12 maggio 2011

Un ex capo degli 007 francesi demolisce il mito del "pericolo Bin Laden"


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Ripropongo ora questo pezzo in homepage dopo oltre un anno. E' un articolo quanto mai attuale e utile per riflettere su cosa sia "al-Qa'ida" e su quanta manipolazione politica e mediatica le sia stata costruita intorno dalle grandi potenze.

«Al-Qa'ida è morta», ormai da molti anni. Lo afferma Alain Chouet, l'uomo che ha modellato l'antiterrorismo francese ai vertici dei servizi segreti d'Oltralpe proprio negli anni cruciali in cui Washington e Londra costruivano invece i miti e gli spauracchi alla base della Guerra Infinita. Il documento è davvero clamoroso, nasce da un'audizione al Senato francese, e lo trascriviamo per intero (vedi anche il VIDEO).

Nelle parole di Chouet potrete leggere – grazie al lavoro di registrazione e trascrizione del sito francese ReOpen911.info - un'analisi raffinata, ironica, acutissima, che farebbero bene a leggere anche i propagandisti della paura in servizio permanente presso i principali organi d'informazione italiani.

La relazione di Chouet si è tenuta in occasione del dibattito svoltosi a fine gennaio 2010 davanti alla Commissione Esteri. L'esperto della DGSE, con una carriera in grande misura giocata in rapporto al mondo musulmano, parla senza le rigidità della 'lingua di legno' dei diplomatici.

Mentre la grancassa dei media ribatte ancora i suoi ritmi isterici per preparare le future azioni militari (probabilmente in Iran), intanto che si nasconde il fallimento delle ultime operazioni obamiane in Afghanistan dietro incredibili bollettini trionfali, l'ascolto e la lettura di questo documento ci riporta tutti al mondo reale, dove si sbriciolano le fondamenta di tutte le narrative ufficiali sulla questione terrorismo dell'ultimo decennio.

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Trascrizione della audizione di Alain Chouet alla Commissione degli Affari Esteri del Senato, il 29 gennaio 2010

chouet_audit

"Queste domande non mi paiono poi così bizantine come sembrerebbe: anch'io, come un buon numero di colleghi che fanno la mia professione sparsi per il mondo, ritengo - sulla base di notizie serie e dettagliate - che sul piano operativo al-Qa'ida è morta in quelle tane per topi di Tora-Bora nel 2002.

I servizi pakistani si sono limitati poi, dal 2003 a 2008, a rifilarci qualche rimasuglio in cambio di favori o di tolleranze di varia natura.

Dei circa 400 membri attivi dell'organizzazione esistente nel 2001, meno di una cinquantina di "comparse", (eccetto Osama Ben Laden e di Ayman al-Zawahiri che non hanno avuto mai nessun ruolo sul piano operativo) sono riusciti a fuggire e nascondersi in zone remote, vivendo in condizioni di vita precarie e disponendo di mezzi di comunicazione rudimentali o incerti.

Non è con un tale dispositivo che si può attivare su scala planetaria una rete coordinata e organizzata di violenza politica. Appare del resto chiaramente che nessuno dei terroristi autori degli attentati post 11-settembre (Londra, Madrid, Charm-el-Sheikh, Bali, Casablanca, Djerba, Mumbai, eccetera) ha mai avuto contatto con l'organizzazione.

Quanto alle rivendicazioni più o meno tempistiche che sono state rilasciate di quando in quando da Bin Laden o da Zawahiri, anche supponendo di poterle realmente autentificare, esse non implicano nessun collegamento operativo, organizzativo e funzionale fra questi terroristi e le vestigia dell'organizzazione .

Tuttavia, mi vedo obbligato a constatare, anch’io come tutti gli altri, che - a forza di invocarla a ogni proposito, e spesso a sproposito, non appena viene commesso un atto di violenza da un musulmano, o non appena un musulmano si trova nel luogo sbagliato al momento sbagliato (come nella vicenda della fabbrica AZF a Tolosa) o addirittura quando non c'è neanche traccia di un musulmano (come nel caso degli attacchi all’antrace negli stati Uniti) a forza di invocarla permanentemente - un certo numero di media piuttosto approssimativi e alcuni sedicenti esperti da una parte all’altra dell'Atlantico hanno finito non tanto per risuscitarla, ma per trasformarla in una specie di “Amedeo” dell'autore Eugène Ionesco, questo morto il cui cadavere non smette di crescere e di nascondere la realtà e di cui non si sa più come sbarazzarsi. L'ostinazione incantatoria degli Occidentali nell'invocare la mitica organizzazione Al-Qa'ida, (che viene qualificata come iperterrorista non per ciò che ha fatto, ma perché ha affrontato un’iperpotenza), ha avuto rapidamente due effetti perversi:

Primo effetto: Qualsiasi contestatore violento nel mondo musulmano, tanto politico quanto di diritto comune, qualunque fossero le sue motivazioni, ha compreso rapidamente che doveva richiamarsi ad Al-Qa'ida se voleva essere preso sul serio, se voleva che la sua azione godesse di una legittimità riconosciuta dagli altri e se voleva che questa stessa azione avesse risonanza internazionale.

Parallelamente a ciò, tutti i regimi del mondo musulmano – che come ben sappiamo non sono tutti virtuosi - hanno subito ben capito che avevano tutto l’interesse a fare passare i loro oppositori ed i loro contestatori, qualunque essi fossero, per membri dell'organizzazione di Bin Laden, in modo da poterli reprimere tranquillamente e, se possibile, anche con il beneplacito degli Occidentali.

E da qui nasce una proliferazione di varie Al-Qa'ida, più o meno evocate o autoproclamate, in Afghanistan, in Iraq, in Yemen, in Somalia, in Magreb, e altrove "Al-Qa'ida nella penisola arabica”

Il principale risultato di questa dialettica imbecille è stato evidentemente quello di rafforzare il mito di una Al-Qa'ida onnipresente, rannicchiata dietro ogni musulmano, pronta a strumentalizzarlo per colpire l'Occidente in generale e gli Stati Uniti in particolare nel nome di non si sa bene quale perfidia.

Questa visione procede da moltissimi errori di valutazione e di prospettiva e soprattutto genera risposte totalmente inadatte.

Perché se Al-Qa'ida non esiste, la violenza politica islamista invece esiste, eccome. E l'Occidente non ne è che una vittima indiretta e collaterale. Gli ideologi della violenza islamica non sono degli invasati: sono persone che hanno obiettivi ben precisi. Ed il loro obiettivo non è quello di islamizzare il mondo bensì quello di prendere il potere e con esso ricchezze che gli son legate nel mondo musulmano senza che l'Occidente intervenga... Un po’ come fece all’epoca Hassan al-Tourabi in Sudan.

