09 luglio 2011

Le province degli ipocriti




Sibari, che chiede di diventare capoluogo vantandosi di produrre «l' agrume migliore del mondo, le clementine», può tornare a sperare. E così Breno, 5.014 abitanti, capitale dei Camuni e della Valcamonica. E con loro Cassino e Guidonia, Busto Arsizio e Nola, Pinerolo e Melfi e tutte le altre aspiranti metropoli che sognano di avere finalmente lo status: cos' hanno meno di Tortolì e Lanusei, che capoluoghi già sono? La bocciatura alla Camera della proposta di legge costituzionale per sopprimere le Province è il via libera ai cattivi pensieri e alle piccole megalomanie coltivate dai notabili locali. E a un nuovo incremento di quegli enti che già un secolo fa l' allora sindaco di Milano Emilio Caldara bollava come «buoni solo per i manicomi e per le strade», ma che da 59 che erano nel 1861 (il criterio era semplice: ciascuna doveva poter essere attraversata in una giornata di cavallo) sono via via saliti a 110. Garantendo oggi 40 poltrone presidenziali al Pd, 36 al Pdl, 13 alla Lega, 5 all' Udc, 2 a Mpa e Margherita e così via. Dicono oggi quanti hanno votato contro la proposta dipietrista (leghisti e pidiellini, con molte dissociazioni) o l' hanno affossata astenendosi (i democratici, nonostante i «malpancisti») che non si possono affrontare questi temi con l' accetta, che occorre riflettere sui vuoti che si creerebbero, che è necessario stare alla larga dalle «tirate demagogiche» e così via... Insomma: pazienza. Tutti argomenti seri se questi pensosi statisti non li avessero già svuotati in decennali bla-bla. Soppresse già alla Costituente dalla Commissione dei 75, ma resuscitate dall' Assemblea in attesa delle Regioni, le Province avevano quella data di scadenza: il 1970. Ma quando le Regioni arrivarono, Ugo La Malfa invocò inutilmente la soppressione dei «doppioni»: il Parlamento decise di aspettare il consolidamento dei nuovi enti. Campa cavallo... Quarant' anni dopo, non c' è occasione in cui il problema non sia affrontato con il rinvio a un «ridisegno complessivo», a una «riscrittura delle competenze», a una «grande riforma» che tenga dentro tutto. Basti rileggere quanto decise la Camera il 12 ottobre 2009 quando finalmente, per la cocciutaggine di Massimo Donadi e dell' Italia dei Valori, l' abolizione delle Province, sventolata in campagna elettorale da Silvio Berlusconi e, sia pure con accenti diversi, da Walter Veltroni, arrivò finalmente in Aula. La delibera di Montecitorio diceva che la riforma degli enti locali era «urgente e necessaria al fine di rimuovere la giungla amministrativa e di ridurre i costi della politica», denunciava la «proliferazione di innumerevoli enti» e «un intreccio inestricabile di funzioni che genera inefficienza e rende difficile la decisione amministrativa» e rinviava tutto al sorgere del mitico sole dell' avvenire berlusconian-federalista. E cioè alla «imminente presentazione di un disegno di legge recante la Carta delle autonomie locali». Da allora sono passati, inutilmente, altri due lunghi anni e mentre la crisi azzannava i cittadini, gli artigiani, le piccole e grandi imprese causando crolli apocalittici, disperazione e suicidi, i palazzi del potere davano qui una sforbiciatina del tre per cento, lì del tre per mille. E quelle epocali riforme che dovevano ridisegnare tutto per restituire al Paese la forza, l' efficienza, la stima in un classe dirigente credibile, tutte cose necessarie per affrontare questi tempi bui, dove sono? Sempre lì torniamo: taglia taglia, hanno tagliato i tagli.
di Stella Gian Antonio

08 luglio 2011

TAV: un'opera teatrale all'italiana.


Preludio: «Viva il Cemento».

Parlare adesso della Val di Susa è quasi imbarazzante. Ma voglio farlo ugualmente e partendo proprio dalle parole di Marco Cedolin, rilasciate nell'intervista di Fabio Polese e pubblicate da Rinascita martedì 28 giugno di quest'nno (titolo dellarticolo: «TAV in Val di Susa, facciamo chiarezza», pag. 10).

«La Val di Susa è una valle alpina larga mediamente 1,5 km, all'interno della quale corrono una ferrovia internazionale a doppio binario, il cui ammodernamento è terminato un anno fa, un'autostrada, la cui costruzione è stata completata nel 2000, due statali, alcune strade provinciali e un fiume.
Il fondovalle è già oggi simile a una colata di cemento senza soluzione di continuità.» Perfetto! Strade normali e ferrate sono evidenti, basta guardare. Altrettanto evidente è la profusione di calcestruzzo di cemento armato: è li da fotografare. E allora? Strada più strada meno, il danno è fatto, chi protesta può essere manganellato e se non basta pure gassato.
L'importante è non fare brutta figura con i partner dell'UE. Ma non èquesto il punto. Parrebbe che, inopinatamente, già nell'Ottocento ci si sia accorti dell'importanza archeologica della Val di Susa e lo testimonia il quinto volume pubblicato nel 1887 dalla Società di Archeologia e Belle Arti di Torino. Ma di questo non tutti ne hanno fatto tesoro.

Atto primo: «Incomodo passato sotterraneo».

Su Internet si può utilmente consultare il sito www.regione.piemonte.it e scoprire che, ad esempio, presso La Maddalena vi è un sito archeologico di grande importanza per la storia delle genti che hanno popolato l'Arco Alpino.
Magari, e perché no?, l'importanza potrebbe essere estesa a livello nazionale.
Ecco che cosa riporta tale sito: «Proprio di fronte a Chiomonte, alla base del pendio della Cappella Bianca, in Val di Susa, il terrazzo fluvio-glaciale della Maddalena ospita uno dei più importanti siti preistorici dell'arco alpino occidentale. La sua conoscenza risale alla seconda metà degli Anni '30 del secolo scorso, quando il Capello segnalò la presenza in loco di reperti indizi di un antico insediamento. Solamente molti anni dopo, negli Anni '80 a seguito dei lavoro autostradali, l'area venne "riscoperta", scavata e studiata grazie alle sinergie messe in atto tra sovrintendenza e Sitaf, la società autostradale. Per far questo si rese necessario una modifica del progetto iniziale del tunnel della Ramat e la realizzazione di un breve tratto di galleria artificiale che permettesse di salvaguardare l'area» (tratto da: www.regione.piemonte.it; il testo è di Aldo Molino).

In pratica è stato trovato un villaggio risalente a circa 6000 anni fa, inquadrabile al Paleolitico, con una gran quantità di oggetti. Poi le indagini hanno messo in luce successive frequentazioni. E si è aperto un museo. Occorre ricordare che molte case sono del tipo «sotto roccia», ovvero ipogee. E ancora molto vi è da fare per trovare il resto. Ma certamente, se lo si scava e lo si cementa, difficilmente sarà ritrovabile.

Atto secondo: «Ci mancava anche il Parco!».

