29 maggio 2011

I quattro cavalieri delle banche globali








Se vuoi sapere dov'è il vero centro del potere mondiale, segui i quattrini e dove vanno a finire. Secondo la rivista Global Finance, nel 2010 le cinque più grandi banche del pianeta sono tutte nei feudi dei Rothschild, in Regno Unito e in Francia. Sono la francese BNP (3 trilioni di asset), Royal Bank of Scotland (2,7 trilioni), la britannica HSBC Holdings (2,4 trilioni), la francese Credit Agricole (2,2 trilioni) e la British Barclays (2,2 trilioni). Negli Stati Uniti l’incontro della deregolamentazione con la mania delle fusioni ha lasciato sul terreno quattro mega-banche che dettano legge su tutto. Sempre secondo il Global Finance, nel 2010 erano Bank of America (2,2 trilioni di dollari), JP Morgan Chase (2 trilioni), Citigroup (1,9 trilioni) e Wells Fargo (1,25 trilioni). Le ho nominate i Quattro Cavalieri del Sistema Bancario degli Stati Uniti.

Il consolidamento del potere monetario degli Stati Uniti

Il matrimonio del settembre del 2000 che ha portato alla creazione di JP Morgan Chase è stato la più grande fusione nella pletora di consolidamenti bancari che ha avuto luogo negli anni ’90. La mania delle fusioni è stata stimolata da una massiccia deregolamentazione dell’industria bancaria, che ha visto la revoca del Glass Steagal Act del 1933, indetto durante la Grande Depressione per mettere il freno ai monopoli bancari che causarono lo shock del ’29, che provocarono quella crisi.

Nel luglio del 1929 Goldman Sachs lanciò due fondi d’investimento chiamati Shenandoah e Blue Ridge. Tra l’agosto e settembre, da grandi imbonitori, riuscendo a vendere azioni del valore di centinaia di milioni di dollari con la Goldman Sachs Trading Corporation a 104 dollari per azione. Gli insider di Goldman Sachs, nel frattempo, stavano abbandonando il mercato azionario. Nell’inverno del 1934 le azioni valevano 1 dollaro e 75. Il direttore sia di Shenandoah che di Blue Ridge era l’avvocato di Sullivan & Cromwell, John Foster Dulles [1].

John Merrill, fondatore of Merrill Lynch, uscì dal mercato azionario nel 1928, così come gli insider di Lehman Brothers. Il direttore di Chase Manhattan, Alfred Wiggin, dette ancora ascolto al suo “intuito” formando la Shermar Corporation nel 1929 per cedere le azioni della propria compagnia. Dopo la crisi del ’29, il presidente di Citibank, Charles Mitchell, fu imprigionato per evasione fiscale [2].

Nel febbraio del 1995 il presidente Bill Clinton annunciò un piano per smantellare sia il Glass Steagal Act che il Bank Holding Company Act del 1956, che vietavano alle banche di possedere compagnie di assicurazione e altre istituzioni finanziarie. Quel giorno Barings, un vecchio mercante di oppio e di schiavi, andò in rovina quando uno dei suoi trader di Singapore, Nicholas Gleason, si trovò dalla parte sbagliata del commercio dei milioni di dollari in derivative currency [3].

L’avvertimento rimase inascoltato. Nel 1991 i contribuenti statunitensi, già depredati di più di 500 miliardi di dollari per il saccheggio realizzato da S&L, furono vessati da altri 70 miliardi di dollari per il bailout del FDIC, gli fu poi presentato il conto per il salvataggio segreto - che già durava da due anni e mezzo - di Citibank, vicina al collasso dopo l’ondata degli effetti dovuti alla contrazione del debito dell’America Latina. Con il conto già pagato dai contribuenti degli Stati Uniti e la deregulation portata a compimento, il passo successivo fu un turbinio di fusioni bancarie come non se ne erano mai viste prima.

Il Sottosegretario al Tesoro sotto la presidenza Reagan, George Gould, affermò che la concentrazione delle banche in cinque/dieci giganti era quello di cui l’economia degli Stati Uniti aveva bisogno. La previsione da incubo di Gould stava per avverarsi.

Nel 1992 Bank of America rilevò il suo più forte rivale nella West Coast, la Security Pacific, poi fagocitò la depredata Continental Bank of Illinois per pochi soldi. Bank of America acquisì il 34% di Black Rock (Barclays ne possedeva il 20 per cento) e l’11 per cento della China Construction Bank, diventando la seconda banca con asset pari a 214 miliardi di dollari. Citibank aveva il controllo di 249 miliardi di dollari [4].

A quel punto le due banche avevano incrementato i loro asset fino al valore di 2 milioni di dollari a testa.