Così, anche se l'amor proprio degli Occidentali dovrà soffrirne, bisogna ripetere senza mai stancarsi che le principali, le più numerose e le prime vittime della violenza islamista sono i musulmani stessi.

L'epicentro di questa violenza islamista non è né in Afghanistan né in Iraq; è in Arabia Saudita. È questo paese che affrontava per primo il manifesto contro gli ebrei e i crociati che,alla fine degli anni Novanta, era il testo fondante dell'organizzazione di Bin Laden, e questo manifesto mirava alla famiglia reale saudita prima che agli ebrei e ai crociati.

Questo è anche il solo paese al mondo a portare un cognome (NdR: in riferimento ad Ibn Saud, fondatore della dinastia).

Fatte le debite proporzioni, l'Arabia Saudita si trova in una situazione paragonabile a quella del primo semestre 1989. Una famiglia ha preso il potere nel 1926 accampando la sua legittimità su una ipotetica discendenza divina e usurpando la custodia dei luoghi santi dell'Islam ai suoi titolari storici appartenenti alla famiglia degli ascemiti.

Questa famiglia, i Saud, composta oggi da circa 3mila principi, esercita senza condividerlo la totalità del potere e si accaparra la totalità di una rendita astronomica che proviene dallo sfruttamento del sottosuolo più ricco al mondo in termini di idrocarburi.

Per conservare la sua legittimità di fronte a qualsiasi tipo di contestazione, la famiglia saudita ha sbarrato la strada a ogni forma di espressione democratica o pluralistica. Adotta la pratica dell'Islam più fondamentalista possibile per mettersi al riparo da ogni forma di scavalcamento in questo campo, (un poco come l'URSS che non voleva uno "scavalcamento a sinistra”, la famiglia saudita non vuole "scavalcamenti in Islam"). Col tempo però gli effetti delle enormi rendite degli idrocarburi hanno dato origine a diverse forme di commercio e di industria alle quali i principi, come tutti i principi, non avrebbero potuto far fronte senza derogare alle misure finora adottate e hanno quindi concesso dietro pagamento la partecipazione ai benefici a imprenditori non di rango in maggior parte provenienti da paesi vicini ma stranieri, ovviamente musulmani, soprattutto yemeniti e in un larga misura ai Levantini (siriani, libanesi, palestinesi).

E mentre il futuro del petrolio è incerto, questi imprenditori fanno osservare a giusto titolo (come i cittadini del Terzo Stato nel 1789), che sono loro che "mandano avanti la baracca” e preparano il futuro del paese e che in queste condizioni non sarebbe che una questione di giustizia associarli in un modo o nell'altro o all'esercizio del potere o alla gestione di una rendita che la famiglia regnante - ve lo ricordo - ritiene di diritto di sua proprietà personale.

Problema: come far passare queste rivendicazioni in un paese dove ogni forma di espressione pluralistica è esclusa per definizione? Quale legittimità può opporsi a un potere che si vanta dell’investitura divina? Quali pressioni possono essere esercitate su un regime familiare che beneficia a titolo personale dal 1945 - a seguito del patto di Quincy concluso tra il vecchio Bin Saud ed il presidente Roosevelt - della protezione politica e militare della superpotenza americana in cambio del monopolio dello sfruttamento degli idrocarburi?

È evidente che gli oppositori di questa teocrazia hanno a disposizione solo il ricorso ad una mescolanza più o meno dosata di violenza rivoluzionaria e di rilancio fondamentalista per combattere questo potere e i suoi protettori esterni. E non è dunque un caso se si trovano tra gli attivisti islamisti più violenti un numero significativo di figli di questa borghesia che sono privi di qualsiasi diritto politico ma sicuramente non dei mezzi né delle idee; e Osama Bin Laden è nel novero di costoro: si è trovato scaraventato nel campo della violenza, dell'integralismo dai nobili sauditi che ritenevano più sbrigativo fare proteggere gli interessi esterni del regno dai figli dei loro valletti piuttosto che dai propri. E’ il classico errore dei parvenus.

Nel corso delle loro picaresche avventure, questi giovani, questi figli della borghesia, hanno fatto brutti incontri, hanno subito cattive influenze, e sono ritornati in campo per addentare la mano del loro stesso padrone.

È così che fin dalla metà degli anni Ottanta, si origina un gioco al rilancio permanente di carattere religioso volto al controllo dell'Islam mondiale tra la famiglia Saud ed i suoi rivali e oppositori sia all'interno sia all'estero, (rivalità sciite-sunnite, l'Iran-Arabia...) Questo gioco al rilancio si è tradotto essenzialmente, in mancanza di risorse umane (nei servizi segreti esteri), nel solo mezzo che invece non scarseggia in Arabia: il denaro.

I fondi spesso distribuiti in modo indiscriminato a tutto il mondo musulmano e alle comunità di immigrati sono finiti nelle tasche di coloro che potevano servirsene, vale a dire in quelle dell'unica organizzazione internazionale islamista largamente ben strutturata : l’associazione dei Fratelli Musulmani e in particolare delle sue ramificazioni più trasgressive e violente, come la Jamaa Islamyyah e altri gruppi islamisti di cui l’al-Qa'ida di Bin Laden non ne era – secondo me - che una delle sue numerose espressioni. In effetti, ovunque la violenza jihadista attecchisca (nelle zone più vulnerabili del mondo musulmano), la sua genesi risale sempre alla medesima logica ternaria.

Primo elemento: un gioco al rilancio ideologico e finanziario del regime saudita...

Secondo elemento: un forte radicamento locale dell'associazione dei Fratelli Musulmani o delle sue emanazioni... che sanno mantenersi sapientemente in equilibrio tra le contraddizioni politiche, economiche e sociali, per aizzare le masse contro le autorità locali e per scoraggiare l'Occidente dal venire in loro soccorso o dall'intervenire: per essere tranquilli a casa propria bisogna rendere il mondo musulmano astioso e detestabile.

Terzo elemento: un vero debole da parte della diplomazia e dei "servizi" occidentali, americani in testa, per il sostegno nel mondo intero, spesso anche in chiave militare, in favore dei movimenti politici e fondamentalisti più reazionari sul piano religioso, usandoli come baluardi contro l'Unione Sovietica fino agli anni Novanta e anche nella politica di contenimento dell’Iran dopo gli anni Ottanta.

Questo cocktail di tre elementi provoca per ragioni molto diverse... gli stessi effetti in Pakistan, in Afghanistan, in Iraq, in Somalia, in Yemen, in l'Indonesia, nel Maghreb, nel Sahel fino alle aree di non-diritto rappresentate dalle comunità musulmane immigrate in Occidente ...

