parlamentare? Ma il Partito Democratico, naturalmente. La sedicente opposizione raccoglie dieci milioni di firme (gulp!) contro l’odiato Berlusconi, e a Roma presenta una proposta di legge assieme al Pdl per ripristinare l’immunità parlamentare. Anzi, precisiamo: confezionandone una aggiornata ai tempi, estrema, l’ultima frontiera del privilegio. In cui, cioè, non si torna allo scudo voluto dai padri costituenti onde evitare il fumus persecutionis, ma si cancella la possibilità di indagare a prescindere, salvando coloro che dovrebbero essere chiamati col loro nome: delinquenti comuni. Ancorché eletti dal popolo.

La pensata porta la firma bipartisan di Franca Chiaromonte (Pd) e Luigi Compagna (Pdl), appoggiati dai democratici Sircana e Morando e dall’Udc D’Alia. Prevede che al termine delle indagini, per rinviare a giudizio un parlamentare, il giudice dovrebbe chiedere il permesso alla Camera di appartenenza, che avrebbe 90 giorni per bloccare il processo. Per qualsiasi tipo di reato contestato, senza eccezioni. Nella vecchia immunità modificata nel 1993 sull’onda di Tangentopoli, invece, le Camere potevano negare l’autorizzazione a procedere solo in casi eccezionali, là dove non ci fosse notizia di reato e l’ostilità del magistrato inquirente fosse acclarata (il “fumus persecutionis”, appunto). Nel 1948 quando venne promulgata la Carta costituzionale, infatti, si veniva da vent’anni di fascismo e l’urgenza unanimemente sentita era quella di mettere al riparo la politica da eventuali attacchi giudiziari che volessero colpire l’espressione, magari troppo forte e al limite del lecito, delle opinioni. Ripeto: opinioni, ossia tutto ciò che aveva a che fare con l’attività politica legata alla funzione di deputato o senatore. Non intendevano certo, i padri costituenti oggi fin troppo citati, assicurare un colpo di spugna preventivo per i crimini.

Nel momento in cui, sotto il diluvio di inchieste di Mani Pulite, ci si arrese all’evidenza che la “persecuzione politica” era un argomento pretestuoso che lorsignori agitavano sistematicamente per giustificare l’abuso dell’istituto immunitario, si eliminò la necessità dell’autorizzazione a procedere che di fatto era stata snaturata. Senza fare gli esterofili obbligati, si noti che nelle altre democrazie occidentali un tale sistema di autodifesa corporativa non c’è. In Inghilterra non esiste alcuna immunità parlamentare. In Germania, seppur prevista, viene di fatto annullata in quanto all’inizio di ogni legislatura il parlamento autorizza automaticamente eventuali indagini a carico dei suoi membri. Lo stesso in Spagna, dove, eccetto in un caso, mai in trent’anni le Cortes hanno negato un’autorizzazione a procedere.

Ma la Chiaromonte del Pd vive in un mondo tutto suo e dichiara con sommo sprezzo del pericolo: «Punto chiave della proposta di legge 1942 è quello di ripristinare i principi ed i valori della Carta Costituzionale secondo lo spirito dei padri costituenti, gli stessi contenuti nell'abrogato articolo 68 della Costituzione, laddove infatti si proponeva l'immunità parlamentare dei membri delle due camere, previo autorizzazione a procedere del Parlamento nei casi gravi. In questa maniera si garantiva, e si garantirebbe nel caso passasse la mia proposta, non l'impunità dei membri del Parlamento, ma la necessaria separazione dei compiti tra organi politici ed organi della magistratura».

Domanda: quali sarebbero questi rispettivi compiti? Costituzione alla mano, la magistratura dovrebbe indagare i cittadini, parlamentari compresi, se accusati di aver compiuto un reato (potere giudiziario), e i politici dal canto loro dovrebbero legiferare (potere legislativo) e, se al governo, governare (potere esecutivo). È il buon vecchio Montesquieu. La dottrina Chiaromonte, invece, segue la vulgata Berlusconi-Alfano, come noto due insigni giuristi e filosofi della politica, secondo i quali la divisione dei poteri contempla l’ingiudicabilità di chi siede in parlamento e la corrispettiva genuflessione dei pm. Un diritto speciale per i rappresentanti del popolo, che per il fatto di essere tali sono superiori ai normali cittadini anche se corrotti, malversatori e mafiosi.