Nel 1993 Chemical Bank ha inghiottito Texas Commerce per diventare la terza istituzione bancaria con 170 miliardi di asset. Chemical Bank si era già fusa con Manufacturers Hanover Trust nel 1990.

North Carolina National Bank e C&S Sovran si erano consolidate nella Nation’s Bank, la quarta istituzione bancaria degli Stati Uniti, con 169 miliardi di dollari di dote. Fleet Norstar rilevò Bank of New England, mentre Norwest acquistò le quote di United Banks of Colorado.

In tutto questo periodo i profitti bancari negli Stati Uniti erano in forte incremento, sempre più alti ogni quadrimestre. Il 1995 ha battuto tutti i record di concentrazione bancaria. Quell’anno si sono realizzate trattative per un totale di 389 miliardi di dollari [5].

Le cinque grandi banche d’investimento, che avevano già fatto carrettate di soldi pilotando le negoziazioni sul debito dell'America Latina, ora potevano sbancare il lotto con la mania delle fusioni industriali e bancarie degli anni '80 e '90.

Secondo Standard & Poors le prime cinque banche d’investimento erano Merrill Lynch, Goldman Sachs, Morgan Stanley Dean Witter, Salomon Smith Barney e Lehman Brothers. Una trattativa realizzata nel 1995 fu la proposta di fusione tra la più grande banca d'investimento londinese, S. G. Warburg, e Morgan Stanley Dean Witter. Warburg scelse invece come partner Union Bank of Switzerland, creando la sesta forza nel settore delle banche d'investimento, UBS Warburg.

Dopo il parossismo del 1995, le banche più importanti si sono mosse in modo aggressivo verso il Medio Oriente, fissando il centro delle operazioni a Tel Aviv, a Beirut e in Bahrein, dove si era insediata la Quinta Flotta degli Stati Uniti. Le privatizzazioni bancarie in Egitto, Marocco, Tunisia e in Israele hanno aperto la porta alle mega-banche. Chase e Citibank prestarono denaro a Royal Dutch/Shell e alla saudita Petrochemical, mentre JP Morgan faceva le consulenze al consorzio Qatargas guidato da Exxon Mobil [6].

L’industria globale delle assicurazioni ha dovuto anche lei affrontare la mania delle fusioni. Nel 1995 Traveler’s Group ha acquisito Aetna, Warren Buffet’s Berkshire Hathaway si è mangiata Geico, Zurich Insurance si è ringalluzzita con Kemper Corporation, CNA Financial ha acquistato Continental Companies e General RE Corporation ha affondato i suoi molari su Colonia Konzern AG.

Alla fine del 1998 il colosso Citibank si fuse con Travelers Group per diventare Citigroup, creando un gigante del valore di 700 miliardi di dollari con 163.000 impiegati in oltre 100 paesi che aveva al suo interno Salomon Smith Barney una joint venture con Morgan Stanley), Commercial Credit, Primerica Financial Services, Shearson Lehman, Barclays America, Aetna e Security Pacific Financial [7].

Lo stesso anno Bankers Trust e la banca d'investimento statunitense Alex Brown furono arraffate da Deutsche Bank, che aveva già rilevato la londinese Morgan Grenfell & Co. Nel 1989 Deutsche Bank era diventata la banca più grande al mondo con asset del valore di 882 miliardi di dollari. Nel gennaio del 2002 i titani giapponesi Mitsubishi e Sumitomo si sono accordati per formare Mitsubishi Sumitomo Bank, che sopravanzò Deutsche Bank con un asset di 905 miliardi di dollari [8].

Nel 2004 HSBC era diventata la seconda banca più grande al mondo. Sei anni più tardi i tre giganti furono eclissati sia da BNP che da Royal Bank of Scotland.

Negli Stati Uniti l’incubo di George Gould ha raggiunto il suo apice proprio in tempo per l’inizio del millennio quando Chase Manhattan ha fagocitato Chemical Bank. I Bechtel di Wells Fargo acquisirono Norwest Bank, mentre Bank of America assorbì Nations Bank. Il colpo di grazia fu dato quando la riunificata House of Morgan annunciò che si sarebbe fusa con l’apparato dei Rockefeller Chase Manhattan/Chemical Bank/ Manufacturers Hanover.

Quattro giganti bancari sono riusciti a dettare legge nella finanza degli Stati Uniti. JP Morgan Chase e Citigroup erano i sovrani del capitale della East Coast. Insieme avevano il controllo del 52,86% della Federal Reserve Bank di New York [9]. Bank of America e Wells Fargo erano i sovrani della West Coast.