Non entrerò nei dettagli delle diverse situazioni di violenza politica, ma è logico osservare che, se queste si sviluppano tutte seguendo quasi lo stesso percorso, sta a significare che rispecchiano problematiche locali anche totalmente diverse coinvolgendo personaggi che comunicano assai poco tra loro. Se tutti si vantano di combattere sotto la stessa bandiera mitica, è perché sanno bene che quella bandiera rappresenta un formidabile spauracchio per i paesi occidentali in generale e gli Stati Uniti in particolare, che sono sempre visti come pronti a intervenire nei paesi con regimi fortemente controversi. Poi, naturalmente, Signora Benguigua, mi si potrebbe sempre obiettare che, poiché la violenza jihadista esiste realmente e cresce dappertutto secondo gli stessi schemi, poco importa che si chiami Al-Qa'ida, che non sarebbe che il nome generico di una qualche forma di violenza fondamentalista a livello mondiale. Un discreto numero di giornalisti adesso diventati più cauti ci parlano di una "Nebulosa Al-Qa'ida": il problema è che una tale confusione semantica è la fonte di tutte le risposte sbagliate e di fatto esclude qualsiasi soluzione adatta al problema.

Esistono in effetti due modi di passare alla violenza terroristica politica.

O si costituisce un gruppo politico- militare organizzato gerarchizzato (con un leader, una missione, risorse, tattiche coordinate, un programma d'azione preciso, obiettivi definiti), il che lo inquadra come un esercito di professionisti della violenza pronto ad impegnarsi in un processo di scontro tipicamente militare. È questo il caso della maggior parte dei movimenti terroristi rivoluzionari o separatisti in Europa, in Sud America, in Medio Oriente fino alla fine del XX secolo.

Oppure si ricorre alla tecnica detta del "Lone Wolf" (il lupo solitario) che consiste nel tenere un piede nella legalità e l'altro nella trasgressione giocando ideologicamente su una popolazione impressionabile per incitare i suoi elementi più fragili, più motivati a intraprendere un'azione individuale o a piccoli gruppi, colpendo dove possono, quando possono, come possono, non importa, purché tutto ciò abbia la firma del movimento e si inserisca nella strategia generale.

Questa tattica del Lone Wolf non è nuova, è molto antica e ben nota negli Stati Uniti ed è stata teorizzata da William Pierce nei suoi “Turner Diaries”, un bestseller negli Stati Uniti per quasi tutto il decennio degli anni Novanta e che ha ispirato la maggioranza dei violenti militanti della supremazia bianca e gli ultrafondamentalisti cristiani.

Questa tecnica è stata adottata negli attentati di Atlanta, Oklahoma City e in molti altre azioni individuali in cui il numero totale delle vittime è assai vicino se non superiore a quello delle morti dell'11 settembre.

È la stessa tecnica che è stata messa in opera da alcuni gruppi del Terzo Mondo, come i Lupi grigi in Turchia o i Fratelli Musulmani nel mondo arabo e musulmano. Se alcune forme di violenza locali nel mondo arabo si rifanno al primo modello, è sicuramente seguendo il secondo modello che funziona la violenza jihadista esercitata verso l'Occidente e verso certi regimi arabi.

Tutti i servizi di sicurezza e d'intelligence sanno benissimo che non si combatte la tecnica di Lone Wolf con mezzi militari, divisioni corazzate, o una proliferazione di misure di sicurezza indifferenziate. Ci si oppone con misure di sicurezza mirate, sostenute da iniziative politiche, sociali, economiche, educative e culturali volte a prosciugare il vivaio di potenziali volontari, interrompendone i legami con i loro sponsor ideologici e finanziari.

Non solo (e qui mi riferisco a varie relazioni del Tesoro americano), nulla di serio è stato intrapreso per cercare di bloccare il substrato finanziario e tanto meno quello ideologico della violenza jihadista ma, nel designare Al-Qa'ida, come il nemico permanente contro il quale si deve condurre una crociata per vie militari e di sicurezza del tutto inadeguate alla sua reale natura, è come se avessimo usato un mitra per uccidere una zanzara!

Ovviamente abbiamo mancato la zanzara, ma i danni collaterali sono evidenti come si può constatare ogni giorno in Iraq, Afghanistan, Somalia, Yemen ...

E il primo effetto di questa crociata perduta è stato quello di alimentare il vivaio dei volontari, di legittimare questa forma di violenza, di farne il solo referente d’azione e d’affermazione possibile in un mondo musulmano il cui immaginario collettivo è adesso traumatizzato da una legge universale dei sospetti che incombe su di loro, con occupazioni e interventi massicci, interminabili e ciechi.

Da 9 anni, l'Occidente colpisce senza discernimento in Iraq, in Afghanistan, nelle zone tribali del Pakistan, in Somalia,in Palestina naturalmente, (e ci proponiamo ora di intervenire in Yemen e perché no, già che ci siamo, anche in Iran!), ma agli occhi dei musulmani, Bin Laden la fa sempre in barba al più potente esercito del mondo e il regime islamico dell'Arabia Saudita resta tuttora sotto la protezione assoluta dell'America.

In conclusione per tentare di dare il mio apporto alla questione sollevata in questa tavola rotonda "Dove si trova Al-Qa'ida?" ecco la mia risposta: Al-Qa'ida è morta tra il 2002 e il 2004. Ma prima di morire è stata “ingravidata” dagli errori strategici dell’Occidente e dai calcoli imprevidenti di un certo numero di paesi musulmani e così ha partorito i suoi piccoli figli! Il problema per noi adesso è quello di sapere se con questi sgraditi rampolli faremo gli stessi errori alimentando così un ciclo infinito di violenze o se, tanto per mantenere il riferimento a Ionesco, noi assieme ai nostri partner arabi e musulmani sapremo arrestare la proliferazione dei rinoceronti.

Grazie.

di Alain Chouet

Testo trascritto da Arno Mansouri, direttore delle Editions Demi-Lune per ReOpen911.

Traduzione per Megachip a cura di Emanuela Waldis e Pino Cabras.