Aldo Molino, autore dell'articolo informativo, così prosegue: «La zona di interesse archeologico è quindi ben più vasta di quell sconvolta dai lavori autostradali estendendosi quindi dalla Val Clarea allo scoglio roccioso della Ramat, per circa 400 m su per il versante. La superficie dell'area è di circa 3 km² ed è dissemina da un elevato numero di massi (...). Il parco archeologico è ancora in via di completamento: oltre all'antiquarium gestito dal Cesma con attività didattiche è visitabile l'area scavata dove sono state riposizionate le tombe mentre negli intorni sono state realizzate alcuni punti di sosta con tavole e panche e apposti pannelli didascalici». (tratto da: www.regione.piemonte.it; il testo è di Aldo Molino).

Ma questo non è tutto e non basterebbe un libro intero per descrivere, anche solo sommariamente, la storia e le opere d'interesse storico, archeologico e monumentale di questa stretta e impervia valle. Non ci credete? Basta che andiate a visitare il sito della Società di Ricerche e Studi Valsusini: www.segusium.org.

Atto terzo: «Gli Studi Scientifici proprio non ci volevano».

Ecco che cosa hanno prodotto passione, consapevolezza, competenza e impegno scientifico, civico e sociale: «La "Segusium - Società di Ricerche e Studi Valsusini", fu costituita il 7 dicembre 1963 con l'intento di promuovere e tutelare il patrimonio storico, artistico, paesaggistico e culturale delle Valli di Susa e zone limitrofe, promuovendo studi, favorendo indagini sul linguaggio e sul folklore locale, diffondendo con pubblicazioni le conoscenze acquisite. La serie completa delle opere finora edite conta ormai circa 13.000 pagine, configurandosi a tutti gli effetti come "un'enciclopedia della cultura valsusina" alla quale attingono tutti coloro che desiderano informazioni e fanno ricerche sulle Valli di Susa, Cenischia e Sangone» (tratto da: www.segusium.org). Ad esempio, un articolo di Aldo Perotto parla proprio della Maddalena: «Archeologia preistorica
dell'Alta Valle di Susa: Chiomonte «La Maddalena» (in: Segusium, Anno XXII, n° 22, dicembre 1986). Oltre alla Rivista Segusium si sono pubblicate monografie, promossi studi, ricerche sul campo e manifestazioni culturali: «In occasione del quarantennale di vita dell'Associazione, nel 2004, è stato organizzato un convegno dal titolo "Segusium. 40 anni al servizio della cultura locale" cui hanno partecipato numerosi studiosi e cultori del settore ed autorità locali».
Potete utilmente visitare anche il sito Internet www.torinomedica.com, il quale tesse giustamente le lodi di quanti si sono impegnati a livello culturale in Val di Susa.

Atto quarto: «Oltre il danno, la beffa».

Sopra Chiomonte esiste un acquedotto con un lungo tratto ipogeo che trafora la Cima Quattro Denti con un tunnel di 433 metri: è il Trou de Touilles, realizzato dal minatore delle Ramats (frazione di Chiomonte) Colombano Romeàn. Il tratto ipogeo dell'opera idraulica è stato scavato a mano in sette anni dal minatore e tutt'oggi funziona portando l'acqua di fusione di un vicino nevaio al versante segusino. Il Trou de Touilles si configura come un'opera alpina unica nel suo genere, sia per la continuità funzionale nel corso del tempo, sia per il modo in cui si colloca e si integra con discrezione nel paesaggio. L'esistenza di numerosi documenti d'epoca, la qualità culturale del territorio, nonché l'opera ipogea stessa, fanno chiaramente intendere che il Trou de Touilles e il contesto territoriale della Val di Susa debbano essere tutelati dall'UNESCO e annoverati nel patrimonio mondiale da salvaguardare (vedere utilmente la monografia degli speleologi: Basilico R., Bianchi S., Il Trou de Touilles in Val di Susa, Piemonte, Italia. Indagini Archeologiche in un Acquedotto Alpino del XVI sec., Hypogean Archaeology, British Archaeological Reports International Series 1933, Oxford 2009)

Traforo più, traforo meno, perché tanto strepito per il passaggio della TAV? Perché noi dobbiamo fermamente impegnarci a mantenere le nostre radici culturali, fatte di lavoro e d'ingegno, fatte di storia e di spirito indomito che, soprattutto in questa valle, ha reso gli abitanti indipendenti fin dal medioevo. Questo vuole essere un invito rivolto a tutti per andare a leggere la storia dei cinque «escartons», ovvero i distretti regionali che nel Trecento ottennero il diritto di autogestione. Così scrive Cavargna Bontosi nel suo recente saggio "Valle di Susa. Storia, arte e territorio": «Il riscatto dei diritti non era di per sé un fatto che comportasse particolari implicazioni giuridiche, ma è eccezionale sia l'ampiezza delle cessioni che l'alto numero delle comunità coinvolte. Questo acquisto tolse ogni ruolo alla nobiltà nelle amministrazioni locali e rese necessaria la convocazione di assemblee periodiche, che posero le basi di una partecipazione collettiva sostanzialmente democratica».

Atto quinto: «Stato di fatto».

La nostra Storia è fatta di tradizioni, di conoscenza e di consapevolezza. La nostra Storia è testimoniata dalla natura stessa in cui si è
sviluppata e dai manufatti che i nostri predecessori ci hanno lasciato. Cos'è più importante per il nostro futuro? Farci globalizzare, ovviamente!

La cosa più importante per il nostro futuro è innanzitutto ricordare che l'Italia ha una Costituzione. E la Costituzione della Repubblica Italiana all'Articolo 9 recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». E qui ci vuole un plauso a tutti coloro i quali si sono impegnati nelle varie attività culturali in Val di Susa. L'Articolo 11 mette, invece, un po' a disagio, almeno in questo frangente storico: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; etc.». Gli abitanti della Val di Susa che hanno recentemente protestato contro la TAV sono stati attaccati usando anche gas lacrimogeni. Però, in effetti, non si tratta di stranieri appartenenti ad un altro popolo. Sul luogo sono stati trovati numerosi involucri metallici recanti la seguente scritta «Cartuccia cal. 40 mm. a frammentazione per lanciatore a caricamento lacrimogeno al CS», dove CS sta per: Orto-clorobenziliden malononitrile. Ora, questi considerano dannosa la TAV anche e soprattutto per il loro territorio e, posso immaginare, anche per il mantenimento del loro patrimonio naturalistico, artistico e culturale (fin troppo provato). Perché si fa loro la guerra, attaccandoli con armi chimiche vietate dalle convenzioni internazionali? Forse solo perché, come già detto, non appartengono ad un altro popolo, ma sono Italiani. Ma la TAV vale la perdita di una fetta del nostro patrimonio nazionale e l'avvilimento dei suoi abitanti? Ci si deve arrestare innanzi alla sensazione che in questo inizio di nuovo millennio conti solo il profitto ad ogni costo?

Egoisticamente, da speleologo, debbo pensare che si possano barattare alcuni chilometri di grotte naturali con una manciata di gallerie artificiali?

Un popolo senza storia e privato della propria memoria non è un popolo, ma una massa globalizzata e priva di connotati, su cui graveranno parassiti d'ogni genere. Chi applica la Costituzione deve ricordarselo. Occorre impegnarsi per mantenere, per documentare, per rendere onore a noi e a chi ci ha preceduto vivendo consapevolmente il suolo di questa nostra Terra. Bisogna tornare a vivere in una dimensione umana e consapevole: tutto il resto è superfluo.

di Gianluca Padovan -

I quattro pilastri anti-invecchiamento


Il Giornale Online
Stress ossidativo, squilibrio ormonale, equilibrio acido-base, attività fisica: elisir di lunga e sana vita...


