07 agosto 2011

I giganti della Terra verso il grande crash

«Usa, Europa e Cina - i tre pilastri dell'economia globale - corrono come folli verso la crisi, sebbene da posizioni diverse. La collisione è imminente, e sarà letale».

3crash

Secoli fa, a 14 o 15 anni, io e la mia vecchia banda bramavamo l'immortalità nel catorcio fumante di una brontolante Ford 40 o di una Chevy 57. Il nostro J.K. Rowling era Henry Felsen, l'ex-marine autore dei best-seller Hot Rod (1950), Street Rod (1953) e Crush Club (1958). Felsen era il nostro Omero dell'asfalto, che esaltando giovani eroi destinati alla morte ci invitava a emulare la loro leggenda. Uno dei suoi libri si conclude con uno scontro apocalittico presso un incrocio, che stermina l'intera classe di laureandi di una piccola città dello Stato dell'Iowa.

Amavamo così tanto questo passaggio che eravamo soliti rileggerlo a voce alta l'un l'altro.

Difficile non pensare al grande Felsen, morto nel 1995, quando si sfogliano le pagine economiche di questi tempi. Dopo tutto, ci sono i repubblicani del Tea Party, con l'acceleratore spinto violentemente, che ghignano come demoni mentre si avvicinano alla Deadman's Curve (John Boehner e David Brooks, nei posti posteriori, muoiono di paura.) L'analogia con Felsen sembra ancora più forte quando si prospetta una visione globale. Dall'alto la situazione economica mondiale si profila chiaramente come uno schianto in attesa di accadere. E da tre direzioni distinte Stati uniti, Unione europea e Cina stanno accelerando alla cieca verso lo stesso incrocio. La domanda è: qualcuno sopravviverà per partecipare al ballo di fine anno?



Tremano i tre pilastri del McWorld

Riprendiamo dall'ovvio, tuttavia raramente discusso. Sebbene il giorno del giudizio per il limite di indebitamento sia scongiurato, Obama ha già impegnato la fattoria e venduto i capretti. Con una straordinaria noncuranza per l'ala liberal del suo partito, si è offerto di mettere i sacrosanti resti di quella che era la rete di sicurezza del New Deal sul podio del banditore, per placare un ipotetico «centro» e vincere di nuovo le elezioni a ogni costo (Dick Nixon, vecchio socialista, dove sei ora che abbiamo bisogno di te?).

Risultato: come i Fenici nella Bibbia, sacrificheremo i nostri figli (e i loro insegnanti) a Moloch, che oggi si chiama Deficit. La strage nel settore pubblico, insieme a un brusco taglio delle indennità di disoccupazione, andrà a propagarsi sull'intero lato della domanda dell'economia, fino a quando la disoccupazione avrà raggiunto la doppia cifra percentuale e Lady Gaga canterà: «Fratello, avresti dieci centesimi?».

Non dimentichiamo: viviamo in un'economia globalizzata, in cui gli americani sono i consumatori di ultima istanza e il dollaro è ancora il porto sicuro per il plusvalore accumulato dall'intero pianeta. La nuova recessione che i repubblicani stanno impunemente architettando metterà in dubbio di colpo tutti tre i pilastri del McWorld, già assai più traballanti di quanto si pensi: consumo americano, stabilità europea e crescita cinese.

Dall'altra parte dell'Atlantico, l'Unione europea si dimostra per quello che è: un sindacato di grandi banche e mega creditori, accanitamente determinato a far sì che i greci svendano il Partenone e che gli irlandesi emigrino in Australia. Non c'è bisogno di essere keynesiani per capire che, se ciò dovesse accadere, la situazione non farà altro che precipitare in futuro (se i posti di lavoro tedeschi sono ancora salvi è solo perché la Cina e gli altri BRICs - Brasile, Russia e India - hanno acquistato tante macchine utensili e Mercedes).