Lupi e agnelli

Si dice che in Italia il Governo non ci sia e che quando finalmente si fa notare è soltanto per peggiorare le cose. In un certo senso non si può negare questa situazione che fino a qualche tempo fa era almeno attenuata da una politica estera saggia e coraggiosa, miseramente smarritasi nel deserto libico, tra le dune iraniane e nella steppa russa. Da Tripoli ci stanno cacciando a pedate francesi e inglesi, da Teheran siamo scappati alle prime minacce degli americani e con Mosca ci siamo evirati da soli dopo le giravolte sul South Stream.Ma se è vero che il Belpaese va alla deriva senza timonieri occorre ugualmente dire che l’ammutinamento dei partiti di centro-sinistra nei luoghi della dialettica democratica non facilita l’inversione della rotta. Oggi tutto è riposto nelle mani di vertici istituzionali che utilizzano impropriamente la loro carica per smentire od ostacolare qualsiasi decisione prendano il Premier ed il suo Gabinetto. Tra i rimbrotti di un Presidente della Camera bello, abbronzato e con la stessa passione obamiana per i fondali marini e le reprimende di un Presidente della Repubblica che parla un ottimo inglese e si muove con una sospetta ed umbertina regalità atlantica, si stanno esaurendo le speranze peninsulari di evitare il decisivo assalto piratesco alla sua sovranità nazionale. I due reggenti di Montecitorio e del Quirinale stanno sopperendo allo scoordinamento dell’opposizione, incapace di formare un’unica massa d’urto contro l’odiato caimano nano (tale specie esiste davvero in natura e non soltanto in politica), utilizzando le loro esclusive prerogative istituzionali come una trappola per topi adattata ai rettili. Non c’è più quella storica sinergia tra organi dello Stato, indispensabile a tenere unita la nazione in fasi storiche delicate come quella in corso, perché esso è stato svuotato della sua identità per essere riconvertito in una agenzia di disbrigo degli affari stranieri. Inoltre, tanto Fini che Napolitano devono supplire all’immobilismo e alla mancanza di idee del principale partito della coalizione, lasciato nelle mani di un dipendente della premiata tortellineria Giovanni Rana, il quale si scuoce nel brodo delle sue correnti e si fa cucinare da un ex Pm con la vocazione per le cene segrete e i minestroni giustizialisti. Bersani, nel tentativo di tenere insieme le disiecta membra dell’alleanza, sta pure snaturando le sue qualità. Messi da parte gli studi ha preso a bighellonare sui tetti e nelle piazze come un qualunque debosciato fuori corso. Il risultato è ovviamente pessimo. Egli si atteggia a manifestante esperto ma si muove meccanicamente come un grigio burocrate di partito nel bel mezzo di un rave party. Dopo un po’ il trucco si vede e così partono bordate di fischi contro il suo mascheramento posticcio. Se B. regge ancora, nonostante la tempesta che investe lui e la sua maggioranza, lo deve pertanto all’incapacità dei suoi nemici che pure con l’aiuto di ambienti internazionali e con l’appoggio di una magistratura "persecutoria" non sono in grado di speronarlo definitivamente. Nel frattempo però a finire fuori carreggiata è il Paese che sbanda sui dossi della crisi e si avvicina pericolosamente alla scarpata. Sulla via del multipolarismo ci sono tanti crocicchi e prima ancora di giungere ai bivi dell'Epoca si deve sapere almeno dove si sta andando per non ritrovarsi al punto di partenza o persino ancora più indietro rispetto allo start. Il percorso può essere modificato strada facendo ma senza dimenticare la meta finale. Veniamo dai fasti dei secoli passati e vogliamo giungere dove il futuro riserverà all’Italia il posto che le spetta. Marciamo in cattiva compagnia e con guide corrotte che ci sviano nelle selve oscure per farci sbranare dai lupi. Non possiamo pertanto assecondare chi vuol fare di noi agnellini da banchetto che finiscono immancabilmente o sacrificati o divorati. Questo nelle storielle, figurarsi nella Storia con la S maiuscola. L'Italia merita tutt'altro finale della favola.

di Gianni Petrosillo

11 maggio 2011

Ecco come si inganna

Ho detto a più riprese che sulle storie cosiddette “complottiste” sarei tornato con calma. Ma questa volta non posso dilazionare perché vi voglio dimostrare coi fatti quale sia la condotta di Paolo Attivissimo. Il detto signore ha pronunciato questa frase nella puntata di Matrix del 5 maggio 2001:

«Un dato di fatto che chiunque da casa può controllare. In realtà quello che ha detto Giulietto Chiesa sull’assenza del World Trade Center 7 dal rapporto della Commissione Ufficiale è purtroppo un errore. Non ha studiato adeguatamente, perché basta leggere il rapporto per sapere che il World Trade Center 7 è citato con il suo nome dell’epoca, il Solomon Building. Questo è quello che fa un buon ricercatore, verifica i fatti. Evidentemente Giulietto Chiesa in questo caso ha preso una cantonata».

Sottolineo alcuni punti: ha detto che “chiunque da casa può controllare”. Primo trucco: lui sa che quasi nessuno andrà a controllare. Io l’ho fatto. Chiunque, del resto, può farlo andando sul Rapporto Ufficiale della Commissione sull’11 settembre 2001. Non si troverà traccia di alcun “Solomon Building”. Chi andasse a rivedersi il filmato della trasmissione noterà il tono sussiegoso con cui Attivissimo ha fatto la sua lezione. Ex cathedra, come se lui avesse in mano la situazione e potesse dare i voti. Come un vero maestrino annuncia che io non ho “studiato adeguatamente”. Che non sono un buon ricercatore e ho “preso una cantonata”.

Poi qualcuno gli ha fatto notare la balla e lui ha dovuto ammettere, sul suo sito, che quel “Solomon Building” non c’è. Ma, per intorbidire le acque, ha aggiunto che certo che se ne parla del famoso Wtc-7, addirittura in quattro pagine distinte. Sarebbero, anzi sono, le pagine 284, 293, 302, 305. Ahimè, questo secondo, maldestro tentativo di nascondere le tracce si rivela peggiore del primo. Ma forse lui conta, di nuovo, che nessuno vada a verificare. Io sono andato di nuovo a verificare (così vi risparmio la fatica). La questione è: come se ne parla? Tutte e quattro le volte che l’edificio Wtc-7 viene nominato è in quanto sede del Quartier generale dell’Oem (Office for Emergency Management). Non vi è cenno alcuno ai danni subiti dall’edificio. Non c’è nemmeno una riga sul fatto che l’edificio è crollato circa alle 17:20 di quelllo stesso giorno!

So per esperienza che la gran parte delle persone credono di sapere che l’11 dicembre 2001 sono crollate le due torri, ma quasi nessuno sa che le torri crollate sono tre e una delle tre non è stata colpita da nessun aereo. Lo credo bene: in questi dieci anni questo “dettaglio” è stato oscurato da tutti i media. Chi vuole capire perchè cerchi una risposta. Qui non c’è spazio per darla. Ma lo spazio è sufficiente per far notare che Attivissimo ha tentato di ingannare il pubblico di Matrix e di calunniarmi. Lui non ha fatto nessun errore: ha truccato le carte, come fa sempre.