Che cos’è l’invecchiamento? Questa è una domanda fondamentale che può avere risposte sia semplici che complesse. Sicuramente si può identificare con la vita umana che traccia un percorso dalla nascita alla morte fisiologica. Ma com’è questo percorso? Lineare o ciclico? Anche questo argomento è denso di significati culturali. Un tempo, nell’antichità, esistevano diversi cicli o “giri di boa” che rappresentavano la vita umana. Il primo era superare l’infanzia. Se si riusciva a sopravvivere (data l’altissima mortalità infantile), si poteva affrontare il ciclo della giovinezza sino a 25-30 anni con tutte le problematiche sociali e/o militari. Il superamento di quest’altra fase conduceva all’età matura che, se ben condotta, preludeva all’ultimo giro di boa: una vecchiaia che poteva durare sino a 70 o anche 80 anni. Ovviamente questa suddivisione aveva un significato preminentemente culturale, ma preludeva alla considerazione del fatto che l’invecchiamento poteva ridursi o allungarsi a seconda che si riuscissero a costruire positivamente le precedenti tappe di vita.

Invecchiamento e malattia
Oggi l’invecchiamento è considerato un fenomeno ineluttabile, scandito da una progressione lineare. Con il passare degli anni i danni alle strutture genetiche si accumulano e, mano a mano, ricevono una riparazione parziale o difettosa. È l’usura della vita – alla quale partecipano tutti i sistemi biochimici, ormonali ed enzimatici dell’organismo – che porta a una delle più grandi peculiarità della nostra epoca: la connessione invecchiamento e malattia. Un tempo si moriva di vecchiaia, di fame, di incidenti, di parto o di guerre ed in minor misura di malattie tra le quali erano grandemente preponderanti quelle infettive. Oggi la casistica è completamente rovesciata: il binomio tra vecchiaia e malattie degenerative è quello dominante ed ha modificato l’impianto epistemologico della vita che scorre.

La base concettuale che sottende l’invecchiamento è, oggi, l’usura fisica, biochimica, mentale che ne limita al contempo le aree di comprensione e di intervento. Già gli antichi cinesi erano andati oltre il DNA facendo nascere l’individuo in un contesto di energie cosmiche che ne stabiliva la struttura e ne modulava l’ereditarietà, sia in senso fisico che spirituale. Oggi la moderna geriatria – la scienza che studia le patologie della vecchiaia – si occupa principalmente di cercare di riparare i danni dell’usura con un ampio corredo farmacologico che mira a ridurre la pressione arteriosa, a migliorare le funzioni contrattili del cuore, l’efficienza dei polmoni, della prostata, dell’intestino e così via, in un ampio tentativo di modificazione delle funzioni e soppressione dei sintomi in modo che l’anziano possa “tirare avanti” senza gravi problemi. Questo approccio assicura, peraltro, all’industria farmaceutica un costante e perpetuo consumo dei propri prodotti.

Farmacologia verso prevenzione
Per assicurare questo consumo, si è rinunciato alla più grande risorsa della medicina occidentale (oltreché orientale): la prevenzione. In Occidente questo termine è stato usato strumentalmente ed erroneamente, ed è stato confuso con la diagnosi precoce la quale, come sappiamo, non possiede alcuna funzione preventiva ma solo, eventualmente, curativa. Ma se ci guardiamo intorno e osserviamo il degrado dell’ambiente in cui viviamo – l’inquinamento da metalli pesanti, polveri sottili, pesticidi, piogge acide e nubi tossiche sottopongono il nostro organismo a numerose ed intense sollecitazioni specie a livello immunitario, endocrino e neurologico – ci possiamo rendere conto che, oltre al concetto dell’usura, sorgono nuovi elementi semantici che implicano un continuo aggiustamento e una continua compensazione ai vari livelli delle funzioni del nostro organismo.

Tutto questo ci porta a considerare il concetto di equilibrio dinamico come il punto centrale su cui ruotano i vari livelli di integrazione del nostro corpo. Quest’ultimo, infatti, cerca di ritrovare e mantenere un nuovo equilibrio nelle più varie circostanze adattative, al punto che anche la stessa malattia può, a un diverso livello, essere considerata un tentativo di raggiungere un nuovo equilibrio. Possiamo pertanto considerare quattro pilastri fondamentali che concorrono in modo preponderante ai processi di invecchiamento. Intervenendo su questi pilastri si può sicuramente modificarne il decorso e spezzare il sodalizio perverso con le malattie.


Primo: lo stress ossidativo
Uno di questi pilastri è lo stress ossidativo. L’ossidazione è la funzione per la quale le nostre cellule consumano, ossidandole, molecole di zucchero e di grassi e usando l’ossigeno come combustibile. Con questo processo si produce l’energia che viene utilizzata per le varie funzioni del corpo, ma si formano anche i cosiddetti radicali liberi: composti estremamente reattivi capaci di neutralizzare i batteri nocivi o le cellule degenerate. Il problema si pone quando questi composti radicatici risultano in eccesso rispetto alle fisiologiche capacità del nostro organismo di neutralizzarli. Questo eccesso, denominato “stress ossidativo”, può causare danni alle strutture più importanti della cellula, come il nucleo o la membrana cellulare, e, in soggetti geneticamente predisposti, può condurre a una serie di patologie anche gravi tra le quali l’infarto cardiaco, l’ictus cerebrale, il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson e può aumentare notevolmente i processi di invecchiamento.

Il nostro organismo, come già detto, possiede un corredo enzimatico per far fronte a questa situazione ossidativa e si avvale anche di sostanze assunte dall’esterno: gli alimenti quali frutta e verdura contengono antiossidanti naturali come le vitamine, i minerali e gli enzimi. Pertanto l’alimentazione rappresenta, in prima battuta, un importante fattore di riequilibrio del corpo. I radicali liberi stringono anche importanti rapporti con l’infiammazione cronica. Sappiamo che l’infiammazione è biologicamente importante per difendere i tessuti del nostro corpo da vari tipi di aggressione. Quando questo processo si prolunga nel tempo, cioè si cronicizza, può diventare un’ulteriore fonte di produzione di radicali liberi i quali, a loro volta, aumentano lo stato infiammatorio danneggiando i tessuti e instaurando un circolo vizioso che porta rapidamente l’organismo sulla via della malattia e dell’accelerazione dei processi di invecchiamento.

Secondo: lo squilibrio ormonale
Per capire meglio come questo stato infiammatorio può più facilmente instaurarsi e cronicizzarsi, esaminiamo un altro importante pilastro di questo processo: lo squilibrio ormonale. Con squilibrio ormonale non si intende una mera carenza o un eccesso di un singolo ormone, ma il disequilibrio dei rapporti che tutti gli ormoni hanno tra di loro e con tutte le altre strutture dell’organismo. Quando questa armonia si altera è come se in un’orchestra uno o più elementi si mettessero a suonare per conto proprio, senza accordarsi con il resto dei musicisti. Sorprendentemente noi siamo la prima causa di questo squilibrio, sia per i ritmi frenetici della vita che conduciamo che, soprattutto, per il nostro stile alimentare spesso basato su un eccessivo consumo di zuccheri dati dalla pasta, dal pane, dall’onnipresente pizza e, soprattutto, da un’enorme varietà di dolciumi e bibite. Sappiamo che il nostro organismo scompone gli zuccheri sino a formare glucosio il quale rappresenta il maggiore nutriente cellulare. Per compiere questa funzione l’organismo necessita dell’apporto dell’insulina, un ormone secreto dal pancreas che serve a facilitare l’utilizzazione del glucosio da parte delle cellule.