I mandarini del Pd, naturalmente, non si sono esposti nell’operazione di soccorso alla maggioranza. Nessun Bersani, D’Alema o Veltroni c’ha messo la faccia. Hanno lasciato che andasse avanti una peone, la Chiaromonte, in modo da poterla scaricare se la mossa dovesse rivelarsi non più utile. Perché è palese che un principio di dignità basilare come l’uguaglianza di fronte alla legge è maneggiata dagli “oppositori” di Silvio come merce di scambio e di trattativa: tu dai l’immunità a me, io concedo qualcos’altro a te. E se così non fosse, l’escamotage può sempre tornar buono per mostrarsi all’opinione pubblica come disponibili al dialogo, il famigerato e becero dialogo. Di riffa o di raffa, la suprema Carta che tutti hanno in bocca viene usata come uno straccio per quello sporco lavoro di inciucio che corre parallelo alle roboanti campagne di protesta anti-berlusconiana. E la chiamano opposizione.

di Alessio Mannino

06 marzo 2011

I risparmi, le banche e l’attuale regime monetario


Nino Galloni, economista, ha recentemente pubblicato un libro provocatorio dal titolo che è tutto un programma: “Prendi i tuoi soldi e scappa?” ci ha rilasciato una interessante intervista, dove ci dice che, molto probabilmente è l’euro a scappare via da noi

Prendi i tuoi soldi e scappa: fa veramente tanta paura questa crisi economica?
Più che una crisi che perdura preferirei parlare di “sindrome” per significare che questo tipo di modello unico dell’economia internazionale sta semplicemente collassando.

Nascondiamo i nostri soldi sotto il materasso come dice l’economista Eugenio Benetazzo, oppure “scappiamo” dall’euro?
Credo più probabile che sia l’euro a scappare da noi: perché la politica monetaria europea è gestita in modo di trattare l’euro come se fosse oro, rendendolo esageratamente ed artificiosamente troppo scarso nelle nostre tasche; perché non si fa abbastanza per separare le attività speculative delle banche da una sana gestione del credito finalizzato allo sviluppo.

Perché l’economista Paolo Savona propone il contrario?
Anzi Savona ha lanciato una provocazione sensata dicendo che sarebbe meglio uscirne
credo che la finalità sia stata quella di sondare e contare il “partito” dei non-euro!

Cosa fanno i governi europei per uscire dalla crisi?
Niente.
Più che parlare di crisi assistiamo ad un sistema produttivo che non regge più, infatti, l’economia ci costringe a produrre più ‘oggetti’ di quelli che in effetti abbiamo bisogno per le nostre esigenze?
Si tratta di due problematiche diverse. Oggi le tecnologie disponibili, se ben utilizzate, consentirebbero a tutta l’umanità di campare benone, ma ci sono interessi dei poteri finanziari che temono i cambiamenti nei rapporti di forza e la crescita della consapevolezza degli esseri umani. Per questo si
inventano analisi e teorie che servono solo a giustificare la penuria di mezzi destinabili allo sviluppo, lo spauracchio delle crisi ambientali (che si aggravano proprio per la mancanza e non per l’eccesso di sviluppo e progresso) e quello della sovrappopolazione, un concetto che ha senso solo in riferimento alle capacità produttive, non in astratto: senza tecnologie, ad esempio, su dieci km quadrati potrà sopravvivere solo una ventina di individui, viceversa con le attuali tecnologie tutto appare diverso e più governabile…

Agli inizi degli anni ‘70 e ‘80 l’Italia aveva una valenza per quando riguarda la tecnologia politica industriale e produzione manifatturiera per cui sarebbe stata meglio una scelta diversa da quella che ci ha portato all’euro?
Certo! Negli anni ’50, ’60, ’70 si credeva in un modello “misto” dove il massimo sostenibile di libertà di impresa non impediva allo Stato di possedere partecipazioni industriali all’avanguardia; poi si è deciso di svendere tutto con danno strategico, occupazionale e sociale e grandi vantaggi solo per pochi.

In Sudamerica come è ripartita l’economia?
Con la sinergia tra ripresa dello Stato Nazionale e monete complementari che consentissero di controllare la recuperata sovranità monetaria senza sacrificare lo sviluppo interno/locale

La moneta complementare che ruolo potrebbe avere in questa crisi economica?
Notevole, soprattutto per l’economia tradizionale che andrebbe ri-territorializzata; ma per il resto –comparti innovativi, nicchie e prodotti di avanguardia – occorrerebbero un euro moneta e non oro, un dollaro per lo sviluppo e non per le guerre, un accordo internazionale – soprattutto con la Cina – per una valuta creditizia internazionale che sterilizzi e neutralizzi l’ingente presenza di titoli tossici e speculativi pericolosamente sospesi.
di Giovanna Canzano

04 marzo 2011

La chiarezza di Chavez sull'ipocrisia USA


Non ha usato mezzi termini, come suo solito, il presidente venezuelano per mettere a fuoco la situazione della politica internazionale in merito alle prese di posizione su quanto sta avvenendo in Libia. Chavez, tra le altre cose, ha il pregio di rendere la diplomazia comprensibile ai più in occasioni del genere. Il presidente è “sicuro che gli Stati Uniti stanno esagerando le cose per giustificare una invasione in Libia", e ancora che "sono impazziti per il petrolio libico”.