Nel corso della crisi bancaria del 2008 queste compagnie si sono sempre più ingrandite, riuscendo a ottenere circa un trilione di aiuti governativi dal Segretario del Tesoro e allievo di Goldman Sachs, Henry Paulsen, mentre, nel frattempo, si impadronivano di patrimoni in sofferenza in cambio di spiccioli.

Barclays rilevò Lehman Brothers. JP Morgan Chase si prese Washington Mutual e Bear Stearns. Bank of America ha rilevato Merrill Lynch e Countrywide. Wells Fargo si è ingoiata la quinta banca del paese, Wachovia.

Le stesse banche controllate dalle Otto Famiglie che per decenni hanno portato al galoppo i Quattro Cavalieri a pesticciare il petrolio nei giacimenti del Golfo Persico sono ora più potenti che mai. Sono i Quattro Cavalieri del Sistema Bancario degli Stati Uniti.
di Dean Henderson

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[1] The Great Crash of 1929. John Kenneth Galbraith. Houghton, Mifflin Company. Boston. 1979. p.148

[2] Ibid

[3] Evening Edition. National Public Radio. 2-27-95

[4] “Bank of America will Purchase Chicago Bank”. The Register-Guard. Eugene, OR. 1-29-94

[5] “Big-time Bankers Profit from M&A Fever”. Knight-Ridder News Service. 12-30-95

[6] “US Banks find New Opportunities in the Middle East”. Amy Dockser Marcus. Wall Street Journal. 10-12-95

[7] “Making a Money Machine”. Daniel Kadlec. Time. 4-20-98. p.44

[8] BBC World News. 1-20-02

[9] Rule by Secrecy: The Hidden History that Connects the Trilateral Commission, the Freemasons and the Great Pyramids”. Jim Marrs. HarperCollins Publishers. New York. 2000. p.74
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Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=24967

28 maggio 2011

Chiudere la "bad bank" dell'UE

I popoli di Grecia, Irlanda e Portogallo non saranno stati colti di sorpresa dal fatto che qualcuno che aveva mostrato la propria bancarotta morale ordinando lo stupro di intere nazioni sia stato arrestato per tentata violenza carnale su una cameriera in una suite d'hotel a 3.000 dollari a notte. I leaders dell'Unione Europea, sedendosi al tavolo della conferenza di Bruxelles questa settimana, hanno sicuramente contemplato la "sedia vuota" del direttore del FMI Dominique Strauss-Kahn, deliberando in segreto sul cupo futuro dell'Eurozona.

Resta da vedere se l'imbarazzante vicenda di Strauss-Kahn ritarderà o bloccherà il crimine perpetrato dalla Giunta composta dalla Commissione Europea, dalla BCE e dal FMI. In un gesto di sacrificio inutile, Atene ha accettato di mettere all'asta i gioielli della corona, e cioè le telecomunicazioni e gli acquedotti, per poter ottenere un prestito aggiuntivo di 30 miliardi. Il fatto è che questi soldi potrebbero rimandare, ma non evitare l'insolvenza. La questione non è nemmeno quando ci sarà l'insolvenza greca, ma quando crollerà l'intero edificio della "bad bank" europea, la BCE.

La definizione di Wikipedia per Bad Bank è "un istituto finanziario creato per rilevare attivi non esigibili in mano a una banca garantita dallo stato". Questa definizione si applica perfettamente all'Eurozona. Alla fine dello scorso anno, la BCE aveva accettato 2010 miliardi di euro di collaterale dalle banche; di questo, il 25% (500 miliardi) sono cartolarizzazioni ABS, invendibili. Un altro 21% è costituito da obbligazioni bancarie non garantite, mentre il 18% sono attivi non negoziabili, e cioè sofferenze bancarie. Last but not least, i titoli di stato rappresentano il 13%.

Complessivamente, la BCE detiene 66 miliardi di debito greco. Il FMI e altri governi europei ne detengono 36 miliardi, mentre le stesse banche greche detengono 91 miliardi. Esse li hanno usato come collaterale per ottenere liquidità dalla BCE, tanto che la BCE è esposta per un valore nozionale di 200 miliardi di euro in crediti verso le banche di Atene.

Nel caso di una ristrutturazione del debito con "sfumatura", i perdenti non sono solo le banche creditrici francesi, inglesi e tedesche, ma la stessa BCE.