Ma se il glucosio è in eccesso? Allora, piano piano, si instaurano delle condizioni sfavorevoli che conducono all’insulinoresistenza, evento in cui, a forza di secernere insulina in risposta all’introduzione di zuccheri, le cellule bersaglio diventano meno sensibili ad essa. In tutta risposta il pancreas secerne ancora più insulina, in un circolo vizioso che porta a molte condizioni patologiche come il diabete, l’ipertensione e l’obesità. Inoltre dobbiamo notare che l’eccesso di insulina va a interferire con l’attività di moltissimi altri ormoni, producendo ulteriori squilibri a vari livelli di regolazione fisiologica e aumentando lo stato infiammatorio dell’organismo. Quest’ultimo passaggio avviene attraverso l’aumentata produzione di una categoria di “eicosanoidi” (sostanze ad attività ormonale come le prostaglandine, i leucotrieni ecc.) che possiedono un’azione di tipo pro-infiammatorio. Siccome la salute e l’equilibrio dell’organismo si basa sul perfetto bilanciamento di due popolazioni di eicosanoidi che definiremo semplicemente “buoni” e “cattivi”, l’aumento dell’insulina determina uno spostamento a favore di questi ultimi, predisponendo il nostro corpo a una serie di perturbazioni patologiche che possono sfociare in malattie come l’infarto miocardio, l’ictus cerebrale ecc.

Pertanto, come l’alimentazione può provocare l’innesco di questi problemi, d’altro canto può anche aiutare a risolverli. Possiamo ridurre drasticamente l’assunzione di zuccheri e carboidrati prediligendo quelli integrali che danno uno stimolo insulinico minore e più rallentato; possiamo integrare la dieta con cibi che contengono acidi grassi della serie omega 3, gli unici che possono stornare la produzione di eicosanoidi a favore di quelli buoni con attività protettiva sulla circolazione e sui tessuti; possiamo prediligere gli olii spremuti a freddo ed i semi oleosi ricchi di benefici grassi mono e poli-insaturi che favoriscono anche il metabolismo lipidico dell’organismo.

Terzo: l’equilibrio acido-base
Un altro pilastro dell’anti-invecchiamento e della salute del corpo è quello del mantenimento di un corretto equilibrio acido-base dei nostri liquidi biologici. Sappiamo che i processi fisiologici del nostro organismo avvengono solo se il pH è da 7,35 a 7,45 cioè lievemente basico: in questo minimo ambito di variabilità si svolgono tutte le normali reazioni fisiologiche. La nostra urina, invece, possiede un pH che oscilla da un minimo di 4 ad un massimo di 8, quindi ben più acida del sangue. Questo dimostra che gli acidi in eccesso devono essere allontanati immediatamente dal sangue e avviati all’escrezione urinaria, pena un grave squilibrio metabolico o addirittura la morte. L’organismo è dotato necessariamente di sistemi tampone che hanno lo scopo di mantenere la costanza dell’ambiente interno (C. Bernard): questi sistemi si inseriscono in un più ampio processo biologico circadiano che è mediato dal tessuto connettivo. Il tessuto connettivo, che deriva dalla matrice mesenchimale, opera una grande opera di disintossicazione dell’organismo. Se l’individuo non è in equilibrio, non è neanche in grado di compensare l’eccesso degli acidi e si predispone a una serie di eventi patologici oltreché a un più rapido invecchiamento dei tessuti. Gli acidi sono sempre irritanti, consumano molto ossigeno e minerali, portano a uno stato infiammatorio cronico e a una sclerosi dei tessuti.

L’alimentazione moderna fornisce una buona quantità degli acidi presenti dell’organismo. Le proteine animali, infatti, producono molti acidi come pure l’intensa attività fisica (acido lattico). Il nostro corpo cerca di neutralizzare l’eccesso di acidi prelevando minerali dai vari tessuti (ossa, unghie, capelli) per coniugarli con gli acidi e formare sali neutri, meno pericolosi in attesa dello smaltimento. Per un corretto equilibrio dovremmo introdurre per tre quarti cibi alcalinizzanti come frutta, verdura, cereali integrali, latte e per un quarto alimenti acidificanti come proteine animali, e dolciumi, ma nella nostra dieta occidentale facciamo esattamente il contrario, predisponendo il nostro corpo a molte patologie degenerative.

Quarto: l’attività fisica
Il quarto e ultimo pilastro antinvecchiamento riguarda l’attività fisica la quale può contribuire a mantenere un sano equilibrio ormonale (stimola la produzione di GH, l’ormone della crescita e della riparazione cellulare) e a migliorare la funzionalità e il metabolismo dell’osso e della muscolatura corporea. Sappiamo che il 23% delle donne oltre i 40 anni ed il 14% degli uomini sopra i 60 anni sono affetti da osteoporosi. Questa condizione è, in fondo, una perdita di equilibrio tra i processi di formazione e quelli di distruzione e riassorbimento dell’osso. Con il passare degli anni l’equilibrio si altera a favore dei processi di disgregazione e si ha contemporaneamente una perdita di minerali. Nonostante l’importanza degli aspetti ormonali sul metabolismo dell’osso, è fondamentale che il corpo sia sottoposto ad un congruo e costante esercizio fisico.

Secondo Filippo Ongaro, medico spaziale, gli astronauti, in assenza di gravità, perdono l’1,5% di densità ossea al mese per cui in una missione spaziale della durata di 6 mesi, la loro densità ossea subisce un calo analogo a quello che si potrebbe osservare sulla terra nell’arco di 10 anni e ad un’età tra i 50 e i 60 anni. Queste osservazioni indicano come i carichi e le stimolazioni meccaniche producono dei segnali ai quali le cellule ossee sono in grado di rispondere adeguatamente. Sempre riferito da Ongaro, i carichi più elevati che l’osso deve sostenere sono causati dalle contrazioni muscolari dell’individuo piuttosto che dal peso, portando a identificare nell’osso una sorta di “meccanostato” in grado di percepire le varie stimolazioni meccaniche alle quali è sottoposto e di produrre e adattare una risposta adeguata e conseguente. Le stimolazioni di un certo tipo attivano processi di sintesi ossea, mentre quelle di altri tipi inducono processi di distruzione ossea e tutto ciò in relazione con le condizioni ormonali e di nutrizione del soggetto. Questo ci fa chiaramente capire come il nostro corpo sia fatto per muoversi e non per una vita completamente sedentaria. La stessa attività fisica regola direttamente anche l’attivazione delle difese immunitarie dell’intero organismo. Pur essendo il processo di invecchiamento influenzato da molteplici fattori – non ultimo quello psicologico e psicosociale – è importante tenere ben presenti e favorire questi quattro fondamentali pilastri dei quali abbiamo, in sintesi, parlato.