Giulietto Chiesa

12 maggio 2011

Un ex capo degli 007 francesi demolisce il mito del "pericolo Bin Laden"


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Ripropongo ora questo pezzo in homepage dopo oltre un anno. E' un articolo quanto mai attuale e utile per riflettere su cosa sia "al-Qa'ida" e su quanta manipolazione politica e mediatica le sia stata costruita intorno dalle grandi potenze.

«Al-Qa'ida è morta», ormai da molti anni. Lo afferma Alain Chouet, l'uomo che ha modellato l'antiterrorismo francese ai vertici dei servizi segreti d'Oltralpe proprio negli anni cruciali in cui Washington e Londra costruivano invece i miti e gli spauracchi alla base della Guerra Infinita. Il documento è davvero clamoroso, nasce da un'audizione al Senato francese, e lo trascriviamo per intero (vedi anche il VIDEO).

Nelle parole di Chouet potrete leggere – grazie al lavoro di registrazione e trascrizione del sito francese ReOpen911.info - un'analisi raffinata, ironica, acutissima, che farebbero bene a leggere anche i propagandisti della paura in servizio permanente presso i principali organi d'informazione italiani.

La relazione di Chouet si è tenuta in occasione del dibattito svoltosi a fine gennaio 2010 davanti alla Commissione Esteri. L'esperto della DGSE, con una carriera in grande misura giocata in rapporto al mondo musulmano, parla senza le rigidità della 'lingua di legno' dei diplomatici.

Mentre la grancassa dei media ribatte ancora i suoi ritmi isterici per preparare le future azioni militari (probabilmente in Iran), intanto che si nasconde il fallimento delle ultime operazioni obamiane in Afghanistan dietro incredibili bollettini trionfali, l'ascolto e la lettura di questo documento ci riporta tutti al mondo reale, dove si sbriciolano le fondamenta di tutte le narrative ufficiali sulla questione terrorismo dell'ultimo decennio.

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Trascrizione della audizione di Alain Chouet alla Commissione degli Affari Esteri del Senato, il 29 gennaio 2010

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"Queste domande non mi paiono poi così bizantine come sembrerebbe: anch'io, come un buon numero di colleghi che fanno la mia professione sparsi per il mondo, ritengo - sulla base di notizie serie e dettagliate - che sul piano operativo al-Qa'ida è morta in quelle tane per topi di Tora-Bora nel 2002.

I servizi pakistani si sono limitati poi, dal 2003 a 2008, a rifilarci qualche rimasuglio in cambio di favori o di tolleranze di varia natura.

Dei circa 400 membri attivi dell'organizzazione esistente nel 2001, meno di una cinquantina di "comparse", (eccetto Osama Ben Laden e di Ayman al-Zawahiri che non hanno avuto mai nessun ruolo sul piano operativo) sono riusciti a fuggire e nascondersi in zone remote, vivendo in condizioni di vita precarie e disponendo di mezzi di comunicazione rudimentali o incerti.

Non è con un tale dispositivo che si può attivare su scala planetaria una rete coordinata e organizzata di violenza politica. Appare del resto chiaramente che nessuno dei terroristi autori degli attentati post 11-settembre (Londra, Madrid, Charm-el-Sheikh, Bali, Casablanca, Djerba, Mumbai, eccetera) ha mai avuto contatto con l'organizzazione.

Quanto alle rivendicazioni più o meno tempistiche che sono state rilasciate di quando in quando da Bin Laden o da Zawahiri, anche supponendo di poterle realmente autentificare, esse non implicano nessun collegamento operativo, organizzativo e funzionale fra questi terroristi e le vestigia dell'organizzazione .

Tuttavia, mi vedo obbligato a constatare, anch’io come tutti gli altri, che - a forza di invocarla a ogni proposito, e spesso a sproposito, non appena viene commesso un atto di violenza da un musulmano, o non appena un musulmano si trova nel luogo sbagliato al momento sbagliato (come nella vicenda della fabbrica AZF a Tolosa) o addirittura quando non c'è neanche traccia di un musulmano (come nel caso degli attacchi all’antrace negli stati Uniti) a forza di invocarla permanentemente - un certo numero di media piuttosto approssimativi e alcuni sedicenti esperti da una parte all’altra dell'Atlantico hanno finito non tanto per risuscitarla, ma per trasformarla in una specie di “Amedeo” dell'autore Eugène Ionesco, questo morto il cui cadavere non smette di crescere e di nascondere la realtà e di cui non si sa più come sbarazzarsi. L'ostinazione incantatoria degli Occidentali nell'invocare la mitica organizzazione Al-Qa'ida, (che viene qualificata come iperterrorista non per ciò che ha fatto, ma perché ha affrontato un’iperpotenza), ha avuto rapidamente due effetti perversi:

Primo effetto: Qualsiasi contestatore violento nel mondo musulmano, tanto politico quanto di diritto comune, qualunque fossero le sue motivazioni, ha compreso rapidamente che doveva richiamarsi ad Al-Qa'ida se voleva essere preso sul serio, se voleva che la sua azione godesse di una legittimità riconosciuta dagli altri e se voleva che questa stessa azione avesse risonanza internazionale.

Parallelamente a ciò, tutti i regimi del mondo musulmano – che come ben sappiamo non sono tutti virtuosi - hanno subito ben capito che avevano tutto l’interesse a fare passare i loro oppositori ed i loro contestatori, qualunque essi fossero, per membri dell'organizzazione di Bin Laden, in modo da poterli reprimere tranquillamente e, se possibile, anche con il beneplacito degli Occidentali.

E da qui nasce una proliferazione di varie Al-Qa'ida, più o meno evocate o autoproclamate, in Afghanistan, in Iraq, in Yemen, in Somalia, in Magreb, e altrove "Al-Qa'ida nella penisola arabica”

Il principale risultato di questa dialettica imbecille è stato evidentemente quello di rafforzare il mito di una Al-Qa'ida onnipresente, rannicchiata dietro ogni musulmano, pronta a strumentalizzarlo per colpire l'Occidente in generale e gli Stati Uniti in particolare nel nome di non si sa bene quale perfidia.

Questa visione procede da moltissimi errori di valutazione e di prospettiva e soprattutto genera risposte totalmente inadatte.

Perché se Al-Qa'ida non esiste, la violenza politica islamista invece esiste, eccome. E l'Occidente non ne è che una vittima indiretta e collaterale. Gli ideologi della violenza islamica non sono degli invasati: sono persone che hanno obiettivi ben precisi. Ed il loro obiettivo non è quello di islamizzare il mondo bensì quello di prendere il potere e con esso ricchezze che gli son legate nel mondo musulmano senza che l'Occidente intervenga... Un po’ come fece all’epoca Hassan al-Tourabi in Sudan.