La BCE non ha ascritto questo debito in bilancio, altrimenti avrebbe dovuto già dichiarare insolvenza, dato che il capitale è solo di 5 miliardi (solo all'inizio dell'anno raddoppiato). Invece, ha spalmato il rischio sui bilanci di tutte le banche centrali dell'Eurosistema. Così, TUTTI i paesi membri della BCE sono esposti, attraverso le banche centrali, al debito-spazzatura della Grecia e altri simili. L'intera UE è diventata una bad bank.

by Movisol

26 maggio 2011

La bomba dei derivati può ancora esplodere

Le grandi lobby bancarie internazionali sono tornate alla carica per far sbloccare i derivati finanziari degli enti locali.
Dopo che gli swap e gli altri contratti derivati avevano sconvolto i bilanci di molti comuni e regioni italiani con perdite disastrose, nel 2008 l'allora governo ne impose il blocco. Senza autorizzazione governativa nessun ente locale era autorizzato a sottoscrivere tali contratti.
Erano intervenuti anche la Corte dei Conti, la Consob, la Banca d'Italia. Al Senato vi fu un ampio dibattito e furono evidenziati i rischi ma anche le pesanti situazioni determinatesi nei conti di diverse piccole e medie imprese oltre che degli enti locali.
A fine 2010 i debiti totali degli enti locali ammontavano a 111 miliardi di euro di cui 35 miliardi in derivati. Alcuni di questi contratti si trascineranno fino al 2050 con costi ingenti e crescenti per tante generazioni di cittadini.
Secondo i bollettini della Banca d'Italia, a fine giugno 2010 i derivati degli enti locali avevano un mark to market negativo, significando che nell'ipotesi di chiusura di tutti i contratti alla data di rilevazione esso sarebbe un costo aggiuntivo di oltre 1 miliardo di euro.
Da recenti elaborazioni fatte sui dati forniti da Eurostat, nel periodo 2007-10 le amministrazioni pubbliche italiane hanno dovuto sostenere oltre 4 miliardi di euro di maggiori interessi sul debito a seguito degli andamenti dei loro contratti derivati in essere. Essi sono soprattutto operazioni miranti ad allungare la durata del debito sovrano e alla «protezione» dalle eventuali improvvise oscillazioni sui tassi di interesse. La citata spesa addizionale in parte è dovuta proprio alla performance dei derivati degli enti locali.
Al Ministero dell'economia da un po' di tempo circolano le bozze di un nuovo regolamento in materia di derivati che, oltre alle ovvie esigenze di trasparenza e di chiarezza nelle informazioni contenute nei contratti, dovrebbe ridurre il rischio per gli enti locali.
Finora l'approccio chiamato «risk-based» suggerito dalla Consob terrebbe conto degli scenari di rendimento, del grado di rischio e dell'orizzonte temporale. Si tratta di simulazioni di calcolo probabilistico dei rendimenti di un prodotto finanziario. Ciò dovrebbe consentire di verificare i reali costi del derivato rispetto a quelli di un'ordinaria operazione finanziaria. Per vedere se la posizione finale dell'ente locale sarebbe migliore con o senza il derivato. Ciò renderebbe forse più difficile almeno l'introduzione di costi occulti.
Purtroppo c'è anche una proposta dell'Abi che, anche sotto la spinta dei grandi gestori internazionali dei mercati dei derivati, vorrebbe introdurre l'approccio del «what-if» basato su un modello matematico costruito su una serie di innumerevoli equazioni e di variabili per studiarne gli effetti. È un approccio che aumenta l'incomprensibilità dell'operazione che porterebbe comunque alla sottoscrizione del derivato.
Trattasi di metodi matematici che non prendono in considerazione possibili rischi sistemici, ma semplicemente delle variabili considerate.
Noi riteniamo che si dovrebbe invece privilegiare i principi consolidati della buona amministrazione della cosa pubblica. Gli approcci sopramenzionati, anche se apparentemente meno opachi del passato, si basano comunque su delle aspettative probabilistiche di «giochi» e comportamenti della finanza.
È grave inoltre che si ignori del tutto la richiesta dell'Anci di individuare un giusto percorso per estinguere i vecchi derivati oggetto di molti contenziosi. In alcuni casi, a seguito di denunce per frode presentate in tribunale da alcuni comuni, si è arrivati anche al sequestro preventivo di beni per centinaia di milioni di euro nei confronti delle grandi banche coinvolte.
Ovviamente la controffensiva legale del sistema bancario a livello internazionale, con effetti anche in Italia, non si è fatta attendere. La JP Morgan, la Bank of America e altre banche hanno denunciato presso l'Alta Corte di Londra per inadempienza del contratto derivato alcune controparti quali le regioni del Lazio, della Toscana, del Piemonte.
Si sottolinea che quasi sempre il tribunale di competenza era ed è fuori dai nostri confini. È evidente il ritorno di fiamma della grande speculazione e dei derivati finanziari. Sarebbe da irresponsabili riportare gli enti locali ai tavoli verdi del gioco d'azzardo. Perciò il regolamento in elaborazione non può assecondare i desiderata delle grandi banche ma i bisogni di stabilità e di servizi publici della collettività.
di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