L’attenzione a questi aspetti ci permette di costruire una vecchiaia in cui l’equilibrio e l’armonia siano i costituenti principali e di allontanare sempre più nel tempo i fattori di declino e di malattia.



di Paolo Giordo
Medico, neurologo, esperto in omeopatia e fitoterapia.
Si occupa di nutrizione e cura delle malattie degenerative con metodi naturali.
Ha pubblicato il libro Alimentazione terapeutica per le Edizioni Mediterranee

09 luglio 2011

Le province degli ipocriti




Sibari, che chiede di diventare capoluogo vantandosi di produrre «l' agrume migliore del mondo, le clementine», può tornare a sperare. E così Breno, 5.014 abitanti, capitale dei Camuni e della Valcamonica. E con loro Cassino e Guidonia, Busto Arsizio e Nola, Pinerolo e Melfi e tutte le altre aspiranti metropoli che sognano di avere finalmente lo status: cos' hanno meno di Tortolì e Lanusei, che capoluoghi già sono? La bocciatura alla Camera della proposta di legge costituzionale per sopprimere le Province è il via libera ai cattivi pensieri e alle piccole megalomanie coltivate dai notabili locali. E a un nuovo incremento di quegli enti che già un secolo fa l' allora sindaco di Milano Emilio Caldara bollava come «buoni solo per i manicomi e per le strade», ma che da 59 che erano nel 1861 (il criterio era semplice: ciascuna doveva poter essere attraversata in una giornata di cavallo) sono via via saliti a 110. Garantendo oggi 40 poltrone presidenziali al Pd, 36 al Pdl, 13 alla Lega, 5 all' Udc, 2 a Mpa e Margherita e così via. Dicono oggi quanti hanno votato contro la proposta dipietrista (leghisti e pidiellini, con molte dissociazioni) o l' hanno affossata astenendosi (i democratici, nonostante i «malpancisti») che non si possono affrontare questi temi con l' accetta, che occorre riflettere sui vuoti che si creerebbero, che è necessario stare alla larga dalle «tirate demagogiche» e così via... Insomma: pazienza. Tutti argomenti seri se questi pensosi statisti non li avessero già svuotati in decennali bla-bla. Soppresse già alla Costituente dalla Commissione dei 75, ma resuscitate dall' Assemblea in attesa delle Regioni, le Province avevano quella data di scadenza: il 1970. Ma quando le Regioni arrivarono, Ugo La Malfa invocò inutilmente la soppressione dei «doppioni»: il Parlamento decise di aspettare il consolidamento dei nuovi enti. Campa cavallo... Quarant' anni dopo, non c' è occasione in cui il problema non sia affrontato con il rinvio a un «ridisegno complessivo», a una «riscrittura delle competenze», a una «grande riforma» che tenga dentro tutto. Basti rileggere quanto decise la Camera il 12 ottobre 2009 quando finalmente, per la cocciutaggine di Massimo Donadi e dell' Italia dei Valori, l' abolizione delle Province, sventolata in campagna elettorale da Silvio Berlusconi e, sia pure con accenti diversi, da Walter Veltroni, arrivò finalmente in Aula. La delibera di Montecitorio diceva che la riforma degli enti locali era «urgente e necessaria al fine di rimuovere la giungla amministrativa e di ridurre i costi della politica», denunciava la «proliferazione di innumerevoli enti» e «un intreccio inestricabile di funzioni che genera inefficienza e rende difficile la decisione amministrativa» e rinviava tutto al sorgere del mitico sole dell' avvenire berlusconian-federalista. E cioè alla «imminente presentazione di un disegno di legge recante la Carta delle autonomie locali». Da allora sono passati, inutilmente, altri due lunghi anni e mentre la crisi azzannava i cittadini, gli artigiani, le piccole e grandi imprese causando crolli apocalittici, disperazione e suicidi, i palazzi del potere davano qui una sforbiciatina del tre per cento, lì del tre per mille. E quelle epocali riforme che dovevano ridisegnare tutto per restituire al Paese la forza, l' efficienza, la stima in un classe dirigente credibile, tutte cose necessarie per affrontare questi tempi bui, dove sono? Sempre lì torniamo: taglia taglia, hanno tagliato i tagli.
di Stella Gian Antonio

08 luglio 2011

TAV: un'opera teatrale all'italiana.


Preludio: «Viva il Cemento».

Parlare adesso della Val di Susa è quasi imbarazzante. Ma voglio farlo ugualmente e partendo proprio dalle parole di Marco Cedolin, rilasciate nell'intervista di Fabio Polese e pubblicate da Rinascita martedì 28 giugno di quest'nno (titolo dellarticolo: «TAV in Val di Susa, facciamo chiarezza», pag. 10).

«La Val di Susa è una valle alpina larga mediamente 1,5 km, all'interno della quale corrono una ferrovia internazionale a doppio binario, il cui ammodernamento è terminato un anno fa, un'autostrada, la cui costruzione è stata completata nel 2000, due statali, alcune strade provinciali e un fiume.
Il fondovalle è già oggi simile a una colata di cemento senza soluzione di continuità.» Perfetto! Strade normali e ferrate sono evidenti, basta guardare. Altrettanto evidente è la profusione di calcestruzzo di cemento armato: è li da fotografare. E allora? Strada più strada meno, il danno è fatto, chi protesta può essere manganellato e se non basta pure gassato.
L'importante è non fare brutta figura con i partner dell'UE. Ma non èquesto il punto. Parrebbe che, inopinatamente, già nell'Ottocento ci si sia accorti dell'importanza archeologica della Val di Susa e lo testimonia il quinto volume pubblicato nel 1887 dalla Società di Archeologia e Belle Arti di Torino. Ma di questo non tutti ne hanno fatto tesoro.

Atto primo: «Incomodo passato sotterraneo».

Su Internet si può utilmente consultare il sito www.regione.piemonte.it e scoprire che, ad esempio, presso La Maddalena vi è un sito archeologico di grande importanza per la storia delle genti che hanno popolato l'Arco Alpino.
Magari, e perché no?, l'importanza potrebbe essere estesa a livello nazionale.
Ecco che cosa riporta tale sito: «Proprio di fronte a Chiomonte, alla base del pendio della Cappella Bianca, in Val di Susa, il terrazzo fluvio-glaciale della Maddalena ospita uno dei più importanti siti preistorici dell'arco alpino occidentale. La sua conoscenza risale alla seconda metà degli Anni '30 del secolo scorso, quando il Capello segnalò la presenza in loco di reperti indizi di un antico insediamento. Solamente molti anni dopo, negli Anni '80 a seguito dei lavoro autostradali, l'area venne "riscoperta", scavata e studiata grazie alle sinergie messe in atto tra sovrintendenza e Sitaf, la società autostradale. Per far questo si rese necessario una modifica del progetto iniziale del tunnel della Ramat e la realizzazione di un breve tratto di galleria artificiale che permettesse di salvaguardare l'area» (tratto da: www.regione.piemonte.it; il testo è di Aldo Molino).

In pratica è stato trovato un villaggio risalente a circa 6000 anni fa, inquadrabile al Paleolitico, con una gran quantità di oggetti. Poi le indagini hanno messo in luce successive frequentazioni. E si è aperto un museo. Occorre ricordare che molte case sono del tipo «sotto roccia», ovvero ipogee. E ancora molto vi è da fare per trovare il resto. Ma certamente, se lo si scava e lo si cementa, difficilmente sarà ritrovabile.

Atto secondo: «Ci mancava anche il Parco!».