Così, anche se l'amor proprio degli Occidentali dovrà soffrirne, bisogna ripetere senza mai stancarsi che le principali, le più numerose e le prime vittime della violenza islamista sono i musulmani stessi.

L'epicentro di questa violenza islamista non è né in Afghanistan né in Iraq; è in Arabia Saudita. È questo paese che affrontava per primo il manifesto contro gli ebrei e i crociati che,alla fine degli anni Novanta, era il testo fondante dell'organizzazione di Bin Laden, e questo manifesto mirava alla famiglia reale saudita prima che agli ebrei e ai crociati.

Questo è anche il solo paese al mondo a portare un cognome (NdR: in riferimento ad Ibn Saud, fondatore della dinastia).

Fatte le debite proporzioni, l'Arabia Saudita si trova in una situazione paragonabile a quella del primo semestre 1989. Una famiglia ha preso il potere nel 1926 accampando la sua legittimità su una ipotetica discendenza divina e usurpando la custodia dei luoghi santi dell'Islam ai suoi titolari storici appartenenti alla famiglia degli ascemiti.

Questa famiglia, i Saud, composta oggi da circa 3mila principi, esercita senza condividerlo la totalità del potere e si accaparra la totalità di una rendita astronomica che proviene dallo sfruttamento del sottosuolo più ricco al mondo in termini di idrocarburi.

Per conservare la sua legittimità di fronte a qualsiasi tipo di contestazione, la famiglia saudita ha sbarrato la strada a ogni forma di espressione democratica o pluralistica. Adotta la pratica dell'Islam più fondamentalista possibile per mettersi al riparo da ogni forma di scavalcamento in questo campo, (un poco come l'URSS che non voleva uno "scavalcamento a sinistra”, la famiglia saudita non vuole "scavalcamenti in Islam"). Col tempo però gli effetti delle enormi rendite degli idrocarburi hanno dato origine a diverse forme di commercio e di industria alle quali i principi, come tutti i principi, non avrebbero potuto far fronte senza derogare alle misure finora adottate e hanno quindi concesso dietro pagamento la partecipazione ai benefici a imprenditori non di rango in maggior parte provenienti da paesi vicini ma stranieri, ovviamente musulmani, soprattutto yemeniti e in un larga misura ai Levantini (siriani, libanesi, palestinesi).

E mentre il futuro del petrolio è incerto, questi imprenditori fanno osservare a giusto titolo (come i cittadini del Terzo Stato nel 1789), che sono loro che "mandano avanti la baracca” e preparano il futuro del paese e che in queste condizioni non sarebbe che una questione di giustizia associarli in un modo o nell'altro o all'esercizio del potere o alla gestione di una rendita che la famiglia regnante - ve lo ricordo - ritiene di diritto di sua proprietà personale.

Problema: come far passare queste rivendicazioni in un paese dove ogni forma di espressione pluralistica è esclusa per definizione? Quale legittimità può opporsi a un potere che si vanta dell’investitura divina? Quali pressioni possono essere esercitate su un regime familiare che beneficia a titolo personale dal 1945 - a seguito del patto di Quincy concluso tra il vecchio Bin Saud ed il presidente Roosevelt - della protezione politica e militare della superpotenza americana in cambio del monopolio dello sfruttamento degli idrocarburi?

È evidente che gli oppositori di questa teocrazia hanno a disposizione solo il ricorso ad una mescolanza più o meno dosata di violenza rivoluzionaria e di rilancio fondamentalista per combattere questo potere e i suoi protettori esterni. E non è dunque un caso se si trovano tra gli attivisti islamisti più violenti un numero significativo di figli di questa borghesia che sono privi di qualsiasi diritto politico ma sicuramente non dei mezzi né delle idee; e Osama Bin Laden è nel novero di costoro: si è trovato scaraventato nel campo della violenza, dell'integralismo dai nobili sauditi che ritenevano più sbrigativo fare proteggere gli interessi esterni del regno dai figli dei loro valletti piuttosto che dai propri. E’ il classico errore dei parvenus.

Nel corso delle loro picaresche avventure, questi giovani, questi figli della borghesia, hanno fatto brutti incontri, hanno subito cattive influenze, e sono ritornati in campo per addentare la mano del loro stesso padrone.

È così che fin dalla metà degli anni Ottanta, si origina un gioco al rilancio permanente di carattere religioso volto al controllo dell'Islam mondiale tra la famiglia Saud ed i suoi rivali e oppositori sia all'interno sia all'estero, (rivalità sciite-sunnite, l'Iran-Arabia...) Questo gioco al rilancio si è tradotto essenzialmente, in mancanza di risorse umane (nei servizi segreti esteri), nel solo mezzo che invece non scarseggia in Arabia: il denaro.

I fondi spesso distribuiti in modo indiscriminato a tutto il mondo musulmano e alle comunità di immigrati sono finiti nelle tasche di coloro che potevano servirsene, vale a dire in quelle dell'unica organizzazione internazionale islamista largamente ben strutturata : l’associazione dei Fratelli Musulmani e in particolare delle sue ramificazioni più trasgressive e violente, come la Jamaa Islamyyah e altri gruppi islamisti di cui l’al-Qa'ida di Bin Laden non ne era – secondo me - che una delle sue numerose espressioni. In effetti, ovunque la violenza jihadista attecchisca (nelle zone più vulnerabili del mondo musulmano), la sua genesi risale sempre alla medesima logica ternaria.

Primo elemento: un gioco al rilancio ideologico e finanziario del regime saudita...

Secondo elemento: un forte radicamento locale dell'associazione dei Fratelli Musulmani o delle sue emanazioni... che sanno mantenersi sapientemente in equilibrio tra le contraddizioni politiche, economiche e sociali, per aizzare le masse contro le autorità locali e per scoraggiare l'Occidente dal venire in loro soccorso o dall'intervenire: per essere tranquilli a casa propria bisogna rendere il mondo musulmano astioso e detestabile.

Terzo elemento: un vero debole da parte della diplomazia e dei "servizi" occidentali, americani in testa, per il sostegno nel mondo intero, spesso anche in chiave militare, in favore dei movimenti politici e fondamentalisti più reazionari sul piano religioso, usandoli come baluardi contro l'Unione Sovietica fino agli anni Novanta e anche nella politica di contenimento dell’Iran dopo gli anni Ottanta.

Questo cocktail di tre elementi provoca per ragioni molto diverse... gli stessi effetti in Pakistan, in Afghanistan, in Iraq, in Somalia, in Yemen, in l'Indonesia, nel Maghreb, nel Sahel fino alle aree di non-diritto rappresentate dalle comunità musulmane immigrate in Occidente ...