Si riferisce naturalmente alla neanche tanto velata volontà, da parte dell'Occidente e in primo luogo degli Usa, di iniziare una ennesima missione umanitaria in Libia.

Le dichiarazioni della Clinton dei giorni scorsi, volte a posizionare gli Stati Uniti al fianco dei ribelli, sono da considerarsi in tal senso, con una ulteriore precisazione, naturalmente, ben oltre l'ipocrisia di un governo, quello Usa, che praticamente in ogni dove nel mondo vi siano risorse da sfruttare e capi di governo da insediare al proprio soldo per perpetrare i propri affari non si tirano indietro per nessun motivo al mondo. Così come non badano a spese, e a coinvolgere l'Europa, per affrontare campagne militari dietro la falsa e bieca motivazione dell'impegno umanitario.

Dell'umanità, bisogna pure che qualcuno lo dica, agli Stati Uniti non importa un fico secco. Anche perché altrimenti non si spiega il motivo per il quale la stessa Amministrazione non si tiri certo indietro, in merito a bombardamenti dall'alto sulla popolazione inerme, nel caso in cui gli interessi siano marcati a stelle e strisce.

Anche in questo caso, tornano utilissime le parole di Chavez, che se da una parte, sia chiaro, ci tiene a precisare che "non sostiene Gheddafi", dall'altro lato rammenta che "quelli che hanno condannato immediatamente la Libia, erano stati muti di fronte ai bombardamenti israeliani causa di migliaia e migliaia di morti, compresi bambini, donne, intere famiglie; sono stati zitti di fronte ai bombardamenti e ai massacri in Iraq, in Afghanistan”.

Ad ogni modo, sulla Libia si stanno preparando a fare carne di porco. Le navi statunitensi stanno riposizionandosi sui mari e iniziano a incrociare a distanza utile per un intervento imminente. In Europa, oltre alla risoluzione Onu e al congelamento dei beni di Gheddafi, si paventa l'istituzione di una no fly zone nello stesso momento in cui dalla Russia si definisce il rais libico come un "cadavere politico" e dove anche la Cina, solitamente restia, dal punto di vista diplomatico, a rilasciare dichiarazioni pesanti, in questo caso ha fatto sentire la sua voce di concerto con tutte le altre provenienti dall'Occidente (soprassediamo, per carità verso il lettore, sulle dichiarazioni dei nostri Frattini e Berlusconi…).

Il punto insomma dovrebbe essere ormai chiaro: Tripoli è assediata ma non solo dai ribelli, e se da una parte è certa la fine politica di Gheddafi, è parimenti certo il fatto che, sebbene ancora timidamente, ovvero senza scoprirsi troppo, tutti i paesi del mondo, in pratica, stiano girando come avvoltoi per piantare la propria bandierina, e i propri pozzi, direttamente o mediante un nuovo governo fantoccio, sulla Libia.

Tutto è nelle mani, come in Egitto, dei popoli che stanno conducendo la rivolta. Perché il rischio più grande, in questo caso come in altri, risiede nel fatto che una volta liberatisi - giustamente, se lo ritengono necessario - del rais di turno, potrebbero trovarsi sotto la dittatura, dolce, melliflua e corrompente, del nostro modello di sviluppo.

Vale la pena chiarire che in Libia il reddito pro capite è circa il triplo rispetto a quello delle altre regioni del Nord Africa, e che dunque, anche se la componente economica è stata certamente una fra quelle determinanti per far scattare la rivolta, non è affatto detto che la molla della fame sia l'unica a essere caricata nelle menti della gente in piazza. Potrebbero esserci anche altre e ben più importanti motivazioni, per esempio di carattere squisitamente politico e ideologico, ad aver fatto muovere i ribelli contro Gheddafi. Così come nelle rivolte d'Egitto.

Il che rappresenta il vero e proprio incubo nelle notti di Washington. Ma di questo, un'altra volta.

Per ora basti tenere la luce accesa sul fatto che, come sempre, i motivi per i quali si paventano interventi da parte dell'Occidente sono ovviamente del tutto avulsi da motivazioni umanitarie, ma rappresentano interessi di due tipologie ben precise: materie prime e basi geopolitiche.

Ovvero petrolio e controllo di luoghi strategici in una delle parti più importanti, a tal fine, del mondo.

Intanto, di passaggio, per capire la più alta posta in gioco nello scacchiere mediorientale, registriamo, e comunichiamo, che la Borsa dell'Arabia Saudita, in soli quattro giorni, ha perso il 16%.

Che ne dite, ci sarà un intervento o lasceranno Egitto e Libia a fare la propria storia da sé come è giusto che sia?
di Valerio Lo Monaco