Aldo Molino, autore dell'articolo informativo, così prosegue: «La zona di interesse archeologico è quindi ben più vasta di quell sconvolta dai lavori autostradali estendendosi quindi dalla Val Clarea allo scoglio roccioso della Ramat, per circa 400 m su per il versante. La superficie dell'area è di circa 3 km² ed è dissemina da un elevato numero di massi (...). Il parco archeologico è ancora in via di completamento: oltre all'antiquarium gestito dal Cesma con attività didattiche è visitabile l'area scavata dove sono state riposizionate le tombe mentre negli intorni sono state realizzate alcuni punti di sosta con tavole e panche e apposti pannelli didascalici». (tratto da: www.regione.piemonte.it; il testo è di Aldo Molino).

Ma questo non è tutto e non basterebbe un libro intero per descrivere, anche solo sommariamente, la storia e le opere d'interesse storico, archeologico e monumentale di questa stretta e impervia valle. Non ci credete? Basta che andiate a visitare il sito della Società di Ricerche e Studi Valsusini: www.segusium.org.

Atto terzo: «Gli Studi Scientifici proprio non ci volevano».

Ecco che cosa hanno prodotto passione, consapevolezza, competenza e impegno scientifico, civico e sociale: «La "Segusium - Società di Ricerche e Studi Valsusini", fu costituita il 7 dicembre 1963 con l'intento di promuovere e tutelare il patrimonio storico, artistico, paesaggistico e culturale delle Valli di Susa e zone limitrofe, promuovendo studi, favorendo indagini sul linguaggio e sul folklore locale, diffondendo con pubblicazioni le conoscenze acquisite. La serie completa delle opere finora edite conta ormai circa 13.000 pagine, configurandosi a tutti gli effetti come "un'enciclopedia della cultura valsusina" alla quale attingono tutti coloro che desiderano informazioni e fanno ricerche sulle Valli di Susa, Cenischia e Sangone» (tratto da: www.segusium.org). Ad esempio, un articolo di Aldo Perotto parla proprio della Maddalena: «Archeologia preistorica
dell'Alta Valle di Susa: Chiomonte «La Maddalena» (in: Segusium, Anno XXII, n° 22, dicembre 1986). Oltre alla Rivista Segusium si sono pubblicate monografie, promossi studi, ricerche sul campo e manifestazioni culturali: «In occasione del quarantennale di vita dell'Associazione, nel 2004, è stato organizzato un convegno dal titolo "Segusium. 40 anni al servizio della cultura locale" cui hanno partecipato numerosi studiosi e cultori del settore ed autorità locali».
Potete utilmente visitare anche il sito Internet www.torinomedica.com, il quale tesse giustamente le lodi di quanti si sono impegnati a livello culturale in Val di Susa.

Atto quarto: «Oltre il danno, la beffa».

Sopra Chiomonte esiste un acquedotto con un lungo tratto ipogeo che trafora la Cima Quattro Denti con un tunnel di 433 metri: è il Trou de Touilles, realizzato dal minatore delle Ramats (frazione di Chiomonte) Colombano Romeàn. Il tratto ipogeo dell'opera idraulica è stato scavato a mano in sette anni dal minatore e tutt'oggi funziona portando l'acqua di fusione di un vicino nevaio al versante segusino. Il Trou de Touilles si configura come un'opera alpina unica nel suo genere, sia per la continuità funzionale nel corso del tempo, sia per il modo in cui si colloca e si integra con discrezione nel paesaggio. L'esistenza di numerosi documenti d'epoca, la qualità culturale del territorio, nonché l'opera ipogea stessa, fanno chiaramente intendere che il Trou de Touilles e il contesto territoriale della Val di Susa debbano essere tutelati dall'UNESCO e annoverati nel patrimonio mondiale da salvaguardare (vedere utilmente la monografia degli speleologi: Basilico R., Bianchi S., Il Trou de Touilles in Val di Susa, Piemonte, Italia. Indagini Archeologiche in un Acquedotto Alpino del XVI sec., Hypogean Archaeology, British Archaeological Reports International Series 1933, Oxford 2009)

Traforo più, traforo meno, perché tanto strepito per il passaggio della TAV? Perché noi dobbiamo fermamente impegnarci a mantenere le nostre radici culturali, fatte di lavoro e d'ingegno, fatte di storia e di spirito indomito che, soprattutto in questa valle, ha reso gli abitanti indipendenti fin dal medioevo. Questo vuole essere un invito rivolto a tutti per andare a leggere la storia dei cinque «escartons», ovvero i distretti regionali che nel Trecento ottennero il diritto di autogestione. Così scrive Cavargna Bontosi nel suo recente saggio "Valle di Susa. Storia, arte e territorio": «Il riscatto dei diritti non era di per sé un fatto che comportasse particolari implicazioni giuridiche, ma è eccezionale sia l'ampiezza delle cessioni che l'alto numero delle comunità coinvolte. Questo acquisto tolse ogni ruolo alla nobiltà nelle amministrazioni locali e rese necessaria la convocazione di assemblee periodiche, che posero le basi di una partecipazione collettiva sostanzialmente democratica».

Atto quinto: «Stato di fatto».

La nostra Storia è fatta di tradizioni, di conoscenza e di consapevolezza. La nostra Storia è testimoniata dalla natura stessa in cui si è
sviluppata e dai manufatti che i nostri predecessori ci hanno lasciato. Cos'è più importante per il nostro futuro? Farci globalizzare, ovviamente!

La cosa più importante per il nostro futuro è innanzitutto ricordare che l'Italia ha una Costituzione. E la Costituzione della Repubblica Italiana all'Articolo 9 recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». E qui ci vuole un plauso a tutti coloro i quali si sono impegnati nelle varie attività culturali in Val di Susa. L'Articolo 11 mette, invece, un po' a disagio, almeno in questo frangente storico: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; etc.». Gli abitanti della Val di Susa che hanno recentemente protestato contro la TAV sono stati attaccati usando anche gas lacrimogeni. Però, in effetti, non si tratta di stranieri appartenenti ad un altro popolo. Sul luogo sono stati trovati numerosi involucri metallici recanti la seguente scritta «Cartuccia cal. 40 mm. a frammentazione per lanciatore a caricamento lacrimogeno al CS», dove CS sta per: Orto-clorobenziliden malononitrile. Ora, questi considerano dannosa la TAV anche e soprattutto per il loro territorio e, posso immaginare, anche per il mantenimento del loro patrimonio naturalistico, artistico e culturale (fin troppo provato). Perché si fa loro la guerra, attaccandoli con armi chimiche vietate dalle convenzioni internazionali? Forse solo perché, come già detto, non appartengono ad un altro popolo, ma sono Italiani. Ma la TAV vale la perdita di una fetta del nostro patrimonio nazionale e l'avvilimento dei suoi abitanti? Ci si deve arrestare innanzi alla sensazione che in questo inizio di nuovo millennio conti solo il profitto ad ogni costo?

Egoisticamente, da speleologo, debbo pensare che si possano barattare alcuni chilometri di grotte naturali con una manciata di gallerie artificiali?

Un popolo senza storia e privato della propria memoria non è un popolo, ma una massa globalizzata e priva di connotati, su cui graveranno parassiti d'ogni genere. Chi applica la Costituzione deve ricordarselo. Occorre impegnarsi per mantenere, per documentare, per rendere onore a noi e a chi ci ha preceduto vivendo consapevolmente il suolo di questa nostra Terra. Bisogna tornare a vivere in una dimensione umana e consapevole: tutto il resto è superfluo.

di Gianluca Padovan -

I quattro pilastri anti-invecchiamento


Il Giornale Online
Stress ossidativo, squilibrio ormonale, equilibrio acido-base, attività fisica: elisir di lunga e sana vita...