Non entrerò nei dettagli delle diverse situazioni di violenza politica, ma è logico osservare che, se queste si sviluppano tutte seguendo quasi lo stesso percorso, sta a significare che rispecchiano problematiche locali anche totalmente diverse coinvolgendo personaggi che comunicano assai poco tra loro. Se tutti si vantano di combattere sotto la stessa bandiera mitica, è perché sanno bene che quella bandiera rappresenta un formidabile spauracchio per i paesi occidentali in generale e gli Stati Uniti in particolare, che sono sempre visti come pronti a intervenire nei paesi con regimi fortemente controversi. Poi, naturalmente, Signora Benguigua, mi si potrebbe sempre obiettare che, poiché la violenza jihadista esiste realmente e cresce dappertutto secondo gli stessi schemi, poco importa che si chiami Al-Qa'ida, che non sarebbe che il nome generico di una qualche forma di violenza fondamentalista a livello mondiale. Un discreto numero di giornalisti adesso diventati più cauti ci parlano di una "Nebulosa Al-Qa'ida": il problema è che una tale confusione semantica è la fonte di tutte le risposte sbagliate e di fatto esclude qualsiasi soluzione adatta al problema.

Esistono in effetti due modi di passare alla violenza terroristica politica.

O si costituisce un gruppo politico- militare organizzato gerarchizzato (con un leader, una missione, risorse, tattiche coordinate, un programma d'azione preciso, obiettivi definiti), il che lo inquadra come un esercito di professionisti della violenza pronto ad impegnarsi in un processo di scontro tipicamente militare. È questo il caso della maggior parte dei movimenti terroristi rivoluzionari o separatisti in Europa, in Sud America, in Medio Oriente fino alla fine del XX secolo.

Oppure si ricorre alla tecnica detta del "Lone Wolf" (il lupo solitario) che consiste nel tenere un piede nella legalità e l'altro nella trasgressione giocando ideologicamente su una popolazione impressionabile per incitare i suoi elementi più fragili, più motivati a intraprendere un'azione individuale o a piccoli gruppi, colpendo dove possono, quando possono, come possono, non importa, purché tutto ciò abbia la firma del movimento e si inserisca nella strategia generale.

Questa tattica del Lone Wolf non è nuova, è molto antica e ben nota negli Stati Uniti ed è stata teorizzata da William Pierce nei suoi “Turner Diaries”, un bestseller negli Stati Uniti per quasi tutto il decennio degli anni Novanta e che ha ispirato la maggioranza dei violenti militanti della supremazia bianca e gli ultrafondamentalisti cristiani.

Questa tecnica è stata adottata negli attentati di Atlanta, Oklahoma City e in molti altre azioni individuali in cui il numero totale delle vittime è assai vicino se non superiore a quello delle morti dell'11 settembre.

È la stessa tecnica che è stata messa in opera da alcuni gruppi del Terzo Mondo, come i Lupi grigi in Turchia o i Fratelli Musulmani nel mondo arabo e musulmano. Se alcune forme di violenza locali nel mondo arabo si rifanno al primo modello, è sicuramente seguendo il secondo modello che funziona la violenza jihadista esercitata verso l'Occidente e verso certi regimi arabi.

Tutti i servizi di sicurezza e d'intelligence sanno benissimo che non si combatte la tecnica di Lone Wolf con mezzi militari, divisioni corazzate, o una proliferazione di misure di sicurezza indifferenziate. Ci si oppone con misure di sicurezza mirate, sostenute da iniziative politiche, sociali, economiche, educative e culturali volte a prosciugare il vivaio di potenziali volontari, interrompendone i legami con i loro sponsor ideologici e finanziari.

Non solo (e qui mi riferisco a varie relazioni del Tesoro americano), nulla di serio è stato intrapreso per cercare di bloccare il substrato finanziario e tanto meno quello ideologico della violenza jihadista ma, nel designare Al-Qa'ida, come il nemico permanente contro il quale si deve condurre una crociata per vie militari e di sicurezza del tutto inadeguate alla sua reale natura, è come se avessimo usato un mitra per uccidere una zanzara!

Ovviamente abbiamo mancato la zanzara, ma i danni collaterali sono evidenti come si può constatare ogni giorno in Iraq, Afghanistan, Somalia, Yemen ...

E il primo effetto di questa crociata perduta è stato quello di alimentare il vivaio dei volontari, di legittimare questa forma di violenza, di farne il solo referente d’azione e d’affermazione possibile in un mondo musulmano il cui immaginario collettivo è adesso traumatizzato da una legge universale dei sospetti che incombe su di loro, con occupazioni e interventi massicci, interminabili e ciechi.

Da 9 anni, l'Occidente colpisce senza discernimento in Iraq, in Afghanistan, nelle zone tribali del Pakistan, in Somalia,in Palestina naturalmente, (e ci proponiamo ora di intervenire in Yemen e perché no, già che ci siamo, anche in Iran!), ma agli occhi dei musulmani, Bin Laden la fa sempre in barba al più potente esercito del mondo e il regime islamico dell'Arabia Saudita resta tuttora sotto la protezione assoluta dell'America.

In conclusione per tentare di dare il mio apporto alla questione sollevata in questa tavola rotonda "Dove si trova Al-Qa'ida?" ecco la mia risposta: Al-Qa'ida è morta tra il 2002 e il 2004. Ma prima di morire è stata “ingravidata” dagli errori strategici dell’Occidente e dai calcoli imprevidenti di un certo numero di paesi musulmani e così ha partorito i suoi piccoli figli! Il problema per noi adesso è quello di sapere se con questi sgraditi rampolli faremo gli stessi errori alimentando così un ciclo infinito di violenze o se, tanto per mantenere il riferimento a Ionesco, noi assieme ai nostri partner arabi e musulmani sapremo arrestare la proliferazione dei rinoceronti.

Grazie.

di Alain Chouet

Testo trascritto da Arno Mansouri, direttore delle Editions Demi-Lune per ReOpen911.

Traduzione per Megachip a cura di Emanuela Waldis e Pino Cabras.