Ovvio, oggi la Cina sostiene il mondo, ma la domanda è: per quanto tempo ancora? Ufficialmente, la Repubblica popolare cinese è nel bel mezzo di una transizione epocale da un'economia basata sulle esportazioni a una basata sui consumi. Il fine ultimo di un simile passaggio non è solo trasformare il cinese medio in un automobilista di periferia, ma anche spezzare la dipendenza perversa che lega la crescita cinese al deficit commerciale americano che Pechino è obbligato, a sua volta, a finanziare per evitare che lo Yen si apprezzi.

Ma sfortunatamente per i cinesi, e forse per il mondo intero, il previsto boom dei consumatori si sta rapidamente trasformando in una pericolosa bolla immobiliare. La Cina ha contratto il virus Dubai, e ora ogni città con più di un milione di abitanti (sono almeno 160, all'ultimo conteggio) aspira a differenziarsi con un grattacielo di Rem Koolhaas o un mega centro commerciale, prossima meta dello shopping mondiale. Il risultato è stato un'orgia di edilizia.

E nonostante l'immagine rassicurante dei saggi mandarini di Pechino che controllano a sangue freddo il sistema finanziario, la Cina oggi sembra funzionare come 160 ripetizioni della serie Boardwalk Empire, dove i grandi capi politici della città e gli speculatori immobiliari privati stipulano i loro patti segreti con le gigantesche banche di stato. In effetti, si è sviluppato un vero e proprio sistema bancario ombra grazie alle grandi banche che spostano i prestiti dal loro bilancio verso società fiduciarie fasulle, evadendo i tappi ufficiali sul prestito totale. La scorsa settimana l'agenzia di rating Moody ha riferito che il sistema bancario cinese nasconde un trilione e mezzo di dollari in prestiti sospetti, soprattutto per mastodontici progetti municipali. Un altro servizio di rating ha avvertito che i «cattivi crediti» potrebbero costituire fino al 30% dei portafogli bancari cinesi.

Nel frattempo la speculazione immobiliare sta asciugando i risparmi domestici via via che le famiglie urbane, di fronte ai prezzi delle case alle stelle, si precipitano a investire negli immobili prima che questi siano spazzati via dal mercato (ricorda nulla?). Secondo Business Week, gli investimenti nell'edilizia residenziale costituiscono ormai il 9% del Pil, contro il 3,4% del 2003.



Una Lehman Brothers cinese?

Chengdu diverrà la nuova Orlando, e la China Construction Bank la prossima Lehman Brothers? Strana la credulità di così tanti «esperti» peraltro conservatori, convinti che la leadership comunista cinese abbia scoperto la legge del moto perpetuo creando un'economia di mercato immune dai cicli economici o dalle manie speculative.

Se la Cina avrà un atterraggio a dir poco duro, lo stesso sarà per i principali fornitori come Brasile, Indonesia o Australia. Il Giappone, già impantanato in una recessione in seguito a tre mega catastrofi, è estremamente sensibile a ulteriori shock provenienti dai suoi principali mercati. E la primavera araba rischia di trasformarsi in inverno se i nuovi governi non riusciranno ad aumentare l'occupazione o a contenere l'inflazione dei prezzi alimentari.

Mentre i tre grandi blocchi economici mondiali accelerano verso una depressione sincronizzata, devo dire che non sono più tanto entusiasta, come lo ero a 14 anni, dalla prospettiva di un classico finale alla Felsen - metallo aggrovigliato e giovani corpi dilaniati.


© Copyright 2011 Mike Davis

06 agosto 2011

L'attacco speculativo all'Italia evidenzia la bancarotta dell'Eurosistema


L'implosione dell'Eurosistema è entrata in una nuova fase la scorsa settimana, con l'attacco speculativo ai titoli di stato italiani partito dalle stesse forze finanziarie che sperano di salvare a tutti i costi le proprie istituzioni in bancarotta. Il fallimento evidente del salvataggio greco ha portato ad una situazione in cui la Troika UE-BCE-FMI sta ricorrendo ad ogni mezzo per assicurare il passaggio del nuovo pacchetto ed evitare l'unica soluzione sana alla crisi: una riforma alla Glass-Steagall che disinfesti l'economia dai parassiti finanziari e permetta il ritorno ad una vera crescita.