29 maggio 2011

I quattro cavalieri delle banche globali








Se vuoi sapere dov'è il vero centro del potere mondiale, segui i quattrini e dove vanno a finire. Secondo la rivista Global Finance, nel 2010 le cinque più grandi banche del pianeta sono tutte nei feudi dei Rothschild, in Regno Unito e in Francia. Sono la francese BNP (3 trilioni di asset), Royal Bank of Scotland (2,7 trilioni), la britannica HSBC Holdings (2,4 trilioni), la francese Credit Agricole (2,2 trilioni) e la British Barclays (2,2 trilioni). Negli Stati Uniti l’incontro della deregolamentazione con la mania delle fusioni ha lasciato sul terreno quattro mega-banche che dettano legge su tutto. Sempre secondo il Global Finance, nel 2010 erano Bank of America (2,2 trilioni di dollari), JP Morgan Chase (2 trilioni), Citigroup (1,9 trilioni) e Wells Fargo (1,25 trilioni). Le ho nominate i Quattro Cavalieri del Sistema Bancario degli Stati Uniti.

Il consolidamento del potere monetario degli Stati Uniti

Il matrimonio del settembre del 2000 che ha portato alla creazione di JP Morgan Chase è stato la più grande fusione nella pletora di consolidamenti bancari che ha avuto luogo negli anni ’90. La mania delle fusioni è stata stimolata da una massiccia deregolamentazione dell’industria bancaria, che ha visto la revoca del Glass Steagal Act del 1933, indetto durante la Grande Depressione per mettere il freno ai monopoli bancari che causarono lo shock del ’29, che provocarono quella crisi.

Nel luglio del 1929 Goldman Sachs lanciò due fondi d’investimento chiamati Shenandoah e Blue Ridge. Tra l’agosto e settembre, da grandi imbonitori, riuscendo a vendere azioni del valore di centinaia di milioni di dollari con la Goldman Sachs Trading Corporation a 104 dollari per azione. Gli insider di Goldman Sachs, nel frattempo, stavano abbandonando il mercato azionario. Nell’inverno del 1934 le azioni valevano 1 dollaro e 75. Il direttore sia di Shenandoah che di Blue Ridge era l’avvocato di Sullivan & Cromwell, John Foster Dulles [1].

John Merrill, fondatore of Merrill Lynch, uscì dal mercato azionario nel 1928, così come gli insider di Lehman Brothers. Il direttore di Chase Manhattan, Alfred Wiggin, dette ancora ascolto al suo “intuito” formando la Shermar Corporation nel 1929 per cedere le azioni della propria compagnia. Dopo la crisi del ’29, il presidente di Citibank, Charles Mitchell, fu imprigionato per evasione fiscale [2].

Nel febbraio del 1995 il presidente Bill Clinton annunciò un piano per smantellare sia il Glass Steagal Act che il Bank Holding Company Act del 1956, che vietavano alle banche di possedere compagnie di assicurazione e altre istituzioni finanziarie. Quel giorno Barings, un vecchio mercante di oppio e di schiavi, andò in rovina quando uno dei suoi trader di Singapore, Nicholas Gleason, si trovò dalla parte sbagliata del commercio dei milioni di dollari in derivative currency [3].

L’avvertimento rimase inascoltato. Nel 1991 i contribuenti statunitensi, già depredati di più di 500 miliardi di dollari per il saccheggio realizzato da S&L, furono vessati da altri 70 miliardi di dollari per il bailout del FDIC, gli fu poi presentato il conto per il salvataggio segreto - che già durava da due anni e mezzo - di Citibank, vicina al collasso dopo l’ondata degli effetti dovuti alla contrazione del debito dell’America Latina. Con il conto già pagato dai contribuenti degli Stati Uniti e la deregulation portata a compimento, il passo successivo fu un turbinio di fusioni bancarie come non se ne erano mai viste prima.

Il Sottosegretario al Tesoro sotto la presidenza Reagan, George Gould, affermò che la concentrazione delle banche in cinque/dieci giganti era quello di cui l’economia degli Stati Uniti aveva bisogno. La previsione da incubo di Gould stava per avverarsi.

Nel 1992 Bank of America rilevò il suo più forte rivale nella West Coast, la Security Pacific, poi fagocitò la depredata Continental Bank of Illinois per pochi soldi. Bank of America acquisì il 34% di Black Rock (Barclays ne possedeva il 20 per cento) e l’11 per cento della China Construction Bank, diventando la seconda banca con asset pari a 214 miliardi di dollari. Citibank aveva il controllo di 249 miliardi di dollari [4].

A quel punto le due banche avevano incrementato i loro asset fino al valore di 2 milioni di dollari a testa.