Che cos’è l’invecchiamento? Questa è una domanda fondamentale che può avere risposte sia semplici che complesse. Sicuramente si può identificare con la vita umana che traccia un percorso dalla nascita alla morte fisiologica. Ma com’è questo percorso? Lineare o ciclico? Anche questo argomento è denso di significati culturali. Un tempo, nell’antichità, esistevano diversi cicli o “giri di boa” che rappresentavano la vita umana. Il primo era superare l’infanzia. Se si riusciva a sopravvivere (data l’altissima mortalità infantile), si poteva affrontare il ciclo della giovinezza sino a 25-30 anni con tutte le problematiche sociali e/o militari. Il superamento di quest’altra fase conduceva all’età matura che, se ben condotta, preludeva all’ultimo giro di boa: una vecchiaia che poteva durare sino a 70 o anche 80 anni. Ovviamente questa suddivisione aveva un significato preminentemente culturale, ma preludeva alla considerazione del fatto che l’invecchiamento poteva ridursi o allungarsi a seconda che si riuscissero a costruire positivamente le precedenti tappe di vita.

Invecchiamento e malattia
Oggi l’invecchiamento è considerato un fenomeno ineluttabile, scandito da una progressione lineare. Con il passare degli anni i danni alle strutture genetiche si accumulano e, mano a mano, ricevono una riparazione parziale o difettosa. È l’usura della vita – alla quale partecipano tutti i sistemi biochimici, ormonali ed enzimatici dell’organismo – che porta a una delle più grandi peculiarità della nostra epoca: la connessione invecchiamento e malattia. Un tempo si moriva di vecchiaia, di fame, di incidenti, di parto o di guerre ed in minor misura di malattie tra le quali erano grandemente preponderanti quelle infettive. Oggi la casistica è completamente rovesciata: il binomio tra vecchiaia e malattie degenerative è quello dominante ed ha modificato l’impianto epistemologico della vita che scorre.

La base concettuale che sottende l’invecchiamento è, oggi, l’usura fisica, biochimica, mentale che ne limita al contempo le aree di comprensione e di intervento. Già gli antichi cinesi erano andati oltre il DNA facendo nascere l’individuo in un contesto di energie cosmiche che ne stabiliva la struttura e ne modulava l’ereditarietà, sia in senso fisico che spirituale. Oggi la moderna geriatria – la scienza che studia le patologie della vecchiaia – si occupa principalmente di cercare di riparare i danni dell’usura con un ampio corredo farmacologico che mira a ridurre la pressione arteriosa, a migliorare le funzioni contrattili del cuore, l’efficienza dei polmoni, della prostata, dell’intestino e così via, in un ampio tentativo di modificazione delle funzioni e soppressione dei sintomi in modo che l’anziano possa “tirare avanti” senza gravi problemi. Questo approccio assicura, peraltro, all’industria farmaceutica un costante e perpetuo consumo dei propri prodotti.

Farmacologia verso prevenzione
Per assicurare questo consumo, si è rinunciato alla più grande risorsa della medicina occidentale (oltreché orientale): la prevenzione. In Occidente questo termine è stato usato strumentalmente ed erroneamente, ed è stato confuso con la diagnosi precoce la quale, come sappiamo, non possiede alcuna funzione preventiva ma solo, eventualmente, curativa. Ma se ci guardiamo intorno e osserviamo il degrado dell’ambiente in cui viviamo – l’inquinamento da metalli pesanti, polveri sottili, pesticidi, piogge acide e nubi tossiche sottopongono il nostro organismo a numerose ed intense sollecitazioni specie a livello immunitario, endocrino e neurologico – ci possiamo rendere conto che, oltre al concetto dell’usura, sorgono nuovi elementi semantici che implicano un continuo aggiustamento e una continua compensazione ai vari livelli delle funzioni del nostro organismo.

Tutto questo ci porta a considerare il concetto di equilibrio dinamico come il punto centrale su cui ruotano i vari livelli di integrazione del nostro corpo. Quest’ultimo, infatti, cerca di ritrovare e mantenere un nuovo equilibrio nelle più varie circostanze adattative, al punto che anche la stessa malattia può, a un diverso livello, essere considerata un tentativo di raggiungere un nuovo equilibrio. Possiamo pertanto considerare quattro pilastri fondamentali che concorrono in modo preponderante ai processi di invecchiamento. Intervenendo su questi pilastri si può sicuramente modificarne il decorso e spezzare il sodalizio perverso con le malattie.


Primo: lo stress ossidativo
Uno di questi pilastri è lo stress ossidativo. L’ossidazione è la funzione per la quale le nostre cellule consumano, ossidandole, molecole di zucchero e di grassi e usando l’ossigeno come combustibile. Con questo processo si produce l’energia che viene utilizzata per le varie funzioni del corpo, ma si formano anche i cosiddetti radicali liberi: composti estremamente reattivi capaci di neutralizzare i batteri nocivi o le cellule degenerate. Il problema si pone quando questi composti radicatici risultano in eccesso rispetto alle fisiologiche capacità del nostro organismo di neutralizzarli. Questo eccesso, denominato “stress ossidativo”, può causare danni alle strutture più importanti della cellula, come il nucleo o la membrana cellulare, e, in soggetti geneticamente predisposti, può condurre a una serie di patologie anche gravi tra le quali l’infarto cardiaco, l’ictus cerebrale, il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson e può aumentare notevolmente i processi di invecchiamento.

Il nostro organismo, come già detto, possiede un corredo enzimatico per far fronte a questa situazione ossidativa e si avvale anche di sostanze assunte dall’esterno: gli alimenti quali frutta e verdura contengono antiossidanti naturali come le vitamine, i minerali e gli enzimi. Pertanto l’alimentazione rappresenta, in prima battuta, un importante fattore di riequilibrio del corpo. I radicali liberi stringono anche importanti rapporti con l’infiammazione cronica. Sappiamo che l’infiammazione è biologicamente importante per difendere i tessuti del nostro corpo da vari tipi di aggressione. Quando questo processo si prolunga nel tempo, cioè si cronicizza, può diventare un’ulteriore fonte di produzione di radicali liberi i quali, a loro volta, aumentano lo stato infiammatorio danneggiando i tessuti e instaurando un circolo vizioso che porta rapidamente l’organismo sulla via della malattia e dell’accelerazione dei processi di invecchiamento.

Secondo: lo squilibrio ormonale
Per capire meglio come questo stato infiammatorio può più facilmente instaurarsi e cronicizzarsi, esaminiamo un altro importante pilastro di questo processo: lo squilibrio ormonale. Con squilibrio ormonale non si intende una mera carenza o un eccesso di un singolo ormone, ma il disequilibrio dei rapporti che tutti gli ormoni hanno tra di loro e con tutte le altre strutture dell’organismo. Quando questa armonia si altera è come se in un’orchestra uno o più elementi si mettessero a suonare per conto proprio, senza accordarsi con il resto dei musicisti. Sorprendentemente noi siamo la prima causa di questo squilibrio, sia per i ritmi frenetici della vita che conduciamo che, soprattutto, per il nostro stile alimentare spesso basato su un eccessivo consumo di zuccheri dati dalla pasta, dal pane, dall’onnipresente pizza e, soprattutto, da un’enorme varietà di dolciumi e bibite. Sappiamo che il nostro organismo scompone gli zuccheri sino a formare glucosio il quale rappresenta il maggiore nutriente cellulare. Per compiere questa funzione l’organismo necessita dell’apporto dell’insulina, un ormone secreto dal pancreas che serve a facilitare l’utilizzazione del glucosio da parte delle cellule.