Nella situazione di incertezza, un gruppo di hedge funds ha deciso che il momento fosse propizio per scegliere un ghiotto bersaglio, l'Italia. Hanno offerto lo spunto le tensioni tra Berlusconi e Tremonti, che nel passato ha più volte proposto di riorganizzare il sistema finanziario internazionale lungo le linee indicate da LaRouche, e che continua ad opporsi decisamente alle politiche iperinflazionistiche di rifinanziamento del debito speculativo.

La reazione delle istituzioni all'attacco speculativo, che ha portato i costi del rifinanziamento del debito italiano ai livelli della Grecia un anno fa, è stata esattamente quella su cui contava la Troika: austerità e promesse di accelerare riforme liberistiche che danneggeranno ulteriormente l'economia già debole. Il Parlamento ha votato il bilancio di tagli e aumenti delle tasse in tempo record. Quella stessa popolazione italiana che negli scorsi mesi si era rivolta contro l'Unione Europea a causa dell'intervento in Libia e della conseguente ondata migratoria sulle nostre coste, ha visto anche i migliori rappresentanti istituzionali prostrarsi di fronte ai mercati e giurare il pareggio di bilancio.

Come al solito, questo non è bastato: i mastini liberisti come Francesco Giavazzi e Alberto Alesina (quelli che allo scoppio della crisi finanziaria mondiale erano corsi a nascondersi) hanno pubblicato un editoriale sul Corriere della Sera il 15 luglio chiedendo tagli più severi e soprattutto non rimandati nel tempo, e in particolare energiche misure di deregulation e privatizzazioni che mancano da tempo. Con una non tanto velata minaccia, il duo Giavazzi-Alesina ha annunciato il vero attacco all'Italia per agosto (quello della settimana scorsa era solo un assaggio), naturalmente prevenibile solo se si fa ciò che dicono.

Ha fatto loro eco Mario Monti, il candidato in pectore per un governo dei mercati o, in alternativa, per sostituire Tremonti all'Economia. Monti ha messo l'accento sulle assenti misure di "rilancio dell'economia", un eufemismo dietro il quale si cela la politica di espansione monetaria.

Liliana Gorini e Andrew Spannaus, rispettivamente presidente e segretario generale di Movisol, sono stati intervistati dal conduttore Roberto Ortelli su Radio Padania, e hanno ribadito che "non dovremmo assecondare e riassicurare i mercati come dicono il Presidente Napolitano ed economisti come Giavazzi". Gorini ha fatto riferimento alla dichiarazione di LaRouche sulla crisi italiana e europea, e ha rilanciato la proposta di un piano di sviluppo infrastrutturale per l'Africa come banco di prova morale per l'Europa. Spannaus ha sottolineato che il sistema dell'Euro è al capolinea e che se le nazioni vogliono sopravvivere debbono al più presto riacquistare la piena sovranità sulla moneta e sul credito.
by (MoviSol)

05 agosto 2011

Una fuga fatale per la verità

http://images.gazzetta.it/Media/Foto/2008/08/19/scacchi_2.jpg

Non mi piace chi fa della questione della legalità la sua bandiera a oltranza: ci sono stagioni della politica – quella alta, quella vera che poi diventa storia – che se vuoi affermare un principio di valore devi superare i limiti della legalità vigente. Non mi piacciono le politiche sicuritarie. Non mi piacciono i manettari, non mi piacciono le forche e non mi piace nemmeno il giudizio preventivo delle caste di appartenenza, della pubblica opinione o dei tribunali televisivi. Io, il cittadino Alfonso Papa, considerati i suoi capi di imputazione, non lo avrei messo in galera. Proprio no. E, con gli stessi capi di imputazione, non avrei spedito in gattabuia nemmeno il deputato Papa Alfonso. Proprio no.