Nel 1993 Chemical Bank ha inghiottito Texas Commerce per diventare la terza istituzione bancaria con 170 miliardi di asset. Chemical Bank si era già fusa con Manufacturers Hanover Trust nel 1990.

North Carolina National Bank e C&S Sovran si erano consolidate nella Nation’s Bank, la quarta istituzione bancaria degli Stati Uniti, con 169 miliardi di dollari di dote. Fleet Norstar rilevò Bank of New England, mentre Norwest acquistò le quote di United Banks of Colorado.

In tutto questo periodo i profitti bancari negli Stati Uniti erano in forte incremento, sempre più alti ogni quadrimestre. Il 1995 ha battuto tutti i record di concentrazione bancaria. Quell’anno si sono realizzate trattative per un totale di 389 miliardi di dollari [5].

Le cinque grandi banche d’investimento, che avevano già fatto carrettate di soldi pilotando le negoziazioni sul debito dell'America Latina, ora potevano sbancare il lotto con la mania delle fusioni industriali e bancarie degli anni '80 e '90.

Secondo Standard & Poors le prime cinque banche d’investimento erano Merrill Lynch, Goldman Sachs, Morgan Stanley Dean Witter, Salomon Smith Barney e Lehman Brothers. Una trattativa realizzata nel 1995 fu la proposta di fusione tra la più grande banca d'investimento londinese, S. G. Warburg, e Morgan Stanley Dean Witter. Warburg scelse invece come partner Union Bank of Switzerland, creando la sesta forza nel settore delle banche d'investimento, UBS Warburg.

Dopo il parossismo del 1995, le banche più importanti si sono mosse in modo aggressivo verso il Medio Oriente, fissando il centro delle operazioni a Tel Aviv, a Beirut e in Bahrein, dove si era insediata la Quinta Flotta degli Stati Uniti. Le privatizzazioni bancarie in Egitto, Marocco, Tunisia e in Israele hanno aperto la porta alle mega-banche. Chase e Citibank prestarono denaro a Royal Dutch/Shell e alla saudita Petrochemical, mentre JP Morgan faceva le consulenze al consorzio Qatargas guidato da Exxon Mobil [6].

L’industria globale delle assicurazioni ha dovuto anche lei affrontare la mania delle fusioni. Nel 1995 Traveler’s Group ha acquisito Aetna, Warren Buffet’s Berkshire Hathaway si è mangiata Geico, Zurich Insurance si è ringalluzzita con Kemper Corporation, CNA Financial ha acquistato Continental Companies e General RE Corporation ha affondato i suoi molari su Colonia Konzern AG.

Alla fine del 1998 il colosso Citibank si fuse con Travelers Group per diventare Citigroup, creando un gigante del valore di 700 miliardi di dollari con 163.000 impiegati in oltre 100 paesi che aveva al suo interno Salomon Smith Barney una joint venture con Morgan Stanley), Commercial Credit, Primerica Financial Services, Shearson Lehman, Barclays America, Aetna e Security Pacific Financial [7].

Lo stesso anno Bankers Trust e la banca d'investimento statunitense Alex Brown furono arraffate da Deutsche Bank, che aveva già rilevato la londinese Morgan Grenfell & Co. Nel 1989 Deutsche Bank era diventata la banca più grande al mondo con asset del valore di 882 miliardi di dollari. Nel gennaio del 2002 i titani giapponesi Mitsubishi e Sumitomo si sono accordati per formare Mitsubishi Sumitomo Bank, che sopravanzò Deutsche Bank con un asset di 905 miliardi di dollari [8].

Nel 2004 HSBC era diventata la seconda banca più grande al mondo. Sei anni più tardi i tre giganti furono eclissati sia da BNP che da Royal Bank of Scotland.

Negli Stati Uniti l’incubo di George Gould ha raggiunto il suo apice proprio in tempo per l’inizio del millennio quando Chase Manhattan ha fagocitato Chemical Bank. I Bechtel di Wells Fargo acquisirono Norwest Bank, mentre Bank of America assorbì Nations Bank. Il colpo di grazia fu dato quando la riunificata House of Morgan annunciò che si sarebbe fusa con l’apparato dei Rockefeller Chase Manhattan/Chemical Bank/ Manufacturers Hanover.

Quattro giganti bancari sono riusciti a dettare legge nella finanza degli Stati Uniti. JP Morgan Chase e Citigroup erano i sovrani del capitale della East Coast. Insieme avevano il controllo del 52,86% della Federal Reserve Bank di New York [9]. Bank of America e Wells Fargo erano i sovrani della West Coast.