Lupi e agnelli

Si dice che in Italia il Governo non ci sia e che quando finalmente si fa notare è soltanto per peggiorare le cose. In un certo senso non si può negare questa situazione che fino a qualche tempo fa era almeno attenuata da una politica estera saggia e coraggiosa, miseramente smarritasi nel deserto libico, tra le dune iraniane e nella steppa russa. Da Tripoli ci stanno cacciando a pedate francesi e inglesi, da Teheran siamo scappati alle prime minacce degli americani e con Mosca ci siamo evirati da soli dopo le giravolte sul South Stream.Ma se è vero che il Belpaese va alla deriva senza timonieri occorre ugualmente dire che l’ammutinamento dei partiti di centro-sinistra nei luoghi della dialettica democratica non facilita l’inversione della rotta. Oggi tutto è riposto nelle mani di vertici istituzionali che utilizzano impropriamente la loro carica per smentire od ostacolare qualsiasi decisione prendano il Premier ed il suo Gabinetto. Tra i rimbrotti di un Presidente della Camera bello, abbronzato e con la stessa passione obamiana per i fondali marini e le reprimende di un Presidente della Repubblica che parla un ottimo inglese e si muove con una sospetta ed umbertina regalità atlantica, si stanno esaurendo le speranze peninsulari di evitare il decisivo assalto piratesco alla sua sovranità nazionale. I due reggenti di Montecitorio e del Quirinale stanno sopperendo allo scoordinamento dell’opposizione, incapace di formare un’unica massa d’urto contro l’odiato caimano nano (tale specie esiste davvero in natura e non soltanto in politica), utilizzando le loro esclusive prerogative istituzionali come una trappola per topi adattata ai rettili. Non c’è più quella storica sinergia tra organi dello Stato, indispensabile a tenere unita la nazione in fasi storiche delicate come quella in corso, perché esso è stato svuotato della sua identità per essere riconvertito in una agenzia di disbrigo degli affari stranieri. Inoltre, tanto Fini che Napolitano devono supplire all’immobilismo e alla mancanza di idee del principale partito della coalizione, lasciato nelle mani di un dipendente della premiata tortellineria Giovanni Rana, il quale si scuoce nel brodo delle sue correnti e si fa cucinare da un ex Pm con la vocazione per le cene segrete e i minestroni giustizialisti. Bersani, nel tentativo di tenere insieme le disiecta membra dell’alleanza, sta pure snaturando le sue qualità. Messi da parte gli studi ha preso a bighellonare sui tetti e nelle piazze come un qualunque debosciato fuori corso. Il risultato è ovviamente pessimo. Egli si atteggia a manifestante esperto ma si muove meccanicamente come un grigio burocrate di partito nel bel mezzo di un rave party. Dopo un po’ il trucco si vede e così partono bordate di fischi contro il suo mascheramento posticcio. Se B. regge ancora, nonostante la tempesta che investe lui e la sua maggioranza, lo deve pertanto all’incapacità dei suoi nemici che pure con l’aiuto di ambienti internazionali e con l’appoggio di una magistratura "persecutoria" non sono in grado di speronarlo definitivamente. Nel frattempo però a finire fuori carreggiata è il Paese che sbanda sui dossi della crisi e si avvicina pericolosamente alla scarpata. Sulla via del multipolarismo ci sono tanti crocicchi e prima ancora di giungere ai bivi dell'Epoca si deve sapere almeno dove si sta andando per non ritrovarsi al punto di partenza o persino ancora più indietro rispetto allo start. Il percorso può essere modificato strada facendo ma senza dimenticare la meta finale. Veniamo dai fasti dei secoli passati e vogliamo giungere dove il futuro riserverà all’Italia il posto che le spetta. Marciamo in cattiva compagnia e con guide corrotte che ci sviano nelle selve oscure per farci sbranare dai lupi. Non possiamo pertanto assecondare chi vuol fare di noi agnellini da banchetto che finiscono immancabilmente o sacrificati o divorati. Questo nelle storielle, figurarsi nella Storia con la S maiuscola. L'Italia merita tutt'altro finale della favola.

di Gianni Petrosillo

11 maggio 2011

Ecco come si inganna

Ho detto a più riprese che sulle storie cosiddette “complottiste” sarei tornato con calma. Ma questa volta non posso dilazionare perché vi voglio dimostrare coi fatti quale sia la condotta di Paolo Attivissimo. Il detto signore ha pronunciato questa frase nella puntata di Matrix del 5 maggio 2001:

«Un dato di fatto che chiunque da casa può controllare. In realtà quello che ha detto Giulietto Chiesa sull’assenza del World Trade Center 7 dal rapporto della Commissione Ufficiale è purtroppo un errore. Non ha studiato adeguatamente, perché basta leggere il rapporto per sapere che il World Trade Center 7 è citato con il suo nome dell’epoca, il Solomon Building. Questo è quello che fa un buon ricercatore, verifica i fatti. Evidentemente Giulietto Chiesa in questo caso ha preso una cantonata».

Sottolineo alcuni punti: ha detto che “chiunque da casa può controllare”. Primo trucco: lui sa che quasi nessuno andrà a controllare. Io l’ho fatto. Chiunque, del resto, può farlo andando sul Rapporto Ufficiale della Commissione sull’11 settembre 2001. Non si troverà traccia di alcun “Solomon Building”. Chi andasse a rivedersi il filmato della trasmissione noterà il tono sussiegoso con cui Attivissimo ha fatto la sua lezione. Ex cathedra, come se lui avesse in mano la situazione e potesse dare i voti. Come un vero maestrino annuncia che io non ho “studiato adeguatamente”. Che non sono un buon ricercatore e ho “preso una cantonata”.

Poi qualcuno gli ha fatto notare la balla e lui ha dovuto ammettere, sul suo sito, che quel “Solomon Building” non c’è. Ma, per intorbidire le acque, ha aggiunto che certo che se ne parla del famoso Wtc-7, addirittura in quattro pagine distinte. Sarebbero, anzi sono, le pagine 284, 293, 302, 305. Ahimè, questo secondo, maldestro tentativo di nascondere le tracce si rivela peggiore del primo. Ma forse lui conta, di nuovo, che nessuno vada a verificare. Io sono andato di nuovo a verificare (così vi risparmio la fatica). La questione è: come se ne parla? Tutte e quattro le volte che l’edificio Wtc-7 viene nominato è in quanto sede del Quartier generale dell’Oem (Office for Emergency Management). Non vi è cenno alcuno ai danni subiti dall’edificio. Non c’è nemmeno una riga sul fatto che l’edificio è crollato circa alle 17:20 di quelllo stesso giorno!

So per esperienza che la gran parte delle persone credono di sapere che l’11 dicembre 2001 sono crollate le due torri, ma quasi nessuno sa che le torri crollate sono tre e una delle tre non è stata colpita da nessun aereo. Lo credo bene: in questi dieci anni questo “dettaglio” è stato oscurato da tutti i media. Chi vuole capire perchè cerchi una risposta. Qui non c’è spazio per darla. Ma lo spazio è sufficiente per far notare che Attivissimo ha tentato di ingannare il pubblico di Matrix e di calunniarmi. Lui non ha fatto nessun errore: ha truccato le carte, come fa sempre.

Giulietto Chiesa