Già mi fa orrore pensare al carcere come sistema di esecuzione della pena, ma ancora più disgusto mi provoca l’uso della restrizione della libertà personale come strumento di indagine e di ricerca della verità. Il fatto è che se un principio deve valere è quello che la legge è uguale per tutti: sia per il cittadino Alfonso Papa che per il deputato Papa Alfonso. Trovo annichilente che un deputato, in quanto deputato, possa vantare privilegi superiori a quelli del cittadino. L’immunità parlamentare è un insulto al principio di eguaglianza: o tutti uguali davanti alla legge, o meglio smetterla con le menate dei diritti civili… Quindi dovrei compiacermi per l’autorizzazione a procedere che la casta alla quale appartiene l’on. Papa Alfonso, quella parlamentare, ha concesso ai giudici ordinari? Neanche un po’: trovo ipocrita e squallida la soluzione, benché in linea con l’attuale legge delle autorizzazioni a procedere e dei regolamenti parlamentari.

Detto tutto ciò, avrei preferito che l’on. Sandro Saccucci, all’epoca deputato del Msi, accusato ingiustamente per concorso morale nell’assassinio del giovane militante comunista Luigi Di Rosa durante i fatti di Sezze Romano del 28 maggio 1976, fosse stato arrestato. E l’arresto sarebbe scattato ed eseguito se i tempi necessari per la revoca dell’immunità non gli avessero dato modo di fuggire.

Saccucci – giova ricordarlo – fu il secondo deputato della repubblica, dalla sua costituzione, per il quale il parlamento concesse, con voto pressoché unanime (il solo contrario fu quello di Giulio Caradonna) la revoca dell’immunità. E’ doveroso che lo precisi: mi rendo perfettamente conto che il favore all’arresto di Saccucci è una contraddizione rispetto alla mia convinzione che l’uso della galera come strumento di indagine sia quasi sempre esecrabile. E non è nemmeno legittimato da sentimenti antifascisti che – con ogni ovvietà – non mi appartengono. Tanto più che – lo ripeto – l’accusa di concorso morale in omicidio era ingiusta: la Cassazione infatti, nel 1985, lo assolse, annullando le sentenze di primo e secondo grado che lo condannavano a 8 anni. Va da sé, quindi che, ancora una volta, l’arresto preventivo per quella accusa sarebbe stato illegittimo.

Il punto vero è che ci sono voluti 9 anni per ristabilire verità e giustizia. Verità e giustizia che però si sono fermate dentro l’aula del tribunale. Nella memoria del Paese, invece, resta quella montagna di bugie che si è formata col tempo. Quante persone avranno letto la ricostruzione dei fatti che ho scritto io, da testimone, ne I rossi e i neri (Ed. Settimo Sigillo, 2002)? Poche migliaia, suppongo. Se fate un giro di ricerca su internet, troverete ricostruzioni che con l’attinenza a quel che veramente accadde a Sezze Romano e alla sentenza definitiva non hanno il benché minimo riscontro. In alcuni casi, si indica addirittura Saccucci come esecutore materiale dell’omicidio che, invece, fu chiaro da subito, ebbe altro responsabile. E dovrete faticare ancora di più per rintracciare la notizia della sua assoluzione dal principale reato contestatogli (concorso morale).

Ovviamente, corresponsabile di questa campagna mistificatoria è Saccucci stesso: non fosse fuggito, si fosse difeso legalmente e nelle sedi opportune, non avesse lasciato il carico della demistificazione e della difesa dalle accuse ai suoi camerati coinvolti nei fatti – che, con ogni evidenza, non potevano avere la stessa forza di ascolto che avrebbe avuto lui – molto probabilmente la narrazione di quella tragica vicenda avrebbe avuto altro corso, la verità sarebbe emersa prima e i tempi della giustizia sarebbero stati più brevi. Per tutti: vittima, colpevole e presunti colpevoli. Quell’arresto, insomma, sarebbe stato il minore dei mali. Ma la domanda vera è: sarebbe fuggito se, una volta arrestato l’autore dell’omicidio, come avvenne nella quasi immediatezza dell’atto e con la certezza matematica della sua confessione, il coimputato Saccucci, poi risultato innocente, fosse stato indagato a piede libero nelle more del processo?

di Miro Renzaglia

07 agosto 2011

I giganti della Terra verso il grande crash

«Usa, Europa e Cina - i tre pilastri dell'economia globale - corrono come folli verso la crisi, sebbene da posizioni diverse. La collisione è imminente, e sarà letale».