Nel corso della crisi bancaria del 2008 queste compagnie si sono sempre più ingrandite, riuscendo a ottenere circa un trilione di aiuti governativi dal Segretario del Tesoro e allievo di Goldman Sachs, Henry Paulsen, mentre, nel frattempo, si impadronivano di patrimoni in sofferenza in cambio di spiccioli.

Barclays rilevò Lehman Brothers. JP Morgan Chase si prese Washington Mutual e Bear Stearns. Bank of America ha rilevato Merrill Lynch e Countrywide. Wells Fargo si è ingoiata la quinta banca del paese, Wachovia.

Le stesse banche controllate dalle Otto Famiglie che per decenni hanno portato al galoppo i Quattro Cavalieri a pesticciare il petrolio nei giacimenti del Golfo Persico sono ora più potenti che mai. Sono i Quattro Cavalieri del Sistema Bancario degli Stati Uniti.
di Dean Henderson

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[1] The Great Crash of 1929. John Kenneth Galbraith. Houghton, Mifflin Company. Boston. 1979. p.148

[2] Ibid

[3] Evening Edition. National Public Radio. 2-27-95

[4] “Bank of America will Purchase Chicago Bank”. The Register-Guard. Eugene, OR. 1-29-94

[5] “Big-time Bankers Profit from M&A Fever”. Knight-Ridder News Service. 12-30-95

[6] “US Banks find New Opportunities in the Middle East”. Amy Dockser Marcus. Wall Street Journal. 10-12-95

[7] “Making a Money Machine”. Daniel Kadlec. Time. 4-20-98. p.44

[8] BBC World News. 1-20-02

[9] Rule by Secrecy: The Hidden History that Connects the Trilateral Commission, the Freemasons and the Great Pyramids”. Jim Marrs. HarperCollins Publishers. New York. 2000. p.74
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Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=24967

28 maggio 2011

Chiudere la "bad bank" dell'UE

I popoli di Grecia, Irlanda e Portogallo non saranno stati colti di sorpresa dal fatto che qualcuno che aveva mostrato la propria bancarotta morale ordinando lo stupro di intere nazioni sia stato arrestato per tentata violenza carnale su una cameriera in una suite d'hotel a 3.000 dollari a notte. I leaders dell'Unione Europea, sedendosi al tavolo della conferenza di Bruxelles questa settimana, hanno sicuramente contemplato la "sedia vuota" del direttore del FMI Dominique Strauss-Kahn, deliberando in segreto sul cupo futuro dell'Eurozona.

Resta da vedere se l'imbarazzante vicenda di Strauss-Kahn ritarderà o bloccherà il crimine perpetrato dalla Giunta composta dalla Commissione Europea, dalla BCE e dal FMI. In un gesto di sacrificio inutile, Atene ha accettato di mettere all'asta i gioielli della corona, e cioè le telecomunicazioni e gli acquedotti, per poter ottenere un prestito aggiuntivo di 30 miliardi. Il fatto è che questi soldi potrebbero rimandare, ma non evitare l'insolvenza. La questione non è nemmeno quando ci sarà l'insolvenza greca, ma quando crollerà l'intero edificio della "bad bank" europea, la BCE.

La definizione di Wikipedia per Bad Bank è "un istituto finanziario creato per rilevare attivi non esigibili in mano a una banca garantita dallo stato". Questa definizione si applica perfettamente all'Eurozona. Alla fine dello scorso anno, la BCE aveva accettato 2010 miliardi di euro di collaterale dalle banche; di questo, il 25% (500 miliardi) sono cartolarizzazioni ABS, invendibili. Un altro 21% è costituito da obbligazioni bancarie non garantite, mentre il 18% sono attivi non negoziabili, e cioè sofferenze bancarie. Last but not least, i titoli di stato rappresentano il 13%.

Complessivamente, la BCE detiene 66 miliardi di debito greco. Il FMI e altri governi europei ne detengono 36 miliardi, mentre le stesse banche greche detengono 91 miliardi. Esse li hanno usato come collaterale per ottenere liquidità dalla BCE, tanto che la BCE è esposta per un valore nozionale di 200 miliardi di euro in crediti verso le banche di Atene.

Nel caso di una ristrutturazione del debito con "sfumatura", i perdenti non sono solo le banche creditrici francesi, inglesi e tedesche, ma la stessa BCE.