Ma se il glucosio è in eccesso? Allora, piano piano, si instaurano delle condizioni sfavorevoli che conducono all’insulinoresistenza, evento in cui, a forza di secernere insulina in risposta all’introduzione di zuccheri, le cellule bersaglio diventano meno sensibili ad essa. In tutta risposta il pancreas secerne ancora più insulina, in un circolo vizioso che porta a molte condizioni patologiche come il diabete, l’ipertensione e l’obesità. Inoltre dobbiamo notare che l’eccesso di insulina va a interferire con l’attività di moltissimi altri ormoni, producendo ulteriori squilibri a vari livelli di regolazione fisiologica e aumentando lo stato infiammatorio dell’organismo. Quest’ultimo passaggio avviene attraverso l’aumentata produzione di una categoria di “eicosanoidi” (sostanze ad attività ormonale come le prostaglandine, i leucotrieni ecc.) che possiedono un’azione di tipo pro-infiammatorio. Siccome la salute e l’equilibrio dell’organismo si basa sul perfetto bilanciamento di due popolazioni di eicosanoidi che definiremo semplicemente “buoni” e “cattivi”, l’aumento dell’insulina determina uno spostamento a favore di questi ultimi, predisponendo il nostro corpo a una serie di perturbazioni patologiche che possono sfociare in malattie come l’infarto miocardio, l’ictus cerebrale ecc.

Pertanto, come l’alimentazione può provocare l’innesco di questi problemi, d’altro canto può anche aiutare a risolverli. Possiamo ridurre drasticamente l’assunzione di zuccheri e carboidrati prediligendo quelli integrali che danno uno stimolo insulinico minore e più rallentato; possiamo integrare la dieta con cibi che contengono acidi grassi della serie omega 3, gli unici che possono stornare la produzione di eicosanoidi a favore di quelli buoni con attività protettiva sulla circolazione e sui tessuti; possiamo prediligere gli olii spremuti a freddo ed i semi oleosi ricchi di benefici grassi mono e poli-insaturi che favoriscono anche il metabolismo lipidico dell’organismo.

Terzo: l’equilibrio acido-base
Un altro pilastro dell’anti-invecchiamento e della salute del corpo è quello del mantenimento di un corretto equilibrio acido-base dei nostri liquidi biologici. Sappiamo che i processi fisiologici del nostro organismo avvengono solo se il pH è da 7,35 a 7,45 cioè lievemente basico: in questo minimo ambito di variabilità si svolgono tutte le normali reazioni fisiologiche. La nostra urina, invece, possiede un pH che oscilla da un minimo di 4 ad un massimo di 8, quindi ben più acida del sangue. Questo dimostra che gli acidi in eccesso devono essere allontanati immediatamente dal sangue e avviati all’escrezione urinaria, pena un grave squilibrio metabolico o addirittura la morte. L’organismo è dotato necessariamente di sistemi tampone che hanno lo scopo di mantenere la costanza dell’ambiente interno (C. Bernard): questi sistemi si inseriscono in un più ampio processo biologico circadiano che è mediato dal tessuto connettivo. Il tessuto connettivo, che deriva dalla matrice mesenchimale, opera una grande opera di disintossicazione dell’organismo. Se l’individuo non è in equilibrio, non è neanche in grado di compensare l’eccesso degli acidi e si predispone a una serie di eventi patologici oltreché a un più rapido invecchiamento dei tessuti. Gli acidi sono sempre irritanti, consumano molto ossigeno e minerali, portano a uno stato infiammatorio cronico e a una sclerosi dei tessuti.

L’alimentazione moderna fornisce una buona quantità degli acidi presenti dell’organismo. Le proteine animali, infatti, producono molti acidi come pure l’intensa attività fisica (acido lattico). Il nostro corpo cerca di neutralizzare l’eccesso di acidi prelevando minerali dai vari tessuti (ossa, unghie, capelli) per coniugarli con gli acidi e formare sali neutri, meno pericolosi in attesa dello smaltimento. Per un corretto equilibrio dovremmo introdurre per tre quarti cibi alcalinizzanti come frutta, verdura, cereali integrali, latte e per un quarto alimenti acidificanti come proteine animali, e dolciumi, ma nella nostra dieta occidentale facciamo esattamente il contrario, predisponendo il nostro corpo a molte patologie degenerative.

Quarto: l’attività fisica
Il quarto e ultimo pilastro antinvecchiamento riguarda l’attività fisica la quale può contribuire a mantenere un sano equilibrio ormonale (stimola la produzione di GH, l’ormone della crescita e della riparazione cellulare) e a migliorare la funzionalità e il metabolismo dell’osso e della muscolatura corporea. Sappiamo che il 23% delle donne oltre i 40 anni ed il 14% degli uomini sopra i 60 anni sono affetti da osteoporosi. Questa condizione è, in fondo, una perdita di equilibrio tra i processi di formazione e quelli di distruzione e riassorbimento dell’osso. Con il passare degli anni l’equilibrio si altera a favore dei processi di disgregazione e si ha contemporaneamente una perdita di minerali. Nonostante l’importanza degli aspetti ormonali sul metabolismo dell’osso, è fondamentale che il corpo sia sottoposto ad un congruo e costante esercizio fisico.

Secondo Filippo Ongaro, medico spaziale, gli astronauti, in assenza di gravità, perdono l’1,5% di densità ossea al mese per cui in una missione spaziale della durata di 6 mesi, la loro densità ossea subisce un calo analogo a quello che si potrebbe osservare sulla terra nell’arco di 10 anni e ad un’età tra i 50 e i 60 anni. Queste osservazioni indicano come i carichi e le stimolazioni meccaniche producono dei segnali ai quali le cellule ossee sono in grado di rispondere adeguatamente. Sempre riferito da Ongaro, i carichi più elevati che l’osso deve sostenere sono causati dalle contrazioni muscolari dell’individuo piuttosto che dal peso, portando a identificare nell’osso una sorta di “meccanostato” in grado di percepire le varie stimolazioni meccaniche alle quali è sottoposto e di produrre e adattare una risposta adeguata e conseguente. Le stimolazioni di un certo tipo attivano processi di sintesi ossea, mentre quelle di altri tipi inducono processi di distruzione ossea e tutto ciò in relazione con le condizioni ormonali e di nutrizione del soggetto. Questo ci fa chiaramente capire come il nostro corpo sia fatto per muoversi e non per una vita completamente sedentaria. La stessa attività fisica regola direttamente anche l’attivazione delle difese immunitarie dell’intero organismo. Pur essendo il processo di invecchiamento influenzato da molteplici fattori – non ultimo quello psicologico e psicosociale – è importante tenere ben presenti e favorire questi quattro fondamentali pilastri dei quali abbiamo, in sintesi, parlato.

L’attenzione a questi aspetti ci permette di costruire una vecchiaia in cui l’equilibrio e l’armonia siano i costituenti principali e di allontanare sempre più nel tempo i fattori di declino e di malattia.



di Paolo Giordo
Medico, neurologo, esperto in omeopatia e fitoterapia.
Si occupa di nutrizione e cura delle malattie degenerative con metodi naturali.
Ha pubblicato il libro Alimentazione terapeutica per le Edizioni Mediterranee