3crash

Secoli fa, a 14 o 15 anni, io e la mia vecchia banda bramavamo l'immortalità nel catorcio fumante di una brontolante Ford 40 o di una Chevy 57. Il nostro J.K. Rowling era Henry Felsen, l'ex-marine autore dei best-seller Hot Rod (1950), Street Rod (1953) e Crush Club (1958). Felsen era il nostro Omero dell'asfalto, che esaltando giovani eroi destinati alla morte ci invitava a emulare la loro leggenda. Uno dei suoi libri si conclude con uno scontro apocalittico presso un incrocio, che stermina l'intera classe di laureandi di una piccola città dello Stato dell'Iowa.

Amavamo così tanto questo passaggio che eravamo soliti rileggerlo a voce alta l'un l'altro.

Difficile non pensare al grande Felsen, morto nel 1995, quando si sfogliano le pagine economiche di questi tempi. Dopo tutto, ci sono i repubblicani del Tea Party, con l'acceleratore spinto violentemente, che ghignano come demoni mentre si avvicinano alla Deadman's Curve (John Boehner e David Brooks, nei posti posteriori, muoiono di paura.) L'analogia con Felsen sembra ancora più forte quando si prospetta una visione globale. Dall'alto la situazione economica mondiale si profila chiaramente come uno schianto in attesa di accadere. E da tre direzioni distinte Stati uniti, Unione europea e Cina stanno accelerando alla cieca verso lo stesso incrocio. La domanda è: qualcuno sopravviverà per partecipare al ballo di fine anno?



Tremano i tre pilastri del McWorld

Riprendiamo dall'ovvio, tuttavia raramente discusso. Sebbene il giorno del giudizio per il limite di indebitamento sia scongiurato, Obama ha già impegnato la fattoria e venduto i capretti. Con una straordinaria noncuranza per l'ala liberal del suo partito, si è offerto di mettere i sacrosanti resti di quella che era la rete di sicurezza del New Deal sul podio del banditore, per placare un ipotetico «centro» e vincere di nuovo le elezioni a ogni costo (Dick Nixon, vecchio socialista, dove sei ora che abbiamo bisogno di te?).

Risultato: come i Fenici nella Bibbia, sacrificheremo i nostri figli (e i loro insegnanti) a Moloch, che oggi si chiama Deficit. La strage nel settore pubblico, insieme a un brusco taglio delle indennità di disoccupazione, andrà a propagarsi sull'intero lato della domanda dell'economia, fino a quando la disoccupazione avrà raggiunto la doppia cifra percentuale e Lady Gaga canterà: «Fratello, avresti dieci centesimi?».

Non dimentichiamo: viviamo in un'economia globalizzata, in cui gli americani sono i consumatori di ultima istanza e il dollaro è ancora il porto sicuro per il plusvalore accumulato dall'intero pianeta. La nuova recessione che i repubblicani stanno impunemente architettando metterà in dubbio di colpo tutti tre i pilastri del McWorld, già assai più traballanti di quanto si pensi: consumo americano, stabilità europea e crescita cinese.

Dall'altra parte dell'Atlantico, l'Unione europea si dimostra per quello che è: un sindacato di grandi banche e mega creditori, accanitamente determinato a far sì che i greci svendano il Partenone e che gli irlandesi emigrino in Australia. Non c'è bisogno di essere keynesiani per capire che, se ciò dovesse accadere, la situazione non farà altro che precipitare in futuro (se i posti di lavoro tedeschi sono ancora salvi è solo perché la Cina e gli altri BRICs - Brasile, Russia e India - hanno acquistato tante macchine utensili e Mercedes).