La BCE non ha ascritto questo debito in bilancio, altrimenti avrebbe dovuto già dichiarare insolvenza, dato che il capitale è solo di 5 miliardi (solo all'inizio dell'anno raddoppiato). Invece, ha spalmato il rischio sui bilanci di tutte le banche centrali dell'Eurosistema. Così, TUTTI i paesi membri della BCE sono esposti, attraverso le banche centrali, al debito-spazzatura della Grecia e altri simili. L'intera UE è diventata una bad bank.

by Movisol

26 maggio 2011

La bomba dei derivati può ancora esplodere

Le grandi lobby bancarie internazionali sono tornate alla carica per far sbloccare i derivati finanziari degli enti locali.
Dopo che gli swap e gli altri contratti derivati avevano sconvolto i bilanci di molti comuni e regioni italiani con perdite disastrose, nel 2008 l'allora governo ne impose il blocco. Senza autorizzazione governativa nessun ente locale era autorizzato a sottoscrivere tali contratti.
Erano intervenuti anche la Corte dei Conti, la Consob, la Banca d'Italia. Al Senato vi fu un ampio dibattito e furono evidenziati i rischi ma anche le pesanti situazioni determinatesi nei conti di diverse piccole e medie imprese oltre che degli enti locali.
A fine 2010 i debiti totali degli enti locali ammontavano a 111 miliardi di euro di cui 35 miliardi in derivati. Alcuni di questi contratti si trascineranno fino al 2050 con costi ingenti e crescenti per tante generazioni di cittadini.
Secondo i bollettini della Banca d'Italia, a fine giugno 2010 i derivati degli enti locali avevano un mark to market negativo, significando che nell'ipotesi di chiusura di tutti i contratti alla data di rilevazione esso sarebbe un costo aggiuntivo di oltre 1 miliardo di euro.
Da recenti elaborazioni fatte sui dati forniti da Eurostat, nel periodo 2007-10 le amministrazioni pubbliche italiane hanno dovuto sostenere oltre 4 miliardi di euro di maggiori interessi sul debito a seguito degli andamenti dei loro contratti derivati in essere. Essi sono soprattutto operazioni miranti ad allungare la durata del debito sovrano e alla «protezione» dalle eventuali improvvise oscillazioni sui tassi di interesse. La citata spesa addizionale in parte è dovuta proprio alla performance dei derivati degli enti locali.
Al Ministero dell'economia da un po' di tempo circolano le bozze di un nuovo regolamento in materia di derivati che, oltre alle ovvie esigenze di trasparenza e di chiarezza nelle informazioni contenute nei contratti, dovrebbe ridurre il rischio per gli enti locali.
Finora l'approccio chiamato «risk-based» suggerito dalla Consob terrebbe conto degli scenari di rendimento, del grado di rischio e dell'orizzonte temporale. Si tratta di simulazioni di calcolo probabilistico dei rendimenti di un prodotto finanziario. Ciò dovrebbe consentire di verificare i reali costi del derivato rispetto a quelli di un'ordinaria operazione finanziaria. Per vedere se la posizione finale dell'ente locale sarebbe migliore con o senza il derivato. Ciò renderebbe forse più difficile almeno l'introduzione di costi occulti.
Purtroppo c'è anche una proposta dell'Abi che, anche sotto la spinta dei grandi gestori internazionali dei mercati dei derivati, vorrebbe introdurre l'approccio del «what-if» basato su un modello matematico costruito su una serie di innumerevoli equazioni e di variabili per studiarne gli effetti. È un approccio che aumenta l'incomprensibilità dell'operazione che porterebbe comunque alla sottoscrizione del derivato.
Trattasi di metodi matematici che non prendono in considerazione possibili rischi sistemici, ma semplicemente delle variabili considerate.
Noi riteniamo che si dovrebbe invece privilegiare i principi consolidati della buona amministrazione della cosa pubblica. Gli approcci sopramenzionati, anche se apparentemente meno opachi del passato, si basano comunque su delle aspettative probabilistiche di «giochi» e comportamenti della finanza.
È grave inoltre che si ignori del tutto la richiesta dell'Anci di individuare un giusto percorso per estinguere i vecchi derivati oggetto di molti contenziosi. In alcuni casi, a seguito di denunce per frode presentate in tribunale da alcuni comuni, si è arrivati anche al sequestro preventivo di beni per centinaia di milioni di euro nei confronti delle grandi banche coinvolte.
Ovviamente la controffensiva legale del sistema bancario a livello internazionale, con effetti anche in Italia, non si è fatta attendere. La JP Morgan, la Bank of America e altre banche hanno denunciato presso l'Alta Corte di Londra per inadempienza del contratto derivato alcune controparti quali le regioni del Lazio, della Toscana, del Piemonte.
Si sottolinea che quasi sempre il tribunale di competenza era ed è fuori dai nostri confini. È evidente il ritorno di fiamma della grande speculazione e dei derivati finanziari. Sarebbe da irresponsabili riportare gli enti locali ai tavoli verdi del gioco d'azzardo. Perciò il regolamento in elaborazione non può assecondare i desiderata delle grandi banche ma i bisogni di stabilità e di servizi publici della collettività.
di Mario Lettieri e Paolo Raimondi