Ovvio, oggi la Cina sostiene il mondo, ma la domanda è: per quanto tempo ancora? Ufficialmente, la Repubblica popolare cinese è nel bel mezzo di una transizione epocale da un'economia basata sulle esportazioni a una basata sui consumi. Il fine ultimo di un simile passaggio non è solo trasformare il cinese medio in un automobilista di periferia, ma anche spezzare la dipendenza perversa che lega la crescita cinese al deficit commerciale americano che Pechino è obbligato, a sua volta, a finanziare per evitare che lo Yen si apprezzi.

Ma sfortunatamente per i cinesi, e forse per il mondo intero, il previsto boom dei consumatori si sta rapidamente trasformando in una pericolosa bolla immobiliare. La Cina ha contratto il virus Dubai, e ora ogni città con più di un milione di abitanti (sono almeno 160, all'ultimo conteggio) aspira a differenziarsi con un grattacielo di Rem Koolhaas o un mega centro commerciale, prossima meta dello shopping mondiale. Il risultato è stato un'orgia di edilizia.

E nonostante l'immagine rassicurante dei saggi mandarini di Pechino che controllano a sangue freddo il sistema finanziario, la Cina oggi sembra funzionare come 160 ripetizioni della serie Boardwalk Empire, dove i grandi capi politici della città e gli speculatori immobiliari privati stipulano i loro patti segreti con le gigantesche banche di stato. In effetti, si è sviluppato un vero e proprio sistema bancario ombra grazie alle grandi banche che spostano i prestiti dal loro bilancio verso società fiduciarie fasulle, evadendo i tappi ufficiali sul prestito totale. La scorsa settimana l'agenzia di rating Moody ha riferito che il sistema bancario cinese nasconde un trilione e mezzo di dollari in prestiti sospetti, soprattutto per mastodontici progetti municipali. Un altro servizio di rating ha avvertito che i «cattivi crediti» potrebbero costituire fino al 30% dei portafogli bancari cinesi.

Nel frattempo la speculazione immobiliare sta asciugando i risparmi domestici via via che le famiglie urbane, di fronte ai prezzi delle case alle stelle, si precipitano a investire negli immobili prima che questi siano spazzati via dal mercato (ricorda nulla?). Secondo Business Week, gli investimenti nell'edilizia residenziale costituiscono ormai il 9% del Pil, contro il 3,4% del 2003.



Una Lehman Brothers cinese?

Chengdu diverrà la nuova Orlando, e la China Construction Bank la prossima Lehman Brothers? Strana la credulità di così tanti «esperti» peraltro conservatori, convinti che la leadership comunista cinese abbia scoperto la legge del moto perpetuo creando un'economia di mercato immune dai cicli economici o dalle manie speculative.

Se la Cina avrà un atterraggio a dir poco duro, lo stesso sarà per i principali fornitori come Brasile, Indonesia o Australia. Il Giappone, già impantanato in una recessione in seguito a tre mega catastrofi, è estremamente sensibile a ulteriori shock provenienti dai suoi principali mercati. E la primavera araba rischia di trasformarsi in inverno se i nuovi governi non riusciranno ad aumentare l'occupazione o a contenere l'inflazione dei prezzi alimentari.

Mentre i tre grandi blocchi economici mondiali accelerano verso una depressione sincronizzata, devo dire che non sono più tanto entusiasta, come lo ero a 14 anni, dalla prospettiva di un classico finale alla Felsen - metallo aggrovigliato e giovani corpi dilaniati.


© Copyright 2011 Mike Davis

06 agosto 2011

L'attacco speculativo all'Italia evidenzia la bancarotta dell'Eurosistema


L'implosione dell'Eurosistema è entrata in una nuova fase la scorsa settimana, con l'attacco speculativo ai titoli di stato italiani partito dalle stesse forze finanziarie che sperano di salvare a tutti i costi le proprie istituzioni in bancarotta. Il fallimento evidente del salvataggio greco ha portato ad una situazione in cui la Troika UE-BCE-FMI sta ricorrendo ad ogni mezzo per assicurare il passaggio del nuovo pacchetto ed evitare l'unica soluzione sana alla crisi: una riforma alla Glass-Steagall che disinfesti l'economia dai parassiti finanziari e permetta il ritorno ad una vera crescita.

Nella situazione di incertezza, un gruppo di hedge funds ha deciso che il momento fosse propizio per scegliere un ghiotto bersaglio, l'Italia. Hanno offerto lo spunto le tensioni tra Berlusconi e Tremonti, che nel passato ha più volte proposto di riorganizzare il sistema finanziario internazionale lungo le linee indicate da LaRouche, e che continua ad opporsi decisamente alle politiche iperinflazionistiche di rifinanziamento del debito speculativo.

La reazione delle istituzioni all'attacco speculativo, che ha portato i costi del rifinanziamento del debito italiano ai livelli della Grecia un anno fa, è stata esattamente quella su cui contava la Troika: austerità e promesse di accelerare riforme liberistiche che danneggeranno ulteriormente l'economia già debole. Il Parlamento ha votato il bilancio di tagli e aumenti delle tasse in tempo record. Quella stessa popolazione italiana che negli scorsi mesi si era rivolta contro l'Unione Europea a causa dell'intervento in Libia e della conseguente ondata migratoria sulle nostre coste, ha visto anche i migliori rappresentanti istituzionali prostrarsi di fronte ai mercati e giurare il pareggio di bilancio.

Come al solito, questo non è bastato: i mastini liberisti come Francesco Giavazzi e Alberto Alesina (quelli che allo scoppio della crisi finanziaria mondiale erano corsi a nascondersi) hanno pubblicato un editoriale sul Corriere della Sera il 15 luglio chiedendo tagli più severi e soprattutto non rimandati nel tempo, e in particolare energiche misure di deregulation e privatizzazioni che mancano da tempo. Con una non tanto velata minaccia, il duo Giavazzi-Alesina ha annunciato il vero attacco all'Italia per agosto (quello della settimana scorsa era solo un assaggio), naturalmente prevenibile solo se si fa ciò che dicono.

Ha fatto loro eco Mario Monti, il candidato in pectore per un governo dei mercati o, in alternativa, per sostituire Tremonti all'Economia. Monti ha messo l'accento sulle assenti misure di "rilancio dell'economia", un eufemismo dietro il quale si cela la politica di espansione monetaria.

Liliana Gorini e Andrew Spannaus, rispettivamente presidente e segretario generale di Movisol, sono stati intervistati dal conduttore Roberto Ortelli su Radio Padania, e hanno ribadito che "non dovremmo assecondare e riassicurare i mercati come dicono il Presidente Napolitano ed economisti come Giavazzi". Gorini ha fatto riferimento alla dichiarazione di LaRouche sulla crisi italiana e europea, e ha rilanciato la proposta di un piano di sviluppo infrastrutturale per l'Africa come banco di prova morale per l'Europa. Spannaus ha sottolineato che il sistema dell'Euro è al capolinea e che se le nazioni vogliono sopravvivere debbono al più presto riacquistare la piena sovranità sulla moneta e sul credito.
by (MoviSol)

05 agosto 2011

Una fuga fatale per la verità

http://images.gazzetta.it/Media/Foto/2008/08/19/scacchi_2.jpg

Non mi piace chi fa della questione della legalità la sua bandiera a oltranza: ci sono stagioni della politica – quella alta, quella vera che poi diventa storia – che se vuoi affermare un principio di valore devi superare i limiti della legalità vigente. Non mi piacciono le politiche sicuritarie. Non mi piacciono i manettari, non mi piacciono le forche e non mi piace nemmeno il giudizio preventivo delle caste di appartenenza, della pubblica opinione o dei tribunali televisivi. Io, il cittadino Alfonso Papa, considerati i suoi capi di imputazione, non lo avrei messo in galera. Proprio no. E, con gli stessi capi di imputazione, non avrei spedito in gattabuia nemmeno il deputato Papa Alfonso. Proprio no.

Già mi fa orrore pensare al carcere come sistema di esecuzione della pena, ma ancora più disgusto mi provoca l’uso della restrizione della libertà personale come strumento di indagine e di ricerca della verità. Il fatto è che se un principio deve valere è quello che la legge è uguale per tutti: sia per il cittadino Alfonso Papa che per il deputato Papa Alfonso. Trovo annichilente che un deputato, in quanto deputato, possa vantare privilegi superiori a quelli del cittadino. L’immunità parlamentare è un insulto al principio di eguaglianza: o tutti uguali davanti alla legge, o meglio smetterla con le menate dei diritti civili… Quindi dovrei compiacermi per l’autorizzazione a procedere che la casta alla quale appartiene l’on. Papa Alfonso, quella parlamentare, ha concesso ai giudici ordinari? Neanche un po’: trovo ipocrita e squallida la soluzione, benché in linea con l’attuale legge delle autorizzazioni a procedere e dei regolamenti parlamentari.

Detto tutto ciò, avrei preferito che l’on. Sandro Saccucci, all’epoca deputato del Msi, accusato ingiustamente per concorso morale nell’assassinio del giovane militante comunista Luigi Di Rosa durante i fatti di Sezze Romano del 28 maggio 1976, fosse stato arrestato. E l’arresto sarebbe scattato ed eseguito se i tempi necessari per la revoca dell’immunità non gli avessero dato modo di fuggire.

Saccucci – giova ricordarlo – fu il secondo deputato della repubblica, dalla sua costituzione, per il quale il parlamento concesse, con voto pressoché unanime (il solo contrario fu quello di Giulio Caradonna) la revoca dell’immunità. E’ doveroso che lo precisi: mi rendo perfettamente conto che il favore all’arresto di Saccucci è una contraddizione rispetto alla mia convinzione che l’uso della galera come strumento di indagine sia quasi sempre esecrabile. E non è nemmeno legittimato da sentimenti antifascisti che – con ogni ovvietà – non mi appartengono. Tanto più che – lo ripeto – l’accusa di concorso morale in omicidio era ingiusta: la Cassazione infatti, nel 1985, lo assolse, annullando le sentenze di primo e secondo grado che lo condannavano a 8 anni. Va da sé, quindi che, ancora una volta, l’arresto preventivo per quella accusa sarebbe stato illegittimo.

Il punto vero è che ci sono voluti 9 anni per ristabilire verità e giustizia. Verità e giustizia che però si sono fermate dentro l’aula del tribunale. Nella memoria del Paese, invece, resta quella montagna di bugie che si è formata col tempo. Quante persone avranno letto la ricostruzione dei fatti che ho scritto io, da testimone, ne I rossi e i neri (Ed. Settimo Sigillo, 2002)? Poche migliaia, suppongo. Se fate un giro di ricerca su internet, troverete ricostruzioni che con l’attinenza a quel che veramente accadde a Sezze Romano e alla sentenza definitiva non hanno il benché minimo riscontro. In alcuni casi, si indica addirittura Saccucci come esecutore materiale dell’omicidio che, invece, fu chiaro da subito, ebbe altro responsabile. E dovrete faticare ancora di più per rintracciare la notizia della sua assoluzione dal principale reato contestatogli (concorso morale).

Ovviamente, corresponsabile di questa campagna mistificatoria è Saccucci stesso: non fosse fuggito, si fosse difeso legalmente e nelle sedi opportune, non avesse lasciato il carico della demistificazione e della difesa dalle accuse ai suoi camerati coinvolti nei fatti – che, con ogni evidenza, non potevano avere la stessa forza di ascolto che avrebbe avuto lui – molto probabilmente la narrazione di quella tragica vicenda avrebbe avuto altro corso, la verità sarebbe emersa prima e i tempi della giustizia sarebbero stati più brevi. Per tutti: vittima, colpevole e presunti colpevoli. Quell’arresto, insomma, sarebbe stato il minore dei mali. Ma la domanda vera è: sarebbe fuggito se, una volta arrestato l’autore dell’omicidio, come avvenne nella quasi immediatezza dell’atto e con la certezza matematica della sua confessione, il coimputato Saccucci, poi risultato innocente, fosse stato indagato a piede libero nelle more del processo?

di Miro Renzaglia